Tempo di lettura: 3 minutiNel nostro Paese, ogni anno, 124.000 donne vengono colpite da un infarto o da un problema cardiovascolare. Circa 70.000 subiscono un ictus, mentre l’arresto cardiaco improvviso colpisce, complessivamente, fra 50.000 e 60.000 persone, con un tasso di mortalità di sette volte superiore a quello degli incidenti stradali. Guardando all’Europa, l’arresto cardiaco improvviso colpisce 350.000 persone l’anno, in gran parte donne. I numeri – impietosi – rivelano come il mondo femminile, contrariamente a quanto si pensi, sia più esposto di quello maschile al rischio di patologie cardiache.
In questo contesto si colloca “Go RED for Women”, la giornata mondiale dedicata alla sensibilizzazione sulle malattie cardiache delle donne che, quest’anno, si celebra venerdì, 1° febbraio. Nella giornata, promossa dalla American Heart Association, le donne di tutto il mondo sono invitate ad indossare, simbolicamente, qualcosa di rosso, una sorta di “omaggio“ femminile al cuore, ma anche una esplicita sfida alle patologie cardiache che colpiscono questa parte della popolazione. La parola d’ordine è, come sempre, prevenzione, ma ugualmente importante è sapere che la scienza medica ha fatto passi da gigante e che oggi per fronteggiare un cuore malato sono disponibili soluzioni terapeutiche efficaci.
A ricordarlo è Boston Scientific, riconfermando il proprio impegno verso la medicina “di genere” e lo sviluppo di soluzioni terapeutiche innovative, destinate a trattare le patologie cardiache, ancora oggi il killer n. 1 nell’universo femminile.
L’ictus
Si registrano 200.000 casi ogni anno in Italia, con il 20% di recidive e 70.000 nuovi episodi riferiti a sole donne. L’ictus è un evento cerebro-vascolare che provoca anomalie della funzionalità neurologica che persistono per più di 24 ore. Può essere ischemico (un coagulo ostruisce la circolazione del sangue al cervello) o emorragico (causato dalla rottura di un vaso sanguigno). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è il disturbo cardiovascolare più frequente dopo la cardiopatia. È quasi sempre generato da disfunzioni cardiache, quali la Fibrillazione Atriale (FA), la forma più comune di aritmia, ovverosia un problema legato alla frequenza del ritmo cardiaco. Durante un’aritmia, infatti, il battito può essere troppo veloce, troppo lento o irregolare. Di Fibrillazione Atriale (FA) sono affetti 6 milioni di europei, con la previsione che la sua incidenza possa raddoppiare nei prossimi 50 anni a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. Le terapie per fronteggiarla sono, in genere, farmacologiche, oppure possono prevedere l’ablazione del nodo atrio-ventricolare. È comunque importantissimo monitorarla costantemente, perché resta il principale fattore di rischio dell’ictus, una delle condizioni più invalidanti e costose sia per le famiglie, sia per il Sistema Sanitario Nazionale. Si stima, infatti, che la spesa per ogni paziente colpito da ictus si aggiri oggi su €20.000/anno per i costi sanitari (ricoveri ospedalieri, terapie) e su € 30.000/anno per la famiglia e la collettività.
Commenta, in proposito, la dottoressa Lorella Gianfranchi, cardiologa, specialista in Aritmologia – “La fibrillazione atriale è l’aritmia più comune e la sua prevalenza cresce con il crescere dell’età. La sua diagnosi è a volte difficile in quanto può presentarsi in forme asintomatiche. È una delle cause principali di ictus ischemico e il genere femminile è quello più esposto. Peraltro, le terapie anticoagulanti sono più difficili da gestire nelle donne, dato il più alto rischio emorragico che queste comportano. Le terapie più innovative come l’ablazione sono – a tutt’oggi – sottoutilizzate, pur essendo il genere femminile quello più a rischio di effetti collaterali legati ai farmaci antiaritmici”.
La scienza medica ha – per fortuna – fatto passi importanti anche su questo fronte: fra le soluzioni terapeutiche più innovative per prevenire e fronteggiare l’ictus va ricordato WATCHMAN™, il dispositivo per la chiusura percutanea dell’auricola sinistra (LAA), la piccola ansa del cuore nella quale si forma la maggior parte dei trombi che “migrano” verso il cervello, generando l’ictus. Watchman,™, dalla ricerca Boston Scientific, è un dispositivo piccolissimo e leggero, costituito da una struttura autoespandibile in nichel e titanio (nitinolo) con uncini per il fissaggio e da un tessuto in polietilentereftalato (PET). Una volta posizionato correttamente, in corrispondenza dell’apertura dell’auricola, il dispositivo viene aperto, impedendo in questo modo la fuoriuscita dei trombi. Per questo, per la particolare struttura e funzione di bloccaggio protettivo, è stato definito “l’ombrellino salvacuore”. L’impianto di Watchman™ – suffragato da innumerevoli studi internazionali – si è dimostrato di straordinaria efficacia per i pazienti affetti da Fibrillazione Atriale intolleranti o controindicati alle terapie anticoagulanti orali.
