Tempo di lettura: 3 minutiMercoledì, 12 giugno, le condizioni meteomarine dello Stretto di Messina erano davvero pessime, con venti di scirocco, forti correnti e gorghi improvvisi. “Da tempo non si vedeva un mare così difficile” – raccontano gli organizzatori e la gente del posto. Eppure, l’impresa di Alberto Sassoli, professionista e nuotatore genovese, e di altri 30 ardimentosi compagni di nuotata, si è compiuta, nonostante le difficoltà e la temperatura dell’acqua intorno ai 18 gradi. Partito da Capo Peloro (Messina) alle 10:45, Alberto Sassoli ha toccato la spiaggia calabrese di Cannitello davanti a tutti, dopo 1 ora e 20 minuti, superando una distanza di 4,2 chilometri (che significa circa 1 chilometro in più di bracciate, proprio a causa delle cattive condizioni del mare).
Chi è Alberto Sassoli che ha affrontato il mare per ricordare i pericoli dell’ictus
Alberto Sassoli, 46 anni, genovese, Customer Service Representative presso Boston Scientific Italia dal 2006, è un grande appassionato di nuoto, sport che ha scandito fasi importanti della sua vita e lo ha visto gareggiare agonisticamente sin da bambino, approdare alla pallanuoto, diventare bagnino di salvataggio e, quindi, istruttore di nuoto e allenatore federale di pallanuoto. Questa traversata dello Stretto, però, ha un altro obiettivo: ricordare la madre di Alberto, scomparsa a causa di un ictus, la traversata è stata organizzata per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla prevenzione di questa patologia grave che in Italia registra, ogni anno, 150mila nuovi casi, con un tasso molto elevato di invalidità. Si calcola, infatti, che gli invalidi permanenti a seguito di un ictus siano oggi più di un milione. Lavorando da più di 10 anni in Boston Scientific – multinazionale che opera nel settore dei dispositivi medici e che ha dato a questa iniziativa il proprio “sostegno non condizionato” – Alberto sa bene quanto si possa fare per la prevenzione e il trattamento di questa patologia, ma anche quanto ci sia ancora da fare per stimolare l’attenzione del pubblico.
Per questo, e per fare arrivare a quante più persone possibili un messaggio forte, Alberto Sassoli ha affidato la propria testimonianza ad A.L.I.Ce. Italia Onlus, Associazione Italiana per la Lotta all’Ictus Cerebrale.
L’associazione
Grazie alla struttura territoriale che copre in modo capillare l’intero Paese, A.L.I.Ce. ha sostenuto questa iniziativa allestendo in prossimità della partenza un desk informativo presso cui un teamdi neurologi e di emodinamisti ha effettuato per l’intera giornata test medici gratuiti ai presenti, misurazioni della pressione arteriosa, controlli sulla Fibrillazione Atriale, elaborazione di schede del rischio da consegnare al medico curante, distribuzione di materiale informativo sulle terapie disponibili, da quelle farmacologiche ai nuovi dispositivi per la chiusura dell’auricola sinistra del cuore. Nove i medici coinvoltiche, per l’occasione, hanno prestato la loro opera volontaria, mettendo a disposizione la loro professionalità per la popolazione presente.
“Nonostante le statistiche ci dicano che, nel nostro Paese, i casi di ictus cerebrale sono diminuiti nel corso degli ultimi anni, ci troviamo comunque di fronte ad una catastrofe sociale” – dichiara la professoressa Carmela Casella,medico neurologo e coordinatrice regionale A.L.I.C.eSicilia Onlus. “Più persone sopravvivono all’ictus, maggiore è, infatti, la dimensione della disabilità da affrontare”. A sua volta, la professoressa Rosa Musolino – Presidente Onoraria A.L.I.Ce. Messina Onlus– ricorda che “in Italia, sono quasi 1 milione le persone che convivono con le conseguenze invalidanti della malattia, il cui peso – anche se con diversi livelli di complessità – è destinato ad aumentare anche per via dell’invecchiamento della popolazione”.
