Tempo di lettura: 4 minutiSicurezza per il cuore delle donne, sia in ambito terapeutico che professionale. Questi i macro temi affrontati nel convegno tutto al femminile organizzato dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere (Onda) e Daiichi Sankyo Italia. L’evento, dal titolo:“Sicurezza e Malattie Cardiovascolari nella Donna”, si è tenuto ieri a Milano. Un’iniziativa condotta dalla classe medica femminile per la classe medica femminile, con l’obiettivo di esplorare il tema della sicurezza per le donne, sia in ambito terapeutico, con interventi sulla cardiologia di genere e sull’alimentazione funzionale come strumento di prevenzione, sia in ambito professionale e lavorativo, con il workshop finale sulla gestione dell’aggressione verbale e non verbale nella pratica clinica, completato da una dimostrazione pratica di tecniche di difesa personale.
Negli ultimi anni si va sempre più diffondendo il concetto di medicina di genere, considerato che numerosi aspetti della terapia farmacologica, dalla posologia agli effetti collaterali, risentono di una tipicità di sesso. In area cardiovascolare, per esempio, per molte decadi la ricerca si è focalizzata prevalentemente sui maschi adulti, a discapito del sesso femminile, poiché soprattutto nella fase di sviluppo di un farmaco bisogna tener conto della vita riproduttiva e delle comorbilità che rendono la donna un soggetto più problematico nella sperimentazione. Oltre a quelle biologiche, però, vi sono differenze di genere di tipo culturale, sociale e di “ruolo”, che vedono la donna essere più facilmente caregiver e meno attenta alla propria salute cardiovascolare, rispetto alle aree ginecologica, tumorale, artrosica e infiammatoria.
“La sotto-rappresentazione del genere femminile negli studi clinici limita le possibilità di orientare correttamente le scelte decisionali atte a garantire pari opportunità ed equa distribuzione delle cure cardiovascolari, influendo su diagnosi, efficacia, appropriatezza e dunque sicurezza delle terapie. Dal momento che la conoscenza delle specificità di sesso e di genere è diventata fondamentale anche in questo ambito, Onda, continua a dare il suo contributo al consolidamento di un approccio genere specifico, attraverso l’organizzazione di campagne di sensibilizzazione rivolte alla popolazione e di attività d formazione e aggiornamento per la classe medica come quella di oggi. – Ha spiegato Francesca Merzagora, Presidente di Onda – Questa è anche l’occasione per formare la classe medica femminile sulle modalità di gestione delle aggressioni verbali e fisiche, perché il tema della sicurezza nella salute della donna va declinato a tutto tondo, e questo aspetto purtroppo è diventato di grande attualità, visto l’impressionante incremento di episodi spiacevoli e pericolosi in cui i sanitari si trovano ad essere coinvolti durante i loro turni di lavoro”.
Patologie cardiovascolari nella donna: i fattori di rischio
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte tra le donne, con un numero assoluto di morti superiore rispetto al sesso maschile. Tuttavia il tasso di mortalità cardiovascolare “prematura” (prima dei 75 anni di età) è di gran lunga superiore negli uomini, dunque la mortalità cardiovascolare è maggiore nelle donne ma più tardiva. È stato ipotizzato, ma non dimostrato, che questo vantaggio biologico delle donne rispetto agli uomini sia almeno in parte dovuto a un effetto protettivo degli estrogeni sul sistema cardiocircolatorio, eppure le terapie ormonali in post-menopausa non hanno finora dimostrato efficacia nel ridurre la progressione né dell’aterosclerosi né degli eventi vascolari.
Il vantaggio relativo di salute nelle donne è però attenuato da un tasso di mortalità dovuta ad attacchi coronarici che supera quello maschile (32% vs. 27%). Vi sono differenze nelle varie patologie cardiovascolari, ad esempio le manifestazioni della cardiopatia coronarica differiscono tra i sessi, è più probabile che l’infarto miocardico non sia riconosciuto nelle donne rispetto agli uomini (34% vs. 27%), e più frequentemente nelle donne l’angina pectoris non è complicata (80%), mentre negli uomini l’angina tende a evolvere verso l’infarto (66%), e la morte improvvisa è più frequente negli uomini rispetto alle donne (50 % vs 39%).
Le differenze di genere rivestono però grande importanza anche nell’ambito dei fattori di rischio per malattie cardiovascolari. Si sta consolidando sempre più la distinzione tra fattori di rischio tradizionali (fattori di rischio «di Framingham»), che riguardano in misura simile entrambi i sessi, e fattori specifici per il genere femminile, alcuni semplicemente «slatentizzati» dalla gravidanza, altri che sono conseguenza o appaiono in associazione a malattie predominanti nelle donne. L’associazione tra fumo e malattie cardiovascolari sembra essere più forte nelle donne, in modo particolare quando è associato all’impiego di anticoncezionali estroprogestinici, alla familiarità per infarto precoce e all’anamnesi di emicrania. Tra i fattori di rischio peculiari per il genere femminile, invece, troviamo la radioterapia e la chemioterapia per neoplasia della mammella, infatti le radiazioni ionizzanti aumentano il rischio di infarto miocardico acuto e la chemio è cardiotossica. Inoltre la depressione nelle donne è associata ad outcome peggiori dopo cardiopatia acuta.
Differenze di genere evidenti ci sono anche nell’espressione clinica delle aritmie. La fibrillazione atriale è il maggior fattore di rischio modificabile di ictus, di malattia cardiovascolare e di mortalità nel genere femminile. Sono noti i fattori di rischio specifici di stroke per il sesso femminile, strettamente legati agli effetti degli ormoni sessuali e all’assunzione degli estrogeni esogeni: gravidanza, anticoncezionali, menopausa, post-menopausa, ma le donne presentano inoltre anche un rischio di sanguinamento particolarmente elevato e l’utilizzo dei nuovi farmaci anticoagulanti orali, che rispetto agli antagonisti della vitamina K sono associati a una ridotta incidenza di emorragie intracraniche, si è dimostrato particolarmente sicuro e di beneficio nel sesso femminile. Comprendere le differenze di genere nell’anticoagulazione dei pazienti con fibrillazione atriale è importante per stabilire le misure preventive da adottare a lungo termine e guidare la scelta del trattamento anticoagulante più efficace e sicuro.
