Tempo di lettura: 4 minutiSi fa un gran parlare di prevenzione, ma troppo spesso non si riesce ad andare oltre le raccomandazioni e le dichiarazioni di intenti. Da un lato le istituzioni, che non sempre riescono a mettere in piedi programmi di prevenzione omogenei su tutto il territorio nazionale; dall’altro i cittadini, che non essendo mai stati formati sul valore del “prendersi cura della propria salute” non hanno realmente interiorizzato questa esigenza. In un contesto così frammentato, la prevenzione diventa più che altro un complicato puzzle di analisi e controlli realizzati in maniera casuale ed estemporanea. Ecco perché sta facendo molto discutere e sta suscitando grande interesse una proposta lanciata dal network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute, indirizzata alla ministra Giulia Grillo e al ministro per l’Istruzione Marco Bussetti. In cosa consiste l’idea? Introdurre la figura del medico in classe, coinvolgendo gli specializzandi in medicina e chirurgia, per insegnare ai ragazzi a prendersi cura di loro stessi ed educarli per l’appunto alla prevenzione, indirizzandoli in maniera concreta verso stili di vita e comportamenti sani.
Costo zero
Aspetto interessante di questa proposta è nella sua sostenibilità economica, perché non comporterebbe oneri aggiuntivi per le casse dello stato e non finirebbe per gravare sugli insegnanti. I medici specializzandi delle università italiane potrebbero dedicare una piccola parte del percorso formativo alla promozione della salute nelle scuole. Al di là di quelle che sono le patologie tipiche dell’età giovanile (infezioni respiratorie, infezioni delle vie urinarie e gastroenteriti per i giovanissimi) esistono molte malattie che tenderanno a svilupparsi nel corso della vita proprio a causa di pessimi stili di vita. Malattie sulle quali si può giocare d’anticipo grazie alla cultura della salute.
L’opinione dei medici
Annalisa Passariello, ricercatore alla Federico II di Napoli e specialista in Oncologia pediatrica, vede il progetto con favore. «Partire dalle scuole è una buona idea – dice – perché oggi le criticità sono molte. Nel nostro paese si è fatto e si fa molto in termini di prevenzione, tuttavia non c’è ancora la giusta attenzione verso le malattie croniche e le patologie neurodegenerative, che coinvolgono moltissime persone. Agire sin dall’infanzia per trasmettere messaggi corretti potrebbe fare la differenza. Penso all’obesità giovanile, che in Campania è un problema già a partire dall’età scolare». La pediatra spiega che grandi resistenze arrivano da parte dei familiari e superata la pubertà, è molto difficile che un ragazzino possa rimettersi in linea con il peso. «Un bambino al quale viene insegnato il valore della prevenzione – aggiunge – può essere un bambino che educa i genitori e la famiglia. Non sarà la panacea di tutti i mali, ma, ma sarebbe un buon inizio».
Il percorso
Passariello è convinta che il medico in classe sia un progetto da sposare, ma solo se strutturato per gli specializzandi come parte specifica di un percorso di formazione. «Dovrebbe coinvolgere – precisa – gli specializzandi che abbiano scelto branche connesse con le problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza». Quanto alle forze in campo, il Miur per il 2018 ha comunicato un aumento dei posti disponibili per le specializzazioni rispetto all’anno scorso: si è passati da 6.676 a 6.934. Di questi sono 6.200 quelli finanziati con risorse statali; 640 sono finanziati da fondi regionali e 94 con risorse di altri enti pubblici o privati.
Educare alla salute
Convinto che «la promozione della dimensione positiva della salute sia sempre di più una necessità irrinunciabile», Anche il professor Italo Angelillo, ordinario di Igiene alla Scuola di Medicina e Chirurgia all’università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, ritiene che «fronteggiare le malattie non basta», si deve lavorare «per recuperare il ruolo della persona nella gestione della propria salute. E’ necessario, quindi, un percorso educativo che, attraverso la conoscenza induca comportamenti coerenti con un modello di vita improntato al benessere». Angelillo, che e anche direttore del dipartimento di Medicina Sperimentale alla Vanvitelli sposa l’idea di un intervento precoce, già dai primi anni di vita. Unico «strumento idoneo a sviluppare nelle nuove generazioni l’attenzione verso i fattori dai quali dipende il benessere individuale e della collettività». Dunque, la scuola come «luogo ideale in cui poter maturare convinzioni, opinioni, conoscenze, atteggiamenti e abitudini e per instaurare un dialogo sulla salute e sui corretti stili di vita». La presenza del medico in classe, attraverso il continuo rapporto coni ragazzi, avrebbe proprio l’obiettivo di facilitare la diffusione dei messaggi di prevenzione.
Stili di vita
«E’ dimostrato – prosegue Angelillo – che un numero limitato di comportamenti contribuisce in larga misura a determinare alcune tra le maggiori cause di morte, come le malattie cardiocircolatorie, il cancro e gli incidenti. Questi comportamenti, spesso maturati in giovane età, comprendono il consumo di tabacco, di sostanze psicotrope, di alcol, le diete non salutari, un’attività fisica e comportamenti sessuali inadeguati. Il medico in classe può fornire nozioni attraverso un processo formativo e non informativo, coinvolgendo l’alunno con un’interazione attiva. In particolare, per la lotta ai danni dal tabagismo, la migliore strategia è la prevenzione. Le morti e le malattie fumo-correlate, tuttavia, sono prevedibili e prevenibili e si conosce, infatti, quali danni provoca l’uso di tabacco e come fare per evitarne le conseguenze». Angelillo sottolinea quanto sia importante anche l’attività fisica nella prevenzione di molte malattie cronico-degenerative: malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, obesità, diabete mellito, osteoporosi e alcune forme di cancro. Un altro esempio è l’educazione alimentare, che deve mirare a promuovere stili di vita corretti al fine della prevenzione dell’obesità infantile e, di conseguenza, delle patologie cronico-degenerative. Infine, conclude Angelillo, «la promozione della salute sessuale e l’adozione quindi di comportamenti sicuri, per prevenire la trasmissione delle infezioni, sviluppando approcci per promuovere lo scambio di buone pratiche ed informazioni per affrontare importanti aspetti della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. L’educazione alla salute con il medico in classe deve aiutare a produrre un efficace cambiamento dei comportamenti di salute, potenziando le azioni virtuose, ma anche attuando un percorso in cui si mantenga stabile il cambiamento salutare nel proprio stile di vita».
