Tempo di lettura: 4 minutiLe immunodeficienze primitive rappresentano un gruppo di oltre 250 malattie rare e congenite. Queste patologie, compromettendo il sistema immunitario, favoriscono infezioni frequenti e anche gravi. La diagnosi, quando arriva, spesso è tardiva: passano in media 5,5 anni dai primi sintomi per gli adulti e 2,5 anni per i bambini. Eppure potrebbe essere possibile avere una diagnosi precoce e indirizzare così i pazienti a un percorso terapeutico – garantito alla stessa maniera su tutto il territorio – in grado di tenere sotto controllo o mitigare la malattia. Sono questi gli obiettivi della proposta di legge: “Disposizioni concernenti la diagnosi, l’assistenza e la cura delle immunodeficienze congenite (IDC)”, su iniziativa dei deputati PD Paolo Siani, Ubaldo Pagano e Vito de Filippo, componenti della XII Commissione Affari Sociali della Camera, presentata oggi a Palazzo Montecitorio. Alla presentazione hanno preso parte rappresentanti del mondo medico scientifico, rappresentanti delle associazioni pazienti e alcuni rappresentanti della sanità locale.
La proposta di legge sulle immunodeficienze
“Il senso di questa proposta di legge sta anzitutto nel bisogno di individuare queste malattie quando il bambino non ha ancora contratto infezioni, evitando così sofferenza, complicanze e in alcuni casi anche la morte – ha spiegato l’On. Paolo Siani, primo firmatario – La nostra idea è stata quella di proporre una legge che permetta di individuarle alla nascita attraverso lo screening e questa proposta di legge mira a dare lo strumento a tutte le Regioni per poter introdurre questa misura. Un’altra ragione che sta dietro questa proposta – ha concluso l’On. Siani – è la volontà di mettere in rete tutti i servizi che servono per le immunodeficienze e di includere nel percorso la fase di transizione dall’età pediatrica a quella adulta facendo in modo che, attraverso la rete che proponiamo, non si interrompa l’assistenza. Inoltre vanno inseriti nella rete non solo i presidi ospedalieri, ma anche i servizi di sostegno psicologico ai pazienti e alle famiglie. In particolare, ai fratelli dei bambini affetti da immunodeficienza.”
L’articolo 1 della proposta di legge, infatti, dispone che le Regioni e le Province autonome predispongano delle azioni programmate al fine di giungere ad una precoce diagnosi della patologia, attraverso: la diagnosi mediante procedure di screening neonatale, l’aggiornamento del personale socio-sanitario e la predisposizione di reti integrate di presidi. Tra le misure proposte anche quella di una ‘Tessera del paziente’ – descritta all’art. 5 – da varare entro i 90 giorni dall’approvazione e dove saranno scritte la diagnosi, le complicanze della malattia e grazie alla quale il paziente potrà accedere a tutti i servizi dedicati sia in regime ospedaliero di ricovero, sia ambulatoriale, di day hospital e cure a domicilio.
“La nostra proposta di legge intende fornire una risposta di sistema ai pazienti di IDC. L’obiettivo è arrivare a identificare il prima possibile queste malattie, fornire le terapie e l’assistenza necessarie, inclusa la riabilitazione e il sostegno psicologico, al fine di sostenere i pazienti e le loro famiglie nel percorso di cura – ha spiegato l’On UbaldoPagano – La legge, in sintesi, vuole istituire una disciplina organica delle necessità connesse alla patologia e assicurare omogeneità di trattamento su tutto il territorio nazionale, fornendo alle Regioni una serie di strumenti necessari allo scopo, sostenendo la ricerca e gettando le fondamenta per la creazione di reti integrate di assistenza capaci di accompagnare il paziente per il corso dell’intera vita, nell’ottica di una reale continuità assistenziale” .
“La proposta di legge, a cui l’AIP Onlus ha collaborato attivamente, è sicuramente una buona notizia per i pazienti affetti da Immunodeficienze Primitive – afferma Alessandro Segato, Presidente dell’Associazione Immunodeficienze Primitive (AIP)Onlus – in quanto permette di accendere la luce su temi e patologie che raramente sono nell’agenda politica e all’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica. Confidiamo che i contenuti della legge possano permettere diagnosi tempestive e facilitare e rendere omogenei i percorsi terapeutici sul territorio nazionale anche grazie al coinvolgimento delle associazioni di pazienti, come previsto dall’art. 8. Auspichiamo e sollecitiamo che si abbia la possibilità di calendarizzare nei lavori parlamentari la proposta al più presto affinché possa vedere la luce quanto prima.”
Tra i partecipanti alla conferenza stampa anche il prof. Alessandro Aiuti, Vice-direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia genica (Sr-Tiget) di Milano, che a queste gravi malattie ha dedicato la sua carriera professionale, contribuendo in modo determinante alla messa a punto della terapia genica per alcune forme di immunodeficienze di origine genetica, come il deficit di adenosina deaminasi (ADA SCID) e la sindrome di Wiskott-Aldrich. “In questi anni – ha spiegato Aiuti – la terapia genica si è dimostrata sicura e in grado di restituire a questi bambini una vita normale, fatta di scuola, vita in famiglia e all’aria aperta. Nel 2016 quella per l’ADA-SCID è stata la prima terapia genica ex vivo al mondo a diventare un farmaco disponibile sul mercato e contiamo che altre seguano lo stesso percorso. La diagnosi precoce grazie allo screening neonatale è fondamentale per offrire nel più breve tempo possibile le terapie disponibili: ecco perché questa legge è importante, per i pazienti di oggi e di domani”.
