Tempo di lettura: 4 minutiIl carcinoma polmonare è il cancro più comune al mondo e la principale causa di morte per cancro. Nel 2018 sono stati circa 2,1 milioni i nuovi casi di carcinoma polmonare in tutto il mondo e circa 1,8 milioni i morti. La maggior parte dei tumori al polmone sono diagnosticati solo allo stadio avanzato o metastatico. Il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) corrisponde a circa l’80-85% di tutti i carcinomi al polmone. Nel decennio scorso, l’introduzione di terapie mirate e di inibitori checkpoint, ha migliorato le terapie per i pazienti affetti da NSCLC avanzato o metastatico; tuttavia, per coloro che non sono eleggibili agli attuali trattamenti o per coloro in cui il cancro continua a progredire, sono necessari nuovi approcci terapeutici.
Per pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato e con EGFR mutato, gli inibitori tirosin-chinasici dell’EGFR offrono percentuali di risposta e sopravvivenza più elevate rispetto alla chemioterapia; tuttavia la maggior parte dei pazienti alla fine sviluppa una resistenza a questi farmaci, di solito entro un anno, da quel momento le opzioni di trattamento diventano più limitate.
L’HER3 è un membro della famiglia dei recettori tirosin-chinasici del fattore di crescita dell’epidermide umana (EGFR), che sono associati ad una crescita cellulare anormale. L’HER3 è sovraespresso in molti tipi di cancro ed è stato correlato alla progressione del tumore e ad una peggiore sopravvivenza globale. Nei pazienti con NSCLC, l’espressione di HER3, che si presenta con una frequenza del 75%, è associata ad aumento delle metastasi e ridotta sopravvivenza. Recentemente i ricercatori hanno riconosciuto il potenziale dell’HER3 come target terapeutico, ma attualmente nessun agente anti-HER3 è approvato per il carcinoma polmonare non a piccole cellule o altri tipi di cancro.
Carcinoma polmonare non a piccole cellule, lo studio sul nuovo farmaco
Ieri a Chicago, durante il Congresso ASCO 2019, Daiichi Sankyo ha presentato i dati preliminari dello studio di fase I sul suo nuovo farmaco anticorpo-coniugato (ADC) U3-1402, sperimentato in 23 pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), metastatico, con mutazione EGFR e resistente agli inibitori tirosin-chinasici. I risultati preliminari sull’efficacia per i 16 pazienti che hanno ricevuto l’ADC U3-1402 a dosi da 3,2 mg/kg a 6,4 mg/kg, e valutabili al momento dell’estrazione dei dati, hanno dimostrato riduzione delle dimensioni del tumore per tutti i pazienti con un valore medio del 29 % (in un range da -3% a -80%). Tutti i 16 soggetti erano stati precedentemente trattati con un inibitore della tirosin-chinasi (TKI), inclusi 15 con osimertinib. Sette pazienti erano anche stati sottoposti a chemioterapia. Un totale di 16 pazienti erano ancora in trattamento alla data dell’estrazione dei risultati, il 25 febbraio 2019.
“Questi dati clinici iniziali dimostrano un’attività con U3-1402, inclusa una riduzione precoce delle dimensioni del tumore nei pazienti che hanno sviluppato resistenza agli inibitori tirosin-chinasici EGFR – ha dichiarato uno sperimentatore, Pasi A. Jänne, MD, PhD, Direttore del Lowe Center For Thoracic Oncology, Dana-Farber Cancer Institute – Sono necessari nuovi approcci terapeutici per il carcinoma polmonare non a piccole cellule con EGFR mutato nei pazienti che hanno sviluppato resistenza ai TKI, specialmente a osimertinib, e i risultati preliminari di questo studio indicano che prendere di mira l’HER3 con questo ADC è una strategia che può rivelarsi efficace in diversi meccanismi multipli di resistenza”.
L’espressione dell’HER3 è stata riportata nel 75% dei casi di carcinoma polmonare non a piccole cellule,[i] e nei pazienti dello studio, tutti i tumori sottoposti alla valutazione immunoistochimica retrospettiva (n=19) hanno mostrato di esprimere HER3. I dati preliminari di sicurezza in 23 pazienti valutabili hanno registrato un buon profilo di sicurezza per U3-1402 con una esposizione mediana al trattamento di 105 giorni. La dose massima tollerata non è ancora stata raggiunta. I più comuni eventi avversi, di ogni grado, osservati durante il trattamento (in ≥30% dei pazienti) includevano nausea (60,9%), stanchezza (39,1%), vomito (34,7%), inappetenza (30,4%) e diminuzione del numero delle piastrine (30,4%). Un evento avverso di grado ≥ 3 si è verificato in più del 10% dei pazienti (diminuzione del numero delle piastrine, 26,1%). Le seguenti tossicità dose-limitanti sono state osservate in 4 pazienti: diminuzione del numero delle piastrine di grado IV in 4 pazienti e neutropenia febbrile di grado III in 1 paziente. 6 pazienti (26,1%) hanno riportatoo eventi avversi seri durante il trattamento a prescindere dal rapporto di causalità, in 3 pazienti (13%) tali eventi seri erano correlati al trattamento in studio. Per 1 paziente (4,3%) l’evento avverso ha portato all’interruzione del trattamento.
“Il farmaco anticorpo-coniugato U3-1402 è stato realizzato utilizzando la tecnologia DXd ADC di Daiichi Sankyo per portare la chemioterapia all’interno delle cellule neoplastiche che esprimono HER3 come antigene della superficie cellulare.- ha commentato Dalila Sellami, MD, Vice Presidente Global Team Leader dell’U3-1402, Global Oncology Research and Development di Daiichi Sankyo – Questi risultati forniscono evidenza di una promettente attività di questo ADC nel carcinoma polmonare non a piccole cellule, e si aggiungono alla nostra precedente ricerca dove ha dimostrato il suo potenziale uso nel carcinoma mammario metastatico HER3 positivo.”