Gestire l’aggressività negli ambienti sanitari
Ma la sicurezza per la salute delle donne non è solo prevenzione e gestione in ambito terapeutico, ma anche una necessità in campo professionale, e i recentissimi fatti di cronaca sulle aggressioni in ambulatori e guardie mediche lo dimostrano. Una recente indagine di Federsanità –ANCI e Fnomceo, rivela che gli atti di violenza verbale o fisica si concentrano soprattutto nelle aree di emergenza, i servizi psichiatrici, i Ser.T, la continuità assistenziale, i servizi di geriatria, e contestualmente le figure sanitarie più colpite sono medici, infermieri e operatori socio-sanitari. Diventa necessario preparare la classe medica, e in particolar modo quella femminile, alla gestione dell’aggressività verbale e non verbale a cui si assiste sempre più spesso nella pratica clinica, una violenza che si manifesta con varie sfaccettature e si scatena per vari motivi, che possono essere di ordine psicologico, familiare, sanitario o addirittura sociale.
Omega 3 riducono il rischio di un parto prematuro
AlimentazioneUn’adeguata dose quotidiana di grassi Omega 3 durante la gravidanza può ridurre il rischio di nascite premature. A rivelarlo è uno studio guidato dall’Istituto di Ricerca Medica e sulla Salute di Adelaide che ha incrociato i dati di ben 70 sperimentazioni. Un’indagine enorme che ha coinvolto quasi 30mila donne nel mondo. Il risultato? Gli Omega-3 possono ridurre dell’11% il rischio di nascite prima di 37 settimane e del 42% di nascite prima di 34 settimane. Dunque gli Omega-3 sono un intervento semplice e di basso costo per prevenire parti prematuri, che hanno implicazioni serie sulla salute del nato.
Adeguato supporto
Quali siano le “dosi” consigliate lo dicono direttamente gli autori della ricerca: le donne incinte di un solo bimbo dovrebbero assumere una dose quotidiana di supplementi Omega-3 già nella fase di 12 settimane di gravidanza. Il supplemento dovrebbe contenere tra 500 e 100 milligrammi di Omega-3, con almeno 500 milligrammi dell’Omega-3 chiamato DHA. Gli Omega 3 sono acidi grassi polinsaturi presenti in diversi alimenti, soprattutto nel pesce, nell’olio di pesce, nei crostacei, nelle noci, nelle mandorle, in vari tipi di semi e di oli vegetali. Gli Omega 3 non fanno bene solo alle donne in gravidanza: sono considerati un utile presidio contro le malattie cardiovascolari, in grado di ridurre il rischio di infarti e ictus, e di abbassare i livelli di colesterolo e di trigliceridi.
Proteine
Non meno interessante è un altro studio dedicato alle coppie che desiderano avere figli: a guidare e aiutare gli spermatozoi a “trovare la strada” per raggiungere l’ovocita da fecondare è una proteina che si trova nella loro membrana cellulare. A svelare il mistero sono stati i ricercatori dell’università di Tokyo, guidati da Manabu Yoshida, studiando le ascidie, animali marini con il corpo a forma di sacco, che si muovono in modo simile alle larve. Le cellule degli spermatozoi, i batteri e altri microrganismi indirizzano i loro movimenti a seconda della presenza di alcune sostanze chimiche presenti nel loro ambiente. Gli ovociti rilasciano una sostanza chimica che attrae gli spermatozoi. «Abbiamo visto che la proteina Pmca per il trasporto di calcio ha un ruolo chiave nel movimento degli spermatozoi – spiega Yoshida – Si trova in gran quantità sulla coda delle membrane degli spermatozoi di questi animali, e si lega a delle sostanze specifiche attraenti, che modificano il modo in cui si muovono, dirigendo il movimento dello spermatozoo». Ora che si sa «che questa proteina ha un ruolo importante nelle funzioni cellulari – conclude – può essere usata come un bersaglio per lo sviluppo di nuovi farmaci».
Demenze, evitabili 3 casi su 10 con prevenzione
PrevenzioneLa prevenzione dei fattori di rischio eviterebbe il 30% dei casi di demenza. La stima, effettuata per la prima volta attraverso calcoli epidemiologici, riguarda il numero dei casi evitabili di demenza di Alzheimer e di demenza vascolare che rappresentano circa il 70% del totale delle demenze. Lo studio è stato illustrato nel corso del XII Convegno Il Contributo dei Centri per i disturbi cognitivi e le Demenze nella gestione integrata dei pazienti in programma all’Istituto Superiore di Sanità. Presentata la mappa online di tutti i servizi territoriali (dai Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD), ai Centri Diurni alle Strutture Residenziali) dedicati alle demenze aggiornata al 15 novembre 2018 e consultabile sul nuovo sito dell’Osservatorio Demenze.
“In un contesto globale in cui le demenze sono in aumento con oltre 35 milioni di casi in tutto il mondo, destinati a raddoppiare entro il 2030, e circa un milione di casi nel nostro Paese – dichiara Walter Ricciardi, Presidente dell’ISS – risulta prioritario agire a livello di prevenzione e promozione della salute. Già il Global Action Plan sulla demenza dell’Organizzazione della Sanità (OMS) per gli anni 2017-2025 identifica sette aree di azioni tra le quali la prevenzione, la diagnosi, la ricerca e la gestione integrata. A livello dei singoli Paesi, poi, il Piano Nazionale delle Demenze (PND), rappresenta lo strumento di politica socio-sanitaria più efficace per governare in modo complessivo questo preoccupante fenomeno. In Italia il PND è stato approvato in Conferenza Unificata nell’ottobre del 2014 e la sua implementazione vede anche la partecipazione dell’ISS alla Joint Action europea “Act on Dementia” (2015-2018) mediante il coordinamento in due attività quali la diagnosi tempestiva e la gestione integrata della demenza: “best practice” che dovranno poi essere implementate nella pratica clinica corrente”.