Campanelli d’allarme e benefici dello screening neonatale
A confermare i benefici che potrebbero derivare dallo screening neonatale per l’Ada Scid ci sono anche i recenti dati di uno studio svolto in California, paese che effettua questo test già dal 2010. Lo studio analizza i risultati di 6 anni e mezzo di screening, nel corso dei quali sono stati sottoposti al test più di 3,25 milioni di neonati. Fra questi sono stati trovati 50 casi di SCID, il 94% di questi è sopravvissuto grazie ad un trattamento tempestivo.
In attesa che questa proposta di legge compia il suo iter parlamentare e che la diagnosi venga fatta sistematicamente attraverso lo screening neonatale, come già avviene per molte altre patologie, può essere utile tenere d’occhio alcuni particolari sintomi e condizioni che si presentano nei bambini o negli adulti: i 10 campanelli d’allarme delle immunodeficienze, nei bambini e negli adulti sono elencati dall’associazione pazienti AIP onlus in due distinti poster e sul sito dell’associazione.
Alla conferenza di presentazione della legge hanno preso parte anche il prof. Claudio Pignata dell’Università Federico II di Napoli, Coordinatore nazionale rete Centri per Immunodeficienze (IPINET),la prof.ssa Viviana Moschese, Professore associato di Pediatria, Università Tor Vergata, Clemente Ferraro, padre di due figli affetti da patologia cronica immunologica, Andrea Gressani e Filippo Cristoferi Vice-presidente e Responsabile relazioni istituzionali dell’Associazione Immunodeficienze primitive (AIP ONLUS), Sara Biagiotti, Presidente dell’associazione Nazionale Atassia-Teleangiectasia con i rappresentanti dei genitori dell’associazione stessa Amalia Migliaccio e Giuseppe Di Prisco, Antonio Sanguedolce, Direttore generale ASL Bari e Vitangelo Dattoli, Direttore generale Policlinico di Foggia.
World Blood Donor Day 2020 sarà in Italia. Grillo: riconoscimento alla qualità
News PresaSarà l’Italia ad ospitare l’evento globale dell’edizione 2020 del World Blood Donor Day, celebrato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno il 14 giugno. L’OMS ha infatti comunicato che la candidatura, avanzata lo scorso dicembre dal ministero della Salute, Centro nazionale sangue e Associazioni e Federazioni di donatori è risultata vincitrice, con il nostro Paese che succederà al Ruanda, vincitore di quest’anno.
“L’Oms ha apprezzato l’autorevolezza e l’efficacia della proposta italiana – dichiara il ministro della Salute, Giulia Grillo –. L’assegnazione dell’evento globale è un riconoscimento alla qualità del nostro sistema sangue e alla generosità dei nostri donatori, che insieme riescono a garantire l’autosufficienza all’Italia sia per gli interventi urgenti che per migliaia di pazienti che dipendono quotidianamente dalle trasfusioni e dai medicinali plasmaderivati. Sarà anche l’occasione per promuovere in tutto il mondo il modello del sistema sangue italiano che grazie alla donazione volontaria, anonima, non remunerata, responsabile e periodica garantisce terapie salvavita a tutti i pazienti che ne hanno necessità. Il successo arriva a pochi giorni dall’approvazione da parte dell’Oms della risoluzione italiana sui farmaci, ed è un segno ulteriore della considerazione di cui gode il nostro Paese per le politiche della salute”.
World Blood Donor Day 2020
L’iniziativa, coordinata dal Centro nazionale sangue, ha ricevuto l’appoggio delle principali associazioni di pazienti e società scientifiche nell’ambito della medicina trasfusionale e delle malattie del sangue. La nazione vincitrice realizzerà la campagna di comunicazione ufficiale dell’Oms e organizzerà eventi scientifici, celebrativi e di promozione della donazione con la partecipazione di una delegazione dei dirigenti dell’Organizzazione. Il prossimo 14 giugno ci sarà il ‘passaggio di consegne’ con la cerimonia dello scambio delle bandiere a Kigali, al termine della celebrazione del WBDD 2019.
“La candidatura per la Giornata Mondiale ha impegnato tutti gli attori del sistema, dal ministero della Salute ai volontari e ai pazienti e alle società scientifiche di settore – sottolinea Giancarlo Liumbruno, Direttore generale del Cns –. La vittoria dell’Italia è un’occasione importante per promuovere ulteriormente la cultura del dono, che è una delle nostre eccellenze”.
Il sistema sangue italiano, che a differenza di altri paesi si basa totalmente sulla donazione volontaria e non remunerata, conta al momento oltre 1,7 milioni di donatori, di cui 1,3 periodici e oltre 300mila alla prima donazione. Il numero di donazioni è stato di poco superiore ai 3 milioni con un’incidenza sulla popolazione di circa 50 per ogni mille abitanti. In media si parla di una donazione di sangue ogni 10 secondi che consente di trasfondere circa di 1.745 pazienti al giorno e di trattare con medicinali plasmaderivati migliaia di persone al giorno.
“Poter ospitare la Giornata Mondiale – affermano Gianpietro Briola, Aldo Ozino Caligaris, Sergio Ballestracci e Paolo Monorchio, rispettivamente presidenti nazionali di AVIS, FIDAS, FRATRES e referente nazionale sangue della CRI – rappresenta un legittimo ringraziamento ai 1,7 milioni di donatori volontari, che attraverso la cultura della solidarietà e la donazione volontaria, associata e non remunerata garantiscono ogni giorno l’assistenza ai pazienti”.
Il World Blood Donor Day è stato istituito nel 2004 per opera dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa internazionale, della Federazione Internazionale delle Organizzazioni di Donatori di Sangue (FIODS/IFBDO) e della ISBT, International Society of Blood Transfusion.
