Tempo di lettura: 4 minutiL’Italia spende l’8,9% del suo Pil per la sanità. Una percentuale sotto la media europea che è pari al 9,6%. Al primo posto della classifica c’è la Svizzera che spende l’12,3% del pil. La Francia, invece, spende l’11,5% e la Germania l’11,3%. I numeri emergono da Health at a Glance, il rapporto dell’Ocse dedicato alla sanità in Europa, che analizza, oltre ai costi della sanità, anche lo stato di salute dei cittadini dell’Unione Europea, quindi passando al setaccio dati i clinici e raccogliendo anche la percezione delle persone.
La spesa della sanità
La spesa del nostro Paese è inferiore, in proporzione al Pil, anche rispetto al Portogallo (che rappresenta il 9%). Scendendo in fondo alla graduatoria si trova la Romania con il 5,2%, mentre al penultimo posto c’è il Lussemburgo con il 6,1%. L’Italia è all’undicesimo posto tra i 28 Paesi Ue, la spesa è salita dall’8,4% del 2005 fino al 9% del 2011-15, per poi scendere di 0,1 punti percentuali dal 2016. In Francia e Germania, invece, la spesa è aumentata dal 10,2% del Pil del 2005 in entrambi i Paesi. La spesa pro capite per la sanità in Italia – in base ai dati Ocse – era nel 2017 di 2.551 euro a parità di potere d’acquisto, contro una media Ue di 2.773 euro, dietro anche a Malta che spende 2.568 euro.
Al top della Ue, per spesa c’è il Lussemburgo con 4.713 euro pro capite, davanti alla Germania (4.160 euro) e alla Svezia (4.019), mentre la Francia è all’ottavo posto della graduatoria con 3.572 euro. Fanalino di coda è nuovamente la Romania (983 euro).
Tra il 2013 e il 2017, la spesa per la sanità in Italia è aumentata dello 0,6%, dopo essere diminuita dello 0,9% dal 2009 al 2013. In questa fascia di tempo, la contrazione della spesa maggiore è stata a carico della Grecia con -8,7%, solo marginalmente recuperata negli anni successivi (+0,7%). La Germania ha invece sempre aumentato la spesa (+1,6% fino al 2013 e +2,2% al 2017). In Italia la maggior parte della spesa va alla cura dei pazienti ricoverati (32% del totale, media Ue 30%), seguita dalla spesa per i pazienti esterni (31%, Ue 30%), per i medicinali (21%, Ue 20%), la lungodegenza (10%, Ue 13%) e i servizi collettivi (6%, Ue 7%). L’Ocse calcola in 1.149 euro la spesa ospedaliera pro capite in Italia, un po’ sopra la media Ue (1.059 euro). Al primo posto nell’Unione c’è la Danimarca con 1.653 euro, mentre la Svizzera resta al top assoluto con 2.030 euro. La spesa per farmaci in Italia è pari a 447 euro pro capite, una delle maggiori della Ue (settimo posto) a fronte di una media di 417 euro. Al primo posto, in questo caso, la Germania con 572 euro.
Il 74% della spesa sanitaria, inoltre, in Italia è a carico del servizio nazionale, al quarto posto nella Ue dietro a Danimarca e Svezia (84%) e al Regno Unito (79%) e oltre il doppio rispetto media Ue (36%, dove però in media il 41% della spesa è coperto da assicurazioni mediche obbligatorie). Il 23% della spesa per la sanità viene poi pagato direttamente dagli utenti e il 2% da assicurazioni private.
Salute mentale
L’Ocse calcola poi che il costo totale dei problemi di salute mentale in Italia sia del 3,3% del Pil, pari a oltre 54 miliardi di euro, sotto la media Ue che è del 4,1%. Un terzo dei costi, ovvero 18 miliardi di euro, si riferisce a costi indiretti legati alle minori occupazione e produttività delle persone con problemi mentali. In Italia si stima al 16,9% la popolazione con disturbi mentali (media Ue 17,3%) e in buona parte sono disturbi ansiosi (6%) o depressivi (4%). I Paesi con la maggiore proporzione di disturbi mentali sono la Finlandia, l’Olanda, la Francia e l’Irlanda (tra il 18% e il 18,5%), mentre quelli con la quota minore sono la Romania (14,3%) e la Bulgaria (14,8%). Tuttavia, precisa l’Ocse, le percentuali sono legate anche alla maggiore o minore consapevolezza di questo tipo di disturbi e alla disponibilità di servizi mentali, oltre alla possibile discriminazione sociale che possono causare e che induce a non riferirli.
Percezione della salute
Nel nostro Paese sette italiani su 10 dicono di sentirsi bene o molto bene, confortati anche dalla lunga aspettativa di vita (la seconda della Ue).
Gli italiani, in generale, si sentono bene: il 71% riferisce di essere in buona salute (media Ue 68%). Si sentono meglio le fasce a reddito più alto (77%) di quelle più disagiate (69%), ma si tratta in ogni caso di percentuali tra le più alte della Ue. Solo il 15% degli abitanti della Penisola riferisce di avere malanni cronici, la quota minima della Ue, ma con una netta differenza tra le fasce più abbienti della popolazione (13%) e quelle più povere (24%). Il 22% degli italiani dice poi di avere una qualche forma di invalidità (media Ue 24%), con una propensione maggiore tra i meno abbienti (22%) rispetto ai più benestanti (18%).