“I principali fattori di rischio per l’insorgenza della demenza – spiega Nicola Vanacore, ricercatore del Centro Nazionale Prevenzione e Promozione della Salute dell’ISS e responsabile scientifico dell’Osservatorio Demenza – sono l’età (nei Paesi industrializzati la prevalenza è circa del 8% negli ultra 65enni e sale a oltre il 20% dopo gli ottanta anni) e il genere (le donne sono un gruppo a maggior rischio per l’insorgenza della demenza di Alzheimer, la forma più frequente di tutte le demenze). Esistono poi altri sette fattori di rischio legati allo stile di vita e pertanto potenzialmente modificabili quali diabete, ipertensione, obesità, inattività fisica, depressione, fumo di sigaretta e basso livello di istruzione”.
In Italia, utilizzando i dati del sistema di sorveglianza PASSI, è stato possibile stimare la prevalenza di ciascuno dei sette fattori anche a livello della singola regione. “E’ stato possibile calcolare per la prima volta – va avanti l’esperto – il numero dei casi evitabili di demenza di Alzheimer e di demenza vascolare, agendo, con adeguate politiche di promozione della salute, sulla riduzione dei sette fattori di rischio a livello di ogni singola regione. I dati analitici sono stati pubblicati dall’ISS nel 2018 su una rivista scientifica del settore (Dement Geriatr Cogn Dis Extra febbraio 2018)”.
Sempre nel 2018 sono state approfondite le stime epidemiologiche della demenza in Europa: la prevalenza per i soggetti con una età maggiore di 65 anni è risultata pari al 7.1% con un incremento dell’11% rispetto alle stime precedenti (J Alzheimers Dis. novembre 2018). Per la prima volta sono stati inclusi anche studi che considerano la presenza dei pazienti nelle strutture residenziali: un fenomeno spesso dimenticato nelle stime epidemiologiche della demenza.
“Sta emergendo inoltre il problema della qualità della diagnosi nei CDCD. In uno studio condotto in Italia intervistando 501 referenti di queste strutture è stato possibile calcolare che nell’Italia del Sud e Isole viene effettuata una valutazione neuropsicologica completa con una frequenza inferiore al 44% rispetto alle strutture del Nord Italia (BMJ Open. Marzo 2018). Questo ha rilevanti conseguenze in termini di appropriatezza diagnostica e rappresenta un’area prioritaria di sanità pubblica sulla quale urgentemente intervenire”.
Immidem
Lo scorso 12 novembre è partito ImmiDem – Dementia in Immigrants and ethnic minorities: clinical-epidemiological aspects and public health perspectives – , il primo progetto dedicato alla prevalenza della demenza nella popolazione di immigrati e nelle minoranze etniche coordinato dall’ISS e finanziato dal Ministero della Salute nell’ambito della Ricerca Finalizzata 2016. Nell’ottica dell’evidente incremento dei flussi migratori dai paesi in via di sviluppo verso i paesi occidentali che comporta anche un cambiamento nell’offerta sanitaria pubblica, le nazioni occidentali si trovano sempre più spesso a dovere affrontare anche casi di insorgenza di varie tipologie di demenza nei soggetti immigrati o appartenenti a minoranze etniche. Obiettivo del progetto è quindi anche valutare in tal senso l’accesso e la presa in carico da parte dei servizi dedicati e favorire percorsi di cura adeguati.
I numeri
Il Rapporto dell’OMS riporta stime di crescita allarmanti della demenza: 35,6 milioni di casi nel 2010 che raddoppieranno nel 2030 e triplicheranno nel 2050 con 7,7 milioni di nuovi casi all’anno (uno ogni quattro secondi) e il cui impatto economico sui sistemi sanitari sarà di circa 604 miliardi di dollari l’anno, con incremento progressivo.
In Italia, il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre un milione (di cui circa 600 mila con demenza di Alzheimer) e circa tre milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari.
Memoria, camminare all’indietro aiuta
Ricerca innovazioneNon lo si può prendere come un suggerimento per potenziare la memoria, ma la notizia è comunque interessante per le prospettive che si aprono: camminare all’indietro come i gamberi aiuta ad “andare indietro” nel tempo, rivelandosi un ottimo esercizio per potenziare la capacità di ricordare. Andiamo con ordine. Lo suggerisce uno studio inglese pubblicato sulla rivista Cognitive e condotto da Aleksandar Aksentijevic della University of Roehampton.
Lo studio
Partendo da un’idea di relazione tra il movimento nello spazio e il movimento nel tempo, gli scienziati hanno coinvolto 114 volontari in una serie di esperimenti. Innanzitutto i partecipanti guardavano un video con la scena di un crimine, oppure una lista di parole o una serie di immagini. Poi i volontari dovevano camminare in avanti o indietro o stare semplicemente fermi o anche solo immaginare di muoversi in avanti o all’indietro e subito dopo queste azioni di moto i ricercatori chiedevano loro di ricordare dettagli del crimine, di ripetere le parole della lista o i soggetti delle foto che ricordavano
Un viaggio a ritroso
Ebbene è emerso che la camminata da gamberi immediatamente prima di sottoporsi ai test mnemonici si associa a performance di memoria superiori. È come se il moto all’indietro “avviasse” nella mente un viaggio nel tempo passato. «In conclusione – scrivono gli autori – riportiamo per la prima volta un chiaro effetto sulla memoria del viaggiare nel tempo con la mente stimolato dal movimento fisico. I nostri risultati suggeriscono che la memoria non può essere vista in isolamento dal restante sistema cognitivo, o dall’interezza dell’esperienza umana. Piuttosto che essere un dominio stagno il cui compito è conservare informazioni e renderle accessibili, la memoria rappresenta una componente di un sistema che mette insieme percezioni, pensieri e azioni. Quindi la memoria è dinamicamente e intrinsecamente legata all’esperienza del momento presente».
