Tempo di lettura: 3 minutiIl cancro è la malattia più menzionata su Twitter e Facebook. I pazienti oncologici utilizzano i social network per far parte di una comunità, per sentirsi meno soli e per cercare informazioni. E le donne colpite da tumore alla mammella sono fra le più attive nel mondo digitale. Secondo le ultime ricerche, in Italia quasi il 50% di queste pazienti ricorre ai “social” proprio per condividere l’esperienza della malattia. A ribadirlo è uno studio, presentato nel 2018 al congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), che ha analizzato più di 6.000 azioni su twitter, relativi al tumore del seno (3.703 tweet originali e 2.638 retweet). Solo un tweet su tre è di carattere strettamente medico. I più frequenti sono quelli in cui le donne raccontano la propria esperienza, seguiti dai temi di advocacy (sostegno). La maggior parte (44,5%) dei sottotemi, inoltre, è relativa alla prevenzione. La rivoluzione “imposta” da twitter, facebook o dagli altri social network nel comunicare il “problema cancro” è stata al centro del V Corso Nazionale per giornalisti medico-scientifici e oncologi, organizzato da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Fondazione AIOM, a Venezia.
“I social network possono diventare armi importanti nella lotta contro i tumori – ha dichiarato Stefania Gori, Presidente Nazionale AIOM e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar -. Le potenzialità aggregative di questi strumenti consentono di allargare la rete degli utenti (non solo medici, ma anche pazienti e cittadini) fino a coinvolgerli direttamente nelle attività della società scientifica, favorendo così la loro diffusione virale”.
“I social network permettono anche di realizzare campagne di sensibilizzazione e di promuovere stili di vita sani, raggiungendo specifiche fasce di popolazione, ma sono ancora poco impiegati in questo senso – ha sottolineato Fabrizio Nicolis, Presidente Fondazione AIOM -. Instagram, ad esempio, può essere utilizzato per informare sull’importanza della prevenzione oncologica i più giovani, meno presenti su Facebook e Twitter. Una comunicazione efficace sui social media contribuisce inoltre ad arginare il fenomeno preoccupante delle fake news, obiettivo su cui AIOM e Fondazione AIOM sono in prima linea, anche con il sito dedicato www.tumoremaeveroche.it”.
“Da un’analisi di un campione di 258 associazioni di pazienti, è emerso che i social network e i servizi di telemedicina sono le innovazioni tecnologiche considerate di maggior impatto sull’assistenza medica e sulla salute, con percentuali di risposta rispettivamente dell’81% e del 79%, seguite dall’uso dei dispositivi indossabili (64%) e dalle App per la salute (60%) – ha affermato Giordano Beretta, Presidente eletto AIOM -. Fra gli specialisti, vi è ancora scarsa consapevolezza dell’uso professionale dei social network”.
“Il clinico non deve temere di essere considerato poco professionale se parla ai cittadini con un linguaggio semplice e chiaro, semplificando le informazioni perché possano essere meglio recepite dal pubblico – ha spiegato RobertoBordonaro, Segretario nazionale AIOM -. Nel 2018, in Italia, sono stati stimati 373.300 nuovi casi di tumore: il 63% delle donne e il 54% degli uomini sono vivi a 5 anni dalla diagnosi; questi numeri testimoniano come la prognosi delle malattie tumorali sia molto cambiata e come anche per la collettività occorra che non le si associ più al concetto di incurabilità. Da molte forme tumorali oggi si può guarire e con molte si può convivere a lungo, grazie a cure che sono sempre più rispettose della qualità di vita; è quindi responsabilità dei media, e non solo dei clinici, far conoscere ai cittadini i progressi ottenuti, adottando stili di comunicazione sobri, chiari e obiettivi. Occorre dare speranza senza nel contempo alimentare illusioni, perché queste ultime rischiano di incrinare la fiducia della comunità nei confronti delle scienze oncologiche e delle istituzioni sanitarie nel loro complesso, cosa che, in un Paese che vive purtroppo una grave crisi di valori, non possiamo proprio permetterci”.
“Il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni è cambiato radicalmente – ha detto Saverio Cinieri, Tesoriere nazionale AIOM -. Questi argomenti, fino a una ventina di anni fa, erano per definizione di nicchia e confinati nelle riviste specialistiche. Oggi invece è grande la ‘sete’ di notizie sulla salute. I cittadini possono attingere informazioni direttamente da fonti certificate quando si tratta di profili ufficiali e i clinici trovano in questo scambio un confronto continuo, soprattutto se il social network consente un alto livello di interazione”.