Di queste e altre patologie cardiache “al femminile”, di ricerca e innovazione, di soluzioni terapeutiche efficaci e sicure si parlerà venerdì 1° febbraio in tutto il mondo. Il messaggio, per le donne di ogni età, è “Go Red for Women” per ricordare che questa giornata è importante, per tutte e per tutti, e che il cuore è un alleato di vita prezioso e vulnerabile; per questo deve essere difeso, protetto, curato.
Aspettando “Go RED for Women”, giornata contro Patologie Cardiache Femminili
PrevenzioneNel nostro Paese, ogni anno, 124.000 donne vengono colpite da un infarto o da un problema cardiovascolare. Circa 70.000 subiscono un ictus, mentre l’arresto cardiaco improvviso colpisce, complessivamente, fra 50.000 e 60.000 persone, con un tasso di mortalità di sette volte superiore a quello degli incidenti stradali. Guardando all’Europa, l’arresto cardiaco improvviso colpisce 350.000 persone l’anno, in gran parte donne. I numeri – impietosi – rivelano come il mondo femminile, contrariamente a quanto si pensi, sia più esposto di quello maschile al rischio di patologie cardiache.
In questo contesto si colloca “Go RED for Women”, la giornata mondiale dedicata alla sensibilizzazione sulle malattie cardiache delle donne che, quest’anno, si celebra venerdì, 1° febbraio. Nella giornata, promossa dalla American Heart Association, le donne di tutto il mondo sono invitate ad indossare, simbolicamente, qualcosa di rosso, una sorta di “omaggio“ femminile al cuore, ma anche una esplicita sfida alle patologie cardiache che colpiscono questa parte della popolazione. La parola d’ordine è, come sempre, prevenzione, ma ugualmente importante è sapere che la scienza medica ha fatto passi da gigante e che oggi per fronteggiare un cuore malato sono disponibili soluzioni terapeutiche efficaci.
A ricordarlo è Boston Scientific, riconfermando il proprio impegno verso la medicina “di genere” e lo sviluppo di soluzioni terapeutiche innovative, destinate a trattare le patologie cardiache, ancora oggi il killer n. 1 nell’universo femminile.
L’ictus
Si registrano 200.000 casi ogni anno in Italia, con il 20% di recidive e 70.000 nuovi episodi riferiti a sole donne. L’ictus è un evento cerebro-vascolare che provoca anomalie della funzionalità neurologica che persistono per più di 24 ore. Può essere ischemico (un coagulo ostruisce la circolazione del sangue al cervello) o emorragico (causato dalla rottura di un vaso sanguigno). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è il disturbo cardiovascolare più frequente dopo la cardiopatia. È quasi sempre generato da disfunzioni cardiache, quali la Fibrillazione Atriale (FA), la forma più comune di aritmia, ovverosia un problema legato alla frequenza del ritmo cardiaco. Durante un’aritmia, infatti, il battito può essere troppo veloce, troppo lento o irregolare. Di Fibrillazione Atriale (FA) sono affetti 6 milioni di europei, con la previsione che la sua incidenza possa raddoppiare nei prossimi 50 anni a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. Le terapie per fronteggiarla sono, in genere, farmacologiche, oppure possono prevedere l’ablazione del nodo atrio-ventricolare. È comunque importantissimo monitorarla costantemente, perché resta il principale fattore di rischio dell’ictus, una delle condizioni più invalidanti e costose sia per le famiglie, sia per il Sistema Sanitario Nazionale. Si stima, infatti, che la spesa per ogni paziente colpito da ictus si aggiri oggi su €20.000/anno per i costi sanitari (ricoveri ospedalieri, terapie) e su € 30.000/anno per la famiglia e la collettività.
Commenta, in proposito, la dottoressa Lorella Gianfranchi, cardiologa, specialista in Aritmologia – “La fibrillazione atriale è l’aritmia più comune e la sua prevalenza cresce con il crescere dell’età. La sua diagnosi è a volte difficile in quanto può presentarsi in forme asintomatiche. È una delle cause principali di ictus ischemico e il genere femminile è quello più esposto. Peraltro, le terapie anticoagulanti sono più difficili da gestire nelle donne, dato il più alto rischio emorragico che queste comportano. Le terapie più innovative come l’ablazione sono – a tutt’oggi – sottoutilizzate, pur essendo il genere femminile quello più a rischio di effetti collaterali legati ai farmaci antiaritmici”.
