Tempo di lettura: 2 minuti“Una mela al giorno” dice il proverbio, questo grazie anche ai polifenoli contenuti nella polpa e soprattutto nella buccia. Ma cosa succede nell’organismo quando viene ingerita una mela? Oggi uno studio rileva il percorso che i nutrienti benefici di questo frutto, i polifenoli, fanno nel corpo umano e il ruolo del microbiota intestinale.
La ricerca è stata condotta dalla Fondazione Edmund Mach, in collaborazione con il Consiglio per la ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA), finanziata dal progetto Ager Melo e appena pubblicata sulla rivista Food Research International. Lo studio ha scoperto le complesse trasformazioni dei polifenoli in 110 forme chimiche biodisponibili all’organismo umano, mostrando il ruolo decisivo del microbiota intestinale nell’azione benefica di questi composti bioattivi.
Il progetto. E’ finanziato dal progetto AGER Melo, all’interno dell’obiettivo “qualità e salute”. I ricercatori del Dipartimento Qualità alimentare e Nutrizione FEM e del Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione del CREA hanno seguito un gruppo di 12 volontari sani, che in due diverse occasioni hanno consumato una spremuta di mela di alta qualità, tal quale, oppure arricchita in polifenoli della mela, con l’obiettivo di valutare come i polifenoli presenti nella mela fossero metabolizzati. Lo studio ha impegnato il team di ricerca per 5 anni ed è stato pubblicato su Food Research International, rivista del Canadian Institute of Food Science and Technology (CIFST)
I polifenoli. Sono molecole naturali di interesse nutrizionale, in quanto posseggono attività anti-infiammatorie, anti-diabetogene e anti-cancerogene in modelli in vitro e animali. Non è chiaro però come queste molecole, tra loro estremamente diversificate, possano svolgere queste attività benefiche anche sull’uomo.
I risultati. Stando ai risultati dello studio i polifenoli vengono trasformati in 110 diverse forme chimiche che sono stati misurati nei biofluidi (plasma ed urine). La ricerca ha dimostrato che nessuno dei composti fenolici presenti nel succo di mela si ritrova nell’organismo nella sua forma originale (cioè quella presente nella mela). Infatti questi composti vengono variamente metabolizzati nell’uomo in 110 diverse forme chimiche che compaiono nel circolo sanguigno prima, e nelle urine poi. Utilizzando tecniche “metabolomiche”, che permettono lo studio contemporaneo di un numero molto elevato di composti, i ricercatori hanno potuto descrivere la cinetica di metaboliti di particolare interesse, derivanti in particolare dalla floretina, dai flavanoli (catechine e procianidine) e dall’acido clorogenico. Tutti composti fenolici particolarmente abbondanti nella mela, specie se consumata con la buccia.
Dettagli dello studio. “La quantità e la persistenza di ognuna di queste molecole nei fluidi biologici (sangue e urine), è risultata molto variabile tra un individuo e l’altro – spiegano i ricercatori – non solo a causa di differenze genetiche, ma anche a causa di differenze nella composizione del microbiota intestinale”. Infatti, i ricercatori hanno potuto appurare che mentre il 40% dei metaboliti originava dai processi metabolici umani, il restante 60% richiedeva l’intervento dell’azione dei batteri intestinali per poter entrare in circolo. I metaboliti derivanti dal metabolismo microbico sono risultati più persistenti, cioè capaci di rimanere in circolo per periodi molto più lunghi. Inoltre, è stata osservata un’interessante correlazione tra la composizione dei batteri intestinali, misurata tramite esperimenti di metagenomica, e la quantità di metaboliti circolanti. La composizione del microbiota intestinale appare, quindi, un fattore importante per mediare l’azione del consumo di mela.
L’esperimento ha permesso di dimostrare che all’aumentare della ricchezza in polifenoli, aumentano le quantità dei loro metaboliti circolanti che dipendono dalla dose assunta. Mentre una parte limitata dei composti bioattivi della mela transitano rapidamente nell’organismo umano, la maggioranza persiste nelle urine anche a 24 ore dal consumo, in concentrazioni molto variabili e modulate dal microbiota individuale.