“Informazione e medicina sono due facce della stessa medaglia, con un obiettivo comune: l’interesse dei cittadini e dei pazienti – ha concluso la Presidente Gori -. Il confronto fra clinici e media può contribuire a definire i criteri da adottare nell’utilizzo dei social network, anche con la stesura di linee guida condivise”.
Talassemia, due nuove ricerche da Napoli
News PresaContro la talassemia due nuove ricerche dell’Università Vanvitelli. Si tratta di studi che grazie a innovativi farmaci-trappola puntano a salvare i globuli rossi da sostanze dannose o, con la terapia genica, a trasferire il gene sano per risolvere la malattia. Da Napoli arrivano dunque buone notizie per i 7.000 italiani malati di talassemia, soprattutto per i 4.000 che sono dipendenti dalle trasfusioni di sangue. Le due ricerche sono state pubblicate di recente dal Centro di cura delle Talassemie ed Emoglobinopatie dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Vanvitelli, con altri centri italiani ed esteri, sulle due prestigiose riviste internazionali Blood e Nature Medicine.
LA MALATTIA
«La talassemia o anemia mediterranea – spiega Silverio Perrotta, direttore del Centro della Vanvitelli – è causata da un’alterazione genetica che porta a una sintesi difettosa di emoglobina». Nella forma più grave i pazienti sopravvivono solo grazie ad un regime trasfusionale cronico. In media un bambino con talassemia riceve una trasfusione di sangue ogni mese ma, crescendo, l’intervallo tra una trasfusione e l’altra tende ad essere sempre più breve, con le inevitabili ripercussioni sia in termini di sovraccarico di ferro legato alle trasfusioni, sia in termini di qualità di vita. Le talassemie sono patologie molto frequenti in Italia e in particolare in alcune aree come la Sardegna, il delta padano e la Campania: qui i pazienti con anemia mediterranea sono circa 300, di cui 50 gravi al punto da non poter fare a meno delle trasfusioni. I flussi migratori degli ultimi anni stanno cambiando l’assetto e la presenza delle diverse forme di emoglobinopatie nel nostro paese.
GLI STUDI
Il primo studio, condotto dal 2013 assieme ad altri centri italiani e stranieri e pubblicato su Blood, è una sperimentazione clinica di fase 2 per lo sviluppo di una terapia in grado di ridurre la gravità della talassemia attraverso l’utilizzo del Luspatercept, una proteina ricombinante che funge da “trappola” per alcune delle sostanze che contribuiscono alla morte prematura dei globuli rossi nel midollo osseo. Presso il Centro dell’Ateneo è stato arruolato il più alto numero di pazienti, 13 su 64 totali. «La somministrazione del Luspatercept per via sottocutanea ogni 3 settimane ha aumentato i valori di emoglobina e ridotto la necessità di trasfusioni, con un miglioramento evidente della qualità di vita dei pazienti – osserva Perrotta – La terapia è necessaria in cronico a cadenza regolare per i pazienti dipendenti dalle trasfusioni, può essere saltata qualche iniezione invece nei casi più lievi, che non dipendono dalle trasfusioni. I dati mostrano che nell’81% dei pazienti il numero di trasfusioni si è ridotto di oltre il 20%; in due sperimentazioni cliniche di fase 3 tuttora in corso a cui partecipa il nostro Centro, che a oggi hanno arruolato complessivamente quasi 500 pazienti, i dati preliminari sono ancora più promettenti e mostrano come il 70% dei pazienti dipendenti da trasfusioni ha ridotto di un terzo la necessità di sangue da donatori, il 10% ha addirittura dimezzato le trasfusioni».
TERAPIA GENICA
La seconda ricerca a cui ha partecipato il Centro della Vanvitelli, finanziata da Telethon, mira a rendere i pazienti talassemici del tutto indipendenti dalle trasfusioni grazie alla terapia genica; i risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Medicine. «Il trattamento prevede il trasferimento del gene sano all’interno delle cellule del paziente, in modo da compensare il difetto genetico e tentare la guarigione completa – prosegue Perrotta -. Si tratta in sostanza di una sorta di auto-trapianto, in cui le cellule del paziente vengono prelevate, modificate in laboratorio e reinfuse nel paziente stesso una volta corrette». La ricerca si è svolta al San Raffaele di Milano, coordinata dai docenti Aiuti e Ferrari del gruppo TIGET (Istituto San-Raffaele-Telethon di Terapia Genica), e ha coinvolto 9 soggetti di diversa età – 3 adulti sopra i trent’anni, 3 adolescenti e 3 bambini sotto i sei anni di età – tutti con forme di beta talassemia gravi al punto da renderli trasfusione-dipendenti. «La terapia genica – aggiunge Perrotta – si è dimostrata sicura ed efficace. Gli adulti trattati, a quasi 3 anni distanza, hanno riportato una riduzione significativa del numero di trasfusioni necessarie alla gestione della malattia ma in 3 dei soggetti più giovani si è raggiunta la totale indipendenza dalle trasfusioni di sangue. Solo uno dei bambini trattati non ha riportato effetti positivi sul decorso della malattia e i ricercatori stanno ora cercando di capirne il motivo. E’ la prima volta che la terapia genica è stata utilizzata in pazienti pediatrici talassemici e i risultati di questo studio sembrerebbero dimostrare una maggiore efficacia nei bambini rispetto agli adulti, forse perché i bambini sono più protetti dal potenziale danno d’organo che si sviluppa col passare degli anni di malattia».