“L’ictus cerebrale – commenta infine la Dottoressa Nicoletta Reale, Presidente di A.L.I.Ce. Italia Onlus“è una patologia che comporta un onere gravoso anche dal punto di vista socio-economico, ma che può essere scongiurata nell’80% dei casiattraverso il riconoscimento e il trattamento dei principali fattori di rischio quali fibrillazione atriale, ipertensione arteriosa, obesità, diabete, fumo, alimentazione non corretta, scarsa attività fisica. È nostro compito, quindi, sensibilizzare la popolazione, perché prevenire l’ictus è possibile. La nostra Associazione affianca da sempre le persone colpite da ictus con l’obiettivo di creare una rete di contatto e condivisione con chi ha già vissuto la medesima esperienza, fornendo informazioni sia sulla prevenzione primaria, sia sulle opportunità disponibili nelle complesse fasi del post-ictus”.
La fiducia riposta da Alberto Sassoli e da A.L.I.Ce in questa iniziativa è stata ripagata; l’affluenza dei visitatori, gli screening effettuati, i contributi alla raccolta fondi lo testimoniano, riconfermando la necessità di un impegno costante per aumentare la consapevolezza sui rischi dell’ictus, patologia grave, che ha dimensioni e impatto sociale pesanti ma che, con le nuove terapie, si può prevenire, curare, superare e sconfiggere.
Sfida lo Stretto di Messina contro l’ictus: l’impresa di Alberto Sassoli
News PresaMercoledì, 12 giugno, le condizioni meteomarine dello Stretto di Messina erano davvero pessime, con venti di scirocco, forti correnti e gorghi improvvisi. “Da tempo non si vedeva un mare così difficile” – raccontano gli organizzatori e la gente del posto. Eppure, l’impresa di Alberto Sassoli, professionista e nuotatore genovese, e di altri 30 ardimentosi compagni di nuotata, si è compiuta, nonostante le difficoltà e la temperatura dell’acqua intorno ai 18 gradi. Partito da Capo Peloro (Messina) alle 10:45, Alberto Sassoli ha toccato la spiaggia calabrese di Cannitello davanti a tutti, dopo 1 ora e 20 minuti, superando una distanza di 4,2 chilometri (che significa circa 1 chilometro in più di bracciate, proprio a causa delle cattive condizioni del mare).
Chi è Alberto Sassoli che ha affrontato il mare per ricordare i pericoli dell’ictus
Alberto Sassoli, 46 anni, genovese, Customer Service Representative presso Boston Scientific Italia dal 2006, è un grande appassionato di nuoto, sport che ha scandito fasi importanti della sua vita e lo ha visto gareggiare agonisticamente sin da bambino, approdare alla pallanuoto, diventare bagnino di salvataggio e, quindi, istruttore di nuoto e allenatore federale di pallanuoto. Questa traversata dello Stretto, però, ha un altro obiettivo: ricordare la madre di Alberto, scomparsa a causa di un ictus, la traversata è stata organizzata per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla prevenzione di questa patologia grave che in Italia registra, ogni anno, 150mila nuovi casi, con un tasso molto elevato di invalidità. Si calcola, infatti, che gli invalidi permanenti a seguito di un ictus siano oggi più di un milione. Lavorando da più di 10 anni in Boston Scientific – multinazionale che opera nel settore dei dispositivi medici e che ha dato a questa iniziativa il proprio “sostegno non condizionato” – Alberto sa bene quanto si possa fare per la prevenzione e il trattamento di questa patologia, ma anche quanto ci sia ancora da fare per stimolare l’attenzione del pubblico.
Per questo, e per fare arrivare a quante più persone possibili un messaggio forte, Alberto Sassoli ha affidato la propria testimonianza ad A.L.I.Ce. Italia Onlus, Associazione Italiana per la Lotta all’Ictus Cerebrale.