Gli adolescenti italiani
Preoccupano i dati che riguardano gli adolescenti sul consumo di alcol e fumo e sul tasso di obesità infantile. L’Italia purtroppo conta la maggiore percentuale dell’intera Ue di 15-16enni che fumano (37%), con una delle maggiori percentuali di adolescenti con ‘episodi di eccessivo consumo di alcol’, cioè che si ubriacano (34% nel 2015, quarto posto Ue) e con la seconda maggiore quota di teen-ager che fanno uso di cannabis (15% dietro al 17% francese). Poi c’è il dato sull’obesità infantile: è sovrappeso il 18% dei bambini italiani di 7-8 anni, la seconda percentuale più alta della Ue, dietro a Cipro (20%) e allo stesso livello della Spagna.
Tuttavia, l’Italia continua a brillare per l’aspettativa di vita, che è la seconda più elevata, con 83,4 anni, dietro alla Spagna (83,5), quasi 2 anni e mezzo più della media Ue.
Tornano le Stelle di Natale contro le leucemie
Associazioni pazientiA dicembre è tempo di solidarietà e come ogni anno tornano le Stelle di Natale dell’Ail, Associazione italiana contro le leucemie, i linfomi e il mieloma. Si festeggia quest’anno un compleanno importante, visto che il progetto delle Stelle di Natale è alla sua trentesima edizione. Da venerdì 7 a domenica 9 dicembre migliaia di volontari offriranno in 4.800 piazze italiane una piantina natalizia a chi verserà un contributo minimo associativo di 12 euro.
Numero solidale
Quest’anno in occasione della campagna, chi vorrà sostenere l’Associazione avrà una modalità in più per donare, dal primo al 16 dicembre sarà infatti attivo il numero solidale 45585, con il quale si può inviare un sms solidale, oppure fare una chiamata da telefono fisso. Grazie ai fondi raccolti col numero solidale quest’anno l’Associazione finanzierà Ail Accoglie, un progetto per sostenere i pazienti costretti a lasciare la propria città di durante le terapie. I fondi serviranno per supportare Le Case Alloggio, strutture situate nei pressi dei principali Centri di ematologia che accolgono gratuitamente malati e familiari durante il periodo di cura; per finanziare i viaggi solidali, spostamenti in treno, macchina o aereo offerti dall’Ail per raggiungere Centri altamente specializzati.
50 anni di solidarietà
Grazie ai fondi raccolti con le Stelle di Natale e con il numero solidale, l’Ail continuerà a svolgere le attività che la caratterizzano da 50 anni: collaborare al servizio di Assistenza domiciliare, che consente ad adulti e bambini di essere seguiti da personale specializzato nella propria abitazione riducendo i tempi di degenza ospedaliera; sostenere la ricerca scientifica; supportare le Case alloggio Ail (attualmente sono 35 le città italiane che offrono questo servizio a 4.300 tra pazienti e familiari); sostenere il funzionamento dei Centri di Ematologia e di Trapianto di Cellule staminali e sostenere i laboratori per la diagnosi e la ricerca.
Emofilia in a day, da Napoli il primo social movie sulla patologia
Associazioni pazientiVi ricordate i progetti cinematografici di registi come Gabriele Salvatores, con il suo “Italy in a Day”? O prima ancora di Ridley Scott, che nel 2010 ha realizzato il primo social movie “Life in a Day. A Napoli (martedì 5 dicembre) è stato presentato il progetto “Emofilia in a day”, un viaggio durato oltre 6 mesi iniziato nella Giornata Mondiale dell’emofilia 2018, che ha permesso di raccogliere contributi video provenienti da ogni parte d’Italia. Il primo video-racconto sulla patologia fatto da chi la conosce molto da vicino. Il progetto presentato oggi a Napoli, con il patrocinio della città, è stato promosso da nove associazioni pazienti con il contributo non condizionato di Sobi.
La patologia
Bisogna però fare un passo in dietro e spiegare cos’è e chi colpisce l’emofilia. Si tratta di una malattia rara di origine genetica – si eredita attraverso il cromosoma X (x-linked) – caratterizzata dalla carenza di uno specifico fattore della coagulazione. L’emofilia A è dovuta alla carenza di Fattore Ottavo (VIII) e ha una prevalenza di 1 caso ogni 10.000 nati maschi, mentre nell’emofilia B si ha una carenza di Fattore Nono (IX), con una prevalenza di 1 caso ogni 30.000 nati maschi. In genere le persone affette da emofilia oltre alle problematiche tipiche dello stato emorragico, presentano anche altre complicanze correlate alla malattia, tra cui le principali sono gli emartri, sanguinamenti che avvengo all’interno delle articolazioni (gomito, polso, caviglia, ginocchio, ecc.) e che se non immediatamente e adeguatamente trattati possono portare ad artropatia cronica e disabilità. Attualmente il trattamento dell’emofilia avviene attraverso la somministrazione del farmaco (emoderivato o ricombinante) contenente il fattore coagulativo carente. I due principali regimi terapeutici per l’emofilia sono: la terapia “on demand” (al bisogno, cioè al momento del sanguinamento) e la profilassi, che invece prevede la somministrazione costante del fattore carente per prevenire le emorragie gravi e proteggere i pazienti. La Federazione Mondiale dell’Emofilia raccomanda la profilassi come terapia ottimale in quanto può impedire l’emorragia e la distruzione delle articolazioni.
Casa Surace
Per regalare un pizzico di ironia al progetto, ma anche per fargli avere un bel po’ di visibilità, il collettivo di Casa Surace ha girato un video che sul web è diventato subito un cult.