Melanoma, visite gratuite sul lungomare di Napoli
PrevenzioneSport e prevenzione del melanoma, perché no, visto che chi pratica sport all’aria aperta è spesso molto esposto ai raggi UV. E allora, domenica 28 ottobre a Napoli, durante la tappa della “Road to Rome 2022”, il percorso di avvicinamento del golf italiano alla Ryder Cup 2022 (la prestigiosa sfida di golf che fra quattro anni si svolgerà a Roma), tutti i cittadini potranno sottoporsi gratuitamente al controllo dei nei in un gazebo della Fondazione Melanoma, posto sul Lungomare Caracciolo.
Esperti in campo
All’interno della struttura, per l’intera giornata, saranno presenti dermatologi che forniranno anche consigli sugli stili di vita per prevenire il cancro. Non solo. Saranno distribuiti opuscoli informativi, in particolare una pubblicazione realizzata proprio per l’evento, che vede protagonisti Gian Paolo Montali, Direttore Generale del Progetto Ryder Cup 2022, e il prof. Paolo Ascierto, Presidente della Fondazione Melanoma e Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto “Pascale” di Napoli. «La prevenzione è la prima arma per sconfiggere il melanoma, che fa registrare ogni anno in Italia circa 14.000 nuovi casi – spiega il professor Paolo Ascierto -. Dopo l’estate diventa ancora più importante controllare i nei. Il melanoma è il terzo tumore più frequente in entrambi i sessi sotto i 50 anni. Le scottature solari gravi, in età infantile e durante l’adolescenza, triplicano il rischio di melanoma in età adulta, ma troppo pochi giovani proteggono la pelle dall’esposizione eccessiva ai raggi UV. Per questo vogliamo raggiungere tutti i cittadini anche con il linguaggio dello sport».
La Fondazione
Grazie alle campagne di sensibilizzazione condotte anche dalla Fondazione Melanoma oggi in sette-otto casi su dieci la malattia è individuata in fase iniziale, quando le possibilità di guarigione superano il 90%. Il cambiamento nella forma, dimensione o colore di un neo è sempre un segnale d’allarme da non sottovalutare. In passato vi era scarsa consapevolezza tra i cittadini sui rischi legati all’esposizione indiscriminata al sole e all’uso dei lettini solari. Oggi non è più così. La tappa di Napoli della “Road to Rome 2022” è l’occasione per trasmettere anche i messaggi della prevenzione oncologica.
Microplastiche trovate anche nell’uomo. L’allarme
AlimentazioneFrammenti di materie plastiche di cui sono composti anche gli imballaggi usa e getta più comuni, come pellicole, vaschette, bottiglie, tappi e flaconi. Se fino ad oggi erano state trovate nei cibi, soprattutto nei pesci che le ingoiano in mare, ora un primo studio conferma ufficialmente come le microplastiche possano invadere anche il corpo umano.
Le microplastiche
Polietilene, Polipropilene e Polietilene Tereftalato (PET): le microplastiche sono particelle di piccole dimensioni che si trovano praticamente ovunque. I più comuni sono il ‘polipropilene’, presente ad esempio nelle sedie o nelle custodie per CD, e il ‘polietilene tereftalato’, utilizzato per produrre contenitori per bevande e per cibi. Ogni anno finiscono negli oceani otto tonnellate di plastica che vengono poi ingerite dai pesci o finiscono nel sale da cucina, così come nell’acqua del rubinetto e perfino quella in bottiglia. Ora sono state ritrovate anche nell’uomo. Intanto in Italia, a partire dal Ministero dell’Ambiente diventato “plastic free”, si stanno adottando misure per cercare di frenare l’inquinamento da plastica. In Gran Bretagna, invece, lo stesso processo è rapidamente accelerato: monouso e cannucce di plastica potrebbero essere infatti banditi a breve, entro un anno, così come i cotton fioc.
Lo studio
In questo studio otto partecipanti hanno tracciato un diario alimentare per una settimana prima di raccogliere diversi campioni di feci. La presenza di microplastiche è stata riscontrata in ogni campione raccolto, in media 20 particelle ogni 10 grammi di feci. “Si tratta del primo studio nel suo genere e conferma quanto a lungo abbiamo sospettato – dichiara l’autore che presenterà il lavoro in occasione della settimana della European Union Gastroenterology (26th UEG Week) a Vienna – e cioè che la plastica raggiunge il nostro intestino. È dirimente capire cosa comporti per la salute umana, specie per chi soffre di disturbi gastrointestinali. Le particelle di microplastica si accumulano infatti nell’intestino, inoltre le più piccole possono entrare nel circolo sanguigno e potrebbero anche raggiungere il fegato”, conclude.
Mammografia in 3D scopre 34% in più di tumori al seno
Ricerca innovazioneSì tratta di una nuova frontiera della prevenzione contro il tumore al seno. La mammografia in 3D rileva il 34% in più di tumori al seno rispetto all’esame tradizionale. A portarlo alla luce è uno studio condotto in Svezia che ha esaminato 15.000 donne per un periodo di cinque anni in Svezia e publicato sulla rivista Lancet Oncology.