L’associazione
Grazie alla struttura territoriale che copre in modo capillare l’intero Paese, A.L.I.Ce. ha sostenuto questa iniziativa allestendo in prossimità della partenza un desk informativo presso cui un teamdi neurologi e di emodinamisti ha effettuato per l’intera giornata test medici gratuiti ai presenti, misurazioni della pressione arteriosa, controlli sulla Fibrillazione Atriale, elaborazione di schede del rischio da consegnare al medico curante, distribuzione di materiale informativo sulle terapie disponibili, da quelle farmacologiche ai nuovi dispositivi per la chiusura dell’auricola sinistra del cuore. Nove i medici coinvoltiche, per l’occasione, hanno prestato la loro opera volontaria, mettendo a disposizione la loro professionalità per la popolazione presente.
“Nonostante le statistiche ci dicano che, nel nostro Paese, i casi di ictus cerebrale sono diminuiti nel corso degli ultimi anni, ci troviamo comunque di fronte ad una catastrofe sociale” – dichiara la professoressa Carmela Casella,medico neurologo e coordinatrice regionale A.L.I.C.eSicilia Onlus. “Più persone sopravvivono all’ictus, maggiore è, infatti, la dimensione della disabilità da affrontare”. A sua volta, la professoressa Rosa Musolino – Presidente Onoraria A.L.I.Ce. Messina Onlus– ricorda che “in Italia, sono quasi 1 milione le persone che convivono con le conseguenze invalidanti della malattia, il cui peso – anche se con diversi livelli di complessità – è destinato ad aumentare anche per via dell’invecchiamento della popolazione”.
“L’ictus cerebrale – commenta infine la Dottoressa Nicoletta Reale, Presidente di A.L.I.Ce. Italia Onlus“è una patologia che comporta un onere gravoso anche dal punto di vista socio-economico, ma che può essere scongiurata nell’80% dei casiattraverso il riconoscimento e il trattamento dei principali fattori di rischio quali fibrillazione atriale, ipertensione arteriosa, obesità, diabete, fumo, alimentazione non corretta, scarsa attività fisica. È nostro compito, quindi, sensibilizzare la popolazione, perché prevenire l’ictus è possibile. La nostra Associazione affianca da sempre le persone colpite da ictus con l’obiettivo di creare una rete di contatto e condivisione con chi ha già vissuto la medesima esperienza, fornendo informazioni sia sulla prevenzione primaria, sia sulle opportunità disponibili nelle complesse fasi del post-ictus”.
La fiducia riposta da Alberto Sassoli e da A.L.I.Ce in questa iniziativa è stata ripagata; l’affluenza dei visitatori, gli screening effettuati, i contributi alla raccolta fondi lo testimoniano, riconfermando la necessità di un impegno costante per aumentare la consapevolezza sui rischi dell’ictus, patologia grave, che ha dimensioni e impatto sociale pesanti ma che, con le nuove terapie, si può prevenire, curare, superare e sconfiggere.
La prevenzione comincia a tavola
PrevenzioneSi chiama PreVenENDO il viaggio nel mondo della salute ideato e realizzato da Katherine Esposito e Dario Giugliano, rispettivamente ordinari di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e direttori della Diabetologia e dell’Endocrinologia della stessa azienda ospedaliera universitaria.
INFORMAZIONE CIRCOLARE
Il progetto, inaugurato l’11 giugno, si propone di offrire un’informazione circolare che abbraccia le patologie sociali e quelle rare. Obiettivo finale: aiutare tutti i cittadini ad orientarsi nella ricerca del benessere. E come non partire dal più gettonato dei temi, «Il Piatto Mediterraneo e la salute», visto che la storia della dieta Mediterranea è una storia di salute ricca di evidenze scientifiche. Non è un caso che questo regime alimentare sia stato assunto a modello in moltissimi paesi del mondo.
LIBRERIE E CAFFE’ LETTERARI
Con PreVenENDO l’Università incontra i cittadini nei luoghi del vivere quotidiano, per lanciare messaggi che possano migliorare lo stato di benessere e promuovere la prevenzione delle malattie del sistema endocrino a maggiore impatto sul sistema sociale. Si pensi ad esempio all’obesità, al diabete, alle patologie tiroidee e dell’osso, sulle quali gravano molti fattori legati allo stile di vita, senza dimenticare l’informazione sulle malattie rare di interesse endocrino. Per questo motivo, gli incontri si terranno soprattutto nelle librerie, nei caffè letterari, nei circoli culturali, ricreativi e sportivi. Il prossimo appuntamento è fissato per settembre 2019 e il tema trattato sarà la prevenzione dell’obesità. Piccola curiosità, testimonial d’eccezione della prima giornata sono stati il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, e il rettore dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, Giuseppe Paolisso.