Il farmaco
U3-1402 è una molecola in fase di sperimentazione non ancora approvata per alcuna indicazione in alcun Paese. La sicurezza e l’efficacia non sono state ancora determinate. Lo Studio globale in due parti in aperto di Fase I sta arruolando pazienti affetti da NSCLC con mutazione EGFR, metastatico o non resecabile, progredito nonostante la terapia a base di inibitore della tirosin-chinasi. Include pazienti che hanno presentato progressione della malattia o con erlotinib, gefitinib, dacomitinib o afatinib e sono risultati negativi al test per la mutazione del T790M, oppure con osimertinib indipendentemente dallo status del T790M. L’obiettivo primario dello studio è valutare la sicurezza e la tollerabilità di U3-1402 e determinare la dose raccomandata per l’estensione. Gli obiettivi secondari sono la caratterizzazione della farmacocinetica della molecola e la valutazione preliminare dell’efficacia, misurando la sua attività antitumorale. Si stima che saranno arruolati più di 60 pazienti in circa 17 centri nel mondo.
U3-1402- Incluso nel Franchise sperimentale sui Farmaci Anticorpo-Coniugati di Daiichi Sankyo Cancer Enterprise, U3-1402 è un ADC che ha il potenziale per essere una terapia “first-in-class” contro l’HER3. Gli ADC sono medicinali antineoplastici mirati che veicolano una chemioterapia citotossica (“carico farmacologico”) alle cellule neoplastiche mediante un legante attaccato a un anticorpo monoclonale che si lega a uno specifico bersaglio espresso sulle cellule neoplastiche. Realizzato con l’impiego della tecnica DXd di Daiichi Sankyo, U3-1402 è composto da un anticorpo anti-HER3 umanizzato attaccato al carico farmacologico di un nuovo inibitore della topoisomerasi I, mediante un legante a base tetrapeptidica. Esso è disegnato per portare in modo mirato la chemioterapia all’interno delle cellule neoplastiche, e ridurre così l’esposizione sistemica al carico farmacologico citotossico rispetto ai meccanismi della comune chemioterapia.
Amianto e mesotelioma, i ricercatori italiani in aiuto dei cittadini di Bogotà
News PresaSibatè è una cittadina colombiana di 38.000 abitanti, a circa 30 km da Bogotà, dove uno studio internazionale ha individuato un’alta incidenza di mesotelioma pleurico. Grazie allo studio è stato possibile pianificare un intervento strategico per liberare i cittadini di Sibatè dall’amianto e combattere l’insorgenza della patologia.
Amianto e mesotelioma pleurico. Lo studio
Lo studio, pubblicato su Environmental Research, è nato da un accordo fra l’Istituto Superiore di Sanità e la Universidad de Los Andes di Bogotà. Inoltre, ha coinvolto l’Institut de Recherche pour le Développement di Parigi e ricercatori delle Università di Roma (La Sapienza), Bologna, Torino e della Fundaciòn Santa Fe. I ricercatori del Dipartimento Ambiente e Salute dell’ISS, insieme al Comune di Casale Monferrato, metteranno a disposizione l’esperienza dell’Italia per realizzare un sistema di sorveglianza epidemiologica e un piano di comunicazione che coinvolga l’intera comunità di Sibaté. Parti del sottosuolo di questa cittadina, in corrispondenza di laghetti poi prosciugati, furono, infatti, colmate in passato con materiali contenenti amianto. Attività di scavo, o altri interventi hanno perturbato il suolo, determinando perciò il rilascio nell’ambiente di fibre di amianto, e quindi l’esposizione della popolazione residente. Per l’intervento di bonifica ambientale, stanno già collaborando molte istituzioni competenti e la popolazione. Il Comune di Casale Monferrato nei mesi scorsi, d’intesa con l’ISS, ha ospitato il Prof. Juan Pablo Ramos Bonilla, coordinatore dello studio, insieme ai ricercatori italiani coinvolti nella ricerca per pianificare la strategia d’azione.
Mesotelioma pleurico, patologia e fattori di rischio
Il mesotelioma è un tumore raro che rappresenta meno dell’1% di tutte le malattie oncologiche. È una neoplasia che colpisce il mesotelio, il sottile tessuto che riveste la gran parte degli organi interni. La forma più comune colpisce la pleura, il mesotelio che riveste i polmoni e la parete interna del torace. Più rari sono i mesoteliomi del peritoneo (mesotelio di rivestimento degli organi addominali) e dei testicoli. Il più importante fattore di rischio è l’esposizione all’amianto. La maggior parte di questi tumori riguarda infatti persone che sono entrate in contatto con questa sostanza, a casa o sul posto di lavoro, o che vivono con persone che la lavorano. L’amianto, per la sua resistenza al calore, è stato molto usato in passato per coprire o isolare tetti (Eternit), navi e treni; ma anche nell’edilizia (tegole, pavimenti, vernici); nelle tute dei vigili del fuoco e nelle automobili (componenti meccaniche e vernici). Quando questo minerale viene frammentato, ad esempio durante il processo di estrazione mineraria o di rimozione del materiale isolante, si produce una polvere che, se inalata, può danneggiare le cellule mesoteliali, provocando in alcuni casi il tumore, anche decenni dopo l’esposizione.