Screening mammografico tradizionale e in 3D
Se nello screening tradizionale il tessuto mammario viene catturato in un’unica immagine, con la tomosintesi del seno (la mammo in 3D) vengono catturate più immagini a raggi X e da diverse angolazioni. Grazie alle immagini a raggi X e a una loro successiva rielaborazione al computer è possibile visionare diversi sottili strati del seno.
Inoltre l’esame in 3D oltre a rilevare in percentuale maggiore l’eventuale presenza di neoplasie al seno (34%), permette di diagnosticare i tumori più densi, ovvero quelli più difficili da studiare. Tra questi vi sono quelle neoplasie in grado di celare per un periodo di tempo maggiore una presenza di eventuali piccoli noduli maligni. Lo studio è stato condotto dalla Lund University e dallo Skåne University Hospital di Malmo, tra il 2010 e il 2015, conferma su ampia scala i risultati di un’indagine italiana pubblicata su Radiology.
Risultati
Con l’esame in 3D è stato scoperto il 34% in più di tumori rispetto allo screening mammografico standard corrente. Allo stesso tempo, si riduce la compressione del seno durante l’esame. In particolare l’esame è stato in grado di trovare tumori più invasivi ma è anche collegata a un aumento di falsi positivi. Negli Usa la mammo in 3D è già utilizzata come screening generalizzato, ma anche in Italia è disponibile già in diversi centri. “La mammografia in 3D è il metodo più appropriato per lo screening del cancro al seno. Quando verrà reso disponibile per tutte le donne è solo una questione di tempi”, ha detto Sophia Zackrisson, professore associato presso Lund University.
Tumore al seno, visite gratuite da prenotare on-line
PrevenzionePer il mese della prevenzione del tumore al seno scende in campo anche il web, in particolare la piattaforma “miodottore.it”, specializzata nella prenotazione di visite mediche ed è parte del gruppo DocPlanner. Il progetto si chiama, neanche a dirlo, “miodottore solidale” e vuole anche servire a sensibilizzare sull’importanza della prevenzione in ambito ginecologico, oltre che facilitare l’accesso alle cure. Fino al 15 novembre sarà possibile, attraverso una nuova sezione dedicata del sito, accedere alla lista dei medici di tutta Italia che hanno sposato l’iniziativa per trovare quello più vicino e prenotare una prima visita ginecologica gratuita.
I dati italiani
Nel nostro paese quest’anno si sono riscontrati 373.000 nuovi casi di tumore rispetto al 2017, il più frequente tra questi il tumore alla mammella con 52.800 nuovi casi negli ultimi otto mesi, in crescita rispetto all’anno precedente. Nonostante il 63% delle donne sopravviva a cinque anni dalla diagnosi, persistono gravi casi di disomogeneità all’accesso dei programmi di diagnosi precoce e alle terapie. Questa è solo la punta dell’iceberg di molte patologie, tipicamente femminili, che possono intercorrere se non viene attuata una precisa diagnostica preventiva e visite di routine. L’indulgenza, l’imbarazzo, la scarsa conoscenza e anche la pigrizia, a volte, possono essere altamente dannose.
Campagna social
È per questo che MioDottore ha deciso di sostenere il mese rosa, offrendo il suo contributo attraverso questa campagna che toccherà l’intero territorio nazionale e sposando sui suoi canali social l’hashtag #ioprevengo. Da oggi fino al 15 novembre sarà disponibile una landing page dedicata dove poter prenotare una prima visita ginecologica gratuita in pochi clic. In maniera semplice e immediata sarà possibile consultare la lista dei professionisti con le rispettive disponibilità. Al fine di beneficiare della visita gratuita è necessario scegliere come tipo di visita «Visita prenotata attraverso la Campagna MioDottore Solidale» e inserirlo poi anche nella sezione «Motivo della Visita» presente nel form di prenotazione. «Prevenire e agire con tempismo è tutto – spiega Luca Puccioni, CEO di MioDottore – c’è ancora troppa poca sensibilità attorno all’universo femminile a volte per disinformazione, vergogna o semplicemente paura. Dall’altro lato il nostro Paese è ricco di medici pronti ad offrire la propria consulenza, anche gratuita, pur di combattere queste remore e innescare una cultura della prevenzione che consenta di diagnosticare e combattere la malattia nelle sue prime fasi. Poter offrire il nostro supporto e mettere a fattor comune la nostra rete di professionisti e le loro competenze per unirci a una lotta così importante è per noi motivo di estremo orgoglio. Abbiamo visto questa campagna raggiungere risultati importanti sia in Spagna sia in Sud America e siamo certi che anche l’Italia saprà comprenderne il valore».
Mensa scolastica, i genitori vogliono cibi più sani
Genitorialità, News Presa, PediatriaPiù della metà dei genitori non è contento della mensa scolastica dei propri figli. I dati emergono dall’Osservatorio Agro-alimentare Ixè 2018. Tra le famiglie con bambini che frequentano le scuole dell’infanzia e primarie, la valutazione della qualità della mensa è solo per il 36% dei genitori buona o ottima.
Cresce l’attenzione per il cibo sano
Il 75% dei genitori e nonni di bimbi fino ai 10 anni ritiene che le mense scolastiche abbiano il compito di offrire pasti sani ed equilibrati ai bambini e ai ragazzi nell’età dello sviluppo, in una fase fondamentale per l’educazione ad un corretto stile alimentare. Ne sono ancora più convinte le famiglie con figli o nipoti adolescenti. Il 37% delle famiglie con bambini sostiene l’ipotesi di menù costruiti con cibi e prodotti locali. Il 18% pensa che le mense potrebbero proporre ricette e piatti tipici regionali; questo potrebbe rappresentare un canale informale e diretto per diffondere conoscenza sulla varietà e l’eccellenza della tradizione culinaria italiana o un modo per confermare le tradizioni e consuetudini tradizionali.
L’11% delle famiglie propende per il biologico.