Alcol e droghe, il dossier dei medici di Napoli
News PresaFanno uso di sostanze stupefacenti o abusano di alcol, sono giovani e sono tutt’altro che ragazzi problematici. Più che altro, millennials che hanno perso il senso del rischio. L’allarme arriva da Napoli, ma sembra essere un problema generazionale più che territoriale. Resta il fatto che i numeri emersi nel corso dell’incontro dal titolo “I giovani e la febbre del sabato sera”, voluto e organizzato dalla Commissione Comunicazione e dal CUG dell’OMCeO Napoli, delineano un vero e proprio bollettino di guerra. Uno «sballo mortale», come lo ha definito senza mezzi termini Giuseppe Galano, responsabile della Centrale operativa del 118 di Napoli e attività territoriali: «I dati ci dicono che il consumo di allucinogeni, anfetamine e droghe sintetiche – ha spiegato – si diffonde ormai con estrema facilità tra i giovani e anche tra gli adolescenti. Ed è un fenomeno in continuo aumento, anche perché i costi di queste droghe sono bassi si possono reperire con estrema facilità». Ad aggravare la pericolosità di queste sostanze sono i mix letali. Spesso vengono assunte con alcool, il cosiddetto “binge drinking”. Il dossier presentato all’Ordine dei Medici di Napoli rivela un altro aspetto allarmante: l’identikit dei giovani a rischio non è quello di ragazzi “problematici”, bensì “normali adolescenti” che purtroppo non percepiscono il pericolo, vivono tutto questo in modo inconsapevole, in preda a un senso di emulazione che fa venire meno il senso del rischio.
UN PROBLEMA SOCIALE
Ragazzi come Nico, il giovane napoletano (soli 20 anni) deceduto la scorsa estate dopo una notte trascorsa in discoteca a Positano, trovato senza vita in un vallone della località turistica della costiera amalfitana. Un giovane “senza grilli per la testa”, con solide relazioni familiari, che non ha mai fatto uso di sostanze stupefacenti e senza alcun problema di dipendenza da alcol. Un giovane che però è stato vittima del “sistema dello sballo”, tabù sdoganato da una società che ha sacrificato i valori e il senso della misura sull’altare del profitto. All’Ordine dei Medici di Napoli è stato il papà di Nico a portare la testimonianza di un dolore che non potrà mai essere superato, ma che deve anche servire a proporre soluzioni e a portare al cambiamento. Un messaggio propositivo e positivo, che deve servire per salvare i giovanissimi da un nemico insidioso e subdolo. «Una delle esperienze più scioccanti – ha detto il papà di Nico – l’ho vissuta all’uscita della discoteca, quando ancora speravo di poter trovare il mio ragazzo in vita. Decine e decine di giovanissimi accasciati a terra, in preda ai postumi della sbornia o sotto effetto di droghe. Una scena da far rabbrividire vissuta da tutti come se fosse la cosa più normale del mondo e un solo unico obiettivo: “smaltire rapidamente per mettersi alla guida e tornare a casa”». «Dobbiamo imparare ad acquisire il linguaggio dei nostri figli, che devono essere aiutati a non soccombere alle mode – ha ricordato Clara Imperatore (Consigliere dell’Ordine e Coordinatore della Commissione Comunicazione e del CUG) -. Dobbiamo riuscire ad indurli a pensare autonomamente e a ricercare in loro stessi ciò che veramente può renderli felici e liberi».