La scienza medica ha – per fortuna – fatto passi importanti anche su questo fronte: fra le soluzioni terapeutiche più innovative per prevenire e fronteggiare l’ictus va ricordato WATCHMAN™, il dispositivo per la chiusura percutanea dell’auricola sinistra (LAA), la piccola ansa del cuore nella quale si forma la maggior parte dei trombi che “migrano” verso il cervello, generando l’ictus. Watchman,™, dalla ricerca Boston Scientific, è un dispositivo piccolissimo e leggero, costituito da una struttura autoespandibile in nichel e titanio (nitinolo) con uncini per il fissaggio e da un tessuto in polietilentereftalato (PET). Una volta posizionato correttamente, in corrispondenza dell’apertura dell’auricola, il dispositivo viene aperto, impedendo in questo modo la fuoriuscita dei trombi. Per questo, per la particolare struttura e funzione di bloccaggio protettivo, è stato definito “l’ombrellino salvacuore”. L’impianto di Watchman™ – suffragato da innumerevoli studi internazionali – si è dimostrato di straordinaria efficacia per i pazienti affetti da Fibrillazione Atriale intolleranti o controindicati alle terapie anticoagulanti orali.
Di queste e altre patologie cardiache “al femminile”, di ricerca e innovazione, di soluzioni terapeutiche efficaci e sicure si parlerà venerdì 1° febbraio in tutto il mondo. Il messaggio, per le donne di ogni età, è “Go Red for Women” per ricordare che questa giornata è importante, per tutte e per tutti, e che il cuore è un alleato di vita prezioso e vulnerabile; per questo deve essere difeso, protetto, curato.
Soccorso in valanga, medici da tutta Italia si addestrano ad affrontare l’emergenza
News PresaOgni anno, in Italia, nella stagione invernale, vengono provocate in media 46 valanghe, con un totale di 95 persone coinvolte, di cui 20 non sopravvivono. La rapidità e l’addestramento di medici e sanitari che per primi intervengono in questo tipo di emergenza determinano i tassi di sopravvivenza. Ieri sera, sul Monte Magnola, si è conclusa la nona edizione del corso di” Ricerca e Stabilizzazione del Travolto da Valanga”, un evento formativo organizzato dal Soccorso Alpino e Speleologico Abruzzese, in collaborazione con gli istruttori delle due Scuole Nazionali Medici (SNaMed) e Tecnici (SNATE) del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino e Speleologico. Venti tra istruttori, tecnici, esperti nazionali e internazionali si sono dedicati ad una tre giorni di formazione nella gestione degli incidenti in valanga destinata a medici e sanitari provenienti da tutta Italia.
A differenza di quanto accade normalmente in un’emergenza sanitaria, in caso di valanga il paziente deve essere innanzitutto cercato e disseppellito, per poi essere prontamente stabilizzato e trasportato nell’ospedale più vicino. Si tratta infatti di una corsa contro il tempo per salvare le vittime dall’asfissia e dall’ipotermia, che in incidenti come questo sono le principali cause di morte insieme ai traumi, ma si verificano in un contesto che richiede protocolli del tutto particolari, “ in valanga la rapidità è fondamentale, riuscire ad intervenire sul paziente nei primi 18 minuti dal seppellimento significa riuscire a salvare il 92% dei travolti, dopo 35 minuti la sopravvivenza cala improvvisamente e radicalmente al 27%, e dopo 90 minuti solo il 3% delle vittime sopravvive. – ha spiegato il coordinatore scientifico del corso Gianluca Facchetti, medico anestesista rianimatore e istruttore della SNaMed – Per questo tutti i medici e infermieri del CNSAS, unico ente di soccorso capace di dare supporto medicalizzato alle persone soccorse in montagna, sono alpinisti che intervengono su tutti terreni montani sia in estate che in inverno, sia di giorno che di notte portando con se tutto ciò che è possibile portare per medicalizzare la vittima di un incidente. In caso di valanga, collaborano attivamente alle fasi di ricerca che sempre precedono quelle di gestione sanitaria del travolto. La tempestività dei soccorsi oggi non può prescindere dall’impiego dell’elicottero e della sua equipe sanitaria, che, pertanto, deve essere parimenti formata alle tecniche di ricerca e soccorso”.
E proprio pensando alla necessità di formazione del team sanitario dell’HEMS (Helicopter Emergency Medical Service), il corso è stato aperto non solo ai sanitari del CNSAS ma anche a tutti i medici e infermieri che hanno interesse ad approfondire le proprie conoscenze in tema di soccorso in valanga.