Stenosi aortica, un progetto per “formare” i medici
News PresaFame d’aria (dispnea), dolore al petto (angina pectoris) e sincope (svenimento improvviso). Sono questi i sintomi tipici della stenosi aortica nelle sue forme più gravi, una malattia che in Italia è molto più diffusa di quanto si possa credere e che nonostante questo viene spesso diagnosticata in ritardo. Il motivo? Spesso i medici – se non quelli specialisti – non hanno una formazione specifica sul problema e quindi non riescono sin dai primissimi sintomi a riconoscere un campanello d’allarme della stenosi aortica. Un’indagine DOXA effettuata sia a livello nazionale sia a livello regionale, che ha coinvolto medici di medicina generale e cardiologi di base, svelando proprio l’esigenza di una formazione specifica. In particolare, la ricerca messo in evidenza che la conoscenza della stenosi aortica, delle possibili opzioni terapeutiche e del percorso del paziente affetto da questa patologia non è adeguata. Le cause della stenosi valvolare aortica sono molte, si può parlare di stenosi aortica congenita quando è legata a malformazioni come la bicuspidia aortica. Può correlarsi a patologie di origine reumatica, dovute ad una precedente e malcurata infezione batterica. Mentre la degenerazione calcifica è in genere collegata al normale processo d’invecchiamento dell’organismo: dà i primi segnali dopo i 65 anni ed è comunque la causa più frequente.
TAVI
Una delle tecniche più efficaci nel trattamento chirurgico della stenosi aortica è la TAVI, acronimo Transcatheter Aortic Valve Implantation (impianto valvolare aortico transcatetere). Si tratta di una tecnica della cardiologia interventistica che permette l’impianto della valvola aortica con un approccio percutaneo (quindi meno invasivo) in alternativa alla sostituzione con intervento cardiochirurgico. Il chirurgo arriva al cuore passando un’arteria utilizzando strumenti di altissima precisione e, quindi, senza praticare incisioni invalidanti e a rischio infezione.
FORMAZIONE
Per offrire ai medici del territorio una migliore informazione sulla stenosi aortica, oggi (lunedì 3 giugno) arriva in Campania la seconda tappa del progetto TAVI è VITA, realizzato da GISE (Società Italiana di Cardiologia Interventistica) in collaborazione con SIC (Società Italiana di Cardiologia) e SICCH (Società Italiana di Chirurgia Cardiaca). Il progetto nasce proprio per aumentare la collaborazione tra cardiologi interventisti e cardiochirurghi con i cardiologi del territorio ed i medici di medicina generale.
Medicina di Genere, approvato primo Piano Nazionale
Economia sanitariaIl Piano per la diffusione della Medicina di Genere in Italia è stato formalmente approvato dalla Conferenza Stato-Regioni. Previsto dall’articolo 3 della Legge 3/2018, il Piano introduce una nuova visione in tutte le specialità mediche per garantire cure a misura di uomini e donne, rafforzando il concetto di “centralità del paziente” e di “personalizzazione delle terapie”.
Il Piano di Medicina di Genere
Per la prima volta nel nostro Paese viene inserito il concetto di “genere” nella medicina, per garantire in modo omogeneo sul territorio nazionale la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale. C’è una grande tendenza verso la Medicina personalizzata, è quindi indispensabile tenere conto delle differenze tra uomini e donne nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie.
Il Piano è nato dall’impegno congiunto del Ministero della Salute e del Centro di riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità con la collaborazione di un Tavolo tecnico-scientifico di esperti regionali in Medicina di Genere e dei referenti per la Medicina di Genere della rete degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico nonché di AIFA e AGENAS. A livello nazionale e internazionale, il Piano, indica gli obiettivi strategici, gli attori coinvolti e le azioni previste per una reale applicazione di un approccio di genere in sanità nelle quattro aree d’intervento previste dalla legge, i) Percorsi clinici di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, ii) Ricerca e innovazione, iii) Formazione, e iv) Comunicazione.
L’art.3 della legge 3/2018 prevede inoltre la costituzione presso l’Istituto Superiore di Sanità di un Osservatorio dedicato alla Medicina di Genere con il compito di assicurare l’avvio, il mantenimento nel tempo e il monitoraggio delle azioni previste dal Piano, fornendo al Ministro della Salute i dati da presentare annualmente alle Camere. L’ISS è stato individuato quale ente vigilato titolare dell’Osservatorio e garante dell’attendibilità e appropriatezza dei dati rilevati, con il coinvolgimento degli altri enti vigilati (AIFA, AGENAS, IRCCS) e con la consultazione della Commissione dei rappresentanti regionali.
Il Centro di riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità avrà, quindi, un ruolo cruciale di promozione e coordinamento delle attività, al fine di di coinvolgere tutte le Regioni italiane in modo da assicurare la centralità della persona in egual misura su tutto il territorio nazionale. Il Centro, già impegnato direttamente nella promozione della ricerca sui meccanismi fisiopatologici responsabili delle differenze di genere e sugli effetti dello stile di vita e dell’ambiente sulla salute dell’uomo e della donna, si occuperà di formare e aggiornare gli operatori sanitari e di promuovere campagne di comunicazione e informazione rivolte ai cittadini per una corretta ed omogenea applicazione di un approccio genere-specifico. Questo Piano rappresenterà un obiettivo strategico per la Sanità che, attraverso una medicina più aderente alle necessità di ciascuno, potrà essere più efficace ed economica.