Dolci e zuccheri, Londra lancia l’allarme
AlimentazioneUna lotta senza quartiere allo zucchero per porre un freno all’obesità crescente in tutto il Regno Unito sta diventando allarme sociale. A lanciare la proposta che sta facendo molto discutere è l’Istituto per la ricerca sulle politiche pubbliche (Ippr) di Londra in un rapporto appena diffuso. Dopo la tassa sulle bibite zuccherate, come riporta la Bbc, gli studiosi propongono di usare confezioni e pacchetti senza immagini per rendere dolci, snack e bibite meno invitanti. L’idea è quella di mettere questi prodotti nelle stesse condizioni di altri, come frutta e verdura, che non beneficiano dello stesso tipo di riconoscimento del marchio e prodotto.
MISURE ESTREME
«Imballaggi e confezioni senza immagini aiuteranno tutti a fare la scelta migliore», commenta Tom Kibasi, direttore dell’Ippr, secondo cui vanno adottate anche altre misure, come il bando della pubblicità del junk food e l’estensione delle tasse sulle bibite zuccherate anche ad altri cibi poco salutari. Al momento il governo inglese non si è pronunciato sulla proposta dei pacchetti senza immagini, ma il dipartimento di Salute e cure sociali è in attesa di avere il riscontro della consulente governativo in materia di salute, che sembra aperta a quest’idea.I dati dall’Australia, primo paese ad introdurre i pacchetti di sigarette senza immagini e pubblicità, mostrano che un quarto del calo dei fumatori si può attribuire a questa misura.
RIEMPIRE IL VUOTO
Secondo recenti studi, dietro il consumo abnorme di dolciumi ci sarebbe anche un crescente bisogno di riempire il senso di vuoto legato all’isolamento sociale tipico delle società moderne. Molti cittadini, schiacciati dalla routine quotidiana e insoddisfatti della propria vita cercano consolazione in alimenti ad alto contenuto zuccherino e calorico. Del resto, per molti questo è anche un modo per ritrovare quella sensazione di pienezza che nei primi anni di vita era contraddistinta dal seno materno. Chiaramente si tratta di persone che fanno un uso di dolciumi che va ben oltre la semplice golosità. Perché, val bene ricordarlo, un po’ di cioccolata ogni tanto non ha mai fatto male a nessuno.
Pancreas, farmaco raddoppia sopravvivenza per alcuni casi di cancro
Ricerca innovazioneUn farmaco innovativo consente di raddoppiare la sopravvivenza libera da progressione in pazienti con cancro del pancreas con particolari alterazioni del Dna. Si tratta, quindi, di un farmaco che dimezza il rischio di progressione per i pazienti che presentano alcuni specifici “difetti” (mutazioni) genetici, già riscontrati nei tumori dell’ovaio e della mammella.
È il risultato dello studio POLO sui tumori del pancreas presentato negli scorsi giorni al meeting annuale della American Society of Clinical Oncology – ASCO, che si è chiuso lunedì scorso a Chicago, e che sarà pubblicato sulla rivista scientifica “New England Journal of Medicine”. Lo studio vede tra gli autori per l’Italia Giampaolo Tortora, professore ordinario di Oncologia Medica all’Università Cattolica e direttore del Comprehensive Cancer della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, e Michele Reni, responsabile dell’Area di ricerca sui tumori del pancreas dell‘Ospedale San Raffaele IRCCS di Milano.
Lo studio è stato in buona parte realizzato dal professor Tortora presso l’Università di Verona, dove era Ordinario di Oncologia Medica e Direttore della Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Integrata di Verona prima di approdare a Roma all’Università Cattolica e al Gemelli dove la ricerca è stata completata.
Lo studio sul farmaco contro il tumore del pancreas
POLO è uno studio internazionale, randomizzato di Fase III con placebo, in doppio cieco in pazienti con adenocarcinoma del pancreas con mutazione nei geni BRCA1 e/o BRCA2 (gBRCAm) sottoposti per almeno 16 settimane a chemioterapia e che non hanno avuto una progressione di malattia. “Parte dei pazienti arruolati nello studio – spiega Tortora – ha ricevuto olaparib (compresse da 300 mg/2 al dì) parte placebo, a partire da 4-8 settimane dopo l’ultima dose di chemioterapia, continuando fino a progressione o tossicità inaccettabile”. Circa il 7,5% dei pazienti con tumore del pancreas hanno queste mutazioni e quindi sono candidabili alla terapia con olaparib. Il farmaco, che si assume per bocca, è già in uso su altri tumori e funziona bloccando l’azione di un enzima che ripara il Dna, la proteina PARP, impedendo così il riparo dei danni provocati al DNA dalla chemioterapia precedente con derivati del platino. Attualmente le persone affette da tumori del pancreas metastatico hanno una sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) di soli 6 mesi circa. A oggi non si sono mai dimostrati efficaci trattamenti di mantenimento per migliorare la sopravvivenza di questi malati.
Lo studio POLO si è basato su un precedente recente studio di Fase II, in cui l’aggiunta dell’inibitore di PARP aveva dimostrato un tasso di risposte di quasi il 22% in pazienti con mutazione gBRCAm. POLO è stato quindi il primo studio di Fase III che ha valutato l’efficacia del mantenimento con un inibitore di PARP nei tumori del pancreas dopo chemioterapia.