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=DEtVLykKNRE[/youtube]
«Non conoscevamo molto la patologia, ma ci siamo innamorati del progetto e abbiamo capito che potevamo essere utili per farla conoscere a un pubblico più ampio e quindi supportare il lavoro svolto dalle Associazioni», spiega Daniele Pugliese, attore e autore di Casa Surace. «Ovviamente non abbiamo voluto rinunciare al nostro stile ironico, ma ci siamo documentati per trattare il tema al meglio. Abbiamo giocato sui falsi miti legati alla patologia e sulla tendenza di cercare informazioni sulle malattie facendo uso, molte volte improprio, di Internet. Siamo sicuri che il successo che il nostro video teaser ha avuto sui nostri canali sia dovuto anche al grande interesse che ha suscitato la tematica nella comunità social».
Le associazioni
Nove le associazioni pazienti che hanno dato promosso il progetto, che ha il contributo non condizionato di Sobi, cogliendo la sfida di raccontarsi senza filtri: ACE di Milano Onlus, Associazione degli Amici dell’Emofilia di Palermo, AVES onlus Parma, A.E.L. Associazione Emofilici del Lazio Onlus, AESA Associazione Emofilici Salerno, ARCE della Campania, Associazione emofilici e talassemici Vincenzo Russo Serdoz di Ravenna, FedEmo e ACEP Associazione coagulopatici emofilici piemontesi Massimo Chesta Onlus. «Abbiamo sostenuto questo progetto sin dalla nascita per il suo grande valore sociale – ha detto Chiara Loprieno, Community Engagement & Communication Manager SOBI Italia – e siamo molto felici del risultato raggiunto».
Forum sulla Nutrizione Clinica. 700mila italiani a rischio malnutrizione
Alimentazione“A zona”, “Chetogenica” o “dissociata”: sono solo alcune delle tante diete diffuse. Vengono seguite per i motivi più disparati: dal perdere peso, a sgonfiare l’addome o aumentare la muscolatura. I consigli sparsi soprattutto sul web, però, non sono sempre salutari. Quando a pronunciarsi non sono esperti riconosciuti, è facile trovarsi di fronte a fake news che possono portare a lungo andare anche a una malnutrizione. Tuttavia, se è molto frequente sentire parlare di dieta per persone sane, molto meno si parla di alimentazione e nutrizione come strumenti per mantenere e ritrovare la salute. In altre parole, la nutrizione di chi è malato diventa molto meno seducente, nonostante sia ugualmente importante. “Se consideriamo che praticamente ognuno si ammala nel corso della vita, ecco come la nutrizione clinica diventa estremamente importante e ancora di più se con una patologia si deve convivere” dichiara il Professor Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC – Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo. “Ecco allora che la materia è diventata un’occasione per mettere al tavolo pazienti, esperti, clinici, politici, media, insomma tutti i protagonisti del settore di quella che dovremmo chiamare anche ‘medicina nutrizionale’”. Da qui è nata l’iniziativa voluta dalla Società Italiana di Nutrizione Clinica, NUTRENDO® (in programma il 18 e il 19 dicembre). Inoltre, spiega la SINuC, rendere disponibili i trattamenti nutrizionali per tutti i malati che oggi ne hanno bisogno, avrebbe un impatto economico irrisorio rispetto a quello che costa trattare le conseguenze mediche e sociali della malnutrizione.
Si tratta del primo Forum nazionale sulla Nutrizione Clinica, “il cui format innovativo consentirà di aggregare, in una cornice condivisa, esperienze e punti di vista diversi attraverso incontri, dibattiti e workshop” – spiega Muscaritoli. “Sulla base di quanto prodotto da ciascun gruppo di lavoro – continua – il Forum si concluderà con l’elaborazione de “I fogli di Roma”, un documento di consenso che potrà essere consultato e utilizzato dagli addetti ai lavori e che verrà diffuso in Italia tramite gli organi di stampa, per fornire una corretta informazione sul ruolo e le potenzialità della Nutrizione Clinica”.
I dati della malnutrizione
In Europa, si stimano 33 milioni di adulti a rischio di malnutrizione (700mila solo in Italia) che rappresentano una spesa complessiva in servizi sanitari di oltre 170 miliardi di Euro. In Gran Bretagna sono risultati malnutriti il 90% degli anziani, che vivono a casa propria con un costo sanitario e assistenziale di oltre 15 miliardi l’anno, tre volte tanto rispetto alla spesa sostenuta per il trattamento dell’obesità.
Aumentato il rischio di sepsi, infezioni o insufficienza d’organo per il 60% dei pazienti ricoverati, con conseguenze quali l’aumento significativo di morbilità e mortalità evitabile. Nel paziente con neoplasia, per esempio, la perdita di peso è associata a una minore sopravvivenza, scarsa risposta e/o tolleranza ai trattamenti radioterapici e chemioterapici e a una più lunga ospedalizzazione. Inoltre, il 20-30% dei pazienti, secondo le ricerche, muore per gli effetti della malnutrizione.
I Percorsi Assistenziali di Nutrizione Clinica sono ancora poco implementati in Italia o addirittura assenti all’interno della maggior parte dei PDTA per malattie croniche, anche per quelle a forte impatto nutrizionale. La nutrizione clinica richiede una serie di attività che vanno dalla prevenzione allo screening; dalla diagnosi della malnutrizione alla terapia e al monitoraggio da svolgere in genere trasversalmente a molte specialità mediche e chirurgiche. Per quanto si suggerisca sempre, che tali interventi siano svolti da medici specialisti in scienza dell’alimentazione/nutrizione clinica, resta comunque molto importante comunicare non solo internamente, ma anche esternamente i contenuti e gli standard dell’assistenza in ambito nutrizionale.