Alterazioni della retina possibile segno di alzheimer. Lo studio
Ricerca innovazioneAttraverso una visita oculistica si possono avere dei segnali che riguardano la salute del cervello. Una nuova ricerca del Duke Eye Center condotta su 200 soggetti sembrerebbe suggerire che la perdita di vasi sanguigni nella retina potrebbe rappresentare un segnale del morbo di Alzheimer.
Lo studio
Osservando la retina di una persona sana, i vasi sanguigni formano una rete fitta e compatta, in quella di una persona affetta da Alzheimer, esaminando la retina attraverso un’angiografia basata sulla tomografia a coerenza ottica (OCTA) si notano vasi sanguigni meno densi. La tecnica cattura in pochi minuti immagini ad alta risoluzione dei piccoli vasi sanguigni che si trovano all’interno della retina. Una scansione OCTA potrebbe anche rivelare cambiamenti nei capillari più piccoli della metà della larghezza di un capello umano prima che i cambiamenti dei vasi sanguigni diventino evidenti attraverso una scansione cerebrale come una risonanza magnetica o un’angiografia cerebrale, tecniche che evidenziano solo i vasi sanguigni più grandi.
In futuro
Si tratta di un passo verso nuovi sbocchi nella prevenzione dell’Alzheimer L’osservazione ha suggerito che un giorno un rapido esame degli occhi potrebbe consentire ai medici oculisti di controllare sia la prescrizione degli occhiali sia la salute del cervello. La ricerca è stata pubblicata di recente sulla rivista OphthalmologyRetina. In altre parole si ipotizza che la perdita di vasi sanguigni nella retina possa essere usato come segno diagnostico della malattia degenerativa.
«Le differenze di densità sono risultate significative dal punto di vista statistico dopo che i ricercatori hanno controllato diversi fattori tra cui l’età, il sesso e il livello di istruzione» scrive Sharon Fekrat, chirurgo della retina del Duke Eye Center nonché autore senior dello studio.
Gli scienziati del Duke Eye Center hanno anche individuato cambiamenti nella retina che potrebbero segnalare problemi a monte nel cervello, come il diradamento di alcuni strati nervosi retinici.
La notte dei Re, quando lo sport è solidale
SportLa notte dei Re”, mai nome fu mai più azzeccato. Il 2 giugno 2019, infatti, una straordinaria sfida sportiva metterà a confronto ex Re del calcio con un solo obiettivo: sostenere il progetto di creare all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù anche l’Istituto dei Tumori e dei Trapianti. Sfida centrale della notte dei Re, quella che vedrà faccia a faccia Francesco Totti e Luis Figo. L’VIII Re di Roma scenderà di nuovo in campo per sfidare il Re dei Galacticos in un match sei contro sei, al quale prenderanno parte tante altre star calcistiche.
UN NUOVO SPORT
Nasce di fatto una nuova disciplina: “Soccer Six”, grazie all’impulso dell’International Football Development Association. Così gli ex campioni diventati leggende possono ancora calcare il campo da gioco e regalare emozioni. Entusiasti durante la conferenza stampa di presentazione, i due protagonisti Francesco Totti e Luis Figo hanno promesso che «sarà una serata emozionante». Il tutto con la voglia di fare del bene e divertirsi, per una notte veramente straordinaria. «Un evento nuovo e originale che ha come obiettivo quello di far divertire le tante persone che assisteranno al match – ha detto Totti -. Insieme a me e Luis, uno dei giocatori più forti che abbia mai sfidato, ci saranno altri grandi calciatori nostri amici che vi sveleremo nelle prossime settimane.