Il principale obiettivo dello studio era prolungare la sopravvivenza libera da malattia, valutata da un comitato centrale indipendente dai ricercatori. Sono stati trattati 90 pazienti con olaparib e 61 con placebo. Lo studio POLO ha dimostrato un incremento significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza nei pazienti con gBRCAm che hanno ricevuto olaparib invece del placebo dopo chemioterapia, ottenendo una sopravvivenza media liberi da progressione di malattia di 7,4 vs. 3,8 mesi, riducendo quindi del 47% il rischio di progressione dei pazienti trattati. A 2 anni il 22.1% dei pazienti trattati con olaparib era libero da progressione di malattia rispetto al 9.6% di quelli trattati con placebo. La tollerabilità è risultata buona e in linea con quanto atteso sulla base dei trattamenti consueti con olaparib anche in altre malattie così come la valutazione della qualità della vita. “POLO è quindi il primo studio che nei tumori del pancreas stabilisce un vantaggio nel trattamento con un nuovo farmaco biologico assegnato sulla base di una alterazione genetica-molecolare – sottolinea il professor Tortora -. Si stanno inoltre studiando altre alterazioni molecolari presenti in piccoli sottogruppi di pazienti con tumori del pancreas, che potrebbero avere in tempi brevi farmaci specifici”.
“Si apre così, finalmente anche nella lotta contro questo tumore, una strada già percorsa con successo per curare altri tipi di cancro (che colpisce per esempio polmone, mammella, colon, melanoma), in cui i pazienti ricevono terapie in base alle rispettive alterazioni nel profilo genico-molecolare della loro neoplasia”, conclude il professor Tortora.
Depressione, la storia di Noa ha scioccato il mondo
PsicologiaHa vinto la depressione, Noa Pothoven ha smesso di lottare. Nei suoi occhi, guardando le foto postate su instagram, si legge chiaramente una profonda malinconia. Un disagio portato dentro come un fardello che negli anni l’ha logorata, sino a farle desiderare la “dolce” morte. La storia di Noa Pothoven, soli 17 anni, ha sconvolto e spaccato l’opinione pubblica. La ragazza ha chiesto e (si pensava ottenuto) l’eutanasia, legale nei Paesi Bassi, è morta dopo anni di sofferenze psichiche seguite ad una violenza subita da bambina. La giovane è morta domenica, aveva dichiarato di non sopportare più di vivere a causa della sua depressione. A seguito della violenza subita, soffriva anche di stress post traumatico e di anoressia. Lo riferiscono i media olandesi.
MALATTIA DELL’ANIMA
Prima ancora di qualsiasi considerazione o giudizio etico o morale, si dovrebbe cercare di comprendere quanto abbia sofferto questa giovanissima donna. La depressione, che molti hanno definito come la “malattia dell’anima” è uno dei disturbi psichici più comuni e invalidanti. Molte, anzi moltissime, possono essere le cause: traumi subiti in giovane età, lutti o anche dinamiche familiari complesse. Uno dei campanelli d’allarme che risuonano con sempre maggior frequenza è la consapevolezza che questo male dell’anima è in costante aumento. Non a caso, l’OMS ha previsto che nel giro di pochi anni la depressione sarà la seconda causa di invalidità per malattia, subito dopo le malattie cardiovascolari.
CAMPANELLI D’ALLARME
Esistono molti campanelli d’allarme ai quali prestare attenzione. I più comuni sono la perdita di energie, senso di fatica, difficoltà nella concentrazione e memoria, agitazione motoria e nervosismo, perdita o aumento di peso, disturbi del sonno (insonnia o ipersonnia), mancanza di desiderio sessuale e dolori fisici. Questi sono sintomi “fisici”, ai quali si devono aggiungere quelli emotivi . Ad esempio emozioni quali la tristezza, l’angoscia, la disperazione, l’insoddisfazione, il senso di impotenza, la perdita della speranza e il senso di vuoto. La depressione è una nemica ostica da combattere, ma non insormontabile. Il miglior consiglio che si può dare in questi casi è di prendere coscienza dell’esistenza di un problema e di intraprendere quanto prima un percorso psicologico di rinascita con il proprio terapeuta.
Energy drink, troppi in poco tempo fanno danni al cuore
Stili di vitaSi chiamano energy drink: sono bevande energetiche composte da un mix di sostanze stimolanti come taurina, caffeina, zuccheri e alcune vitamine del gruppo B. Se bevuti in eccesso e in un periodo breve di tempo, gli energy drink possono causare rischi per il cuore. Lo afferma una nuova ricerca pubblicata sul Journal of the American Heart Association. Bere circa 1 litro di bevande energetiche nell’arco di un’ora potrebbe aumentare la pressione sanguigna e alterare la frequenza cardiaca.
Energy drink e ritmo cardiaco, lo studio
Lo studio ha coinvolto 34 volontari sani, tra 18 e 40 anni di età. Dopo essere stati suddivisi in due gruppi, al primo gruppo è stato chiesto, per tre giorni consecutivi, di bere in un’ora circa un litro di due diverse tipologie di energy drink, entrambe contenenti un totale compreso tra i 304 e i 320 milligrammi di caffeina (sotto al limite di 400 mg al giorno stabilito per legge), e altri ingredienti come la taurina (un amminoacido), il glucuronolattone (uno zucchero) e alcune vitamine del gruppo B. Ai partecipanti del secondo gruppo è stato chiesto di bere un drink placebo di acqua gassata, succo di lime e aromi alla ciliegia. I ricercatori hanno poi monitorato l’attività elettrica del cuore e la pressione sanguigna di ciascun partecipante sia all’inizio dello studio sia ogni 30 minuti per le 4 ore successive al consumo delle bevande energetiche e del drink placebo.