Guardare un corso d’ acqua rende felici. Lo dice la ricerca
Ricerca innovazioneIl ricercatore californiano Wallace J. Nichols, ricercatore associato presso l’Accademia delle Scienza della California, ha prodotto una pubblicazione che racchiude una profonda ricerca sul valore dell’acqua per il benessere psicofisico. In particolare, nel suo Blue Mind, spiega come nell’acqua si nascondano alcune sostanze chimiche, come la dopamina, la serotonina e l’ossitocina, che favoriscono la felicità. Secondo il ricercatore l’acqua porta al cervello umano 5 benefici fondamentali per la felicità.
Il primo è il colore blu che dà sollievo. Durante una ricerca, infatti, è stato chiesto a 232 persone in tutto il mondo di indicare il proprio colore preferito. Il colore blu che è risultato di gran lunga il vincente.
Inoltre stare lungo la costa rende più rilassati (il secondo elemento). Per risultare calmi a livello di subconscio è spesso sufficiente osservare un paesaggio marittimo. Ciò fa attivare le parti del cervello associate a un atteggiamento positivo, alla stabilità emotiva e al recupero di ricordi felici.
Il terzo elemento è legato alla mente: l’acqua è in grado di ringiovanirla. In uno studio sono stati analizzati il rendimento e la concentrazione di due gruppi di studenti. Ad uno erano state assegnate stanze con vista paesaggistica e all’altro erano state date stanze su vedute più urbane. Il primo gruppo non solo dava risultati più brillanti, ma dimostrava anche una maggiore capacità di attenzione rispetto al secondo.
Inoltre basta guardare l’acqua per essere felici. Le persone sono più serene quando sono all’aria aperta, ma sono anche più felici del 5,2% quando si trovano vicino a un corso d’acqua.
Infine, l’acqua riporta allo stato naturale. Si è immersi in acqua fin dall’inizio della vita. Il corpo umano è formato per il 75% da acqua e il mantenimento della quantità adeguata di idratazione è di fondamentale importanza per il corretto funzionamento degli organi umani.
Dieta: un’insalata a pranzo non fa dimagrire. Lo dicono i dietologi
AlimentazioneIl pranzo gioca un ruolo molto importante per tutto il resto della giornata, non solo in termini di produttività ma anche di perdita di peso. Ci sono alcuni errori comuni riscontrati dai nutrizionisti che si fanno a pranzo. Uno di questi, ad esempio, è quello di mangiare in fretta. Uno studio pubblicato sul Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics ha scoperto una correlazione diretta tra la velocità con cui si mangia e l’indice di massa corporea (BMI). Gli esperti consigliano di masticare ogni boccone almeno 20 volte e di ritagliare almeno 30 minuti per il pranzo.
Pranzare al volo in un bar o con i colleghi in qualche locale è il modo migliore per avere meno soldi, ma più calorie. Sarebbe più sano cucinare qualcosa extra la sera prima da portare al lavoro. I cibi preconfezionati oppure i pasti al ristorante sono infatti spesso più ricchi di calorie. Inoltre se si pranza velocemente è più difficile fare attenzione alle porzioni
In particolare, se l’obiettivo è perdere dei chili, mangiare solo un’insalata a pranzo non basta. Gli studiosi avvertono: non è in grado di saziare e non è un pasto equilibrato. Pur volendo diminuire le calorie, l’insalata dovrebbe sempre contenere tutti e tre i macronutrienti. Meglio usare insalata a foglia verde (lattuga, spinaci, verza per esempio) e aggiungere altre verdure come carote, cetrioli, peperoni: più colorata è, meglio è, raccomanda la dietologa Julia Denner. Inoltre deve contenere alcuni alimenti proteici come ceci, pollo grigliato, feta o uova bollite e anche qualche carboidrato come per esempio fagioli, quinoa o couscous. Per condire meglio l’olio d’oliva, ricco di nutrimenti essenziali per l’organismo.
Tra le abitudini poco sane c’è quella di bere solo succhi e bevande zuccherate. Le ricerche dimostrano che questi liquidi contengono molte calorie e non placano la sete. Insomma meglio bere l’acqua, al massimo aggiungendo una fetta di limone. Inoltre meglio non arrivare al pasto affamati, fare colazione e qualche spuntino per tenere attivo il metabolismo ed evitare abbuffate a pranzo o a cena.