BlockChain: Iss introduce nuova tecnologia in sanità
News PresaI dati della Piattaforma Italiana per lo studio delle Terapie delle Epatiti Virali (PITER) dell’ISS saranno il primo Registro Italiano a essere realizzato con tecnologia BlockChain. Tutti gli epatologi e infettivologi del territorio disporranno così della più grande casistica di ricerca clinica sul tema con i dati di più di 10 mila pazienti e 100 centri clinici raccolti nella piattaforma. La novità è stata presentata all’ISS in occasione del convegno “BlockChain in Sanità: sicurezza, trasparenza e democrazia dei dati”, promosso da Stefano Vella, Direttore del Centro per la Salute Globale dell’ISS, Antonio Gaudioso, Segretario Generale di Cittadinanzattiva, e da Massimiliano Barawitzka, Advisor di McCANN HEALTH.
La tecnologia BlockChain
Si tratta di un registro decentralizzato, di cui ogni centro detiene una copia, e ogni volta che un dato viene modificato, la modifica viene riportata su tutte le copie della rete ‟con un doppio obiettivo – spiega Stefano Vella – avere sempre una copia aggiornata di tutti i dati in ciascuna sede e identificare immediatamente eventuali attacchi ad uno dei database che, pur essendo riconosciuto come “differente” dalle altre copie, può essere congelato senza impedire che gli altri centri lavorino in sicurezza. Sarà più semplice sia l’interrogazione che l’aggiornamento da parte di ciascun centro”.
Prima volta in Italia
“Mettere sotto BlockChain la piattaforma dell’ISS sulle epatiti virali (PITER) – dichiara Walter Ricciardi, Presidente dell’ISS – rappresenta un passaggio pionieristico, il primo esempio italiano di “democratizzazione” di un database sanitario di cui i centri specialistici afferenti al progetto condivideranno e utilizzeranno i contenuti, secondo una metodologia che garantisce ai centri la massima trasparenza, ovvero una sorta di proprietà condivisa in cui ogni modifica apportata viene vista in tempo reale da tutti, e assicura al tempo stesso ai cittadini privacy e incorruttibilità dei dati dall’esterno”. La richiesta di trasparenza nella gestione dei dati sensibili è crescente e supportata anche dalle nuove regole europee in tema di privacy. “La nostra idea – afferma Antonio Gaudioso, segretario generale Cittadinanzattiva – non è di ‘vietare’ l’utilizzo delle informazioni personali a scopo di ricerca, ma di avere visibilità e trasparenza su chi le utilizza e a che scopo, dietro un esplicito consenso informato, fornendo possibilmente anche un ritorno a chi mette a disposizione in modo consapevole le proprie informazioni sulla salute rinforzando così un’alleanza tra ricercatori e cittadini che fa bene a tutto il sistema”.
I dati sensibili
Secondo una ricerca svolta in tutti i Paesi del mondo da McCANN sul tema della privacy, le persone considerano i dati sulla salute un valore da custodire con estrema cura, secondi solo ai dati sui propri risparmi. “Siamo in una congiuntura favorevole, in cui il sistema sanitario chiede aiuto all’innovazione per essere sempre più efficiente e i cittadini desiderano essere sempre più sicuri, meglio informati e più partecipi nella gestione delle informazioni che riguardano le proprie malattie – dichiara Massimiliano Barawitzka, esperto di innovazione nel mondo della salute – La BlockChain non è una panacea che risolve da sola tutte le sfide della interoperabilità dei dati, ma è sicuramente un percorso da intraprendere da subito con una serie di ‘cantieri’ che costruiscano soluzioni misurabili in tempi brevi. Basti pensare a tutti quei sistemi che aiutano i pazienti ad essere più aderenti alle terapie, alla ricerca clinica, alle terapie cosiddette ‘avanzate’ e alla medicina personalizzata. Anche la ricerca può beneficiare di questa tecnologia”.
In America
Ha partecipato all’evento di presentazione anche uno dei “guru” di questa tecnologia applicata al mondo della salute: John Halamka, Professore alla Harvard University di Innovation in Medicine, il quale osserva un numero sempre crescente di progetti d’impresa e startup che quasi quotidianamente nascono negli Stati Uniti. “Sono numerosi i progetti ambiziosi che promettono soluzioni al problema dello scambio dei dati dei pazienti ogni giorno – dice Halamka – ma in realtà bisogna saper distinguere tra ciò che è fattibile sin da oggi e ciò che resta una soluzione solo in teoria e personalmente tendo a non considerare tutte quelle iniziative che non hanno un vero prodotto alla base, non portano un business plan credibile e che non analizzano bene il vantaggio intrinseco nell’affiancare questa tecnologia a quanto di buono già c’è nella sanità digitale”.
La sfida italiana
Il sistema sanitario italiano, molto frammentato e regionalizzato, può apparire una sfida troppo grande per essere affrontata, ma spiega Halamka: “se è vero che l’Italia ha un sistema regionalizzato, gli Stati Uniti hanno un sistema che deve far conto con 52 Stati con regole differenti in ciascuno Stato. Eppure, funziona.”. “L’Istituto da sempre – conclude Ricciardi – si fregia di essere un punto di riferimento per la ricerca italiana e comprende bene quanto la digitalizzazione delle informazioni e una loro accurata gestione possano fare la differenza in una sanità che dovrà sempre più dimostrare di fornire risultati di outcome clinico misurabili e facilmente consultabili da chi, come noi, ha un ruolo di vigilanza per la salute pubblica dei cittadini. Da quanto emerso oggi in questa prima edizione di BlockChain in Sanità, capisco che questa tecnologia può essere strumento essenziale di questa trasformazione”.