Il percepito della popolazione complessiva, per lo più basato sul word of mouth o sulla rappresentazione mediatica, risulta più negativo. Il 77% dei bambini/ragazzi porta a scuola la merenda di metà mattina e di queste, circa la metà è preparata a casa, oltre un terzo è confezionata e una quota ridotta è fresca ma acquistata (pizze, cornetti ecc…).
L’iniziativa al Sud
A Bari è appena partita la nuova mensa scolastica, tra le più green d’Italia: prodotti bio al 100%, impatto ambientale zero, educazione alimentare smart e customer satisfaction paperless con un istituto di ricerche. Si tratta di un vero e proprio percorso educativo che insegna ai bambini a mangiare sano, ha commentato il sindaco di Bari Antonio Decaro. Il nuovo progetto di ristorazione scolastica è rivolto alle scuole d’infanzia e primarie del Comune di Bari e predisposto dalla Ladisa ristorazione, vincitrice del bando pubblico di durata triennale. I punti forza del progetto sono: l’utilizzo di prodotti 100% bio, (così la mensa di Bari diventa una delle più smart e green in Italia: la media nazionale è del 45%) e l’impatto ‘verde’ in tutto il ciclo, infatti i cibi vengono trasportati con mezzi elettrici e a metano. Infine, viene misurato il gradimento degli utenti (bambini e adulti) senza spreco di carta, grazie ai totem elettronici. In base all’età si possono dare dei ‘voti’ al servizio, i dati vengono elaborati e i report periodici consegnati all’amministrazione comunale. Inoltre ci saranno dei focus group con genitori e docenti per analizzare i risultati delle indagini ed eventualmente concordare modifiche. Di recente in Campania, il Consiglio Regionale ha approvato all’unanimità la proposta di legge “Disciplina per l’orientamento al consumo dei prodotti di qualità e per l’educazione alimentare nelle scuole”. Si tratta di una proposta di legge che favorisce un’alimentazione di qualità negli asili nido, nelle scuole di infanzia, primarie ed elementari, grazie al consumo degli alimenti della dieta mediterranea. L’iniziativa contro il fenomeno dell’obesità infantile è “una novità normativa che mette la Campania al passo con altre regioni che, come il Veneto, hanno aperto la strada al riconoscimento delle mense scolastiche come momento formativo e didattico” – ha detto Gennaro Masiello, presidente di Coldiretti Campania e vicepresidente nazionale – “Siamo la patria della Dieta Mediterranea, che dovrebbe essere materia di studio e prassi nelle mense scolastiche. Negli anni, in nome dell’efficienza burocratica, si è smontata ad esempio la logica delle cucine interne. Servire i pasti cucinati esternamente e confezionati sottovuoto ha ridimensionato il rapporto educativo con il cibo. Ma un ritorno alle cucine interne costituirebbe la scelta migliore in termini educativi, qualitativi e ambientali”.
ISS: 18mln di giocatori italiani, un milione e mezzo problematici
News PresaUn adulto su tre ha giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno. Un milione e mezzo sono invece i giocatori problematici. Sono solo alcuni dei dati emersi dalla prima indagine epidemiologica sul gioco d’azzardo realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità. “Questa indagine, affidataci dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli dello Stato – dice Walter Ricciardi, Presidente dell’ ISS – è il più grande studio mai realizzato prima in Italia e ci offre la possibilità di fotografare un fenomeno, prevalente al Sud e nelle Isole, il cui monitoraggio può essere una guida per valutare l’efficacia delle azioni di prevenzione e gli interventi di assistenza”. La ricerca, realizzata con EXPLORA, ha analizzato anche aspetti legati all’esperienza sociale del gioco e gli elementi che possono portare al comportamento problematico.
Lo studio
Lo studio ha coinvolto 12.007 adulti italiani (47,6% uomini e 52,4% donne). “Dall’indagine è emerso che 18 milioni di italiani adulti hanno giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno – dice Roberta Pacifici, direttore del Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’ ISS – di questi più di 13 milioni giocano in modo “sociale”, due milioni presentano un profilo a basso rischio e un milione e 400mila persone presentano un rischio moderato. Un milione e mezzo sono giocatori problematici – continua Roberta Pacifici – sono cioè coloro che faticano a gestire il tempo da dedicare al gioco, a controllare la spesa, alterando inoltre i comportamenti sociali e familiari”. Già da un anno, intanto, è attivo presso il Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, il Numero Verde 800 558822 per aiutare e orientare le persone con problemi legati al gioco d’azzardo e i loro familiari.
Profilo del giocatore problematico
Rispetto ai giocatori “sociali” i giocatori problematici praticano di più le Slot e le video lotterie e presentano stili di vita meno salutari: fumo, abuso di alcol e di sostanze stupefacenti. Il rapporto dell’ISS ha indagato anche l’aspetto economico del gioco problematico. Il 5,8% dei giocatori problematici, infatti, ha ottenuto la cessione del quinto sullo stipendio rispetto allo 0,7 dei non giocatori, il 27,7% ha ottenuto prestiti da società finanziare rispetto al 4% del non giocatore e il 14,2 ha chiesto prestiti a privati rispetto allo 0,9% dei non giocatori. Anche il luogo del gioco caratterizza il giocatore problematico rispetto al giocatore sociale. I dati dell’indagine mostrano che il giocatore problematico predilige i luoghi lontani da casa (11,3% vs 2,5%) e dal lavoro (2,3% 0,8%), quelli che garantiscono la maggior privacy (10,7% vs 1,5%). I giocatori sociali, invece, scelgono più spesso i luoghi vicino casa (49,2% vs 37,5%) o vicino al posto di lavoro (14,9% vs 9,6%), con disponibilità di altri servizi (10,5% vs 6,6%).