Così l’intelligenza artificiale ci salverà dal cancro
News PresaL’intelligenza artificiale servirà a prevenire e curare i tumori. Lo scenario apparentemente fantascientifico è invece quello, molto attuale, del principale Istituto del Mezzogiorno per la lotta alle neoplasie: il Pascale di Napoli. La notizia arriva direttamente dalla direzione generale dell’Istituto, che ha firmato un accordo con il dipartimento di Ingegneria ICT e Tecnologie per l’Energia e i Trasporti (DIITET) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e l’IBM Italia, per dare vita al primo centro di sperimentazione in nel nostro Paese per l’applicazione delle tecnologie dell’intelligenza artificiale e dei sistemi cognitivi nella medicina di precisione.
Nuove frontiere
Il partenariato è stato firmato con lo scopo di raggiungere nuovi traguardi nel campo della medicina di precisione attraverso la sinergia di percorsi di eccellenza. Individuare, insomma, moderni strumenti di prevenzione, diagnosi e cura dei tumori. Alla cerimonia per la firma del protocollo d’intesa erano presenti Attilio Bianchi (direttore Generale del Pascale), Giuseppe De Pietro (direttore ICAR CNR), Francesco Stronati (IBM Vice President, Health and Public Sector), Antonio Oddati (direttore generale per l’Università, la Ricerca e l’Innovazione, Regione Campania). Bianchi si è detto «onorato che IBM e CNR abbiano individuato il Pascale per attivare questa ricerca di respiro internazionale. Metteremo a disposizione tutto il nostro know how, certi di partecipare alla creazione di un nuovo paradigma per la ricerca e l’assistenza».
Primo in Europa
Intanto al Pascale vanno avanti le ricerche di un «vaccino» terapeutico per il tumore del fegati. L’obiettivo è indurre nei malati una risposta immunitaria che possa ritardare il ripresentarsi del cancro dopo i trattamenti convenzionali. Ma anche, ed è questo l’auspicio principale, l’assenza delle recidive successive al trattamento. Il Pascale coordina il progetto a livello europeo e sponsorizza lo studio clinico che vede impegnati il centro di Tubinga in Germania, Pamplona in Spagna, Anversa in Belgio, Birmingham in UK.
Depressione e ansia, la verità sul male del millennio
PsicologiaAnsia e depressione sono i mali del nuovo millennio. A dirlo è la realtà che ci circonda, confermata dai dati diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità. In tutto il mondo ci sono 450 milioni di persone che soffrono di disturbi mentali, con un incremento del 15% entro il 2020. Il rapporto 2017 dell’Oms conta 322 milioni di persone flagellate dal «male di vivere», distribuite tra tutti i paesi della terra. Una verità che nessuno si aspetta, con la quale stiamo già facendo i conti. Consapevoli che le reazioni a questa situazione devono arrivare dal territorio, perché è a livello locale che si possono cambiare veramente le cose, domani (martedì 27 marzo alle ore 17.30) al Royal Continental di Napoli (in via Partenope) si terrà un incontro su «Depressione e dintorni», che è anche il incontro operativo delle «Scuole Territoriali della Salute Emotiva e Comportamentale». Il progetto, ideato dallo psichiatra Vincenzo Barretta, prevede appuntamenti divulgativi per condividere con i cittadini le idee e le buone prassi del benessere psichico e comportamentale.
Uno spazio condiviso
L’incontro di domani avrà diversi motivi di interesse. Dopo una breve introduzione si entrerà subito nel vivo parlando di depressione con una particolare attenzione agli elementi di natura relazionale e culturale correlati. La cosa interessante è che i forum delle «Scuole Territoriali della Salute Emotiva e Comportamentale» non sono concepiti come lezioni frontali, ma ambiscono ad essere uno spazio di apprendimento interattivo, organizzato per favorire lo scambio di esperienze. «Quella che i manuali diagnostici definiscono “depressione maggiore” è una vera e propria patologia, e come tale va curata», spiega Vincenzo Barretta. «La depressione conclamata causa concrete disabilità e può portare le persone a perdere la vita. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, 788mila persone si sono suicidate, nel solo anno 2015, perché depresse. Tuttavia, nella prospettiva di fornire al cittadino una vera ed esaustiva cultura del benessere psicologico, giova ricordare che sono molti i disturbi depressivi che stanno a metà tra la malattia conclamata e il dramma esistenziale, che scaturisce dalle condizioni di vita: economiche, affettive, dell’autorealizzazione mancata e della dignità rubata. E anche queste sfumature di malessere possono portare a conseguenze tragiche. Il suicidio – prosegue Barretta – è la seconda causa di morte nei giovani tra i 15 e i 29 anni».