Lattosio e miti da sfatare: latte serve a tutte le età
News PresaUna sana alimentazione, unita a uno stile di vita attivo, aiuta a mantenersi in forma e a prevenire molte malattie metaboliche croniche. Non tutti però sanno cosa significhi seguire uno stile di vita sano e le informazioni che circolano, soprattutto sulla rete, a volte sono poco attendibili o addirittura sbagliate. Secondo le ricerche, molti italiani ritengono credibili le notizie di salute che apprendono da radio, televisione, giornali e anche dalla rete (rapporto di Eurobarometro: EBU Media intelligence Service «Trust in media 2017»). Per aiutare a selezionare le informazioni affidabili da quelle che non lo sono non facendosi trarre in inganno da notizie sensazionalistiche ed errate (le cosiddette fake news), il CREA ha fatto un po’ di chiarezza partendo dal latte e lattosio. L’ente pubblico da più di 80 anni si occupa di ricerca nel campo degli alimenti e della nutrizione e prepara documenti di indirizzo per la popolazione italiana e per i professionisti del settore.
Latte e derivati, gli effetti sulla salute umana
Alcuni ‘esperti’ sconsigliano il consumo di latte vaccino e dei suoi derivati a tutta la popolazione, per presunti danni alla salute. In realtà, il latte e i suoi derivati, se consumati secondo le raccomandazioni delle agenzie nazionali, contribuiscono a fornire macro- e micro- nutrienti essenziali durante tutto l’arco di vita. Il loro consumo è fondamentale durante l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza, periodo durante il quale aumentano la massa e la densità ossea. Nel caso di intolleranza al lattosio gli esperti consigliano comunque il consumo di yogurt e prodotti caseari a ridotto contenuto di lattosio.
Un’altra accusa è che il consumo di latte e derivati provochi una perdita di calcio dalle ossa in seguito ad acidificazione del sangue, contribuendo così all’osteoporosi. In realtà, non c’è una relazione di causa-effetto tra carico acido della dieta e salute dell’osso. Il bilancio del calcio corporeo non ne è influenzato perché, a fronte di un’aumentata escrezione urinaria, vi è un aumento dell’assorbimento intestinale di questo minerale. Il calcio contenuto nel latte e i suoi derivati è altamente biodisponibile e questi alimenti contengono inoltre magnesio e fosforo, tutti cruciali per il metabolismo osseo. Si pensa spesso anche che il latte e i suoi derivati siano troppo ricchi di grassi e quindi contribuiscano all’aumento di peso e di colesterolo ematico. Tuttavia il contenuto di grassi nel latte è relativamente basso (circa 3,6 g/100 g nel latte vaccino intero) e contiene alcuni grassi che hanno un ruolo positivo per l’organismo. Inoltre, il contributo del consumo di latte all’apporto totale di colesterolo alimentare è molto limitato. Nei bambini e negli adolescenti il consumo di latte e yogurt è inversamente correlato all’aumento di peso corporeo. Tra le fake news che circolano in rete, c’è chi ritiene che il latte sia un fattore di rischio per i tumori. Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, è stato osservato un effetto protettivo del consumo di latte e derivati per il tumore del colon-retto, mentre esistono solo limitate evidenze per l’associazione tra un consumo molto alto di latte e derivati (> 400 g/die) e l’aumento del rischio di sviluppare il tumore della prostata. Altra accusa mossa nei confronti del latte è che aumenti il rischio di insorgenza di patologie cardio-metaboliche (malattie cardio-vascolari e diabete di tipo 2). Al contrario, esistono dati che suggeriscono un effetto protettivo del consumo di latte e prodotti caseari, soprattutto prodotti scremati e fermentati, nei confronti dello sviluppo di sovrappeso, obesità, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari. Per quanto riguarda farmaci e pesticidi, i Regolamenti Europei impongono limiti, validi in tutta l’UE, alla presenza di residui negli alimenti, tra cui anche il latte e i suoi derivati. Dati recenti sui prodotti lattiero-caseari commercializzati in Italia hanno rilevato una forte aderenza a questi regolamenti. In conclusione, la letteratura scientifica più recente indica che un consumo appropriato di latte e derivati ha effetti positivi in tutte le fasce di età, con l’eccezione di alcune specifiche condizioni patologiche, quali l’intolleranza accertata al lattosio e l’allergia alle proteine del latte.
Visite gratuite per la salute di unghie e capelli
PrevenzioneDopo il successo della scorsa edizione, torna il secondo ciclo degli “Open day di Dermatologia” al Policlinico Federico II, una delle numerose iniziative di prevenzione che rientrano in “Atelier della Salute”, la manifestazione che da un biennio Scuola di Medicina e Chirurgia e Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II promuovono per favorire l’adozione di sani stili di vita e che si estende ben oltre l’ormai tradizionale due giorni di settembre, con appuntamenti ed incontri a favore della salute dei cittadini campani durante tutto l’anno. Undici le giornate dedicate alla prevenzione, diagnosi e cura delle patologie dermatologiche, in programma il sabato mattina, promosse dalla Scuola di Specializzazione in Dermatologia e Venereologia dell’Università Federico II di Napoli, diretta da Gabriella Fabbrocini e dall’UOC di Dermatologia Clinica del Policlinico Federico II, diretta da Mario Delfino.