È emerso che i partecipanti del gruppo che aveva consumato energy drink avevano un battito cardiaco alterato: dopo 4 ore dall’assunzione, l’intervallo QT (il tempo impiegato dai ventricoli per prepararsi a generare un nuovo battito) era tra i 6 e 7,7 millisecondi più lungo rispetto a quello di coloro che avevano bevuto la bevanda placebo. Se l’intervallo QT è troppo lungo – spiegano i ricercatori – può causare un’alterazione del battito cardiaco, o un’aritmia cardiaca, che può portare a gravi complicanze ed, in alcuni casi, essere fatale. Inoltre, si è verificato anche un notevole aumento (da 4 a 5 mm Hg) della pressione arteriosa. I ricercatori spiegano che il responsabile di queste alterazioni non può essere solo la caffeina che era presente in quantità inferiori rispetto ai limiti raccomandati dall’Efsa. Lo studio, tuttavia, presenta alcune limitazioni. Non sono stati analizzati, infatti, gli effetti a lungo termine e quelli di un consumo abituale di queste bevande. Inoltre, l’assunzione degli energy drink non è stata valutata in associazione con altre sostanze, come alcol o stupefacenti.
Asma, lo sport (giusto) può aiutare
BambiniPrurito e arrossamenti, ma anche vere e proprie crisi respiratorie. L’ asma e le allergie, soprattutto nei bambini, stanno diventando problemi molto comuni e diffusi. Per centinaia di migliaia di mamme un vero e proprio allarme, che le costringe a cercare soluzioni pratiche e rimedi efficaci. Soprattutto per l’ asma, i numeri sono allarmanti: circa 630mila i bimbi colpiti in Italia. Per i pediatri lo sport è benefico, ma con qualche accorgimento.
PICCOLI CONSIGLI
Numerosi studi hanno dimostrato che la capacità cardio-respiratoria del bambino asmatico in buon controllo di malattia è, a parità di allenamento, perfettamente sovrapponibile a quella del bambino sano e che lo sport, se correttamente praticato, può diventare strumento efficace di riabilitazione respiratoria. Il bambino asmatico, quindi, non deve rinunciarvi, ma imparare a svolgerlo in sicurezza. «È fondamentale – spiega Diego Peroni, consigliere della Società italiana di pediatria (Sip) – istruire bambini e genitori con alcuni suggerimenti, quali svolgere attività fisica all’aperto lontano dalle aree urbane con traffico intenso, evitare le fasce orarie nelle quali gli inquinanti raggiungono il picco di concentrazione nell’aria, privilegiando lo sport la mattina presto o la sera tardi, ma soprattutto raggiungere un buon controllo della malattia, associando allenamento, laddove necessario, a premedicazione farmacologica».
LO SPORT MIGLIORE
La domanda che molti genitori di figli con asma si pongono è: quale tipo di sport scegliere? «Il nuoto è certamente quello meglio tollerato dai bambini asmatici poiché l’immersione in acqua favorisce l’espirazione e l’incremento della ventilazione polmonare risulta moderato», spiega Stefania La Grutta, Consigliere Simri (Società Italiana Malattie Respiratorie Infantili). «La lotta, la scherma, il sollevamento pesi presentano un basso rischio in quanto comportano sforzi intensi, ma brevi e caratterizzati da uno scarso incremento della ventilazione. Gli sport basati sull’uso della palla possono essere praticati complessivamente senza problemi grazie all’alternanza di periodi di intensa attività a fasi con intensità ridotta. Al contrario, corsa e ciclismo possono più frequentemente scatenare crisi asmatiche, anche se con un buon controllo della malattia e un adeguato allenamento, possono essere comunque praticati. Assolutamente sconsigliate sono le attività subacquee».
In Italia un milione di persone con demenza, 600mila con Alzheimer: task force all’ISS
AnzianiSecondo i dati dell’Osservatorio Demenze dell’ISS in Italia un milione di persone sono affette da demenza, 600mila sono colpite da Alzheimer e circa 3 milioni sono le persone direttamente o indirettamente coinvolte nell’assistenza dei loro cari. Colpisce in numero maggiore le donne. Se ne parlerà questo pomeriggio durante l’open day “ISS e malattia di Alzheimer: prevenzione oltre la diagnosi” dalle 17.00 alle 21.00. Nei giardini dell’ISS saranno organizzati dagli 11 Centri e Dipartimenti 12 stand tematici con cinque percorsi dedicati ai fattori di rischio e di prevenzione, terapie, biotecnologie, servizi per il cittadino, giochi e scienza. Questi stand saranno gestiti da ricercatori dell’ISS, medici, psicologi, terapisti, associazioni di volontari per presentare tematiche collegate alla diagnosi e alla prevenzione della malattia di Alzheimer con il coinvolgimento dei giovani dell’Alternanza Scuola-Lavoro.
“L’Istituto Superiore di Sanità – dice Nicola Vanacore coordinatore dell’Osservatorio Demenze dell’ISS finanziato dal Ministero della Salute – è in prima linea nel condurre e sostenere la ricerca e la trasferibilità immediata dei risultati alla pratica clinica corrente del sistema socio-sanitario del Paese. Per la prima volta tutti i Centri e Dipartimenti hanno offerto supporto sinergico per individuare i fattori di rischio collegati all’insorgenza della malattia, poiché è ormai noto che alcuni di questi fattori di rischio sono legati allo stile vita, come l’abitudine al fumo, l’alimentazione o l’attività fisica, e pertanto sono potenzialmente modificabili”.
Giornata per informare contro la demenza, gli obiettivi
L’open day vuole essere un momento di incontro e di confronto tra la comunità dei ricercatori e la cittadinanza per promuovere un nuovo approccio di sanità pubblica nell’affrontare una malattia che impatta nelle vite di centinaia di migliaia di persone e delle loro famiglie.