“Tra gli obiettivi delle due giornate, smarcare l’idea che la malnutrizione sia un problema limitato ai grandi anziani e ai malati oncologici. Studi, infatti, hanno dimostrato che un paziente oncologico su 5 perde la vita per le conseguenze di un insufficiente o inadeguato apporto di nutrienti. Mentre secondo i dati del Ministero della Salute è malnutrito il 20% dei residenti nelle RSA, il 40% dei soggetti ospedalizzati e il 70% dei ricoverati in reparti di lungodegenza. In una ricerca pubblicata sul Journal of Geriatric Oncology, su 143 pazienti con più di 70 anni, la malnutrizione era associata a un rischio di mortalità 2,6 volte più elevato“ sottolinea Muscaritoli “Studi di farmaco-economia hanno stabilito che riconoscere e trattare in maniera adeguata la malnutrizione riduce i costi sanitari. I conti sono presto fatti: in chirurgia oncologica, anche utilizzando le formule più costose con immunonutrienti, si ottiene un risparmio di 1.250 euro a paziente, grazie alla riduzione delle complicanze e dei tempi di degenza. Ed esiste un’indicazione precisa al trattamento nutrizionale in neurologia nel 65% dei casi e in oncologia in almeno il 20%”.
AIDS: più di 12mila chiamate nel 2017 al Telefono Verde
News PresaSono soprattutto maschi, eterosessuali, con più di 30 anni e residenti al Nord. Questo è il profilo di chi si è rivolto al Telefono Verde AIDS e Infezioni Sessualmente Trasmesse (TV AIDS e IST) dell’ISS nel 2017. Un dato rilevante riguarda il calo di telefonate da parte delle donne, erano oltre il 35% nel 1987 (anno di istituzione del TV AIDS e IST), sono state circa il 13% nel 2017.
Durante il 2017 il TV AIDS e IST ha ricevuto un totale di 12.694 telefonate, delle quali 11.035 (86,9%) provenienti da persone di sesso maschile, 1.657 (13,1%) da persone di sesso femminile e 2 da persone transessuali. La distribuzione per classi di età evidenzia come siano soprattutto le persone di età compresa fra i 20 e i 39 anni (67,1%) a rivolgersi al Servizio e, in particolare, il 28,8% fra i 20 e i 29 anni ed il 38,3% tra i 30 e i 39 anni. L’età mediana degli utenti è di 34 anni.
Per quanto riguarda la distribuzione geografica, dal Nord Italia sono arrivate 5.476 telefonate (43,1%), dal Centro 3.729 (29,4%), dal Sud 2.650 (20,9%), dalle Isole 800 (6,3%).
I dati del Telefono Verde 800.861.061
Oltre i due terzi delle telefonate giunte al TV AIDS e IST sono da attribuirsi a persone che hanno dichiarato di aver avuto rapporti eterosessuali (66,9%). Fra questi sono inclusi anche i clienti di prostitute e di transessuali (24,3%), target non facile da individuare e da raggiungere che sembrerebbe preferire l’interazione telefonica con gli esperti del TV AIDS e IST per ricevere informazioni in merito ai comportamenti a rischio di IST. Per quanto riguarda gli altri gruppi di utenti che più spesso si sono rivolti al Servizio, si riscontrano, nel 22,1% dei casi, persone che, pur non avendo messo in atto comportamenti a rischio temono di essersi esposti al contagio da HIV o da altri agenti eziologici.
Sempre nel corso del 2017, la percentuale di “Nuove Telefonate” è pari al 57,6%. Si tratta di 7.307 persone che hanno scelto di rivolgersi per la prima volta al TV AIDS e IST, spesso a seguito dell’utilizzo di social network, forum e motori di ricerca. Al contrario, fra gli utenti che hanno già contattato il Servizio in precedenza, vi è un notevole numero di persone con problematiche psicologiche che telefonano ripetutamente.
Dai dati del TV AIDS e IST si può ricavare un’ulteriore significativa informazione circa la proporzione di telefonate nelle quali gli utenti dichiarano di aver effettuato, almeno una volta nella vita, il test per la ricerca degli anticorpi anti-HIV. Nel 2017 tale quota è pari al 38,1% e scende al 19,1% tra gli utenti che si sono rivolti al Servizio per la prima volta.
Gli uomini sono risultati più interessati alle modalità di trasmissione degli agenti responsabili delle IST, mentre le donne sono risultate più interessate alle indicazioni sugli esami diagnostici e alle tematiche associate alla disinformazione.
Nel 2017 il TV AIDS e IST ha ricevuto 1.272 telefonate (pari al 10,0% del totale delle telefonate ricevute) da parte di giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, di queste 1.104 (86,8%) pervenute da utenti di sesso maschile e 168 (13,2%) da utenti di sesso femminile.
Il Rapporto completo
Il Telefono Verde AIDS e Infezioni Sessualmente Trasmesse
Il Telefono Verde AIDS e Infezioni Sessualmente Trasmesse (TV AIDS e IST) 800.861.061 è un Servizio Nazionale anonimo e gratuito. Da oltre trentuno anni, svolge attività di counselling per la prevenzione dell’infezione da HIV, dell’AIDS e delle IST, oltre che in italiano anche in inglese, grazie all’impegno di ricercatori-esperti nell’area delle malattie infettive.
La diagnosi precoce cambierà la vita dei nostri figli
News PresaUn passo in avanti nella diagnosi precoce. «La conquista dello screening neonatale esteso riguarda tutti – e sottolineiamo “tutti” – i neonati che nasceranno in Italia. Sappiamo bene che le notizie sulle malattie genetiche rare interessano un numero limitato di pazienti e medici, ma stavolta non è, e non può essere così. Il cambiamento è alla portata dell’intera società». Anche Famiglie Sma, l’associazione di genitori per la ricerca sull’atrofia muscolare spinale, esprime – attraverso le parole della presidente nazionale Daniela Lauro – l’immensa soddisfazione e la gioia per l’approvazione dell’emendamento alla legge 167/2016 da parte della Commissione Bilancio della Camera, dopo mesi e mesi di intenso lavoro istituzionale.