OBIETTIVO SOLD OUT
«Mi auguro di fare il sold out – ha concluso il capitano – perché questa partita nasce per sostenere l’Ospedale Bambino Gesù. Proprio per questo motivo l’ho voluta fortemente. L’intenzione è quella di ripetere l’evento anche nei prossimi due anni sfidando altre due leggende del calcio mondiale». Felice di aderire e di sfidare Totti nella sua città, Figo ha aggiunto: «Quando Francesco mi ha chiamato non ho potuto far altro che accettare perché lo considero uno dei forti calciatori di sempre. Disputare questa partita insieme ad altre stelle per una buona causa, poi, renderà la giornata veramente speciale. Il pubblico romano – ha proseguito l’ex calciatore di Sporting Lisbona, Barcellona, Real Madrid e Inter – è sempre molto appassionato e per questo motivo non ho dubbi che risponderà alla grande».
Mortificazioni verso chi è grasso. Aumenta fat-shaming: effetto domino sociale
PsicologiaSi chiama ‘fat-shaming’ ed è un fenomeno pericoloso che prende di mira persone in sovrappeso, costrette a subire mortificazioni attraverso il web. Secondo i numeri si tratta di una tendenza in aumento. Un recente studio ha rilevato che quando queste offese sono rivolte a persone famose si verifica un effetto domino per cui le donne diventano sempre più critiche. La ricerca, realizzata dalla McGill University, è stata pubblicata su Personality and Social Psychology Bulletin. I ricercatori hanno coinvolto circa 90mila persone in un test online denominato Weight Implicit Association, sul peso e il modo di percepirlo, svolto dal 2004 al 2015. Il team ha selezionato 20 episodi mediatici di fat-shaming che hanno coinvolto persone famose. Uno di questi eventi, ad esempio, riguarda la frase di Karl Lagerfeld rivolta alla cantante Adele definita “un po’troppo grassa”; o l’episodio che ha interessato Tyra Banks, di cui è stato criticato il corpo in costume da bagno. Gli episodi sono innumerevoli, come ancora la vicenda di Kourtney Kardashian, addirittura rimproverata dal marito per non aver perso peso abbastanza velocemente dopo una gravidanza nel 2014. Sono molto spesso le donne ad essere prese di mira dalle mortificazioni. Durante lo studio sono state analizzate le reazioni delle donne coinvolte nell’indagine due settimane prima e due settimane dopo ognuno di questi avvenimenti. Dai risultati è emerso che questi episodi hanno provocato un picco degli atteggiamenti contro il sovrappeso. “Questi messaggi – spiega Jennifer Bartz, una delle autrici dello studio – sembrano accrescere il sentimento nelle donne che magro è buono e grasso è cattivo. Possono lasciare una traccia privata nella mente delle persone”. In altre parole, un incentivo al diffondersi dei disturbi alimentari e di una cattiva accettazione del proprio corpo.
Soldi sporchi, ecco perché sono pericolosi
PrevenzioneI soldi piacciono a tutti, ma spesso ci si dimentica che le banconote e le monete sono uno straordinario vettore di batteri. Eppure, anche i più attenti all’igiene si dimenticano quasi sempre di adottare comportamenti prudenti dopo aver maneggiato banconote o spiccioli. Un esempio? Beh, magari quanti maneggiano con disinvoltura un cono gelato dopo aver ricevuto il resto alla cassa. Certamente le abitudini cambierebbero all’istante ci fosse il modo di vedere i microbi che popolano le amate banconote. Uno studio in questo senso lo hanno prodotto i ricercatori della New York University. Questi signori hanno analizzato una banconota da un dollaro, ma con gli euro la situazione è la stessa.
DIRTY MONEY
Lo studio Usa ha un nome molto evocativo, si chiama infatti “Dirty Money”. Si tratta in realtà di un progetto molto ampio che punta a ricostruire lo stato di salute dei newyorkesi (e la varietà dei batteri che si portano addosso) dal DNA dei microbi sul denaro in circolazione. Nella ricerca sulle banconote, Jane Carlton e i suoi colleghi hanno preso come campione ottanta banconote da un dollaro da una banca di Manhattan, e hanno sequenziato il DNA presente. Quello che hanno trovato è sorprendente. Moltissimi i microbi, la maggior parte relativamente innocui per le persone, ma alcuni anche molto pericolosi. Il totale delle tipologie di batteri individuati arriva addirittura a 3mila. Incluse alcune specie resistenti agli antibiotici. Solo per il 20 per cento circa del DNA batterico è risultato appartenere a specie conosciute, mentre per il resto si tratta di microbi non ancora classificati.