I minori
Lo studio sui minori ha coinvolto 15.602 studenti tra i 14 e i 17 anni, ai quali la normativa vigente vieta in assoluto la pratica del gioco d’azzardo. Tuttavia dall’indagine dell’ Iss è emerso che quasi 700mila minorenni hanno giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno: di questi quasi 70mila sono già giocatori problematici. I giocatori minorenni sono 17enni nel 35% dei casi, con un divario di genere molto marcato e prevalente nei maschi: 4 su 10. I giovani giocatori problematici che sono il 3% dei giovani giocatori, praticano soprattutto scommesse sportive (79,6%) e lotterie istantanee (70,1%).
Over 65
Sono circa 3 milioni quelli che giocano, senza divario di genere, sia uomini che donne. Di questi 3 milioni il 2% è un giocatore problematico. Preferiscono le lotterie come tipologia di gioco e lo fanno dal tabaccaio o al bar.
Numero Verde
Per aiutare i giocatori a rischio l’Istituto Superiore di Sanità ha attivato il Numero Verde, che in modo anonimo e gratuito, aiuta i giocatori a rischio e problematici e i loro familiari orientandoli sui servizi più vicini al loro domicilio in grado di sostenerli. Proprio per far conoscere questo strumento di aiuto l’ ISS ha attivato una campagna di comunicazione nazionale che, grazie al contributo di Responsabilità Sociale RAI, promuove la presenza degli esperti del Numero Verde nelle trasmissioni. La campagna inoltre è sostenuta dalla Diocesi di Roma grazie alla quale il Numero Verde è promosso nelle 336 parrocchie romane e in tutte le sale d’attesa di Italo Treno.
Medico in classe? «Una proposta da sostenere»
Bambini«Una proposta che reputo intelligente, utile e direi necessaria soprattutto per il territorio in cui vivo e opero». Così monsignor Orazio Francesco Piazza, vescovo della diocesi di Sessa Aurunca, commenta la proposta del network PreSa sulla possibilità di portare il medico in classe. Sotto la giurisdizione ecclesiale di monsignor Orazio Francesco Piazza ci sono cinque Comuni del litorale casertano: Sessa Aurunca, Cellole, Mondragone, Falciano del Massico e Carinola, un’area geografica vasta, ricca di storia e tradizioni, ma anche vittima di alcune sacche di degrado sociale. In questo contesto la scuola resta un punto di riferimento centrale. Per molti ragazzi l’alternativa è la strada, che significa spesso finire nelle mani di organizzazioni malavitose per il “ricambio generazionale”.
Monsignor Piazza, perché il Governo dovrebbe fare propria l’idea del medico in classe?
«Poter impegnare giovani medici nelle scuole è un’operazione intelligente, perché spesso nelle classi si annidano focolai delle più svariate malattie. L’idea va nella giusta direzione. Non solo difesa della salute pubblica ma anche educazione verso corretti stili di vita. Promuoverle entrambi, attraverso la presenza di un medico, secondo le modalità che i nostri governanti vorranno successivamente individuare, è un’opportunità straordinaria anche nell’ottica del bene comune. In passato ho rivolto un appello pubblico sull’importanza e l’utilità dei vaccini, il fine ultimo è la salvaguardia proprio del bene comune per raggiungere il quale l’uomo deve profondere il massimo dell’impegno».
Può essere questo anche un valore aggiunto per i territori?
«La nostra terra è costellata di situazioni familiari spesso difficili e la scuola rappresenta un’ancora di salvezza per la salute di tantissimi ragazzi che, diversamente, non si sottoporrebbero, per negligenza dei genitori, a questo tipo di monitoraggio e controlli che sono in grado di prevenire tante difficoltà e far emergere criticità nascoste».
Ritiene che sia un’iniziativa necessaria?
«Certamente può aiutare a ricreare stili di vita virtuosi. In ambienti scolastici all’interno di contesti difficili, come ce ne sono parecchi da queste parti, con molte famiglie disgregate che rappresentano purtroppo una costante, l’idea secondo me è necessaria perché la scuola costituisce l’unica possibilità per tenere sotto osservazione l’udito, la vista, la postura, solo per citare qualche esempio. Questo tipo di sensibilizzazione, dal basso, dal mio punto di vista sarebbe un grande segnale di attenzione verso i bisogni del territorio. Auspico, e concludo, che questa proposta possa trovare accoglienza e che in definitiva ci sia voglia di metterla in campo da parte dei due ministeri competenti, Salute e Istruzione. Alla fine di tutto, com’è ampiamente dimostrato, l’attività di prevenzione contribuisce a ridurre gli sprechi da lato e spinge i cittadini all’educazione sanitaria dall’altro».
Piante che catturano lo smog e bloccano polveri sottili
News PresaLe polveri sottili PM10 ogni anno in Italia causano circa 80.000 morti premature secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente. Esistono piante capaci di bloccare le pericolose polveri e di catturare fino a circa 4000 chili di anidride carbonica (CO2) nell’arco di vent’anni di vita. Basta averle nel proprio giardino per ripulire l’aria da tanta anidride carbonica e sostanze inquinanti che sono una vera e propria emergenza in molte regioni d’Italia, costrette ad adottare misure per limitare il traffico cittadino.
Piante mangia smog
Al primo posto tra le piante mangia smog c’è l’Acero Riccio che raggiunge un’altezza di 20 metri, con un tronco slanciato e diritto e foglie di grandi dimensioni, fra i 10 e i 15 cm con al termine una punta spesso ricurva da cui deriva l’appellativo di “riccio”: ogni esemplare è in grado di assorbire fino a 3800 chili di CO2 in vent’anni e ha un’ottima capacità di mitigazione dell’inquinamento e di abbattimento delle isole di calore negli ambienti urbani. Subito dopo, con 3100 chili di CO2 aspirate dall’aria, ci sono la Betulla verrucosa, in grado di crescere sui terreni più difficili e il Cerro che può arrivare fino a 35 metri di altezza. Il Ginkgo Biloba che è un albero antichissimo le cui origini risalgono a 250 milioni di anni fa, oltre ad assorbire 2800 chili di CO2 è in grado di creare una barriera contro gas, polveri e afa e ha una forte adattabilità a tutti i terreni compresi quelli urbani. Fra le piante anti smog c’è anche il Tiglio, il Bagolaro che è fra i più longevi con radici profonde e salde come quelle dell’Olmo campestre. Il Frassino comune è un altro gigante verde che può raggiungere i 40 metri mentre l’Ontano nero è il piccolino del gruppo con un’altezza media di 10 metri ma che nonostante le dimensioni ridotte riesce a bloccare fino a 2600 chili di CO2 e a garantire un forte assorbimento di inquinanti gassosi. A fare la lista degli alberi amici della salute è uno studio del CNR sulle piante più efficaci contro l’inquinamento atmosferico, presentato da Coldiretti durante il Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione a Cernobbio.