Appello alle mamme e ai papà
«Ci rivolgiamo soprattutto alle future mamme e ai futuri papà – afferma Lauro – nel momento in cui i vostri figli, appena nati, effettueranno gli screening obbligatori, sarà possibile rilevare, prima ancora della comparsa dei sintomi, una diagnosi e l’eventuale presenza dei geni dell’atrofia muscolare spinale. Ed è qui che avverrà la svolta storica: in caso di diagnosi positiva il bambino potrà essere immediatamente trattato per ottenere uno sviluppo normale simile a quello dei coetanei sani. Un progresso scientifico rivoluzionario – continua la Lauro – dovuto alla terapia farmacologica Nusinersen, ufficialmente autorizzata in Italia da un anno. Un trattamento capace di rallentare, o in alcuni casi di arrestare, l’avanzare della patologia, se somministrato sin dalla nascita, come già dimostrato in numerosi casi». La voce di Famiglie Sma si aggiunge a quella dell’Osservatorio Malattie Rare e alle altre 15 onlus che nelle scorse settimane si sono appellate al Parlamento e al Governo, affinché il ministero della Salute estendesse gli screening neonatali non solo alle malattie metaboliche ereditarie, ma anche alle patologie neuromuscolari, alle immunodeficienze congenite severe e alle malattie da accumulo lisosomiale, in cui esiste una terapia in grado di modificare la storia naturale di malattia, proprio come avviene con Nusinersen per la Sma.
Il lavoro di anni
«L’approvazione dell’emendamento conferma che tutti gli sforzi fatti negli ultimi anni non sono stati vani – conclude la presidente di Famiglie Sma – nel 2019 sarà avviato in Lazio e Toscana un progetto pilota di screening neonatale, grazie all’Istituto di Medicina Genomica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con il Policlinico Gemelli di Roma, le due Regioni coinvolte, l’Ospedale Meyer di Firenze, l’azienda farmaceutica Biogen e la nostra associazione». Un’iniziativa nata anche quale esempio di buona prassi nel territorio nazionale: «Per effettuare il test genetico, che individua con certezza il 97-98% dei casi di SMA – afferma il prof. Francesco Danilo Tiziano dell’Università Cattolica – occorre aggiungere solo una minima quantità di sangue del neonato, rispetto a quello già prelevato per gli screening obbligatori. Entro pochi giorni dalla nascita e con costi contenuti riusciremo a ottenere i risultati e, in caso di diagnosi, potremo avviare immediatamente il trattamento farmacologico, aumentando esponenzialmente l’efficacia della cura e contrastando il processo degenerativo». Intervenire precocemente, dunque, per cambiare la vita di decine di bambini. E non solo, «anche per ridurre i giorni di ospedalizzazione dei pazienti – conclude Lauro – il numero degli esami, il rischio di complicanze, le ore di lavoro o di scuola. In altre parole, un beneficio per l’interno sistema sanitario nazionale».
Web: un italiano su 3 cerca notizie su cancro e dieta online
AlimentazioneIl 37% degli utenti del web, che cercano notizie corrette di oncologia, ha chiesto agli esperti informazioni sulla dieta. La nutrizione come mezzo di prevenzione e di “terapia” dei tumori riscuote più interesse delle “cure alternative” (24%) o delle cause e rimedi delle neoplasie (13%). Se gli studi dicono che la dieta svolge un ruolo chiave contro il cancro, tuttavia solo un cittadino su tre sostiene che l’alimentazione rappresenti un fattore di rischio oncologico importante. E nel nostro Paese la dieta sana per eccellenza, quella mediterranea, viene spesso abbandonata a favore di altri modelli alimentari. Meno del 10% degli italiani consuma tutti i giorni le cinque porzioni di frutta e verdura raccomandate dai nutrizionisti. Il 21% dei bambini, con meno di 10 anni, invece è in sovrappeso il 9% è addirittura obeso. A scattare questa fotografia sul complesso rapporto tra informazione, internet e cancro sono la Fondazione AIOM e l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), grazie ai dati raccolti dal portale “anti fake news” www.tumoremaeveroche.it. (Il portale è attivo da sei mesi ed è già stato consultato da oltre 150mila utenti unici). Al comitato scientifico, composto da un gruppo di oncologi che rispondono alle domande dei cittadini, sono arrivati oltre 50mila mail e messaggi.
“Più del 50% degli internauti italiani sostiene di essere confuso a causa delle troppe informazioni di salute che è possibile trovare in Rete – afferma Fabrizio Nicolis, Presidente Fondazione AIOM -. E’ estremamente preoccupante l’attuale disinformazione sul cancro. In Rete si legge di tutto: presunte ‘cure’ miracolose come quella Di Bella, consigli errati di prevenzione o addirittura teorie complottistiche circa l’origine delle principali neoplasie. Vogliamo fornire una guida on line costantemente aggiornata e l’obiettivo dei prossimi mesi sarà quello di triplicare gli accessi attraverso una specifica attività sui principali social media”.