Durante il workshop è stato illustrato l’utilizzo di device tecnologicamente avanzati come laboratori di analisi portatili, sistemi di intubazione endotracheale a visione indiretta, ventilatori meccanici e automatici del peso inferiore a 100 grammi, tutti presidi sanitari di ultima generazione per la gestione dell’emergenza sanitaria extra-ospedaliera, trasportabili in uno zaino e adattati dai medici della SNaMed per funzionare in ambiente impervio a temperature estremamente basse ed in volo. Gli scenari in ambiente con cui i corsisti si sono confrontati hanno riprodotto incidenti realmente accaduti, illustrati dagli stessi soccorritori che si sono trovati effettivamente a gestirli.
Prevenzione è sicurezza – il 95,5% delle valanghe sono provocate dall’uomo
Il 95,5 % degli incidenti da distacco di valanga sono provocati dal fattore umano, errori di valutazione o comportamento dei frequentatori dell’ambiente innevato. Questi eventi accadono più spesso nelle stagioni con meno neve o durante le prime precipitazioni, quando il manto nevoso che si crea presenta una maggiore instabilità e fragilità, e il semplice sovraccarico causato dal passaggio di una persona in sci o snowboard può innescare il meccanismo di distacco. La vera differenza nel riduzione del numero degli incidenti, la può fare dunque chi frequenta la montagna, adottando strategie di prevenzione e pratiche di autosoccorso, “basta un’attenta pianificazione del percorso prima di partire, affinché sia compatibile con lo scenario di pericolo previsto dal bollettino meteo e dal bollettino valanghe, e poi una volta sul posto, adattare il percorso a ciò che ci si trova davanti. E mai dimenticare mai di portare con sé ed imparare ad usare il kit composto dall’ARTVA l’Apparecchio Ricerca Travolto in Valanga che consente ai soccorritori di trovare il travolto, pala e sonda”, ha commentato Igor Chiambretti, Responsabile Tecnico dell’Associazione Interregionale Neve e Valanghe (AINEVA), a proposito di prevenzione. E in caso ci si trovasse ad essere testimoni di incidenti di questo tipo, quello che può fare la differenza tra la vita e la morte è un allertamento rapido e preciso alla centrale operativa del 118, spiegando con calma e in dettaglio cosa è accaduto, quando, il numero di coinvolti, le condizioni meteo sul posto, la presenza o meno di ARTVA.
Dall’anno scorso il corso del Soccorso Alpino e speleologico abruzzese è dedicato alla memoria di medico Valter Bucci, tra gli ideatori e organizzatori delle precedenti edizioni, scomparso nello schianto dell’elicottero del 118 Abruzzo il 24 gennaio 2017, pochi giorni dopo la valanga che travolse l’Hotel di Rigopiano.
Quando i social possono alimentare la solitudine
PsicologiaI social network nascono per metterci in contatto, per agevolare le relazioni sociali o, meglio, per creare nuove e più ampie “reti sociali”. Eppure, se da una parte i social network permettono maggiori contatti con le persone, dall’altra le esperienze negative aumentano le probabilità di solitudine e di isolamento sociale. E non è solo una questione psicologica, ma questa condizione peggiora diverse malattie dell’organismo. E’ quanto emerge da uno studio condotto sui ragazzi dai 18 ai 30 anni da parte del Centro di ricerca sulla tecnologia e la salute dell’Università di Pittsburgh e pubblicato sull’American Journal of Health Promotion.
Lo studio
Allo studio hanno partecipato 1.178 studenti della West Virginia University: per ogni 10% di aumento delle esperienze negative sui social media, i partecipanti hanno riportato un aumento del 13% dei sentimenti di solitudine. Questa modifica, però, non è stata riscontrata all’opposto per le esperienze positive: a ogni loro aumento del 10%, infatti, non c’è stato alcun cambiamento.
Un mondo pervarsivo
«L’isolamento sociale percepito, che è sinonimo di solitudine, è associato a cattive conseguenze sulla salute, come l’ipertensione, le malattie cardiache e la depressione – ha spiegato l’autore principale della ricerca, Brian Primarck -. I social network sono così pervasivi che è fondamentale capire meglio in che modo possiamo aiutare le persone a navigare nei social, senza le tante conseguenze negative».