Sigarette elettroniche, i rischi dei fluidi aromatizzanti
Nuove tendenzeCe n’è per tutti i gusti. Dal mentolo, tra i più comuni, alla cannella: le sigarette elettroniche possono essere alimentate da tantissimi tipi di aromi. Tuttavia queste sostanze sembrerebbero collegate ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari. A far luce su questa ipotesi è uno studio condotto dai ricercatori della Stanford University School of Medicine e pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology. La gravità del danno si verifica anche in assenza di nicotina e non è uguale per tutti i vari aromi. Secondo le analisi sarebbero quelli alla cannella e al mentolo ad essere più dannosi. Degli studi precedenti avevano già ribadito la possibilità che questi fluidi potessero nuocere alle vie respiratorie. Oggi i ricercatori hanno osservato gli effetti sulle cellule endoteliali umane, dopo averle generate in laboratorio a partire dalle cellule staminali pluripotenti indotte (rappresentano il modo ideale di studiare le cellule altrimenti difficili da isolare direttamente da un paziente).
Aromi delle sigarette elettroniche, gli effetti sulle cellule endoteliali
È stato analizzato l’effetto dei sei gusti di liquidi aromatizzanti più venduti (frutta, tabacco, tabacco dolce con caramello e vaniglia, caramella dolce, cannella e mentolo) con livelli di nicotina di 0, 6 e 18 milligrammi per millilitro. È emerso che, quando le cellule endoteliali sono esposte ai fluidi aromatizzanti, sono meno vitali e avviene un aumento delle molecole implicate nel danneggiamento del DNA e nella morte cellulare. Inoltre, le cellule dimostrano una minore capacità di formare nuove arterie vascolari e di partecipare alla guarigione delle ferite.
Gli aromi più dannosi
Sono la Cannella e il mentolo gli aromi più dannosi. Gli studiosi hanno scoperto che mentre alcuni liquidi sono tossici in maniera moderata per le cellule endoteliali (che rivestono la superficie interna dei vasi sanguigni, dei vasi linfatici e del cuore), quelli al sapore di cannella e mentolo riducono di molto la vitalità delle cellule in coltura anche in assenza di nicotina. In altre parole, questo studio mostra chiaramente che le e-sigarette non sono un’alternativa sicura alle sigarette tradizionali. Se alcuni degli effetti dell’esposizione ai vari liquidi aromatizzanti dipendevano dalla concentrazione di nicotina, altri, come la migrazione cellulare e la diminuzione della vitalità cellulare, erano indipendenti. Non solo, le sigarette elettroniche possono essere ingannevoli: spesso si tende a fumare di più e più facilmente, arrivando a un livello molto più elevato di nicotina in un periodo di tempo più breve. Inoltre, le sostanze chimiche aromatizzate circolano all’interno del corpo e influenzano la salute vascolare.
Lo studio precedente sulle sigarette elettroniche
Già un altro studio presentato al Congresso dell’American College of Cardiology dai ricercatori della University of Kansas School of Medicine aveva dimostrato che la sigaretta elettronica è legata a un maggior rischio di malattie cardiovascolari, depressione e ansia. Lo studio ha coinvolto oltre 96 mila persone. I risultati hanno dimostrato che chi fuma queste sigarette ha un rischio del 55% maggiore di infarto, del 30% maggiore di ictus e un rischio doppio di depressione e ansia.
Cibo industriale e rischio morte. Gli studi sui cibi pronti
AlimentazioneSnack, patatine, dolciumi vari e merendine: il cibo industriale definito anche ‘ultra processato’ in realtà comprende molti più alimenti di quanto si pensi. Ne fanno parte, ad esempio, le bibite, i cereali zuccherati, il cibo precotto e persino le zuppe di verdura. Si tratta di prodotti confezionati che spesso contengono tantissimi zuccheri, sale e additivi. Tutti questi prodotti, secondo le ultime ricerche, potrebbero aumentare il rischio cardiovascolare – collegato a infarto e ictus – e di conseguenza il rischio di morte. A dimostrarlo sono due ultimi studi indipendenti e pubblicati entrambi sul British Medical Journal. A dirigere il primo studio è stato Mathilde Touvier, del gruppo di ricerca ‘Nutritional Epidemiology Research Team’ che comprende vari centri di ricerca francesi tra cui l’Inserm. Il secondo lavoro è stato condotto all’Università di Navarra in Spagna.
Cibo industriale e rischio di morte, gli studi
Nel primo lavoro sono stati coinvolti 105.159 adulti francesi (21% maschi; 79% donne) di età media 43 anni, i quali hanno svolto un questionario alimentare delle 24 ore per misurare il consumo abituale di 3.300 differenti tipologie di cibi come parte dello studio “NutriNet-Santé”. I cibi sono stati raggruppati a seconda del livello di ‘lavorazione industriale’, o al contrario della sua naturalità (un cibo è considerato tanto più sano e naturale, non industriale, quanti più corta è la lista degli ingredienti di cui è composto, compresi gli additivi). La salute dei partecipanti è stata valutata per un periodo di 10 anni (2009-2018). I risultati hanno dimostrato che ogni aumento del 10% del consumo di cibi industriali, si associa a un aumento dei rischio cardiovascolare complessivo del 12%, del rischio cuore del 13% e del rischio ictus dell’11%.
Il secondo studio
Per quanto riguarda lo studio spagnolo, il consumo di cibo industriale è stato confrontato con la mortalità per tutte le cause. È stato analizzato un campione di 19.899 laureati (7.786 maschi; 12.113 femmine) di età media 38 anni, i quali hanno svolto un questionario alimentare nell’ambito dello studio ‘Seguimiento Universidad de Navarra’ (SUN). I casi di morte sono stati registrati nell’arco di 10 anni di monitoraggio. È emerso che chi consumava 4 porzioni al dì di cibi industriali aveva un rischio di morire per qualunque causa del 62% più alto di chi ne consumava solo due al dì; il rischio di morte sale di un ulteriore 18% per ogni porzione di cibo industriale in più consumata al giorno.