I RISCHI
Le specie più abbondanti identificate sui soldi sono i batteri che causano l’acne, seguiti dalla flora batterica normalmente presente sulla pelle. Ma è stata riscontrata anche la presenza di specie di stafilococchi patogeni e di batteri associati all’ulcera gastrica, alla polmonite e alle intossicazioni alimentari. Uno stidio simile è stato condotto anche in Europa, dall’Università di Oxford. Una banconota europea contiene in media 26mila batteri, appartenenti a diverse specie, alcune delle quali patogene. La valuta più contaminata è la corona danese (40.200 batteri), seguita dal franco svizzero (32.400 batteri). La carta degli euro invece è la più pulita, con 11.000 microrganismi mediamente presenti. Ma questo non significa affatto che maneggiare soldi e cibo sia una buona idea. Quindi, dopo aver maneggiato denaro, la cosa migliore è sempre quella di lavarsi bene le mani.
Senza voce una persona su tre almeno una volta nella vita
PrevenzioneSaper respirare e parlare senza sforzare le corde vocali è alla base della protezione della nostra voce. Molto condizionata dagli stati emotivi, la voce è anche influenzata da molte malattie come il reflusso gastroesofageo, le infezioni delle vie respiratorie e i tumori. Attraverso il parlato, insomma, si possono capire molte cose. Secondo le statistiche più recenti, circa il 30% delle persone almeno una volta nella vita va incontro a raucedine o afonia, tra gli insegnanti la percentuale arriva al 60%. Si è celebrata nei giorni scorsi la Giornata mondiale dedicata alla prevenzione. Lo slogan dell’iniziativa è stato”Sii gentile con la tua voce”. Tra le categorie più colpite ci sono: cantanti e attori ma anche maestre e professori, istruttori di fitness, operatori di call center, in altre parole si tratta delle persone che utilizzano la voce per lavoro e che spesso, in maniera inconsapevole, rischiano di comprometterla.
I disturbi
La disfonia è uno dei problemi più comuni e può essere di tipo qualitativo (il timbro diventa più rauco) e quantitativo (la voce cala). Si tratta di un disturbo da non sottovalutare, che può essere senza lesioni specifiche, oppure organica quando si arriva ad avere alterazioni delle corde vocali, come i noduli cordali. Questo avviene quando si abusa della voce per molto tempo. Ci sono alcuni campanelli d’allarme a cui prestare attenzione, specialmente se sono ricorrenti e indicano quindi la sofferenza degli organi fonatori, come ad esempio i cali della voce, le alterazioni del timbro, fatica nel conversare a fine giornata, laringiti e faringiti frequenti.
Le regole di prevenzione
Per sensibilizzare alla prevenzione ci sono state iniziative in tutto il mondo e negli ospedali italiani hanno informato ed effettuato visite gratuite. Una delle regole più importanti di igiene vocale è quella di evitare fumo e polvere. È importante tenere sotto controllo il reflusso gastroesofageo, ridurre l’inquinamento acustico nell’ambiente, mantenere un adeguato livello di umidità nell’aria e bere spesso. Per proteggere la voce, secondo gli esperti, è giusto dare riposo alle corde vocali, bastano ad esempio delle pause di silenzio, respirare più lentamente e rallentare il ritmo e il volume della conversazione. Infine, anche la postura può aiutare: per permettere alla voce di fluire bene, il collo deve essere in linea con la schiena o leggermente reclinato in avanti.
Cancro malattia più menzionata su Twitter e Facebook. Rischi fake news
PrevenzioneIl cancro è la malattia più menzionata su Twitter e Facebook. I pazienti oncologici utilizzano i social network per far parte di una comunità, per sentirsi meno soli e per cercare informazioni. E le donne colpite da tumore alla mammella sono fra le più attive nel mondo digitale. Secondo le ultime ricerche, in Italia quasi il 50% di queste pazienti ricorre ai “social” proprio per condividere l’esperienza della malattia. A ribadirlo è uno studio, presentato nel 2018 al congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), che ha analizzato più di 6.000 azioni su twitter, relativi al tumore del seno (3.703 tweet originali e 2.638 retweet). Solo un tweet su tre è di carattere strettamente medico. I più frequenti sono quelli in cui le donne raccontano la propria esperienza, seguiti dai temi di advocacy (sostegno). La maggior parte (44,5%) dei sottotemi, inoltre, è relativa alla prevenzione. La rivoluzione “imposta” da twitter, facebook o dagli altri social network nel comunicare il “problema cancro” è stata al centro del V Corso Nazionale per giornalisti medico-scientifici e oncologi, organizzato da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Fondazione AIOM, a Venezia.
“I social network possono diventare armi importanti nella lotta contro i tumori – ha dichiarato Stefania Gori, Presidente Nazionale AIOM e Direttore dipartimento oncologico, IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria-Negrar -. Le potenzialità aggregative di questi strumenti consentono di allargare la rete degli utenti (non solo medici, ma anche pazienti e cittadini) fino a coinvolgerli direttamente nelle attività della società scientifica, favorendo così la loro diffusione virale”.