Inquinamento e polveri sottili
Le polveri sottili (o particolato atmosferico) sono particelle sospese nell’aria. PM è la sigla di Particulate Matter, 10 è la grandezza del diametro che può variare fino a 10 micron (1 micron=1 milionesimo del metro). Il PM10, passando per il naso, è in grado di raggiungere la gola e la trachea (primo tratto dell’apparato respiratorio). Le particelle più piccole (con diametro inferiore a 2,5 micron) possono invece arrivare nei polmoni e quelle piccolissime, dette particolato ultrafine (PUF) possono penetrare fino agli alveoli polmonari. La composizione e la dimensione del PM10 può variare da città a città in base alle industrie, ai combustibili utilizzati e al clima. Se presenti sostanze chimiche, come i metalli (piombo, nichel, cadmio, arsenico, vanadio, cromo), possono aderire alla superficie delle polveri sottili. Quando il PM10 contiene alte concentrazioni di metalli, sono frequenti infiammazioni acute delle vie respiratorie, crisi di asma, e alterazioni del funzionamento del sistema cardiocircolatorio. Il PM10 è uno dei principali componenti dei gas di scarico degli autoveicoli, degli impianti industriali e delle emissioni portuali ed è causa di molti disturbi collegati all’apparato respiratorio. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato l’inquinamento dell’aria (di cui il particolato atmosferico è un indicatore) nel Gruppo 1, vale a dire tra le sostanze cancerogene per l’uomo. Effetti più gravi respiratori (bronchiti, asma che possono anche richiedere il ricovero ospedaliero) sono stati osservati dopo un’esposizione (pur se limitata ad uno o due giorni) a livelli alti di PM10 e PM2,5 (particelle con diametro inferiore a 2,5 micron). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’esposizione prolungata nel tempo anche a bassi livelli di PM10 e PM2,5 è associata all’aumento di disturbi respiratori come tosse e catarro, asma, diminuzione della capacità polmonare, riduzione della funzionalità respiratoria e bronchite cronica insieme ad effetti sul sistema cardiovascolare. L’esposizione al pulviscolo più piccolo (PM2,5) è stata associata ad un aumento della mortalità per malattie respiratorie e ad un maggior rischio di tumore delle vie respiratorie. I tumori sono stati collegati anche alla presenza di sostanze cancerogene attaccate alla superficie delle particelle (come gli idrocarburi policiclici aromatici-IPA nel caso della fuliggine) che, attraverso il PM2,5 possono arrivare fino alla parte più profonda dei polmoni, dove sono assorbite dall’organismo. I bambini fino a 12 anni, avendo una frequenza di respirazione doppia, introducono nei polmoni volumi d’aria maggiori rispetto agli adulti e possono essere a maggior rischio per alcuni effetti respiratori come gli attacchi di asma bronchiale. per l’OMS non è possibile definire un valore limite del PM10 al di sotto del quale non si verificano effetti sulla salute: per questo motivo la concentrazione nell’aria dovrebbe essere mantenuta al livello più basso possibile.
L’inalazione di PM10 avviene principalmente attraverso:
Piante e bonus verde
La Commissione europea il 17 maggio 2018 ha deferito l’Italia (insieme a Francia, Germania, Ungheria, Romania e Regno Unito) alla Corte di giustizia dell’Ue per mancato rispetto dei valori limite stabiliti per la qualità dell’aria e per aver omesso di prendere misure appropriate per ridurre al minimo i periodi di superamento. All’Italia è contestato il superamento per più di 35 giorni in un anno dei valori limite giornalieri delle polveri sottili (PM10) con 50 microgrammi per metro cubo in 28 aree nel territorio nazionale in Lombardia, Piemonte, Veneto e Lazio, dove i valori limite giornalieri sono stati superati. Sulle misure di defiscalizzazione degli interventi su giardini e terrazzi, anche condominiali, come il bonus verde del 36%, il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo ha detto: “é importante la riconferma del bonus verde anche per il prossimo anno nella legge di bilancio in discussione per favorire la diffusione di “polmoni verdi” nelle città”. Inoltre, ha aggiunto: “si tratta di un segnale importante per un settore da primato del Made in Italy come il florovivaismo che solo in Italia vale complessivamente oltre 2,5 miliardi di euro e conta 100mila addetti su 27mila aziende, diffuse su tutto il territorio nazionale”.
Salute, ecco perché portare il medico in classe
PrevenzioneSi fa un gran parlare di prevenzione, ma troppo spesso non si riesce ad andare oltre le raccomandazioni e le dichiarazioni di intenti. Da un lato le istituzioni, che non sempre riescono a mettere in piedi programmi di prevenzione omogenei su tutto il territorio nazionale; dall’altro i cittadini, che non essendo mai stati formati sul valore del “prendersi cura della propria salute” non hanno realmente interiorizzato questa esigenza. In un contesto così frammentato, la prevenzione diventa più che altro un complicato puzzle di analisi e controlli realizzati in maniera casuale ed estemporanea. Ecco perché sta facendo molto discutere e sta suscitando grande interesse una proposta lanciata dal network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute, indirizzata alla ministra Giulia Grillo e al ministro per l’Istruzione Marco Bussetti. In cosa consiste l’idea? Introdurre la figura del medico in classe, coinvolgendo gli specializzandi in medicina e chirurgia, per insegnare ai ragazzi a prendersi cura di loro stessi ed educarli per l’appunto alla prevenzione, indirizzandoli in maniera concreta verso stili di vita e comportamenti sani.