Il portale, realizzato grazie al contributo non condizionato di Ipsen S.p.A, è diviso in sei sezioni web(cancro, cosa si nasconde; cure alternative; alimentazione; cause e rimedi; piante e vitamine; cancro, una malattia moderna). “A inizio anno abbiamo deciso di fare un ‘censimento’ delle principali fake news – aggiunge Massimo Di Maio, membro del comitato scientifico del progetto ‘Tumore, ma è vero che?’ e Direttore dell’Oncologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino -. Dopo tre mesi di ricerca, abbiamo scoperto un quadro allarmante. ‘Solo’ sull’alimentazione abbiamo individuato 400 bufale, a cui vanno aggiunte le 175 sulle cure alternative e più di 160 su le cause del cancro. Ad ogni domanda dei cittadini rispondiamo citando sempre le fonti scientifiche precise che utilizziamo. Inoltre il 16% degli utenti che si rivolgono a noi sono farmacisti o medici di medicina generale. Sono professionisti della salute che vengono sempre più interpellati su questi temi. Il 27% dei frequentatori del sito, infatti, sono pazienti oncologici (o loro caregiver) che sul web sono alla ricerca di informazioni corrette circa le problematiche collegate alla loro particolare condizione”.
Cancro e alimentazione
Gli ultimi studi scientifici mostrano che ben il 30% dei casi di cancro è riconducibile all’alimentazione. Una dieta sana ed equilibrata, ad esempio, può ridurre del 16% il rischio di insorgenza dei tumori allo stomaco, endometrio, esofago, colon-retto, bocca, faringe e laringe. Inoltre “esiste una stretta correlazione tra aumento del grasso corporeo e formazione di un tumore – spiega Paolo Marchetti, Direttore Oncologia Medica B del Policlinico Umberto I di Roma e Ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza -. Nella trasformazione neoplastica delle cellule tumorali intervengono anche le sostanze cosiddette cancerogene, come i conservanti degli alimenti, le ammine e nitrosammine, che si formano per la cattiva conservazione ed eccessiva cottura degli alimenti proteici. Anche per i pazienti oncologici è fondamentale seguire un’alimentazione corretta. E la carne rossa non è un alimento da demonizzare, nemmeno nei pazienti oncologici. Fino a 500 grammi a settimana di carne rossa non processata e cotta in maniera adeguata (non alla brace) e conservata correttamente sono un supporto nutrizionale per tutti, in particolare nelle persone che affrontano il percorso di cura”.
Depressione, un test del sangue per diagnosticarla
PsicologiaDiagnosticare la depressione con un test del sangue. Tra 5 anni potrebbe essere possibile, abbattendo così uno dei problemi più grandi nella cura dei disturbi dell’umore. Grazie a questa innovazione della medicina si potrebbe molto presto arrivare ad avere un identikit della depressione, così da poter personalizzare la diagnosi e quindi i trattamenti, nonché a svelare chi è più a rischio di manifestare la malattia.
Marcatori
Lo sostengono Dario Aspesi e Graziano Pinna della University of Illinois at Chicago, in un lavoro pubblicato su Expert reviews of proteomics. Pinna lo ha appena presentato a Dallas in occasione della XIII conferenza dei ricercatori italiani nel mondo. «Il test – spiega Pinna – che valuterà la presenza o assenza di marcatori legati alla malattia, potrebbe entrare nella pratica clinica nel giro di 5 anni. Si tratta ad esempio di misurare i livelli ematici di molecole come i neurosteroidi che vengono prodotti nel nostro cervello ma sono anche presenti nel sangue e alterati dallo stress. Possono indicare in modo oggettivo in un individuo turbe dell’umore e quindi malattie psichiatriche come la depressione e il disordine da stress post-traumatico (Ptsd).
Il test
I ricercatori stanno mettendo a punto un test del sangue che va alla ricerca di diverse molecole, almeno 20, la cui concentrazione è determinante per capire chi soffre di depressione o chi è incline al disturbo da stress post traumatico. Il test dirà pure chi tra i depressi può giovare di certi farmaci piuttosto che di altri, aiutando a personalizzare le terapie. Attualmente i disturbi psichiatrici sono diagnosticati con questionari al paziente e sulla base dei sintomi. Avere a disposizione disporre un test basato su diversi marcatori che tracci la biofirma di ciascun paziente sarebbe rivoluzionario sia in ambito diagnostico, sia terapeutico. «Potrebbe anche aiutare a individuare sottopopolazioni diverse di pazienti, organizzare trial clinici più mirati e sviluppare farmaci di precisione».
Influenza, i medici: «Stanno finendo i vaccini»
News PresaVaccini antinfluenzali finiti in molti distretti sanitari e cittadini costretti a spendere di tasca proprio. E’ questo l’incredibile allarme che sta colpendo un po’ tutte le regioni d’Italia, che in Campania rischia di vanificare il grande lavoro di sensibilizzazione fatto sino ad ora.
Scorte quasi finite
In particolare è la Fimmg Napoli a denunciare come le scorte, ben prima del previsto, siano quasi del tutto esaurite. «Noi medici di famiglia, anche con il sostegno dell’Ordine di Napoli dell’Asl, abbiamo fatto molto per incentivare alla vaccinazione, e adesso ci ritroviamo nella condizione di dover rimandare i nostri pazienti a casa, chiedendo loro di avere pazienza e di tornare nei prossimi giorni. Ammesso che questi vaccini vengano fuori», spiegano i rappresentanti sindacali Corrado Calamaro e Luigi Sparano.
Adesione sottostimata
Per la Campania,evidentemente, la stima delle scorte necessarie non ha coperto il fabbisogno reale, complice la maggior richiesta arrivata nell’ultimo anno grazie alle campagne di sensibilizzazione messe in campo. L’incongruenza – proseguono i medici di famiglia – è anche nel dover procedere con gare biennali che per ragioni di risparmio, portano ad un ordine in largo anticipo delle dosi necessarie. Ma è evidente che il sistema quest’anno non ha funzionato e il rischio è che un diritto dei cittadini venga calpestato senza ritegno. Per non parlare della credibilità di un sistema che prima invita tutti alla vaccinazione e poi si fa trovare impreparato.