Solitudine
Al di là delle cause “esterne” c’è poi da rilevare un dato sulla solitudine che non tutti conoscono: in alcuni casi esiste una vera e propria propensione genetica, un codice scritto nel DNA. Il dato emerge da alcuni studi della University of California San Diego School of Medicine, effettuati dapprima su un campione di bambini e successivamente su 10.760 persone dai 50 anni in su. Analizzando le risposte alla domanda: «Quante volte ti sei sentito messo da parte, isolato o senza persone vicino?», gli studiosi hanno verificato come in un campione di individui sottoposti a esperimento, ognuno di loro avvertisse diversamente “il senso di solitudine”. Alcuni cioè, si sentivano soli anche in presenza di un numero discreto di amici o famigliari; tutto ciò a conferma del fatto che le sensazioni e quindi il proprio punto di vista sul nucleo famigliare e l’ambito sociale di cui facevano parte, poteva essere completamente diverso. L’influenza esercitata dal fattore genetico, il nostro DNA, è risultata essere pari al 14-27%, una percentuale considerevole anche se non determinante.
Liste d’attesa di oltre un mese per 4 italiani su 10 nel 2018
News PresaQuattro italiani su dieci hanno affrontato lunghe liste d’attesa per curarsi. A mettere sotto la lente d’ingrandimento il nostro Sistema Sanitario Nazionale è un rapporto di European House-Ambrosetti, presentato a Roma nel corso di un incontro organizzato da UniSalute, società che gestisce 43 Fondi Sanitari integrativi di categoria.
L’analisi
Nel 2018 quasi il 40% degli italiani adulti (circa 20 milioni di persone), ha avuto una o più esperienze di liste d’attesa di più di un mese. Quasi la metà (il 48,5%) di chi ha sperimentato le liste d’attesa per le prestazioni Asl ha avuto anche una o più esperienze di Pronto Soccorso. Per le visite specialistiche, ha dovuto attendere circa il 60% di chi ha sperimentato una lista, e per gli accertamenti diagnostici (42,7%), le attese hanno superato anche i 120 giorni.
Spesa pubblica
Lo studio mostra come l’incidenza della spesa sanitaria pubblica italiana sul Pil (pari a 6,6%) sia minore della media europea (7,4%). Inoltre è destinata a diminuire nei prossimi anni e con un gap, rispetto agli altri paesi del Vecchio continente che andrebbe ad ampliarsi. Per esempio Germania, Svezia e Paesi Bassi, spendono più di 4.000 euro l’anno per ogni cittadino, quasi il doppio di quanto spende l’Italia. Il risultato, avvertono gli esperti, è una maggiore spesa da parte dei cittadini. “La tendenza all’aumento della spesa sanitaria privata e soprattutto di quella out of pocket (ben il 24% in più negli ultimi anni) – scrivono gli esperti – evidenzia uno stato di sofferenza del nostro sistema sanitario nazionale in considerazione di uno sbilanciamento demografico verso la fascia più anziana delle popolazione che genera conseguentemente una maggiore domanda di salute”. Ben il 91% della spesa privata (36 miliardi di euro) è stata out of pocket, ovvero sostenuta interamente di tasca propria dai cittadini, mentre solo per il rimanente 9% si è trattato di spesa intermediata. Un dato che inoltre evidenzia come in Italia la sottoscrizione di forme di sanità integrativa rimanga un fenomeno ancora limitato rispetto ad altri paesi europei: in Irlanda, Francia e Paesi Bassi la componente intermediata raggiunge un’incidenza superiore al 40%. “Siamo convinti che la sanità integrativa dovrà mantenere e ampliare il ruolo di primo piano grazie all’importante attività svolta ad oggi dai Fondi Sanitari di categoria che hanno consentito di intercettare parte della spesa diretta in sanità per oltre 5,8 milioni di assistiti”, ha commentato l’Amministratore Delegato di UniSalute, Fiammetta Fabris.
Medici e giuristi a confronto su bioetica e biodiritto
Ricerca innovazioneAvvocati e medici a confronto sul tema dell’inquinamento ambientale, tra implicazioni giuridiche e bioetiche. A promuovere quello che sarà il primo di quattro incontri su altrettanti temi è il Polo di Biodiritto M&C Militerni, appuntamento programmato per lunedì 28 gennaio a Palazzo Serra di Cassano (ore 15.30). Il ciclo di convegni metterà a confronto giuristi, medici e rappresentati delle Istituzioni su temi di strettissima attualità. Tra gli altri: Salvatore Micillo (sottosegretario di stato del Ministero dell’ambiente), il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, Lucio D’Alessandro (rettore dell’università Suor Orsola Benincasa), Massimiliano Marotta (presidente dell’Istituto italiano per gli studi filosofici), Giuseppe Amarelli (docente di Diritto penale alla Federico II), Luisella Battaglia (docente di Bioetica e Filosofia morale all’Università di Genova), Luigi Montano (presidente nazionale della Società italiana della riproduzione umana – Siru), Domenico Musto (magistrato della Procura della Repubblica di Napoli) e Maria Triassi (docente e direttore del dipartimento di Sanità pubblica della Federico II).