“L’obiettivo della giornata – dice Annamaria Confaloni, responsabile dell’Open Day e ricercatrice del Dipartimento di Neuroscienze – è di sensibilizzare la cittadinanza verso i corretti approcci diagnostici e terapeutici promuovendo anche un nuovo rapporto tra le generazioni nella lotta allo stigma della malattia che ha un enorme impatto economico e sociale con un costo annuo stimato di 12 miliardi di euro. Questa malattia è ormai considerata da tutte gli organismi nazionali ed internazionali una vera e propria emergenza socio-sanitaria”.
“Grazie all’Osservatorio Demenze – conclude Nicola Vanacore – l’ISS ha aggiornato la mappa online che offre un servizio pubblico a tutti i cittadini e gli operatori socio-sanitari riportando i Centri per la diagnosi (CDCD – centri per i disturbi cognitivi e demenza), i Centri Diurni e le strutture residenziali presenti in ogni provincia italiana. Tali servizi forniscono l’assistenza socio-sanitaria a tutti i pazienti ed ai loro familiari nell’intera storia naturale della malattia”.
Lotta all’Alzheimer, dalla ricerca di base allo studio delle mutazioni genetiche
L’attività di ricerca del Dipartimento Neuroscienze sulla malattia di Alzheimer e le altre demenze, prosegue su più livelli. L’attività sperimentale riguarda lo studio dei meccanismi molecolari che modulano i processi neurodegenerativi e l’utilizzo di sostanze terapeutiche in grado di modificarli utilizzando sia modelli animali che cellulari. Queste attività vengono svolte in collaborazione con il Centro di riferimento Scienze Comportamentali e Salute Mentale e il Centro nazionale Ricerca e Valutazione Preclinica e Clinica dei Farmaci. Inoltre, grazie ad un’attiva collaborazione con centri clinici nazionali ed internazionali per il reperimento dei campioni biologici, l’unità operativa è impegnata nella ricerca di nuovi possibili marcatori diagnostici e prognostici, con lo scopo di migliorare la caratterizzazione clinica dei pazienti.
Un ulteriore tema di indagine, riguarda l’individuazione delle variabili genetiche che causano o predispongono all’insorgenza delle forme familiari nella demenze di Alzheimer e Frontotemporale. La collaborazione con il Centro di Riferimento di Medicina di Genere si è concentrata sulle differenze di genere nella ricerca di biomarcatori per le patologie neurodegenerative. Infine, il gruppo collabora da anni con il Centro nazionale Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute nell’ambito dell’epidemiologia molecolare.
Osservatorio Demenze e riflettori sulla popolazione immigrata
Il gruppo di lavoro del Centro Nazionale Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute (CNaPPS) si occupa del sito dell’Osservatorio Demenze che da anni aggiorna la mappa online dei servizi assistenziali sul territorio. Partecipa al Piano Nazionale demenze per lo sviluppo di raccomandazioni etiche relative ai diritti, all’autonomia e alla dignità delle persone affette da demenza. I ricercatori ISS sono coinvolti, inoltre, nello studio “Interceptor” dell’Agenzia Italiana del Farmaco con l’obiettivo di identificare biomarker in grado di prevedere con maggiore precisione la conversione della diagnosi di deficit cognitivo lieve in malattia di Alzheimer dopo 2 o 3 anni di follow-up. II gruppo partecipa anche al progetto Immidem, il primo progetto dedicato in Italia alla prevalenza della demenza nella popolazione di immigrati e nelle minoranze etniche. Anche il Dipartimento Ambiente e Salute promuove la ricerca per identificare i possibili fattori di rischio ambientali coinvolti nell’insorgenza delle demenze e approntare opportune strategie di prevenzione
Disturbi cognitivi e anziano fragile
Il Dipartimento malattie cardiovascolari, dismetaboliche e dell’invecchiamento è in prima linea per la prevenzione dei disturbi cognitivi nell’ anziano fragile. E’ impegnato nello studio dei fattori protettivi e di rischio associati alle principali patologie e alterazioni funzionali età-correlate, tra cui il deterioramento cognitivo e la fragilità nell’anziano, al fine di individuare profili di rischio favorevoli al mantenimento dell’autosufficienza, per un invecchiamento attivo e in buone condizioni psico-fisiche e relazionali.
Carcinoma polmonare non a piccole cellule, studio preliminare su nuovo farmaco
Ricerca innovazioneIl carcinoma polmonare è il cancro più comune al mondo e la principale causa di morte per cancro. Nel 2018 sono stati circa 2,1 milioni i nuovi casi di carcinoma polmonare in tutto il mondo e circa 1,8 milioni i morti. La maggior parte dei tumori al polmone sono diagnosticati solo allo stadio avanzato o metastatico. Il carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) corrisponde a circa l’80-85% di tutti i carcinomi al polmone. Nel decennio scorso, l’introduzione di terapie mirate e di inibitori checkpoint, ha migliorato le terapie per i pazienti affetti da NSCLC avanzato o metastatico; tuttavia, per coloro che non sono eleggibili agli attuali trattamenti o per coloro in cui il cancro continua a progredire, sono necessari nuovi approcci terapeutici.
Per pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato e con EGFR mutato, gli inibitori tirosin-chinasici dell’EGFR offrono percentuali di risposta e sopravvivenza più elevate rispetto alla chemioterapia; tuttavia la maggior parte dei pazienti alla fine sviluppa una resistenza a questi farmaci, di solito entro un anno, da quel momento le opzioni di trattamento diventano più limitate.