Nessuna prenotazione
Il primo appuntamento è sabato 17 novembre, dalle ore 9.30 alle 12.30, ed è dedicato alle problematiche di unghie e capelli. 100 (cento) le visite gratuite che saranno rese disponibili dal team di dermatologi federiciani, che si svolgeranno negli ambulatori al secondo piano dell’edificio 10 (Via Sergio Pansini, 5). Non è necessaria la prenotazione. Nei successivi incontri, in calendario dal prossimo mese di gennaio, saranno effettuate visite gratuite per l’acne idrosadenite (12/01), per le malattie dermatovenerologiche del viaggiatore, dei migranti e delle popolazioni mobili (26/01), per la psoriasi (9/02), per le infezioni a trasmissione sessuale (23/02), per le dermatiti atopiche e le dermatiti da contatto (9/03), per le malattie dermatologiche dell’infanzia (23/03). Ma ci sarà spazio anche per la preparazione al sole (6/04), per la dermatologia generale (18/05 e 25/05) e per i nevi ed i melanomi (8/06). Per conoscere tutti gli aggiornamenti sul calendario degli open-day del 2019 clicca QUI.
Edizione da record
Da record i numeri della seconda edizione di Atelier della Salute: circa 4.000 i partecipanti e 1.100 le visite mediche gratuite effettuate tra venerdì 21 e sabato 22 settembre al Policlinico federiciano. Le maggiori richieste? Quelle nell’ambito delle aree specialistiche di dermatologia, flebologia e prevenzione dell’ictus ischemico, nutrizione, endocrinologia, gastroenterologia, pneumologia. Tra gli esami strumentali più gettonati, la spirometria. Circa il 15% dei casi richiederà un approfondimento diagnostico. Per il solo stand esperienziale organizzato dal Corso di laurea in infermieristica ed infermieristica pediatrica sono stati effettuati: 300 controlli glicemici, 280 pressioni arteriose, 200 esami della saturazione, 20 simulazioni di manovra di disostruzione delle vie aeree per gli adulti e 4 per l’area pediatrica. Moltissime anche le attività proposte: 40 workshop interattivi, 50 stand esperienziali, 15 attività nell’area benessere, 7 show-cooking, circa 30 diverse tipologie di prestazioni specialistiche gratuite effettuate in 10 tende della Protezione civile dai professionisti dell’Azienda in collaborazione con Campus salute Onlus e Fondazione Pro Onlus
Malattie Cardiovascolari nella donna. L’iniziativa di Onda
PrevenzioneSicurezza per il cuore delle donne, sia in ambito terapeutico che professionale. Questi i macro temi affrontati nel convegno tutto al femminile organizzato dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere (Onda) e Daiichi Sankyo Italia. L’evento, dal titolo:“Sicurezza e Malattie Cardiovascolari nella Donna”, si è tenuto ieri a Milano. Un’iniziativa condotta dalla classe medica femminile per la classe medica femminile, con l’obiettivo di esplorare il tema della sicurezza per le donne, sia in ambito terapeutico, con interventi sulla cardiologia di genere e sull’alimentazione funzionale come strumento di prevenzione, sia in ambito professionale e lavorativo, con il workshop finale sulla gestione dell’aggressione verbale e non verbale nella pratica clinica, completato da una dimostrazione pratica di tecniche di difesa personale.
Negli ultimi anni si va sempre più diffondendo il concetto di medicina di genere, considerato che numerosi aspetti della terapia farmacologica, dalla posologia agli effetti collaterali, risentono di una tipicità di sesso. In area cardiovascolare, per esempio, per molte decadi la ricerca si è focalizzata prevalentemente sui maschi adulti, a discapito del sesso femminile, poiché soprattutto nella fase di sviluppo di un farmaco bisogna tener conto della vita riproduttiva e delle comorbilità che rendono la donna un soggetto più problematico nella sperimentazione. Oltre a quelle biologiche, però, vi sono differenze di genere di tipo culturale, sociale e di “ruolo”, che vedono la donna essere più facilmente caregiver e meno attenta alla propria salute cardiovascolare, rispetto alle aree ginecologica, tumorale, artrosica e infiammatoria.
“La sotto-rappresentazione del genere femminile negli studi clinici limita le possibilità di orientare correttamente le scelte decisionali atte a garantire pari opportunità ed equa distribuzione delle cure cardiovascolari, influendo su diagnosi, efficacia, appropriatezza e dunque sicurezza delle terapie. Dal momento che la conoscenza delle specificità di sesso e di genere è diventata fondamentale anche in questo ambito, Onda, continua a dare il suo contributo al consolidamento di un approccio genere specifico, attraverso l’organizzazione di campagne di sensibilizzazione rivolte alla popolazione e di attività d formazione e aggiornamento per la classe medica come quella di oggi. – Ha spiegato Francesca Merzagora, Presidente di Onda – Questa è anche l’occasione per formare la classe medica femminile sulle modalità di gestione delle aggressioni verbali e fisiche, perché il tema della sicurezza nella salute della donna va declinato a tutto tondo, e questo aspetto purtroppo è diventato di grande attualità, visto l’impressionante incremento di episodi spiacevoli e pericolosi in cui i sanitari si trovano ad essere coinvolti durante i loro turni di lavoro”.
Patologie cardiovascolari nella donna: i fattori di rischio
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte tra le donne, con un numero assoluto di morti superiore rispetto al sesso maschile. Tuttavia il tasso di mortalità cardiovascolare “prematura” (prima dei 75 anni di età) è di gran lunga superiore negli uomini, dunque la mortalità cardiovascolare è maggiore nelle donne ma più tardiva. È stato ipotizzato, ma non dimostrato, che questo vantaggio biologico delle donne rispetto agli uomini sia almeno in parte dovuto a un effetto protettivo degli estrogeni sul sistema cardiocircolatorio, eppure le terapie ormonali in post-menopausa non hanno finora dimostrato efficacia nel ridurre la progressione né dell’aterosclerosi né degli eventi vascolari.
Il vantaggio relativo di salute nelle donne è però attenuato da un tasso di mortalità dovuta ad attacchi coronarici che supera quello maschile (32% vs. 27%). Vi sono differenze nelle varie patologie cardiovascolari, ad esempio le manifestazioni della cardiopatia coronarica differiscono tra i sessi, è più probabile che l’infarto miocardico non sia riconosciuto nelle donne rispetto agli uomini (34% vs. 27%), e più frequentemente nelle donne l’angina pectoris non è complicata (80%), mentre negli uomini l’angina tende a evolvere verso l’infarto (66%), e la morte improvvisa è più frequente negli uomini rispetto alle donne (50 % vs 39%).