Allarme sociale
Disastrosa è pure la ricaduta economica della mancata educazione al benessere psichico e comportamentale: si calcola che in Europa il costo dei disturbi neuropsichiatrici e comportamentali sia pari a 798 miliardi di euro. Di questi il 40% sono costi diretti che gravano interamente sulle famiglie. La cifra diverrebbe molto più elevata se si calcolassero i costi dei disturbi del comportamento legati al consumo di sostanze psicoattive (incluso l’alcol) e le patologie da dipendenza comportamentale, come il gioco d’azzardo patologico e l’internet addiction disorder. Vanno inoltre considerati anche i costi in termini di giornate lavorative perdute, relative ai componenti dell’intero nucleo familiare, nonché l’impatto in termini di sofferenza emotiva che, a sua volta, è in grado di produrre un’ulteriore aggravio dei problemi e dei costi relativi. «Questo incontro delle scuole Territoriali della Salute Emotiva e Comportamentale – conclude il dottor Barretta – nasce con lo scopo di sensibilizzare e comprendere i fenomeni tipici della depressione e dei riflessi che essa ha sulla salute delle persone, in un’ottica non soltanto di cura, ma soprattutto di prevenzione del fenomeno». Nell’ambito dei prossimi appuntamenti, ad Ercolano il 13 aprile e nuovamente a Napoli il 20 aprile, le “Scuole Territoriali della Salute Emotiva e Comportamentale” si riuniranno ancora per condividere con la comunità riflessioni e consapevolezze relative a diversi tipi di malessere, per far sì che la domanda di benessere mentale cessi di essere soltanto un problema e uno stigma». L’iniziativa si avvale del supporto delle sedi del Rotary Club Napoli di Castel dell’Ovo, Napoli – Posillipo, Napoli – Castel Sant’Elmo, Napoli – Ovest e Napoli – Sud Ovest, insieme con la Fondazione Istituto Antoniano, il Centro Studi “AdAstra”, la Fondazione Pellegrini – Opera Fabrizio Pignatelli e Sorbino. Ingresso libero, info al 3385651723 e info@centronoesis.it
40% dei dipendenti italiani così stressati da voler cambiare lavoro
Psicologia, Stili di vitaIl 40 per cento dei lavoratori italiani è così stressato da voler cambiare aria. È quello che emerge dall’indagine WorkForce Europe 2018 dell’azienda ADP, che ha intervistato in Europa 10mila lavoratori, dei quali 1300 italiani. Un dato che ci vede al top nell’Ue. Il 16 % dei dipendenti italiani pensa che la propria azienda non si interessi minimamente al loro benessere psicofisico. La percentuale cresce con l’età: solo l’11% dei lavoratori tra i 25 e 34 anni denuncia questa mancanza, ma il numero sale al 21% per i lavoratori over 55. I problemi legati allo stress e alla salute mentale sono una delle principali cause delle assenze dei dipendenti e del ricambio del personale. “Significa che sostenere i dipendenti non è solo la cosa giusta da fare, ma è anche un investimento utile”: ha detto Virginia Magliulo, General Manager ADP Italia.
Tra i 25 e 34 anni la percentuale di super stressati pronti a mollare l’attuale lavoro per uno meno impegnativo è pari al 44,8% e tra gli over 55 la percentuale scende al 25%. Tra gli italiani che dichiarano di sentirsi stressati “tutti i giorni” (il 13% del totale, l’11,7% degli uomini e il 14,5% delle donne), l’età più colpita è quella tra i 45 e i 54 anni con un 16% di iper stressati. La regione con il dato più alto di stressati è la Basilicata (40%), seguita da Val d’Aosta (25%) e Piemonte (20,4%). I settori più colpiti sono quello dei “servizi finanziari” (19,5%), seguito da quello della “vendita al dettaglio, catering e tempo libero” (19,3%) e ultimo quello “commerciale, media e marketing” (15,8%). Tra chi all’opposto dichiara di non sentirsi mai stressato (14%), vince la fascia degli over 55 con una percentuale del 30%. A livello regionale, tra i più rilassati in testa gli abruzzesi (22,7%), seguono a pari merito il Molise e il Trentino (20%).