L’HER3 è un membro della famiglia dei recettori tirosin-chinasici del fattore di crescita dell’epidermide umana (EGFR), che sono associati ad una crescita cellulare anormale. L’HER3 è sovraespresso in molti tipi di cancro ed è stato correlato alla progressione del tumore e ad una peggiore sopravvivenza globale. Nei pazienti con NSCLC, l’espressione di HER3, che si presenta con una frequenza del 75%, è associata ad aumento delle metastasi e ridotta sopravvivenza. Recentemente i ricercatori hanno riconosciuto il potenziale dell’HER3 come target terapeutico, ma attualmente nessun agente anti-HER3 è approvato per il carcinoma polmonare non a piccole cellule o altri tipi di cancro.
Carcinoma polmonare non a piccole cellule, lo studio sul nuovo farmaco
Ieri a Chicago, durante il Congresso ASCO 2019, Daiichi Sankyo ha presentato i dati preliminari dello studio di fase I sul suo nuovo farmaco anticorpo-coniugato (ADC) U3-1402, sperimentato in 23 pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC), metastatico, con mutazione EGFR e resistente agli inibitori tirosin-chinasici. I risultati preliminari sull’efficacia per i 16 pazienti che hanno ricevuto l’ADC U3-1402 a dosi da 3,2 mg/kg a 6,4 mg/kg, e valutabili al momento dell’estrazione dei dati, hanno dimostrato riduzione delle dimensioni del tumore per tutti i pazienti con un valore medio del 29 % (in un range da -3% a -80%). Tutti i 16 soggetti erano stati precedentemente trattati con un inibitore della tirosin-chinasi (TKI), inclusi 15 con osimertinib. Sette pazienti erano anche stati sottoposti a chemioterapia. Un totale di 16 pazienti erano ancora in trattamento alla data dell’estrazione dei risultati, il 25 febbraio 2019.
“Questi dati clinici iniziali dimostrano un’attività con U3-1402, inclusa una riduzione precoce delle dimensioni del tumore nei pazienti che hanno sviluppato resistenza agli inibitori tirosin-chinasici EGFR – ha dichiarato uno sperimentatore, Pasi A. Jänne, MD, PhD, Direttore del Lowe Center For Thoracic Oncology, Dana-Farber Cancer Institute – Sono necessari nuovi approcci terapeutici per il carcinoma polmonare non a piccole cellule con EGFR mutato nei pazienti che hanno sviluppato resistenza ai TKI, specialmente a osimertinib, e i risultati preliminari di questo studio indicano che prendere di mira l’HER3 con questo ADC è una strategia che può rivelarsi efficace in diversi meccanismi multipli di resistenza”.
L’espressione dell’HER3 è stata riportata nel 75% dei casi di carcinoma polmonare non a piccole cellule,[i] e nei pazienti dello studio, tutti i tumori sottoposti alla valutazione immunoistochimica retrospettiva (n=19) hanno mostrato di esprimere HER3. I dati preliminari di sicurezza in 23 pazienti valutabili hanno registrato un buon profilo di sicurezza per U3-1402 con una esposizione mediana al trattamento di 105 giorni. La dose massima tollerata non è ancora stata raggiunta. I più comuni eventi avversi, di ogni grado, osservati durante il trattamento (in ≥30% dei pazienti) includevano nausea (60,9%), stanchezza (39,1%), vomito (34,7%), inappetenza (30,4%) e diminuzione del numero delle piastrine (30,4%). Un evento avverso di grado ≥ 3 si è verificato in più del 10% dei pazienti (diminuzione del numero delle piastrine, 26,1%). Le seguenti tossicità dose-limitanti sono state osservate in 4 pazienti: diminuzione del numero delle piastrine di grado IV in 4 pazienti e neutropenia febbrile di grado III in 1 paziente. 6 pazienti (26,1%) hanno riportatoo eventi avversi seri durante il trattamento a prescindere dal rapporto di causalità, in 3 pazienti (13%) tali eventi seri erano correlati al trattamento in studio. Per 1 paziente (4,3%) l’evento avverso ha portato all’interruzione del trattamento.
“Il farmaco anticorpo-coniugato U3-1402 è stato realizzato utilizzando la tecnologia DXd ADC di Daiichi Sankyo per portare la chemioterapia all’interno delle cellule neoplastiche che esprimono HER3 come antigene della superficie cellulare.- ha commentato Dalila Sellami, MD, Vice Presidente Global Team Leader dell’U3-1402, Global Oncology Research and Development di Daiichi Sankyo – Questi risultati forniscono evidenza di una promettente attività di questo ADC nel carcinoma polmonare non a piccole cellule, e si aggiungono alla nostra precedente ricerca dove ha dimostrato il suo potenziale uso nel carcinoma mammario metastatico HER3 positivo.”
Il farmaco
U3-1402 è una molecola in fase di sperimentazione non ancora approvata per alcuna indicazione in alcun Paese. La sicurezza e l’efficacia non sono state ancora determinate. Lo Studio globale in due parti in aperto di Fase I sta arruolando pazienti affetti da NSCLC con mutazione EGFR, metastatico o non resecabile, progredito nonostante la terapia a base di inibitore della tirosin-chinasi. Include pazienti che hanno presentato progressione della malattia o con erlotinib, gefitinib, dacomitinib o afatinib e sono risultati negativi al test per la mutazione del T790M, oppure con osimertinib indipendentemente dallo status del T790M. L’obiettivo primario dello studio è valutare la sicurezza e la tollerabilità di U3-1402 e determinare la dose raccomandata per l’estensione. Gli obiettivi secondari sono la caratterizzazione della farmacocinetica della molecola e la valutazione preliminare dell’efficacia, misurando la sua attività antitumorale. Si stima che saranno arruolati più di 60 pazienti in circa 17 centri nel mondo.