“I social network permettono anche di realizzare campagne di sensibilizzazione e di promuovere stili di vita sani, raggiungendo specifiche fasce di popolazione, ma sono ancora poco impiegati in questo senso – ha sottolineato Fabrizio Nicolis, Presidente Fondazione AIOM -. Instagram, ad esempio, può essere utilizzato per informare sull’importanza della prevenzione oncologica i più giovani, meno presenti su Facebook e Twitter. Una comunicazione efficace sui social media contribuisce inoltre ad arginare il fenomeno preoccupante delle fake news, obiettivo su cui AIOM e Fondazione AIOM sono in prima linea, anche con il sito dedicato www.tumoremaeveroche.it”.
“Da un’analisi di un campione di 258 associazioni di pazienti, è emerso che i social network e i servizi di telemedicina sono le innovazioni tecnologiche considerate di maggior impatto sull’assistenza medica e sulla salute, con percentuali di risposta rispettivamente dell’81% e del 79%, seguite dall’uso dei dispositivi indossabili (64%) e dalle App per la salute (60%) – ha affermato Giordano Beretta, Presidente eletto AIOM -. Fra gli specialisti, vi è ancora scarsa consapevolezza dell’uso professionale dei social network”.
“Il clinico non deve temere di essere considerato poco professionale se parla ai cittadini con un linguaggio semplice e chiaro, semplificando le informazioni perché possano essere meglio recepite dal pubblico – ha spiegato RobertoBordonaro, Segretario nazionale AIOM -. Nel 2018, in Italia, sono stati stimati 373.300 nuovi casi di tumore: il 63% delle donne e il 54% degli uomini sono vivi a 5 anni dalla diagnosi; questi numeri testimoniano come la prognosi delle malattie tumorali sia molto cambiata e come anche per la collettività occorra che non le si associ più al concetto di incurabilità. Da molte forme tumorali oggi si può guarire e con molte si può convivere a lungo, grazie a cure che sono sempre più rispettose della qualità di vita; è quindi responsabilità dei media, e non solo dei clinici, far conoscere ai cittadini i progressi ottenuti, adottando stili di comunicazione sobri, chiari e obiettivi. Occorre dare speranza senza nel contempo alimentare illusioni, perché queste ultime rischiano di incrinare la fiducia della comunità nei confronti delle scienze oncologiche e delle istituzioni sanitarie nel loro complesso, cosa che, in un Paese che vive purtroppo una grave crisi di valori, non possiamo proprio permetterci”.
“Il modo di comunicare i temi medico-scientifici negli ultimi decenni è cambiato radicalmente – ha detto Saverio Cinieri, Tesoriere nazionale AIOM -. Questi argomenti, fino a una ventina di anni fa, erano per definizione di nicchia e confinati nelle riviste specialistiche. Oggi invece è grande la ‘sete’ di notizie sulla salute. I cittadini possono attingere informazioni direttamente da fonti certificate quando si tratta di profili ufficiali e i clinici trovano in questo scambio un confronto continuo, soprattutto se il social network consente un alto livello di interazione”.
“Informazione e medicina sono due facce della stessa medaglia, con un obiettivo comune: l’interesse dei cittadini e dei pazienti – ha concluso la Presidente Gori -. Il confronto fra clinici e media può contribuire a definire i criteri da adottare nell’utilizzo dei social network, anche con la stesura di linee guida condivise”.
Cioccolata, un nettare per la salute
AlimentazionePer grandi e piccini,chiaramente al di là della sfera religiosa, la Pasqua è sinonimo di cioccolato. Scartare le uova, che siano di cioccolata al latte o fondente, è un momento di enorme gioia. Proprio per questo abbiamo voluto provare a indagare sugli effetti del cioccolato (assunto con moderazione) per capire se possiamo concederci all’assaggio del tanto atteso uovo a cuor leggero. Insomma, esiste qualche beneficio per la salute che possa farci sentire un po’ meno in colpa dopo questo “peccato di gola”? A quanto pare la risposta è sì. Anzi, a sbirciare il magazine on line di Federchimica le risposte sono veramente tante. Eccone alcune:
Il cioccolato aiuta a vivere più a lungo? Vero.
Una ricerca dell’Università di Harvard, che ha seguito un campione di 7.841 persone di 65 anni per cinque anni, ha riscontrato che coloro che mangiavano cioccolato tre volte al mese vivevano più a lungo (36% di rischio di mortalità in meno) rispetto a quelli che ne facevano a meno. E anche per i più golosi che tendevano ad esagerare il vantaggio in termini di rischio di mortalità era comunque presente, seppur più basso.