Conclusioni
Per poter individuare un rapporto di causa ed effetto tra consumo di cibo industriale e malattie cardiovascolari e rischio di morte serviranno ulteriori studi, tuttavia i risultati di questi ultimi lavori vanno a confermare studi precedenti che avevano messo già in relazione il cibo industriale con uno stato di salute peggiore.
Morbillo, un anno nero anche per l’Italia
PrevenzioneNel 2019, e non certo in paesi del Terzo Mondo, il morbillo fa ancora paura. A far parlare sono stati gli Usa, colpiti da un’epidemia tanto violenta da costringere l’amministrazione a decidere per la quarantena di più di mille persone. Sotto la lente, ad aprile, due atenei di Los Angeles, la University of California e la California State University. Addirittura a New York, dove si è registrato il maggior numero di casi, si è arrivati a dichiare l’emergenza. Il numero dei contagi è salito ai massimi dal 2000 fino a spingere il presidente Donald Trump a lanciare un invito alla vaccinazione.
L’ITALIA
Uno scenario che sembra uscito dal copione di un film, ma non molto lontano da quello che è avvenuto in Italia. Nel Bel Paese i dati dell’Istituto Superiore di Sanità disegnano un quadro non molto dissimile – fatte le dovute proporzioni – con quello statunitense. Dal primo gennaio al 30 aprile 2019 sono stati segnalati in Italia 864 casi di morbillo, di cui 299 nell’ultimo mese. Diciannove Regioni hanno segnalato casi, ma oltre due terzi sono stati registrati nel Lazio (245), Lombardia (233) ed Emilia Romagna (144). Nel 32,6% dei casi c’è stata almeno una complicanza, tra cui anche due casi di encefalite. In crescita anche l’età dei casi che è salita a 30 anni. Sono stati inoltre segnalati 52 casi tra operatori sanitari e 15 tra gli operatori scolastici. Il 10% dei colpiti (86) aveva meno di cinque anni di età, di questi 31 aveva meno 1 anno. Il 48,3% dei casi si è verificato in persone di sesso femminile. La complicanza più frequente è stata la diarrea (112 casi), seguita da epatite/aumento delle transaminasi (110), e cheratocongiuntivite (76). Il 6% dei casi ha sviluppato una polmonite. Nel mese di febbraio 2019 è stato segnalato un decesso per complicanze respiratorie del morbillo, in una persona adulta (45 anni) non vaccinata, con patologie concomitanti. Il 43,4% dei soggetti è stato ricoverato e un ulteriore 26,7% si è rivolto ad un Pronto Soccorso. Le uniche regioni morbillo ‘free’ dall’inizio dell’anno a fine aprile sono state Valle d’Aosta e Basilicata, segue la Sardegna con un caso e le provincie autonome di Trento e Bolzano con due. Infine dal 1 gennaio al 30 aprile 2019 sono stati segnalati 7 casi di rosolia con un’età mediana di 29 anni.
IMMUNIZZAZIONE
Nonostante questi dati, molti genitori ancora guardano con diffidenza alla vaccinazione. A tutti loro gli esperti rivolgono una considerazione: il 5-6% dei bambini con morbillo sviluppa polmonite, e in un caso su mille può presentarsi un’encefalite. Vale a dire una grave infezione del cervello, che porta alla morte o lascia un ritardo mentale. Al contrario, complicanze importanti del vaccino sono talmente rare da far registrare una frequenza migliaia di volte inferiore a quelle date dalla malattia. Tutto questo ci spinge alla fine ad un’unica considerazione: ora che l’emergenza è passata, e in vista che si arrivi al prossimo anno, facciamo in modo che il vaccino sia lo scudo di difesa per i nostri figli. Evitiamo di cadere nel paradosso dei vaccini, che sono talmente efficaci da farci dimenticare (ciclicamente) quanto siano importanti.
Settimana Nazionale Sclerosi Multipla, la ricerca su nuovi bersagli terapeutici
News PresaIndividuare i meccanismi della sclerosi multipla, studiare nuovi farmaci più efficaci, valutare l’entità dei danni cerebrali e l’evoluzione della malattia sono alcuni degli obiettivi della ricerca condotta dall’Istituto Superiore di Sanità grazie ai finanziamenti del Ministero della Salute, della Commissione europea e anche grazie alla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla.
Linfociti B e virus della mononucleosi infettiva: nuovi bersagli delle terapie per la sclerosi multipla
I nuovi progetti si concentrano sulle cause e sui meccanismi di malattia, con l’obiettivo di capire perché il sistema immunitario, il cui compito principale è difenderci dalle infezioni e dalla crescita dei tumori, rivolge invece le sue armi contro il sistema nervoso causando la sclerosi multipla. Barbara Serafini e Francesca Aloisi, con i loro collaboratori del Dipartimento di Neuroscienze, hanno svolto studi pionieristici sul ruolo dei linfociti B nella sclerosi multipla dando ulteriore fondamento allo sviluppo di terapie farmacologiche dirette contro questo tipo di cellule immunitarie. Nel 2018 è stato, infatti, approvato un farmaco biologico in grado di ridurre il numero di linfociti B, l’ocrelizumab, molto efficace nelle forme recidivanti di sclerosi multipla e il primo approvato per la forma progressiva della malattia.