Il premio
Lunedì 28 sarà anche presentata la prima edizione del Premio dedicato alla memoria dell’avvocato Lucio Militerni, Consigliere emerito della Corte di Cassazione, avvocato, giurista e autore di innumerevoli testi di diritto e bioetica. Il Premio si propone di promuovere nei giovani l’approfondimento di tematiche biogiuridiche e bioetiche. Il tema, o meglio i temi sui quali ci si potrà confrontare sono proprio quelli promossi nel ciclo di convegni dedicati al confronto su bioetica e biodiritto. Proprio nel corso del convegno di lunedì saranno raccolte le adesioni al Premio.
Il bando
Possono partecipare coloro che al momento della compilazione della domanda non abbiano superato i 35 anni e abbiano conseguito la laurea a ciclo unico o magistrale o, ancora, i laureandi della Facoltà di Economia Aziendale e Green Economy dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. L’articolo dovrà essere redatto secondo i criteri specifici editoriali (consultabili on line) e i lavori devono essere inediti. (tutti i dettagli d’iscrizione sul sito M&C Militerni). Sono esclusi i saggi o gli articoli che abbiano già ricevuto premi o riconoscimenti a titolo oneroso o che già siano stati accettati per una pubblicazione. La valutazione degli articoli sarà affidata ad una Commissione costituita da quattro esperti del settore bioetico e biogiuridico, resa pubblica solo al termine del premio e presieduta dal direttore del Centro di Ricerca del Polo di Biodiritto Militerni. I criteri di valutazione terranno in conto dell’attualità del tema trattato, originalità argomentativa, rigore scientifico, accuratezza della forma (note, citazioni e bibliografia). Il vincitore del premio sarà informato entro il 15 novembre con una comunicazione telematica e con una comunicazione pubblica sul sito M&C Militerni in una sezione dedicata. La cerimonia conclusiva di premiazione si terrà nel mese di dicembre 2019.
Gravidanza, donna incinta con la tecnica dei “tre genitori”
Genitorialità, Pediatria, Ricerca innovazioneLa nuova frontiera della gravidanza? Un bimbo e i suoi tre genitori. Per quanto possa sembrare impossibile, il triangolo genitoriale è già realtà. La tecnica degli embrioni “con tre genitori” è stata usata per risolvere un problema di infertilità e ha permesso di avviare una gravidanza che è alla 27esima settimana.
La start up
Ad annunciare il risultato raggiunto è “Embryotools”, una start up spagnola che sta molto facendo parlare di sé per i risultati e per i progetti in essere. la notizia è che i ricercatori del centro spagnolo Embryotools (con sede nel Parco della Scienza di Barcellona) stanno partecipando a un evento scientifico di riferimento in Grecia che darà forma al futuro della riproduzione assistita. In uno studio clinico pilota condotto su donne, sponsorizzato dal centro di riproduzione assistita Institute of Life di Atene, gli scienziati spagnoli hanno raggiunto la prima gravidanza al mondo che utilizza la tecnica del trasferimento del mandrino materno per risolvere problemi di infertilità.
La tecnica
La donna in gravidanza, spiega un comunicato, è la prima arruolata in un vero e proprio test clinico approvato e condotto in Grecia. L’obiettivo è stabilire se il Maternal Spindle Transfer (MST), che consiste nell’estrarre il nucleo di un ovulo della paziente per trasferirlo in un ovulo di una donatrice sana, può aumentare le chance di gravidanza in alcuni casi di infertilità. In passato sono già nati bimbi ‘con tre genitori’ in Messico, per evitare la trasmissione di una malattia genetica dei mitocondri, e in Ucraina, anche in questo caso per un problema di infertilità ma utilizzando una tecnica diversa. La futura mamma greca ha 32 anni ed è stata già operata due volte per endometriosi, oltre ad aver fatto quattro cicli di fecondazione assistita che però non hanno dato esito positivo. Nello studio sono state arruolate altre 24 donne e sono pronti otto embrioni realizzati con la Mst, che saranno impiantati dopo aver verificato l’esito della prima. «Questa è una tecnica che è ancora in corso di validazione – spiega Gloria Calderon, cofondatrice della start up – vogliamo procedere con la massima prudenza».
Poco sonno influenza anche i geni
Ricerca innovazioneLa carenza di sonno può causare a lungo andare gravi patologie. Ora uno studio, però, ha addirittura dimostrato come potrebbe influenzare i nostri geni ed essere associata a danni del Dna. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Anaesthesia ed è stata condotta da Siu-Wai Choi, dell’Università di Hong Kong. Lo studio ha coinvolto 49 medici il cui sangue è stato analizzato a più riprese durante il giorno, anche dopo eventuali turni di notte.