Il cioccolato fa male al cuore? Falso.
Al contrario, il cioccolato, grazie alla presenza di flavonoidi ad azione antiossidante, riduce l’ossidazione dei grassi nel sangue e può aiutare a limitare il danno dei radicali liberi sulle arterie, agendo come protettore dei vasi sanguinei e a beneficio del cuore.
Il cioccolato aiuta a combattere la stanchezza? Vero.
Il cioccolato contiene sostanze quali la teobromina e piccole quantità di caffeina, responsabili del senso di “risveglio” che danno il caffè e il tè. 125g di cioccolato forniscono infatti tanta caffeina quanto una tazza di caffè. Inoltre, gustare una piccola porzione di cioccolato fondente tre volte a settimana, aiuterebbe a ridurre i sintomi della sindrome da stanchezza cronica, agendo come naturale “rifornimento” di sostanze anti-stanchezza, inclusi alcuni minerali (soprattutto magnesio e potassio).
Il cioccolato fa ingrassare? Falso.
È stato dimostrato come il cioccolato, specialmente fondente quindi con un contenuto di cacao superiore al 70%, non solo non faccia ingrassare, ma abbia proprietà benefiche da questo punto di vista. Il cacao è infatti ricco di teobromina, una sostanza in grado di abbassare i livelli di colesterolo nel sangue e ridurre il senso di fame.
GLI STUDI
Su tutti questi punti ci sentiamo di ribadire che la differenza la fa la quantità, si deve sempre avere un consumo ragionevole. Detto questo, le ricerche in materia sono moltissime, a riprova del fatto che in tutto il mondo sono moltissimi i fan del cacao. Ne sono state pubblicate almeno 11 negli ultimi 6 anni solo sul cuore e i vasi sanguigni: il consumo di cacao e di cioccolato risulta associato a effetti positivi per la pressione sanguigna, i livelli di colesterolo e la salute delle arterie. Molto interessante il parere di Monica Giroli, biologo nutrizionista, specialista in scienza dell’alimentazione dell’Unità Prevenzione Aterosclerosi del Centro Cardiologico Monzino di Milano: «Pare che i benefici si debbano all’azione antiossidante dei flavonoidi contenuti nel cacao, gli stessi di cui sono ricchi, ad esempio, i frutti rossi. Ma studi più recenti sottolineano anche il ruolo della teobromina, un alcaloide contenuto nella pianta del cacao (della stessa «famiglia» è la caffeina) ad azione vasodilatatrice e cardiostimolante. Quasi tutte le ricerche, però – conclude la ricercatrice – mostrano un effetto dose-dipendente: la misura del beneficio è direttamente proporzionale alla quantità assunta». Il cioccolato è insomma pieno di qualità benefiche:antistress, antinfiammatorio, anticoagulante, benefico per il fegato, contro il colesterolo e il mal di testa. Dolce Pasqua a tutti,
Atleti paralimpici, la nuova proposta di legge
News PresaRoma – Una proposta di legge per il reclutamento degli atleti paralimpici con disabilità fisiche nei gruppi sportivi militari e dei corpi dello Stato. Dopo la richiesta dello scorso giugno di introdurre degli ausili e protesi sportive tra i dispositivi erogati dal Servizio Sanitario Nazionale, Giusy Versace vuole porre l’attenzione sul rapporto tra atleti paralimpici e Gruppi Sportivi Militari. Campionessa paralimpica, oggi membro della commissione Affari Sociali di Montecitorio con delega alle Pari Opportunità e Disabilità, Versace chiede di equiparare il trattamento economico degli atleti paralimpici, in forza ai gruppi sportivi militari, a quello degli atleti normodotati e di offrire la stessa opportunità lavorativa al termine della carriera agonistica, consentendo loro di scegliere se congedarsi o prendere servizio, cosa che con le attuali normative non accade.
La Proposta di Legge n. 1721, firmata al momento da 40 deputati di Forza Italia e presentata ufficialmente il 1° aprile scorso, potrebbe arrivare in aula già durante la prossima estate. Sostanzialmente chiede: di equiparare il trattamento economico tra atleti paralimpici e gli atleti normodotati in forza ai ruppi sportivi militari, e di offrire anche ai paralimpici le stesse opportunità lavorative al termine della carriera agonistica, consentendo loro di scegliere se congedarsi o prendere servizio, cosa che con le attuali normative non accade. In questo modo, anche molti ruoli di ufficio, in tutte le forze dell’ordine, potrebbero essere ricoperti da persone disabili.