Secondo l’indagine, il maggiore ostacolo alla produttività del lavoro è la cattiva gestione e il comportamento dei manager.
Dipendenza videogame è ufficialmente una malattia mentale per l’Oms
Stili di vitaLa dipendenza da videogame è ufficialmente una malattia mentale secondo l’Oms. È stata infatti inserita nel capitolo sulle patologie mentali dell’International Classification of Diseases (ICD), l’elenco ufficiale delle malattie il cui aggiornamento è stato appena pubblicato. Nel nuovo elenco che contiene oltre 55mila malattie, la dipendenza da gioco digitale (gaming disorder) consiste in “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita”. Vladimir Poznyak, del dipartimento per la salute mentale dell’Oms in conferenza stampa ha spiegato che uno dei segnali della patologia è che “quando si manifestano le conseguenze negative dei comportamenti non si riesce a controllarli” e questo porta a problemi nella vita personale, familiare e sociale, con impatti anche fisici, dai disturbi del sonno ai problemi alimentari.
Quindi non tutti gli appassionati di videogame sono malati. Secondo gli esperti si devono presentare determinate condizioni che renderebbero il ricorso persistente o ricorrente ai videogame un problema per la salute. Il malato di videogame perde il contatto con la realtà attorno, è assorbito completamente dalle tempistiche e dagli obiettivi del gioco. Giocare diventa una priorità assoluta (persino più importante di mangiare e dormire). Per confermare la diagnosi, un simile comportamento si deve verificare per almeno un anno, eccezion fatta per casi eclatanti.
L’inserimento nell’elenco, secondo gli esperti dell’Oms, aiuterà i medici a formulare una diagnosi.
Obiettivo dell’organizzazione Onu è che il riconoscimento di questo tipo di dipendenza possa favorire il ricorso a opportune terapie, arrivando anche a includerla nelle polizze assicurative sanitarie.
Mela e salute, tracciato percorso dei polifenoli nel corpo umano
Alimentazione“Una mela al giorno” dice il proverbio, questo grazie anche ai polifenoli contenuti nella polpa e soprattutto nella buccia. Ma cosa succede nell’organismo quando viene ingerita una mela? Oggi uno studio rileva il percorso che i nutrienti benefici di questo frutto, i polifenoli, fanno nel corpo umano e il ruolo del microbiota intestinale.
La ricerca è stata condotta dalla Fondazione Edmund Mach, in collaborazione con il Consiglio per la ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA), finanziata dal progetto Ager Melo e appena pubblicata sulla rivista Food Research International. Lo studio ha scoperto le complesse trasformazioni dei polifenoli in 110 forme chimiche biodisponibili all’organismo umano, mostrando il ruolo decisivo del microbiota intestinale nell’azione benefica di questi composti bioattivi.
Il progetto. E’ finanziato dal progetto AGER Melo, all’interno dell’obiettivo “qualità e salute”. I ricercatori del Dipartimento Qualità alimentare e Nutrizione FEM e del Centro di Ricerca Alimenti e Nutrizione del CREA hanno seguito un gruppo di 12 volontari sani, che in due diverse occasioni hanno consumato una spremuta di mela di alta qualità, tal quale, oppure arricchita in polifenoli della mela, con l’obiettivo di valutare come i polifenoli presenti nella mela fossero metabolizzati. Lo studio ha impegnato il team di ricerca per 5 anni ed è stato pubblicato su Food Research International, rivista del Canadian Institute of Food Science and Technology (CIFST)
I polifenoli. Sono molecole naturali di interesse nutrizionale, in quanto posseggono attività anti-infiammatorie, anti-diabetogene e anti-cancerogene in modelli in vitro e animali. Non è chiaro però come queste molecole, tra loro estremamente diversificate, possano svolgere queste attività benefiche anche sull’uomo.