Per quanto riguarda le cause della malattia, le ricerche si sono indirizzate sul virus di Epstein-Barr, un virus molto diffuso che infetta proprio i linfociti B ed è un fattore di rischio consolidato per la sclerosi multipla. La tesi su cui i ricercatori dell’ISS continuano a lavorare, con l’obiettivo di aprire nuove strade per la prevenzione e il trattamento della patologia, è che il virus di Epstein-Barr sia il principale bersaglio e attivatore della risposta immunitaria che colpisce il sistema nervoso centrale nella sclerosi multipla.
Lo studio dell’interferone beta per comprendere e trattare la malattia
L’utilizzo dell’Interferone beta come farmaco di prima linea per il trattamento della forma recidivante della sclerosi multipla ha suggerito la possibilità che la risposta immunitaria diretta contro gli agenti infettivi rappresenti uno dei meccanismi coinvolti nell’insorgenza della malattia. Gli interferoni, infatti, sono molecole normalmente rilasciate in risposta alle infezioni, soprattutto di origine virale. In linea con questa ipotesi Martina Severa ed Eliana Coccia, con i loro collaboratori del Dipartimento di Malattie Infettive, hanno portato alla luce molte alterazioni nell’espressione di geni coinvolti nelle risposte antivirali, in particolare nei linfociti B, e nei processi intracellulari regolati dagli interferoni, che potrebbero rappresentare nuovi potenziali bersagli per la terapia. Tra i meccanismi che appaiono alterati nei linfociti B delle persone con sclerosi multipla sono stati inoltre identificati quelli che regolano il metabolismo cellulare, ovvero l’insieme di reazioni che permettono di generare e utilizzare l’energia all’interno delle cellule, influenzandone la sopravvivenza e le funzioni. L’interesse per questo tipo di ricerca nasce dall’evidenza che un eccesso di energia può contribuire ad alimentare il processo infiammatorio, che è il tratto caratteristico della sclerosi multipla.
Insieme ai pazienti per scoprire nuovi farmaci neuroprotettivi
La mielina, la guaina che facilita la conduzione nervosa ed è danneggiata nella malattia, è un altro dei bersagli terapeutici importanti su cui si sta lavorando per contrastare la sclerosi multipla. L’obiettivo è identificare le strategie più idonee a ricostruire la mielina e a proteggere i neuroni, la cui perdita è la causa principale della progressione dei deficit neurologici.
Il gruppo coordinato da Cristina Agresti del Dipartimento di Neuroscienze sta lavorando per identificare nuove molecole capaci di stimolare la produzione di mielina e per comprendere i meccanismi che sono alla base della loro attività. La ricerca sulla mielina in ISS si coordina con le attività di un consorzio internazionale di ricercatori, Progressive MS Alliance, finanziato dalle Associazioni di persone con sclerosi multipla in Europa, Canada, Stati Uniti e Australia, con l’obiettivo di accelerare la scoperta di farmaci neuroprotettivi. In questo ambito, i ricercatori dell’ISS stanno valutando in modelli sperimentali l’attività pro-mielinizzante di numerosi composti, molti dei quali già approvati per uso umano, quale primo passo verso l’identificazione delle molecole più attive e idonee per il trattamento delle persone con sclerosi multipla.
Immunodeficienze, presentata proposta di legge
News PresaLe immunodeficienze primitive rappresentano un gruppo di oltre 250 malattie rare e congenite. Queste patologie, compromettendo il sistema immunitario, favoriscono infezioni frequenti e anche gravi. La diagnosi, quando arriva, spesso è tardiva: passano in media 5,5 anni dai primi sintomi per gli adulti e 2,5 anni per i bambini. Eppure potrebbe essere possibile avere una diagnosi precoce e indirizzare così i pazienti a un percorso terapeutico – garantito alla stessa maniera su tutto il territorio – in grado di tenere sotto controllo o mitigare la malattia. Sono questi gli obiettivi della proposta di legge: “Disposizioni concernenti la diagnosi, l’assistenza e la cura delle immunodeficienze congenite (IDC)”, su iniziativa dei deputati PD Paolo Siani, Ubaldo Pagano e Vito de Filippo, componenti della XII Commissione Affari Sociali della Camera, presentata oggi a Palazzo Montecitorio. Alla presentazione hanno preso parte rappresentanti del mondo medico scientifico, rappresentanti delle associazioni pazienti e alcuni rappresentanti della sanità locale.
La proposta di legge sulle immunodeficienze
“Il senso di questa proposta di legge sta anzitutto nel bisogno di individuare queste malattie quando il bambino non ha ancora contratto infezioni, evitando così sofferenza, complicanze e in alcuni casi anche la morte – ha spiegato l’On. Paolo Siani, primo firmatario – La nostra idea è stata quella di proporre una legge che permetta di individuarle alla nascita attraverso lo screening e questa proposta di legge mira a dare lo strumento a tutte le Regioni per poter introdurre questa misura. Un’altra ragione che sta dietro questa proposta – ha concluso l’On. Siani – è la volontà di mettere in rete tutti i servizi che servono per le immunodeficienze e di includere nel percorso la fase di transizione dall’età pediatrica a quella adulta facendo in modo che, attraverso la rete che proponiamo, non si interrompa l’assistenza. Inoltre vanno inseriti nella rete non solo i presidi ospedalieri, ma anche i servizi di sostegno psicologico ai pazienti e alle famiglie. In particolare, ai fratelli dei bambini affetti da immunodeficienza.”