I risultati
Dopo un’attenta analisi è stato osservato che l’attività dei geni che servono a produrre proteine di riparazione del DNA diminuisce nei dottori che fanno i turni di notte e che i danni al DNA aumentano dopo una sola notte trascorsa svegli. In altre parole, essendo meno attivi i geni per riparare Dna, c’è più rischio di danni alla doppia elica
I danni
Il danno al Dna dovuto alla carenza di sonno potrebbe spiegare l’aumento di rischio di molte malattie (ad esempio diabete, patologie neurodegenerative e cardiovascolari) associato ai disturbi del sonno. “Sebbene questo sia un lavoro molto preliminare – conclude Choi – è chiaro dai risultati che anche una sola note senza sonno può favorire eventi che potrebbero contribuire allo sviluppo di malattie croniche”.
Camminare anche al freddo migliora difese immunitarie e umore
PrevenzioneCamminare fa sempre bene, anche quando fuori fa molto freddo. Vincere la pigrizia e uscire a fare una camminata veloce, sfidando le basse temperature (meglio nella natura), migliora le funzioni immunitarie, l’umore e il sonno. Lo hanno ribadito gli esperti americani interpellati dai media in questi giorni, viste le temperature in gran parte degli Usa sotto lo zero di parecchi gradi. “La tendenza a restarsene al chiuso quando fa freddo è naturale – osserva John Sharp, psichiatra specialista del ‘disturbo affettivo stagionale’ (Sad) al Beth-Israel Deaconess Center di Boston – ma non è una buona ricetta per sentirsi meglio”. “Troppa poca luce del sole produce stress, influisce sul benessere psico-fisico e ci rende più pessimisti e affaticati”. E allora ecco le cinque ragioni degli esperti per alzarsi dal divano e sfidare il freddo.
Aumenta il benessere, perché la luce naturale del giorno fa salire la serotonina, l’ormone della felicità (si abbassa infatti sempre ai minimi durante l’inverno). Numerosi studi hanno evidenziato che proprio la ‘terapia della luce’ aiuta contro la depressione stagionale.
Quando si sta all’aria aperta, cresce la produzione di vitamina D, che attiva il rilascio di serotonina, rafforza l’assorbimento del calcio, combatte le infiammazioni e potenzia il sistema immunitario. Bastano 10 minuti fuori per migliorare i livelli. Uno studio dell’University of Michigan poi ha osservato in un gruppo di volontari che aveva camminato in un grande orto botanico, un rafforzamento della memoria del 20%. Gli stessi benefici sono stati evidenti sia che i volontari avessero camminato con temperature estive o sotto zero.
Camminare al freddo è come ‘meditare’ mindfulness: varie ricerche hanno mostrato che camminare abbassa gli ormoni dello stress e innalza l’attivita’ del sistema immunitario. Il gelo, in altre parole, non è più una scusa.
Dagli oncologi AIOM 37 linee guida a disposizione di clinici e pazienti
Ricerca innovazioneSono in totale 37 le Linee Guida ufficiali prodotte dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) nel 2018. Si tratta di documenti elaborati con metodologia GRADE e stilati con l’impegno di oltre 500 professionisti e il coinvolgimento di 45 diverse Società Scientifiche. Solo nel 2018 sono state scaricate e consultate da oltre 500mila persone. L’obiettivo, per quest’anno, è procedere con un costante aggiornamento per perfezionare così la formazione continua degli oncologi. E, al tempo stesso, garantire un migliore e più uniforme sistema di cure su tutto il territorio nazionale. È quanto emerge dal convegno nazionale organizzato da AIOM Linee Guida AIOM 2019. L’evento si è svolto a Roma (presso il Ministero della Salute) con l’obiettivo di portare all’attenzione delle Istituzioni le modalità con cui vengono prodotte le raccomandazioni in ambito oncologico (modi, tempi, metodologia e collaborazioni). Hanno preso parte al convegno le 45 Società Scientifiche con cui AIOM collabora da anni nella produzione di linee guida oncologiche, tra cui l’Associazione Italiana di Medicina Nucleare ed Imaging Molecolare (AIMN, Presidente Orazio Schillaci), l’Associazione Italiana di Radioterapia ed Oncologica Clinica (AIRO, Presidente Stefano Magrini), l’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF, Presidente Salvatore Petta), l’Associazione Nazionale Italiana Senologi Chirurghi (ANISC, Presidente Mario Taffurelli), l’Associazione Urologi Italiani (AURO, Presidente Roberta Gunelli), la Società Italiana di Anatomia patologica e di Citologia Diagnostica (SIAPEC, Presidente Mauro Truini), la Società Italiana di Chirurgia Oncologica (SICO, Presidente Domenico D’Ugo), la Società Italiana di Ematologia (SIE, Presidente Paolo Corradini), la Società Italiana di Radiologia medica e Interventistica (SIRM, Past president Carmelo Privitera), la Società Italiana di Urologia (SIU, Presidente Salvatore Voce) e la Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO, Segretario e Tesoriere Giario Conti).