I risultati. Stando ai risultati dello studio i polifenoli vengono trasformati in 110 diverse forme chimiche che sono stati misurati nei biofluidi (plasma ed urine). La ricerca ha dimostrato che nessuno dei composti fenolici presenti nel succo di mela si ritrova nell’organismo nella sua forma originale (cioè quella presente nella mela). Infatti questi composti vengono variamente metabolizzati nell’uomo in 110 diverse forme chimiche che compaiono nel circolo sanguigno prima, e nelle urine poi. Utilizzando tecniche “metabolomiche”, che permettono lo studio contemporaneo di un numero molto elevato di composti, i ricercatori hanno potuto descrivere la cinetica di metaboliti di particolare interesse, derivanti in particolare dalla floretina, dai flavanoli (catechine e procianidine) e dall’acido clorogenico. Tutti composti fenolici particolarmente abbondanti nella mela, specie se consumata con la buccia.
Dettagli dello studio. “La quantità e la persistenza di ognuna di queste molecole nei fluidi biologici (sangue e urine), è risultata molto variabile tra un individuo e l’altro – spiegano i ricercatori – non solo a causa di differenze genetiche, ma anche a causa di differenze nella composizione del microbiota intestinale”. Infatti, i ricercatori hanno potuto appurare che mentre il 40% dei metaboliti originava dai processi metabolici umani, il restante 60% richiedeva l’intervento dell’azione dei batteri intestinali per poter entrare in circolo. I metaboliti derivanti dal metabolismo microbico sono risultati più persistenti, cioè capaci di rimanere in circolo per periodi molto più lunghi. Inoltre, è stata osservata un’interessante correlazione tra la composizione dei batteri intestinali, misurata tramite esperimenti di metagenomica, e la quantità di metaboliti circolanti. La composizione del microbiota intestinale appare, quindi, un fattore importante per mediare l’azione del consumo di mela.
L’esperimento ha permesso di dimostrare che all’aumentare della ricchezza in polifenoli, aumentano le quantità dei loro metaboliti circolanti che dipendono dalla dose assunta. Mentre una parte limitata dei composti bioattivi della mela transitano rapidamente nell’organismo umano, la maggioranza persiste nelle urine anche a 24 ore dal consumo, in concentrazioni molto variabili e modulate dal microbiota individuale.
Mindful, la consapevolezza fa dimagrire
AlimentazioneSi chiama “mindful” ed è la nuova tendenza del “mangiare consapevole”, con la promessa che il cibo sembrerà più buono e, a mente sazia, anche la pancia brontolerà meno. Quella che potrebbe sembrare solo l’ennesima moda stravagante nel variegato mondo delle diete da rivista è invece una strategia alimentare che negli Usa è molto usata nella lotta all’obesità.
Poche regole
Va detto che, così come ci sono migliaia di “mindfuliani” soddisfatti, sono moltissimi anche gli scettici. Ma è giusto che ciascuno abbia la propria esperienza e decida da se quanto questo stile di vita possa essere d’aiuto. Il mindful prevede poche semplici regole di base, e nessuna di questa può nuocere. La prima regola è: assaporare attentamente e lentamente ogni alimento, pezzo per pezzo. Numero due masticare lentamente, assecondando ogni gusto e retrogusto. Terzo: creare un ambiente consono, con poche distrazioni e che aiuti la concentrazione sul cibo. Regola numero quattro: sorridere sempre tra un boccone e l’altro e, regola numero cinque, sedersi sempre quando si mangia.
Qui ed ora
«L’intenzione dell’alimentazione mindful – dice Susan Albers, psicologa della Cleveland Clinic – è stimolare la concentrazione sull’attimo presente, accettando i propri gusti e appetiti, stimolando la curiosità verso ogni sapore». La promessa – secondo gli esperti – non è di dimagrire. Ma la pratica condurrebbe naturalmente alla perdita di peso. Bisogna abbandonare radicalmente la mentalità di stare a dieta, e mangiare ciò che piace con totale presenza di spirito ogni momento, ogni boccone, ogni sapore. Quando affiniamo ogni senso nell’assunzione di cibo, ascoltiamo il nostro corpo che ci dirà naturalmente quando smettere». E se la voce del corpo non dovesse riuscire a farsi ascoltare pazienza, ci sarà comunque la consapevolezza di aver fatto qualcosa si buono per la propria salute. Perché mangiare consapevolmente è sempre una saggia decisione.