La proposta è stata presentata questa mattina, in una conferenza stampa a Palazzo Montecitorio al quale hanno preso parte il presidente dei deputati di Forza Italia Mariastella Gelmini, il portavoce dei gruppi azzurri di Camera e Senato Giorgio Mulè, il giornalista sportivo e firma di Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport Claudio Arrigoni e il presidente del CIP Luca Pancalli. Anche il presidente del Coni Giovanni Malagò, assente per impegni, ha voluto dare il proprio contributo attraverso un videomessagio nel quale ha parlato di un “progetto di legge importante, di grande significato”.
Hanno partecipato anche i rappresentanti di tutti i Gruppi Sportivi Militari e di Polizia, e alcuni campioni paralimpici tra cui i nuotatori Giulia Ghiretti (Fiamme Oro) e Marco Iannuzzi (Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa), la velocista Oxana Corso (Fiamme Gialle) e il lanciatore Oney Tapia (Fiamme Azzurre) e lo schermidore Alessio Sarri (Fiamme Oro).
“Ho lavorato a lungo su questa proposta di legge; sono stati mesi di notti insonni, studi, approfondimenti e confronti ed essere qui quest’oggi è per me una grande emozione perché, se approvata, questa legge rappresenterebbe una svolta nel mondo dello sport e un’opportunità di crescita per il mondo paralimpico. Sono felice che siano intervenuti tutti i capi dei dipartimenti e i responsabili dei Gruppi Sportivi Militari e Corpi dello Stato con i loro atleti, e sono grata del fatto che abbiano accolto il mio invito e offerto la loro collaborazione ” ha commentato Giusy Versace.
“Come CIP siamo felicissimi di supportare Giusy nel suo percorso legislativo – ha dichiarato il presidente Luca Pancalli – noi abbiamo iniziato a prendere contatti con i gruppi sportivi militari agli albori dell’era paralimpica, e adesso dobbiamo percorrere tutti insieme questo “ultimo miglio” perché si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale”. Pancalli ha anche ricordato che “fino ad oggi l’inquadramento nei gruppi sportivi militari, per i disabili, è stato impedito dall’obbligo della sana e robusta costituzione. Ora dobbiamo superare l’ultima barriera per i ruoli speciali, e manca uno strumento normativo”.
Il pane agli agrumi che previene il diabete
AlimentazioneForse i maestri panificatori lo guarderanno con aria di diffidenza, ma è un dato di fatto che il pane di grano duro arricchito con fibre di agrumi sta riscuotendo grande interesse ancor prima di arrivare in commercio. Il motivo è semplice. Le fibre alimentari aiutano a mantenersi in salute e contribuiscono a prevenire le malattie cardiovascolari e l’insorgenza del diabete di tipo 2. In effetti, qualcuno lo avrà già capito, questo non è il tipico prodotto da “panificio casareccio”, si tratta di qualcosa di un po’ più sofisticato. A produrlo, o sarebbe il caso di dire “ad inventarlo”, sono stati i ricercatori del CREA (centri di Cerealicoltura e Colture Industriali e di Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura) che hanno puntato “ad alto contenuto di fibre”, arricchito per la prima volta con le fibre contenute nella farina di agrumi.
LA FARINA
Si tratta di una farina sino ad oggi poco considerata, perché si ottiene dopo moltissimi lavaggi ed essiccazione dal “pastazzo” (vale a dire buccia, polpa e semi). La cosa ottima è che in pratica è un sottoprodotto della lavorazione degli agrumi che ancora oggi per i produttori è più che altro un oneroso rifiuto, con costi di smaltimento molto alti, vista anche la produzione che è di circa 500.000 tonnellate all’anno. Lo studio, realizzato in sinergia con il Dipartimento di Agricoltura Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania, si è conquistato un posto sulla rivista Frontiers in Nutrition.
PREROGATIVE UNICHE
Dal punto di vista chimico-fisico le fibre di agrumi non hanno alcun effetto negativo sulla conservabilità del pane, sul volume e sul peso, sulla struttura interna e sul pH. Insomma il pane è proprio come quello che siamo abituati a consumare. Ma non dal punto di vista sensoriale. No, i pani arricchiti con fibre di arance rosse e di limone hanno un leggero (e a quanto pare delizioso) sapore agrumato. A differenza del pane prodotto con uno sfarinato integrale 100% di grano, quello arricchito con le farine di agrumi preserva le caratteristiche fisiche e sensoriali del pane tradizionale, ma con un maggiore valore nutrizionale. E, cosa che non guasta, l’uso di fibre di agrumi nella panificazione è certamente un’alternativa ecologica per il riutilizzo e la valorizzazione degli scarti e dei sottoprodotti della lavorazione degli agrumi.