Costo zero
Aspetto interessante di questa proposta è nella sua sostenibilità economica, perché non comporterebbe oneri aggiuntivi per le casse dello stato e non finirebbe per gravare sugli insegnanti. I medici specializzandi delle università italiane potrebbero dedicare una piccola parte del percorso formativo alla promozione della salute nelle scuole. Al di là di quelle che sono le patologie tipiche dell’età giovanile (infezioni respiratorie, infezioni delle vie urinarie e gastroenteriti per i giovanissimi) esistono molte malattie che tenderanno a svilupparsi nel corso della vita proprio a causa di pessimi stili di vita. Malattie sulle quali si può giocare d’anticipo grazie alla cultura della salute.
L’opinione dei medici
Annalisa Passariello, ricercatore alla Federico II di Napoli e specialista in Oncologia pediatrica, vede il progetto con favore. «Partire dalle scuole è una buona idea – dice – perché oggi le criticità sono molte. Nel nostro paese si è fatto e si fa molto in termini di prevenzione, tuttavia non c’è ancora la giusta attenzione verso le malattie croniche e le patologie neurodegenerative, che coinvolgono moltissime persone. Agire sin dall’infanzia per trasmettere messaggi corretti potrebbe fare la differenza. Penso all’obesità giovanile, che in Campania è un problema già a partire dall’età scolare». La pediatra spiega che grandi resistenze arrivano da parte dei familiari e superata la pubertà, è molto difficile che un ragazzino possa rimettersi in linea con il peso. «Un bambino al quale viene insegnato il valore della prevenzione – aggiunge – può essere un bambino che educa i genitori e la famiglia. Non sarà la panacea di tutti i mali, ma, ma sarebbe un buon inizio».
Il percorso
Passariello è convinta che il medico in classe sia un progetto da sposare, ma solo se strutturato per gli specializzandi come parte specifica di un percorso di formazione. «Dovrebbe coinvolgere – precisa – gli specializzandi che abbiano scelto branche connesse con le problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza». Quanto alle forze in campo, il Miur per il 2018 ha comunicato un aumento dei posti disponibili per le specializzazioni rispetto all’anno scorso: si è passati da 6.676 a 6.934. Di questi sono 6.200 quelli finanziati con risorse statali; 640 sono finanziati da fondi regionali e 94 con risorse di altri enti pubblici o privati.
Educare alla salute
Convinto che «la promozione della dimensione positiva della salute sia sempre di più una necessità irrinunciabile», Anche il professor Italo Angelillo, ordinario di Igiene alla Scuola di Medicina e Chirurgia all’università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, ritiene che «fronteggiare le malattie non basta», si deve lavorare «per recuperare il ruolo della persona nella gestione della propria salute. E’ necessario, quindi, un percorso educativo che, attraverso la conoscenza induca comportamenti coerenti con un modello di vita improntato al benessere». Angelillo, che e anche direttore del dipartimento di Medicina Sperimentale alla Vanvitelli sposa l’idea di un intervento precoce, già dai primi anni di vita. Unico «strumento idoneo a sviluppare nelle nuove generazioni l’attenzione verso i fattori dai quali dipende il benessere individuale e della collettività». Dunque, la scuola come «luogo ideale in cui poter maturare convinzioni, opinioni, conoscenze, atteggiamenti e abitudini e per instaurare un dialogo sulla salute e sui corretti stili di vita». La presenza del medico in classe, attraverso il continuo rapporto coni ragazzi, avrebbe proprio l’obiettivo di facilitare la diffusione dei messaggi di prevenzione.
Stili di vita
«E’ dimostrato – prosegue Angelillo – che un numero limitato di comportamenti contribuisce in larga misura a determinare alcune tra le maggiori cause di morte, come le malattie cardiocircolatorie, il cancro e gli incidenti. Questi comportamenti, spesso maturati in giovane età, comprendono il consumo di tabacco, di sostanze psicotrope, di alcol, le diete non salutari, un’attività fisica e comportamenti sessuali inadeguati. Il medico in classe può fornire nozioni attraverso un processo formativo e non informativo, coinvolgendo l’alunno con un’interazione attiva. In particolare, per la lotta ai danni dal tabagismo, la migliore strategia è la prevenzione. Le morti e le malattie fumo-correlate, tuttavia, sono prevedibili e prevenibili e si conosce, infatti, quali danni provoca l’uso di tabacco e come fare per evitarne le conseguenze». Angelillo sottolinea quanto sia importante anche l’attività fisica nella prevenzione di molte malattie cronico-degenerative: malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, obesità, diabete mellito, osteoporosi e alcune forme di cancro. Un altro esempio è l’educazione alimentare, che deve mirare a promuovere stili di vita corretti al fine della prevenzione dell’obesità infantile e, di conseguenza, delle patologie cronico-degenerative. Infine, conclude Angelillo, «la promozione della salute sessuale e l’adozione quindi di comportamenti sicuri, per prevenire la trasmissione delle infezioni, sviluppando approcci per promuovere lo scambio di buone pratiche ed informazioni per affrontare importanti aspetti della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. L’educazione alla salute con il medico in classe deve aiutare a produrre un efficace cambiamento dei comportamenti di salute, potenziando le azioni virtuose, ma anche attuando un percorso in cui si mantenga stabile il cambiamento salutare nel proprio stile di vita».