Strofinacci: i batteri nascosti possono causare intossicazione
PrevenzioneChi lo avrebbe mai detto che i comuni strofinacci che tutti hanno in cucina sono in realtà una delle potenziali cause di intossicazioni alimentari. È quanto emerge da una ricerca dell’Università di Mauritius che è stata presentata ad Asm microbe, l’incontro annuale dell’American Society for Microbiology. Dallo studio è emerso che il 49% degli asciugamani da cucina che sono stati analizzati ha avuto una crescita batterica che è aumentata in relazione a diversi fattori, dal numero dei componenti della famiglia agli eventuali bambini. Gli strofinacci che vengono usati per asciugare le stoviglie e le mani, asciugare la frutta oppure pulire le superfici, avevano un numero di batteri maggiore rispetto agli asciugamani monouso. Inoltre quelli umidi avevano un numero di batteri superiore a quelli asciutti.
I batteri
Dei campioni risultati positivi per la crescita batterica, il 36,7% ha sviluppato coliformi, il 36,7% gli enterococchi e il 14,3% gli stafilococchi aurei. Il rischio di avere i coliformi (genere di cui fa parte anche l’Escherichia coli, normale flora dell’intestino rilasciata nelle feci) era più alto negli asciugamani umidi rispetto a quelli asciutti, negli asciugamani multiuso rispetto a quelli monouso e nelle famiglie che avevano una dieta non vegetariana. La presenza di Escherichia coli è il segno di possibili contaminazioni fecali e della mancanza di condotte igieniche. La presenza di questi potenziali agenti patogeni negli asciugamani da cucina indica, secondo gli studiosi, che potrebbero essere responsabili di contaminazioni che causano intossicazioni alimentari. In altre parole, la pulizia degli strofinacci è tra le cose più importanti da tenere sotto controllo in cucina.
UE. Italia terza per uso di cannabis, quarta per cocaina
Nuove tendenzeL’Italia è al terzo posto in Europa per il consumo di cannabis e al quarto per quello di cocaina. Il dato emerge dal rapporto dell’Agenzia europea delle droghe: la cannabis si conferma la sostanza illecita più consumata, con 24 milioni gli adulti che ne hanno fatto uso nel 2017 in UE. Ai primi posti per maggiore consumo si trovano Francia, Danimarca e subito dopo l’Italia, ma se si prendono in considerazione solo i giovani (15-34 anni), gli italiani sono secondi solo alla Francia.
Cocaina
Il consumo di cocaina ed ecstacy è stabile, ma segna un leggero aumento. Nell’ultimo anno sono stati 3,5 milioni gli europei che hanno consumato cocaina: gli italiani si trovano al quarto posto (1,9%), dopo olandesi (3,7%), danesi (3,9%) e britannici (4%).
Se però si va a considerare il tasso di consumo durante la vita i numeri salgono al 6,8% nel nostro paese, il quarto dato più elevato dopo Regno Unito (9,7%), Spagna (9,1%) e Irlanda (7,1%).
Ecstasy
2,6 milioni di europei nel 2017 hanno fatto uso di ecstasy. In Italia è stata assunta dal 2,8% della popolazione, una percentuale tutto sommato abbastanza bassa, se paragonata al 9,2% di Irlanda e Olanda, al 9% del Regno Unito, al 7,1% della Repubblica Ceca e al 4,2% della Francia. Tra i maggiori produttori di questa sostanza in Europa ci sono soprattutto Paesi Bassi e Belgio, sono stati 11 i laboratori smantellati nell’Unione europea nel 2016 (10 nei Paesi Bassi e uno in Belgio), più del doppio del 2015. L’ecstasy prodotta in Europa viene anche esportata nel mondo: la polizia australiana, ad esempio, ha riferito che la maggior parte della sostanza sequestrata nello stato durante il 2016 (1,2 tonnellate) proveniva proprio dall’Europa. E il numero complessivo di sequestri di Mdma, l’ecstasy appunto, segnalati nell’Unione europea continua a crescere dal 2010.
Le morti
L’agenzia Ue segnala inoltre un aumento del numero di decessi correlati all’eroina in Europa, in particolare nel Regno Unito.
In Inghilterra e Galles, infatti, l’eroina o la morfina sono state menzionate in relazione a 1.177 decessi registrati nel 2015, con un aumento del 18% rispetto all’anno precedente e del 44% rispetto al 2013. Tuttavia la crescita riguarda anche i casi in Scozia e Francia, la prima con 473 decessi nel 2016 (37% in più rispetto all’anno precedente) e la seconda con un aumento di decessi per overdose di eroina pari al 30% nel 2015, rispetto al 15% nel 2012.