L’articolo 1 della proposta di legge, infatti, dispone che le Regioni e le Province autonome predispongano delle azioni programmate al fine di giungere ad una precoce diagnosi della patologia, attraverso: la diagnosi mediante procedure di screening neonatale, l’aggiornamento del personale socio-sanitario e la predisposizione di reti integrate di presidi. Tra le misure proposte anche quella di una ‘Tessera del paziente’ – descritta all’art. 5 – da varare entro i 90 giorni dall’approvazione e dove saranno scritte la diagnosi, le complicanze della malattia e grazie alla quale il paziente potrà accedere a tutti i servizi dedicati sia in regime ospedaliero di ricovero, sia ambulatoriale, di day hospital e cure a domicilio.
“La nostra proposta di legge intende fornire una risposta di sistema ai pazienti di IDC. L’obiettivo è arrivare a identificare il prima possibile queste malattie, fornire le terapie e l’assistenza necessarie, inclusa la riabilitazione e il sostegno psicologico, al fine di sostenere i pazienti e le loro famiglie nel percorso di cura – ha spiegato l’On UbaldoPagano – La legge, in sintesi, vuole istituire una disciplina organica delle necessità connesse alla patologia e assicurare omogeneità di trattamento su tutto il territorio nazionale, fornendo alle Regioni una serie di strumenti necessari allo scopo, sostenendo la ricerca e gettando le fondamenta per la creazione di reti integrate di assistenza capaci di accompagnare il paziente per il corso dell’intera vita, nell’ottica di una reale continuità assistenziale” .
“La proposta di legge, a cui l’AIP Onlus ha collaborato attivamente, è sicuramente una buona notizia per i pazienti affetti da Immunodeficienze Primitive – afferma Alessandro Segato, Presidente dell’Associazione Immunodeficienze Primitive (AIP)Onlus – in quanto permette di accendere la luce su temi e patologie che raramente sono nell’agenda politica e all’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica. Confidiamo che i contenuti della legge possano permettere diagnosi tempestive e facilitare e rendere omogenei i percorsi terapeutici sul territorio nazionale anche grazie al coinvolgimento delle associazioni di pazienti, come previsto dall’art. 8. Auspichiamo e sollecitiamo che si abbia la possibilità di calendarizzare nei lavori parlamentari la proposta al più presto affinché possa vedere la luce quanto prima.”
Tra i partecipanti alla conferenza stampa anche il prof. Alessandro Aiuti, Vice-direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia genica (Sr-Tiget) di Milano, che a queste gravi malattie ha dedicato la sua carriera professionale, contribuendo in modo determinante alla messa a punto della terapia genica per alcune forme di immunodeficienze di origine genetica, come il deficit di adenosina deaminasi (ADA SCID) e la sindrome di Wiskott-Aldrich. “In questi anni – ha spiegato Aiuti – la terapia genica si è dimostrata sicura e in grado di restituire a questi bambini una vita normale, fatta di scuola, vita in famiglia e all’aria aperta. Nel 2016 quella per l’ADA-SCID è stata la prima terapia genica ex vivo al mondo a diventare un farmaco disponibile sul mercato e contiamo che altre seguano lo stesso percorso. La diagnosi precoce grazie allo screening neonatale è fondamentale per offrire nel più breve tempo possibile le terapie disponibili: ecco perché questa legge è importante, per i pazienti di oggi e di domani”.
Campanelli d’allarme e benefici dello screening neonatale
A confermare i benefici che potrebbero derivare dallo screening neonatale per l’Ada Scid ci sono anche i recenti dati di uno studio svolto in California, paese che effettua questo test già dal 2010. Lo studio analizza i risultati di 6 anni e mezzo di screening, nel corso dei quali sono stati sottoposti al test più di 3,25 milioni di neonati. Fra questi sono stati trovati 50 casi di SCID, il 94% di questi è sopravvissuto grazie ad un trattamento tempestivo.
In attesa che questa proposta di legge compia il suo iter parlamentare e che la diagnosi venga fatta sistematicamente attraverso lo screening neonatale, come già avviene per molte altre patologie, può essere utile tenere d’occhio alcuni particolari sintomi e condizioni che si presentano nei bambini o negli adulti: i 10 campanelli d’allarme delle immunodeficienze, nei bambini e negli adulti sono elencati dall’associazione pazienti AIP onlus in due distinti poster e sul sito dell’associazione.
Alla conferenza di presentazione della legge hanno preso parte anche il prof. Claudio Pignata dell’Università Federico II di Napoli, Coordinatore nazionale rete Centri per Immunodeficienze (IPINET),la prof.ssa Viviana Moschese, Professore associato di Pediatria, Università Tor Vergata, Clemente Ferraro, padre di due figli affetti da patologia cronica immunologica, Andrea Gressani e Filippo Cristoferi Vice-presidente e Responsabile relazioni istituzionali dell’Associazione Immunodeficienze primitive (AIP ONLUS), Sara Biagiotti, Presidente dell’associazione Nazionale Atassia-Teleangiectasia con i rappresentanti dei genitori dell’associazione stessa Amalia Migliaccio e Giuseppe Di Prisco, Antonio Sanguedolce, Direttore generale ASL Bari e Vitangelo Dattoli, Direttore generale Policlinico di Foggia.
Bambini, ogni anno 50 vittime per soffocamento
BambiniVedere il proprio bimbo soffocare e non sapere come intervenire. È l’incubo di molti genitori e, purtroppo, anche il rimorso di molti. In Italia sono circa 50 le persone che muoiono anno per soffocamento, soprattutto bambini, come drammaticamente è successo a Roma a causa di una caramella. Un caso alla settimana, spiega il 118, che potrebbe essere evitato seguendo alcuni accorgimenti. I bambini piccoli, sottolineano gli esperti del soccorso, devono essere sorvegliati anche e soprattutto quando mangiano. È una precauzione indispensabile e fino a all’età di 5 anni è importante evitare che mangino bocconi troppo grossi (di solito pezzi di carne), non adeguatamente tagliuzzati (diametro in media non superiore a 5 millimetri nei più piccoli e 1 cm nei più grandi), in particolare quando lisci, rotondi (gli acini d’uva), o cilindrici (pezzi di wurstel). E comunque evitare che possano essere messi in bocca cibi con ossicini (ossicini di pollo), caramelle (particolarmente se morbide), gomme da masticare, giocattoli o pezzi di giocattoli, monete o batterie a bottone.