Le differenze di genere rivestono però grande importanza anche nell’ambito dei fattori di rischio per malattie cardiovascolari. Si sta consolidando sempre più la distinzione tra fattori di rischio tradizionali (fattori di rischio «di Framingham»), che riguardano in misura simile entrambi i sessi, e fattori specifici per il genere femminile, alcuni semplicemente «slatentizzati» dalla gravidanza, altri che sono conseguenza o appaiono in associazione a malattie predominanti nelle donne. L’associazione tra fumo e malattie cardiovascolari sembra essere più forte nelle donne, in modo particolare quando è associato all’impiego di anticoncezionali estroprogestinici, alla familiarità per infarto precoce e all’anamnesi di emicrania. Tra i fattori di rischio peculiari per il genere femminile, invece, troviamo la radioterapia e la chemioterapia per neoplasia della mammella, infatti le radiazioni ionizzanti aumentano il rischio di infarto miocardico acuto e la chemio è cardiotossica. Inoltre la depressione nelle donne è associata ad outcome peggiori dopo cardiopatia acuta.
Differenze di genere evidenti ci sono anche nell’espressione clinica delle aritmie. La fibrillazione atriale è il maggior fattore di rischio modificabile di ictus, di malattia cardiovascolare e di mortalità nel genere femminile. Sono noti i fattori di rischio specifici di stroke per il sesso femminile, strettamente legati agli effetti degli ormoni sessuali e all’assunzione degli estrogeni esogeni: gravidanza, anticoncezionali, menopausa, post-menopausa, ma le donne presentano inoltre anche un rischio di sanguinamento particolarmente elevato e l’utilizzo dei nuovi farmaci anticoagulanti orali, che rispetto agli antagonisti della vitamina K sono associati a una ridotta incidenza di emorragie intracraniche, si è dimostrato particolarmente sicuro e di beneficio nel sesso femminile. Comprendere le differenze di genere nell’anticoagulazione dei pazienti con fibrillazione atriale è importante per stabilire le misure preventive da adottare a lungo termine e guidare la scelta del trattamento anticoagulante più efficace e sicuro.
Gestire l’aggressività negli ambienti sanitari
Ma la sicurezza per la salute delle donne non è solo prevenzione e gestione in ambito terapeutico, ma anche una necessità in campo professionale, e i recentissimi fatti di cronaca sulle aggressioni in ambulatori e guardie mediche lo dimostrano. Una recente indagine di Federsanità –ANCI e Fnomceo, rivela che gli atti di violenza verbale o fisica si concentrano soprattutto nelle aree di emergenza, i servizi psichiatrici, i Ser.T, la continuità assistenziale, i servizi di geriatria, e contestualmente le figure sanitarie più colpite sono medici, infermieri e operatori socio-sanitari. Diventa necessario preparare la classe medica, e in particolar modo quella femminile, alla gestione dell’aggressività verbale e non verbale a cui si assiste sempre più spesso nella pratica clinica, una violenza che si manifesta con varie sfaccettature e si scatena per vari motivi, che possono essere di ordine psicologico, familiare, sanitario o addirittura sociale.
Intelligenza artificiale al servizio della salute
Ricerca innovazioneSempre più di moda per i software dei cellulari, l’intelligenza artificiale sta diventando uno strumento salvavita in campo medico. Un domani, non troppo lontano, software basati su algoritmi complessi ci aiuteranno nella prevenzione delle malattie e in molte delle nostre scelte di salute. In questo senso è molto interessante uno studio del Centro Diagnostico Italiano che ha permesso di elaborare un nuovo modello per capire quali pazienti affetti da neurinoma del nervo acustico, una neoplasia benigna, possono trarre beneficio dal trattamento con la radiochirurgia. Ancora, un sistema per predire la malignità e il grado di aggressività del tumore della prostata, prima che ne venga eseguita la biopsia e nuovi parametri e strumenti per prevedere la durata delle protesi ortopediche e l’insorgere di infiammazioni che potrebbero renderne necessaria la sostituzione.
Radiomica
Di questo e di molto altro si discuterà un occasione dell’incontro su «Radiomica: il futuro è qui» in programma a Napoli il 19 novembre presso la Città della Scienza. Un evento al quale parteciperanno alcuni dei maggiori esperti nazionali e internazionali della radiomica, la disciplina che unisce in diagnostica l’impiego dell’intelligenza artificiale e lo studio delle caratteristiche genetiche della persona. «Oggi la radiologia vive un paradosso- spiega il professor Giuseppe Scotti, neuroradiologo del Centro Diagnostico Italiano e coordinatore scientifico del convegno – gli strumenti diagnostici producono immagini digitali che sono analizzate in modo analogico, cioè dall’occhio dello specialista. In questo modo si perdono molte informazioni, dettagli invisibili all’occhio umano perché troppo piccoli o perché ricorrono nei diversi pazienti in maniera troppo discontinua per essere notati».
Medicina personalizzata
Grazie alla radiomica oggi queste informazioni possono essere individuate ed essere utilizzate come strumenti predittivi in molte patologie, e attraverso la medicina personalizzata, trattate con terapie ad hoc, su misura, secondo le caratteristiche genetiche individuali di ogni paziente. «Questa innovazione richiede però un profondo cambiamento della formazione universitaria – continua Scotti – con un maggiore peso per le materie matematiche e statistiche, e la disponibilità a confrontarsi con altre professionalità, come informatici, ingegneri, fisici, matematici».