Cibi stranieri importati: 20% irregolare. L’analisi
News PresaIl 20 per cento dei cibi stranieri che arrivano in Italia non rispetta le garanzie vigenti a livello nazionale in materia di lavoro, ambiente e salute. È quanto è emerso durante il Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio da un’analisi presentata da Coldiretti. Tra i prodotti messi sotto accusa si trova il riso asiatico, le nocciole turche, lo zucchero della Columbia, la carne del Brasile, ma anche l’orto-frutta sudamericana, quella africana, fino ai fiori dell’Equador. Le accuse vanno dallo sfruttamento dei lavoratori, ai pericoli per la salute e per l’ambiente, fino all’utilizzo di sostanze chimiche dannose. Secondo un sondaggio Coldiretti/Ixè, il 43% degli italiani vorrebbe bloccare le importazioni dai Paesi stranieri che non rispettano le regole.
Sfruttamento del lavoro
Sono 108 milioni i bambini che lavorano nelle campagne censiti dalla Fao, secondo la quale quasi la metà di tutto il lavoro minorile del mondo avviene in Africa, seguita da vicino dall’Asia, ma rilevante è anche in Sudamerica, aree dalle quali – sottolinea la Coldiretti – l’Italia importa ingenti quantità di prodotti agricoli ed alimentari. Dal riso del Vietnam agli agrumi della Turchia, dallo zucchero di canna della Columbia ai fiori dell’Equador fino al cacao della Costa d’Avorio: sulle tavole degli italiani i prodotti stranieri arrivano da tutto il mondo. Alcuni dei prodotti sono stati messi sotto accusa anche dal Ministero del Lavoro degli Stati Uniti nel recente rapporto sul lavoro minorile del 2018. E non mancano – continua la Coldiretti – i casi di lavoro forzato come l’allevamento in Brasile o la cattura del pesce in Thailandia che inonda gli scaffali delle pescherie e i tavoli dei ristoranti lungo tutta la Penisola senza indicazione in etichetta.
Pesticidi fuori norma
Ma un pericolo per l’ambiente e per la salute viene anche all’utilizzo improprio di prodotti chimici che mettono a rischio lavoratori e consumatori e che in alcuni casi sono vietati da decenni in Europa ed in Italia. È il caso dei pesticidi utilizzati per le banane coltivate in Equador e per l’ananas del Costarica che rappresentano rispettivamente circa la metà e il 90% del consumo dello specifico frutto consumato in Italia. Anche i prodotti in arrivo dal continente asiatico non hanno dato rassicurazioni: come il pesce ed i molluschi dal Vietnam contaminati da metalli pesanti o i pistacchi dall’Iran con un contenuto in aflatossine cancerogene spesso sopra il limiti, lo stesso problema delle nocciole e dei fichi secchi provenienti dalla Turchia secondo il Rapporto del RASSF, il sistema di allerta rapido dell’Unione Europea. E nel continente africano a rischio sono tra l’altro le fragole dell’Egitto che sono indicate dall’Autorità Europea della Sicurezza Alimentare (EFSA) tra i cibi più contaminati per residui chimici.
L’analisi di Coldiretti
“Tutto ciò – denuncia Coldiretti – accade spesso grazie alla regia e alle norme sancite dagli accordi bilaterali o multilaterali di libero scambio. E’ il caso del dazio zero concesso grazie all’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada (CETA) ai legumi secchi come le lenticchie che nel Paese nordamericano vengono trattati in preraccolta con l’erbicida glifosato secondo modalità vietate in Italia, ma anche del negoziato in corso con i Paesi del Mercosur che prevede l’arrivo di grandi quantitativi di carne bovina dai paesi sudamericani, paesi che non rispettano gli standard produttivi e di tracciabilità oggi vigenti in Italia e nel Vecchio Continente come dimostra il più grande scandalo mondiale sulla carne avariata che meno di un anno fa ha coinvolto proprio i principali produttori brasiliani. Senza considerare le condizioni favorevoli che sono state concesse al Marocco per pomodoro da mensa, arance, clementine, fragole, cetrioli, zucchine, aglio, carciofi, olio di oliva, all’Egitto per fragole, uva da tavola e finocchi, oltre all’olio di oliva dalla Tunisia dove non valgono certamente gli stessi standard produttivi, sociali ed ambientali vigenti in Italia. L’Unione Europea arriva addirittura ad agevolare l’ingresso in Europa del riso espropriato alla minoranza musulmana dei Rohingya accusata dalle Nazioni Unite di crimini contro l’umanità. Nonostante l’accusa di genocidio, la Birmania gode tuttora – denuncia la Coldiretti – da parte dell’Unione Europea del sistema tariffario agevolato a dazio zero per i Paesi che operano in regime EBA (tutto tranne le armi). Il risultato – continua la Coldiretti – è che la Birmania si colloca tra i principali fornitori asiatici di riso dell’Italia insieme a India, Pakistan, Tailandia e Cambogia. L’Unione europea – chiede la Coldiretti – deve invece ora avanzare spedita nella procedura per la rimozione del regime EBA a Cambogia e Birmania”.
“Non è accettabile che l’Unione Europea continui a favorire con le importazioni la violazione dei diritti umani nell’indifferenza generale”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che oggi il commercio è “libero” ma è ben lontano dall’essere “equo”, gravato fin dal momento della raccolta per arrivare a quello della trasformazione da processi di dumping sociale, economico e ambientale. Sul piano politico – chiede Moncalvo – l’Unione Europea deve acquisire un nuovo protagonismo per promuovere regole sul commercio globale che non tengano conto solo del fattore economico ma anche del rispetto dei diritti sul lavoro della tutela dell’ambiente e della salute, anche con l’annunciata riforma del Wto. Serve quindi ripensare dalle radici non solo le regole, ma in primo luogo i principi fondativi del libero commercio perché è necessario – conclude Moncalvo – che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una giusta distribuzione del valore per chi produce e per chi consuma”.