I SEGNALI
I genitori e i familiari devono riconoscere immediatamente i segni della ostruzione severa delle vie aeree e dell’arresto cardiaco che ne consegue. Ma come fare a capirlo? Il bambino non piange (quando molto piccolo), non emette suoni (non parla, non tossisce), cambia improvvisamente colore (il volto e le labbra diventano cianotiche, ossia di colore viola, grigio), perde rapidamente coscienza e smette di respirare (torace immobile). In questi casi non c’è da perdere tempo, si deve immediatamente chiamare il 118. Il telefono di chi chiama deve essere messo in modalità viva voce e deve rimanere in contatto con gli operatori durante tutto il tempo che precede l’arrivo dei soccorsi.
LINEE GUIDA
Il problema, spiegano le linee guida del ministero della Salute, non è solo italiano. «Viene stimato che, in Europa, ogni anno, 500 bambini muoiano soffocati. In Italia, è stato osservato, negli ultimi 10 anni, un trend stabile della quota di incidenti, con circa 1000 ospedalizzazioni all’anno – si legge nel documento. Le stime più recenti, calcolate includendo anche i “quasi-eventi” e gli episodi di minore gravità (che si sono risolti grazie all’intervento della famiglia, senza la necessità di rivolgersi ai sanitari), mostrano come l’incidenza reale del fenomeno sia 50-80 volte superiore rispetto a quella dei ricoveri (con 80,000 episodi stimati, per anno, solo in Italia). Tra il 60% e l’80% degli episodi di soffocamento è imputabile al cibo».
MANOVRE SALVAVITA
Sarebbe opportuno che ogni genitore frequentasse almeno una volta un corso dove esperti soccorritori spiegano le manovre salvavita che si possono compiere in attesa dei soccorsi. Spesso manifestazioni dimostrative vengono svolte anche nelle piazze delle città, proprio per sensibilizzare le mamme e i papà su un tema sottovalutato. A volte piccoli dettagli possono cambiare il corso degli eventi.
Asl Napoli 1 Centro, prenotazioni in un clic
News PresaPer prenotare una visita o un esame basterà un clic. L’Asl Napoli 1 Centro (la più grande azienda sanitaria d’Europa) sembra decisamente intenzionata a cambiare pelle – e reputazione – e adesso lancia le prenotazioni tramite App. Un cambiamento che potrebbe sembrare piccolo, ma che invece inciderà nella vita di centinaia di migliaia di pazienti in maniera radicale. Basti pensare che ogni anni sono milioni le prestazioni erogate tramite i presidi ospedalieri e sanitarie e sono milioni anche le ore d’attesa che i pazienti sono costretti a sopportare. Per non parlare dei tempi necessari alle visite, anche di mesi, ma che adesso potranno snellirsi grazie alla tecnologia.
SI PARTE
La data di avvio di questa rivoluzione è fissata per sabato 1 giugno 2019, a partire dalla quale tutti gli utenti potranno utilizzare la nuova applicazione e-CUPT, App che consente di prenotare comodamente da smartphone e da tablet le visite specialistiche delle quali si dovesse avere bisogno. «Un cambiamento radicale – spiega il commissario straordinario Ciro Verdoliva – nelle abitudini di centinaia di migliaia di cittadini che non saranno più costretti a lunghe file e disagi presso gli sportelli Cup dei vari Ospedali/Distretti. Un altro importante tassello nella battaglia quotidiana di restituire dignità a questa Azienda, perché la salute è un diritto che tutti i cittadini devono poter vedere rispettato».
COME PRENOTARE
L’App e-CUPT potrà essere utilizzata da tutti gratuitamente, basterà scaricare l’App direttamente dal proprio smartphone su GooglePlay o AppStore, registrasi e compilare tutti i campi obbligatori. Per effettuare la prenotazione di una visita, dopo aver inserito il codice impegnativa (NRE o SAR), l’App mostrerà all’utente la prima disponibilità per l’erogazione della prestazione da ricevere contenuta nell’impegnativa. L’utente potrà inoltre decidere il luogo di cura e la data oppure sceglierne una successiva a seconda della propria disponibilità. Inoltre il cittadino che ha prenotato una prestazione sanitaria, se per qualche motivo è impossibilitato a recarsi in ospedale o in distretto il giorno previsto, potrà spostare la data della visita medica. Per rendere ancor più semplice il passaggio al nuovo sistema la Asl Napoli 1 Centro ha realizzato anche un breve video tutorial che sarà on line (sul sito Asl www.aslnapoli1centro.it e sulla pagina Facebook Asl Napoli 1 Centro) a partire da mercoledì 29 maggio. L’applicazione si aggiunge alla possibilità di prenotare presso le Farmacie aderenti nonché agli sportelli CUP aziendali presenti in ogni presidio ospedaliero e in ogni distretto sanitario di base. «Altro vantaggio di questo sistema – aggiunge il sub commissario sanitario dottoressa Anna Borrelli – è quello di garantire un aggiornamento istantaneo delle disponibilità delle prestazioni sanitarie, cosa che aiuterà sin da subito a diminuire i tempi di attesa».