Neo- mamma a 62 anni. Per epidurale usata tecnica sperimentale
News PresaFiocco rosa all’ospedale San Giovanni di Roma, niente di nuovo se non fosse che la neo-mamma ha ben 62 anni. Non è la prima volta che una donna ultrasessantenne dà alla luce un figlio: era già successo sia in Italia che all’estero. L’ultima arrivata è una bambina di tre chili e duecento grammi. Entrambe, madre e figlia, stanno bene: la piccola è nata con parto cesareo programmato e per l’epidurale è stata utilizzata la tecnica in via di sperimentazione dell’eco-navigazione, ossia una sonda ecografica che indica all’ago la via per eseguire l’epidurale. La mamma è un’infermiera ed ha avuto l’impianto dell’intero embrione a Tirana, in Albania. La scelta è ricaduta su questo tipo di donazione anche perché non ha un partner. L’ultima volta che una donna di oltre sessant’anni partoriva in Italia era due anni fa, alla clinica Pineta Grande di Castel Volturno. In quell’occasione era nato un maschietto di tre chili e mezzo. La mamma, dopo quattro aborti spontanei, aveva voluto tentare a tutti i costi un’altra gravidanza.
Il responsabile di anestesia ostetrica del San Giovanni di Roma Marco Traversa ha detto: “nell’area metropolitana in media le donne partoriscono per la prima volta intorno ai 40 anni e anche oltre, e arrivano a fare il secondo figlio anche tra i 46 e i 50 anni”. Proprio questa tendenza sta alla base della percentuale particolarmente alta per la procreazione medicalmente assistita: “nel Lazio la percentuale è del 20%, mentre per esempio in Toscana è al 7% e in Friuli al 3%“, dice ancora Traversa. Crescere un figlio richiede un grande impegno e spesso è difficile conciliare le esigenze di un bambino con i ritmi quotidiani, soprattutto in età lavorativa e nelle grandi città. Allora si finisce per partorire sempre più tardi. I dati Istat raccontano di un Paese sempre più anziano e con tassi di natalità sempre più bassi.
B-Side, spettacolo teatrale che porta in scena l’emofilia
Associazioni pazientiTeatro, si alza il sipario e via: lo spettacolo ha inizio. Emilio e Ennio sono fratelli. Gemelli eterozigoti. Hanno 18 anni… Stanno per fare la maturità. Sono nella loro camera che dividono da quando sono piccoli. Ennio sta armeggiando con la sua collezione di dischi in vinile. È appassionato del pop rock, di mostri sacri come Freddy Mercury o Eddie Vedder, ormai quasi estinti nelle cuffie dei suoi coetanei. In più colleziona e ascolta prevalentemente i B-Side dei loro dischi, spesso cantando a squarciagola. A scuola lo considerano uno strano… Anche Emilio, suo fratello, è un adolescente di quelli rari. Ha l’emofilia, che già di per sé è una malattia rara e ben poco conosciuta. Ma Emilio ha la forma più rara di emofilia, la B. Si stanno preparando per andare al 18esimo più importante dell’anno, una di quelle feste che mette il confine tra chi è “popolare” e chi non lo è. Questo è solo un assaggio di B-Side, lo spettacolo teatrale presentato al Teatro Franco Parenti di Milano che vuole raccontare come si vive con l’emofilia a ragazzi nel cuore dell’adolescenza.
Parlare ai giovani
Uno spettacolo nuovo, dal sapore fresco come lo è l’adolescenza, e allo stesso tempo provocatorio, che con il linguaggio dei giovani vuole parlare a un pubblico allargato per sensibilizzare sul valore della diversità, qualunque essa sia. Prodotto da Banda Sciapó, un’associazione culturale di Milano, con il patrocinio di Fondazione Paracelso e il supporto non condizionato di Sobi, B-Side debutterà ufficialmente il 14 dicembre a Firenze proprio di fronte alle classi delle scuole medie superiori. Sarà portato in scena quindi il tema della diversità, della sua accettazione e del valore che può donare. Come nei vecchi 45 giri l’altra faccia del disco, il B-Side appunto, poteva nascondere incredibili e sorprendenti scoperte, così anche chi si ferma all’apparenza di persone etichettate come ‘diverse’, come Ennio che ascolta a 18 anni musica rock o Emilio malato raro di emofilia del tipo B ancora più rara, potrebbe perdersi il mondo che nascondono e la loro reale ricchezza. Se tutti gli ascoltatori alla fine degli anni 70 si fossero fermati al “singolo” del lato A di Gloria Gaynor oggi forse non sapremmo niente di lei e neppure balleremmo ancora I will survive. Stesso discorso per Roadhouse Blues dei Doors con cui si apre lo spettacolo.
Pregiudizio e ignoranza
«Ancora oggi, chi ha l’emofilia e fa ‘outing’ sente di essere considerato ‘diverso’; percepisce in alcune persone che lo circondano una sorta di allontanamento dovuto a pregiudizio o ignoranza» dice Andrea Buzzi, presidente di Fondazione Paracelso. «In una fase delicata della crescita come l’adolescenza, questa emarginazione sociale può portare a serie ripercussioni di tipo emotivo e psicologico. B-Side è nato proprio dalla volontà di far conoscere la patologia a un pubblico giovane eliminando pregiudizi e portandolo a riflettere su valori quali la diversità, l’accettazione e l’inclusione sociale attraverso un linguaggio e uno stile tipici di quell’età». Lo spettacolo racconta proprio due tipi di diversità, anzi di rarità: da una parte Ennio con la passione per una musica lontana nel tempo come quella che ha dominato gli anni ’70 mentre i suoi coetanei ascoltano artisti emergenti come Ghali o Calcutta; dall’altra Emilio con l’emofilia B cinque volte più rara di quella A, già rara di per sé. B-Side non è però solo un racconto che parla di emofilia. È il punto di partenza per affrontare temi chiave per l’adolescenza, di come sia difficile attraversarla soprattutto per chi esce dai canoni di ‘normalità’. Dietro ogni diversità c’è ricchezza, in alcuni casi di un valore inestimabile proprio come in alcuni B-Side di successo; basta saper ascoltare un disco per intero e non fermarsi al primo lato.