I pediatri
A lanciare un appello sono anche i pediatri di famiglia che, per voce del vice segretario nazionale della Fimp Antonio D’Avino, parlano di un aumento delle virosi para influenzali. «Ci aspettavamo un aumento dei casi – spiega – anche perché di questi tempi è fisiologico. Tuttavia stiamo registrando più complicanze di quel che si sarebbe potuto credere in un primo momento» . A parlare sono i numeri: in media ciascun pediatra di famiglia deve reggere un ritmo di circa 50 visite ambulatoriali al giorno.
A queste si aggiungono circa decine di chiamate per assistenza da parte di genitori comprensibilmente preoccupati. Un lavoro che i pediatri Fimp sostengono con grande responsabilità ma, certo, anche con grande sacrificio. Torna però centrale l’esigenza di discutere seriamente «su modifiche sostanziali nell’organizzazione del sistema delle cure primarie pediatriche. La risposta – dice D’Avino – è il potenziamento del territorio, di cui si parla da tanti anni, attraverso interventi volti a rendere ancora più efficiente l’organizzazione dei pediatri di famiglia; due possibili azioni, che certamente migliorerebbero la risposta ai bisogni di salute dei cittadini, sono il riconoscimento del collaboratore
di studio e dell’infermiere a tutti i pediatri territoriali della regione Campania».
Raffreddore e influenza, dalle farmacie un «Respiro di salute»
News PresaRaffreddore e influenza iniziano a farsi sentire, ma la lotta alle malattie respiratorie quest’anno ha un alleato: «Un respiro di salute». È una campagna promossa da Federasma e allergie Onlus per cercare di educare alla cura con aerosol delle patologie delle alte, medie e basse vie respiratorie (dunque, non solo il raffreddore ma anche faringiti, asma, bronchiti, forme allergiche). Oltre ad alcuni incontri realizzati ad hoc, negli studi medici e nelle farmacie sarà presente il vademecum sull’aerosolterapia, spiegando anche quali accortezze vanno seguite per pulire gli accessori che si hanno in casa. La guida è comunque scaricabile dal sito federasmaeallergie.org.
Tornare a respirare
«I virus respiratori in queste settimane sono la regola e colpiscono indistintamente adulti e bambini. L’uso della nebulizzazione con l’erogazione di molecole di farmaco che si vaporizzano in particelle di dimensioni adeguate, permette di disinfiammare la mucosa e di poter tornare a respirare», dice Gian Luigi Marsegna, presidente eletto della Società italiana di allergologia e immunologia pediatrica. La nebulizzazione può essere una valida metodologia per curare» i sintomi evitando le complicanze: in particolare, in combinazione con la doccia nasale, si igienizza la cavità nasale colpita da ostruzione causata da muco e catarro. Durante l’inverno aumenta il rischio di broncospasmo nei bambini fino a 5 anni e di riacutizzazioni per chi soffre di asma e Bpco, la broncopneumopatia cronica ostruttiva. «La nebulizzazione è un vero e proprio sistema di cura con accessori che vengono utilizzati in funzione della patologia da trattare e soprattutto in base alle caratteristiche del paziente che spesso ha capacità di coordinamento limitate, come i bambini, o compromesse, come gli anziani», commenta Federico Lavorini, docente di malattie dell’apparato respiratorio all’Università di Firenze.
La molecola
Intanto, per quel che riguarda le infiammazioni polmonari, la scienza ha fatto un grande passo avanti. E’ stata infatti scoperta la molecola che agisce contro queste malattie e potrebbe dunque portare presto a nuove terapie nell’uomo. Una ricerca condotta tra Svezia e Stati Uniti ha messo a punto una molecola antinfiammatoria basata su un nuovo meccanismo di azione, che ha come bersaglio una proteina che si ritiene abbia un ruolo sull’insorgenza delle infiammazioni. Pubblicato sulla rivista Science, lo studio è stato condotto dall’istituto Karolinska con la University Medical Branch del Texas, l’Università di Uppsala e quella di Stoccolma.
Nuove terapie
Si è scoperto che l’enzima Ogg1, oltre a riparare il Dna, attiva anche le infiammazioni e che il suo inibitore blocca il rilascio di proteine nfiammatorie, come la Tnf-alfa. Negli studi su topi con una malattia polmonare acuta, i ricercatori sono riusciti a smorzare l’infiammazione. L’intenzione dei ricercatori è di sviluppare l’inibitore Ogg1 per capire se può portare a nuovi trattamenti per le malattie infiammatorie per curare o alleviare malattie come la sepsi, la Bpco (la Bronopneumopatia cronica ostruttiva) e l’asma grave».
Ocse: Italia spende sotto media Ue ma 7 italiani su 10 si sentono bene
Economia sanitariaL’Italia spende l’8,9% del suo Pil per la sanità. Una percentuale sotto la media europea che è pari al 9,6%. Al primo posto della classifica c’è la Svizzera che spende l’12,3% del pil. La Francia, invece, spende l’11,5% e la Germania l’11,3%. I numeri emergono da Health at a Glance, il rapporto dell’Ocse dedicato alla sanità in Europa, che analizza, oltre ai costi della sanità, anche lo stato di salute dei cittadini dell’Unione Europea, quindi passando al setaccio dati i clinici e raccogliendo anche la percezione delle persone.