“Le Linee Guida sono uno degli strumenti principali che rappresentano la medicina basata sull’evidenza – ha spiegato Stefania Gori, Presidente nazionale AIOM -. Attraverso un processo sistematico e trasparente rendono possibile il trasferimento nella pratica clinica di tutte le nuove conoscenze prodotte dalla ricerca medico-scientifica. Attualmente le patologie oncologiche sono la seconda causa di decesso nel nostro Paese e ogni giorno sono diagnosticati 1.000 nuovi casi di cancro. Diventa quindi fondamentale, per gli specialisti, avere a disposizione strumenti che favoriscono anche l’appropriatezza prescrittiva dei trattamenti e degli esami diagnostici e strumentali. Gli ultimi provvedimenti legislativi, tra cui la Legge Biondi-Gelli del 2017, hanno rafforzato enormemente il ruolo delle Società Scientifiche nella produzione di Linee Guida. Anche per questo motivo, AIOM ha continuato a lavorare in questo importante progetto che rappresenta uno dei due obiettivi principali della società scientifica. Esistono tuttavia aspetti che vogliamo perfezionare, migliorando sempre più la collaborazione con altre associazioni di specialisti così da ottenere raccomandazioni sempre più condivise e multidisciplinari”. Nella elaborazione di sei Linee Guida AIOM 2018 hanno preso parte anche i pazienti. “Oltre ai medici specialisti, i malati di cancro sono gli ‘utilizzatori finali’ delle Linee Guida – ha aggiunto Fabrizio Nicolis, presidente di Fondazione AIOM -. Il coinvolgimento dei pazienti viene suggerito anche dalle Istituzioni sanitarie. Questi pazienti devono essere tuttavia formati adeguatamente e, per questo motivo, Fondazione AIOM, in collaborazione con AIOM, da tre anni ha avviato corsi di formazione specifici”. Fondazione AIOM infatti è da molti anni impegnata per aumentare l’interazione e un dialogo costruttivo fra oncologi e pazienti.
Strasburgo: in Italia ancora disparità per accesso all’aborto
News PresaLa situazione del nostro Paese sembra essere migliorata. Nonostante questo, per Strasburgo “permangono considerevoli disparità d’accesso all’interruzione di gravidanza a livello locale” e “l’Italia non ha dato informazioni sulle misure prese per prevenire atti di molestia morale contro i medici non obiettori di coscienza”.
Il Comitato per i diritti sociali del Consiglio d’Europa si è espresso così su quanto dal nostro Paese per rimediare alle violazioni della Carta sociale europea, riscontrate nel 2016, dopo il ricorso collettivo della Cgil sull’applicazione della legge 194.
Strasburgo dopo aver valutato le informazioni fornite dal governo precedente, il 16 febbraio 2018, ha chiesto all’Italia di fornire informazioni entro ottobre 2019 sulle misure introdotte per ridurre le restanti disparità, sia sull’accesso delle donne all’interruzione di gravidanza, che per assicurare una distribuzione più omogenea dei medici non obiettori sull’intero territorio nazionale.
Il comitato ha inoltre chiesto informazioni sulle misure preventive e risarcitorie adottate per proteggere il personale medico non obiettore da discriminazioni e molestia morale.
I dati sull’aborto in Italia
Nel 2017 sono state notificate 80.733 interruzioni volontarie di gravidanza con una riduzione del 4.9% rispetto al 2016 e del 65.6% rispetto al 1982. Su questo calo “molto probabilmente ha inciso anche l’aumento dell’uso della contraccezione d’emergenza, la pillola del giorno dopo e quella dei 5 giorni dopo, che non hanno più l’obbligo di prescrizione medica per le maggiorenni, e quindi richiedono una maggiore informazione alle donne per evitarne un uso inappropriato”. Invece la percentuale di medici obiettori rispetto all’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) è pari – tra i ginecologi – al 68,4%, quasi 7 su 10, ma si legge nel documento consegnato alle Camere il 18 gennaio scorso , “per quanto riguarda i carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore, sia su base regionale che considerando le singole strutture, non si evidenziano particolari criticità nei servizi di ivg”. La percentuale del 2017 sarebbe comunque in calo rispetto a quella del 2016 pari l 70,9%.