U3-1402- Incluso nel Franchise sperimentale sui Farmaci Anticorpo-Coniugati di Daiichi Sankyo Cancer Enterprise, U3-1402 è un ADC che ha il potenziale per essere una terapia “first-in-class” contro l’HER3. Gli ADC sono medicinali antineoplastici mirati che veicolano una chemioterapia citotossica (“carico farmacologico”) alle cellule neoplastiche mediante un legante attaccato a un anticorpo monoclonale che si lega a uno specifico bersaglio espresso sulle cellule neoplastiche. Realizzato con l’impiego della tecnica DXd di Daiichi Sankyo, U3-1402 è composto da un anticorpo anti-HER3 umanizzato attaccato al carico farmacologico di un nuovo inibitore della topoisomerasi I, mediante un legante a base tetrapeptidica. Esso è disegnato per portare in modo mirato la chemioterapia all’interno delle cellule neoplastiche, e ridurre così l’esposizione sistemica al carico farmacologico citotossico rispetto ai meccanismi della comune chemioterapia.
Lauren, influencer nonostante la Sla
News PresaLa Sclerosi laterale amiotrofica non ha fermato la giovane Lauren Spencer, che anzi in breve tempo sta diventando una delle influencer più amate. Colpita a soli 14 anni dalla Sla, malattia neurodegenerativa, la piccola Lauren ha dovuto reinventare la propria vita. Lei che amava correre, fare hockey su strada e ballare, a 19 anni ha dovuto iniziare a usare una carrozzina per muoversi, ma ha deciso che in qualsiasi caso avrebbe fatto in modo di vivere la vita al massimo.
I SOCIAL
La malattia ha proceduto lentamente rispetto ad altri pazienti, tanto che ora Lauren che ha poco più di trent’anni vi convive da circa 18 e ha deciso di diventare disabilily lifestyle influencer, cioè dedicarsi a promuovere uno stile di vita il più positivo possibile per i disabili. Con oltre 13mila follower su Instagram (@itslololove) e oltre 10.000 iscritti al suo canale di YouTube (Sitting Pretty), è diventata parte dell’onda di “influencer”, ma ha concentrato i suoi contenuti sull’essere un’influencer di stile di vita per disabili”. «Faccio recensioni di prodotti – spiega alla Cnn che ha raccontato la sua storia – fornisco consigli su incontri e relazioni, ma solo suggerimenti di vita generali, perché a volte, come persona con disabilità, è impegnativo trattare con la società: ci sono tanti stereotipi». Lauren sta cercando di cambiare il modo in cui le persone vedono chi ha una disabilità.
VIAGGI E RECENSIONI
Il suo account Instagram contiene le foto dei viaggi con gli amici, i servizi di moda e il divertimento, perché a suo parere i temi che circondano il mondo dei disabili sono cupi o legati a «un’aria di compatimento». «Non sono triste – aggiunge – ho imparato ad accettare la mia disabilità, a divertirmi e ad essere positiva al riguardo». Lauren getta una luce diversa sui disabili anche attraverso il suo lavoro di modella per aziende come Tommy Hilfiger e Adidas. «Le persone con disabilità – rileva – sono appassionate e consumatrici di moda proprio come chiunque altro, possiamo essere attraenti e alla moda come qualsiasi altra persona su questa Terra». Dice di vedere la sua disabilità come «un onore, non un peso».
Transessualità, non più una malattia mentale
PsicologiaSiamo dovuti arrivare alla metà del 2019, ma alla fine la luce del progresso si è accesa: la transessualità non sarà più considerata come una malattia mentale. La decisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) cambia radicalmente le cose rispetto ai disturbi della salute sessuale. Nel caso di specie la percezione che il proprio sesso biologico non corrisponda alla propria identità. E’ uno dei cambiamenti fatti con l’aggiornamento dell’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (la cui sigla è Icd-11), il documento votato dall’Oms nella sua ultima Assemblea Generale a Ginevra.
DISCRIMINAZIONE
«E’ ora chiaro che essere transgender non è una malattia mentale”, osserva Lale Say, esperto di salute riproduttiva dell’Oms. la vecchia classificazione come malattia “può causare un enorme stigma per le persone transgender, che – ha proseguito Say – hanno importanti bisogni di salute, che possono essere soddisfatti se rientrano nella codificazione del nuovo docuemnto». Nel nuovo manuale delle diagnosi, la disforia di genere viene definita come «la marcata e persistente incongruenza tra l’identità vissuta da una persona e il sesso biologico assegnato», mentre nella precedente versione era considerato un disturbo dell’identità di genere, e inserito nel capitolo dei disturbi mentali e comportamentali.
COME NAPOLEONE
La decisione dell’Oms arriva dopo anni di discussioni e di polemiche, ma come venivano considerati i transessuali in passato? All fine del 1800 in maniera molto sbrigativa venivano definiti affetti da “metamorfosi sessuale paranoica”. Addirittura uno dei primi testi dedicati alle patologie sessuali considerava chi affermava di appartenere al sesso opposto era paragonabile a chi immaginava di essere Napoleone. È solo a partire dagli Anni ’30 e ’40 del secolo scorso che gli scienziati hanno iniziato a interessarsi al tema della transessualità. Se in Occidente, l’ambiguità sessuale è stata spesso condannata, altrove non sempre è stato così. E in alcune culture, come tra i nativi nordamericani, avevano uno status quasi sacro. La filosofia spirituale dei nativi americani non solo accettava l’esistenza di un “terzo sesso”, ma gli affidava compiti da guaritori, consiglieri, sacerdoti o sciamani.