La spesa della sanità
La spesa del nostro Paese è inferiore, in proporzione al Pil, anche rispetto al Portogallo (che rappresenta il 9%). Scendendo in fondo alla graduatoria si trova la Romania con il 5,2%, mentre al penultimo posto c’è il Lussemburgo con il 6,1%. L’Italia è all’undicesimo posto tra i 28 Paesi Ue, la spesa è salita dall’8,4% del 2005 fino al 9% del 2011-15, per poi scendere di 0,1 punti percentuali dal 2016. In Francia e Germania, invece, la spesa è aumentata dal 10,2% del Pil del 2005 in entrambi i Paesi. La spesa pro capite per la sanità in Italia – in base ai dati Ocse – era nel 2017 di 2.551 euro a parità di potere d’acquisto, contro una media Ue di 2.773 euro, dietro anche a Malta che spende 2.568 euro.
Al top della Ue, per spesa c’è il Lussemburgo con 4.713 euro pro capite, davanti alla Germania (4.160 euro) e alla Svezia (4.019), mentre la Francia è all’ottavo posto della graduatoria con 3.572 euro. Fanalino di coda è nuovamente la Romania (983 euro).
Tra il 2013 e il 2017, la spesa per la sanità in Italia è aumentata dello 0,6%, dopo essere diminuita dello 0,9% dal 2009 al 2013. In questa fascia di tempo, la contrazione della spesa maggiore è stata a carico della Grecia con -8,7%, solo marginalmente recuperata negli anni successivi (+0,7%). La Germania ha invece sempre aumentato la spesa (+1,6% fino al 2013 e +2,2% al 2017). In Italia la maggior parte della spesa va alla cura dei pazienti ricoverati (32% del totale, media Ue 30%), seguita dalla spesa per i pazienti esterni (31%, Ue 30%), per i medicinali (21%, Ue 20%), la lungodegenza (10%, Ue 13%) e i servizi collettivi (6%, Ue 7%). L’Ocse calcola in 1.149 euro la spesa ospedaliera pro capite in Italia, un po’ sopra la media Ue (1.059 euro). Al primo posto nell’Unione c’è la Danimarca con 1.653 euro, mentre la Svizzera resta al top assoluto con 2.030 euro. La spesa per farmaci in Italia è pari a 447 euro pro capite, una delle maggiori della Ue (settimo posto) a fronte di una media di 417 euro. Al primo posto, in questo caso, la Germania con 572 euro.
Il 74% della spesa sanitaria, inoltre, in Italia è a carico del servizio nazionale, al quarto posto nella Ue dietro a Danimarca e Svezia (84%) e al Regno Unito (79%) e oltre il doppio rispetto media Ue (36%, dove però in media il 41% della spesa è coperto da assicurazioni mediche obbligatorie). Il 23% della spesa per la sanità viene poi pagato direttamente dagli utenti e il 2% da assicurazioni private.
Salute mentale
L’Ocse calcola poi che il costo totale dei problemi di salute mentale in Italia sia del 3,3% del Pil, pari a oltre 54 miliardi di euro, sotto la media Ue che è del 4,1%. Un terzo dei costi, ovvero 18 miliardi di euro, si riferisce a costi indiretti legati alle minori occupazione e produttività delle persone con problemi mentali. In Italia si stima al 16,9% la popolazione con disturbi mentali (media Ue 17,3%) e in buona parte sono disturbi ansiosi (6%) o depressivi (4%). I Paesi con la maggiore proporzione di disturbi mentali sono la Finlandia, l’Olanda, la Francia e l’Irlanda (tra il 18% e il 18,5%), mentre quelli con la quota minore sono la Romania (14,3%) e la Bulgaria (14,8%). Tuttavia, precisa l’Ocse, le percentuali sono legate anche alla maggiore o minore consapevolezza di questo tipo di disturbi e alla disponibilità di servizi mentali, oltre alla possibile discriminazione sociale che possono causare e che induce a non riferirli.
Percezione della salute
Nel nostro Paese sette italiani su 10 dicono di sentirsi bene o molto bene, confortati anche dalla lunga aspettativa di vita (la seconda della Ue).
Gli italiani, in generale, si sentono bene: il 71% riferisce di essere in buona salute (media Ue 68%). Si sentono meglio le fasce a reddito più alto (77%) di quelle più disagiate (69%), ma si tratta in ogni caso di percentuali tra le più alte della Ue. Solo il 15% degli abitanti della Penisola riferisce di avere malanni cronici, la quota minima della Ue, ma con una netta differenza tra le fasce più abbienti della popolazione (13%) e quelle più povere (24%). Il 22% degli italiani dice poi di avere una qualche forma di invalidità (media Ue 24%), con una propensione maggiore tra i meno abbienti (22%) rispetto ai più benestanti (18%).
Gli adolescenti italiani
Preoccupano i dati che riguardano gli adolescenti sul consumo di alcol e fumo e sul tasso di obesità infantile. L’Italia purtroppo conta la maggiore percentuale dell’intera Ue di 15-16enni che fumano (37%), con una delle maggiori percentuali di adolescenti con ‘episodi di eccessivo consumo di alcol’, cioè che si ubriacano (34% nel 2015, quarto posto Ue) e con la seconda maggiore quota di teen-ager che fanno uso di cannabis (15% dietro al 17% francese). Poi c’è il dato sull’obesità infantile: è sovrappeso il 18% dei bambini italiani di 7-8 anni, la seconda percentuale più alta della Ue, dietro a Cipro (20%) e allo stesso livello della Spagna.
Tuttavia, l’Italia continua a brillare per l’aspettativa di vita, che è la seconda più elevata, con 83,4 anni, dietro alla Spagna (83,5), quasi 2 anni e mezzo più della media Ue.