I DATI
Un obiettivo da raggiungere presto, perché i dati campani descrivono una situazione ormai fuori controllo. Il “debutto” alcolico è sempre più precoce: più della metà dei ragazzi ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 14 anni (52,8%). Oltre la metà dei giovani (11-19 anni) beve “qualche volta” (51,6%), mentre l’8,2% lo fa “spesso”. In particolare, tra i 15-19enni la percentuale di chi beve “qualche volta” sale al 65% e solo due su dieci sono astemi. Un terzo degli intervistati ha giocato con gli amici a chi beve di più (33,1%) e una identica percentuale rivela di aver visto un amico o un conoscente riprendersi o farsi riprendere in video mentre beveva. Altrettanto preoccupanti i dati che emergono dalla centrale del 118 di Napoli. Nel 2018 le chiamate di soccorso per abuso di alcol sono state 409 (nei primi cinque mesi del 2019 sono già poco meno di 150), quelle per crisi dovute al consumo di droga nel 2018 sono state 372 (nei primi cinque mesi del 2019 poco meno di 70). Addirittura 4.673 gli incidenti stradali nel 2018 – legati o meno al consumo di sostanze stupefacenti e alcol – (da gennaio a maggio 2019 già 1.395). Il dossier svela che nei mesi estivi l’accesso al 118 per incidenti stradali e assunzione di stupefacenti aumenta in modo esponenziale. Due sono i mesi più critici, luglio e agosto, che invece dovrebbero essere i mesi migliori per mettersi alla guida. Sessanta giorni in cui la rete dell’emergenza e urgenza regge a fatica. Il sovraccarico di lavoro è spesso determinato dal trend dello “sballo” estivo: ebbrezza alcolica fino al coma etilico, uso di sostanze stupefacenti rimediate a poco prezzo all’ingresso di locali e discoteche, o passeggiando sul lungomare delle località balneari. All’incontro realizzato dall’Ordine dei Medici di Napoli – oltre al presidente Silvestro Scotti, da sempre molto attento a queste tematiche – hanno preso parte, tra gli altri: Maria de Luzenberger Milnernsheim (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Napoli), l’avvocato Cesare Patroni Griffi e i medici Alfredo Scarpa, Francesco Puoti, Alessandro Cirillo, Bruno Talento, Giovanni Nolfe, Carla Boccia, Franca Silvana Manco, Maria Ludovica Genna, Alessio Marino e Sanny De Vita.
Nati prematuri: una rete per fare diagnosi e interventi precoci
BambiniNasce una rete per il monitoraggio e la sorveglianza dei nati prematuri. Si tratta del risultato della collaborazione tra Istituto Superiore di Sanità (ISS), Società Italiana di Neonatologia (SIN) e Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA) che si sono uniti in una rete per il riconoscimento, la diagnosi e l’intervento precoce dei disturbi dello sviluppo nel neonato pretermine e a rischio. L’obiettivo della sinergia tra l’ISS e le due società scientifiche è quello di definire un appropriato modello organizzativo e un protocollo di follow-up condiviso tra neonatologie e neuropsichiatrie per il monitoraggio del neonato pretermine in tutto il territorio italiano. Tale modello sarà definito estendendo la rete anche ad altri professionisti coinvolti nella valutazione e presa in carico dei nati prematuri.
Nati prematuri, il progetto
“L’Istituto Superiore di Sanità – spiega Maria Luisa Scattoni, coordinatrice dell’Osservatorio Nazionale Autismo dell’ISS – come organo tecnico-scientifico del Sistema Sanitario Nazionale è impegnato nella promozione di modelli organizzativi sostenibili che possano garantire l’uniformità dei percorsi clinico-diagnostici in tutto il territorio italiano”.
La collaborazione con la Società Italiana di Neonatologia allarga la rete operativa di sorveglianza del neurosviluppo che il Ministero della Salute e l’ISS stanno promuovendo in collaborazione con la Società di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza e le principali Società Scientifiche pediatriche.
“I nati prematuri contribuiscono a più del 50% delle morti in epoca neonatale e a circa il 40% di quella infantile – dice Fabio Mosca, presidente della Società Italiana di Neonatologia – Questi neonati presentano inoltre un elevato rischio di gravi esiti a distanza (neurosensoriali, cognitivi, respiratori) e necessitano di attento monitoraggio dello sviluppo attraverso specifici protocolli di follow-up. La Società Italiana di Neonatologia, pertanto, sta promuovendo la disseminazione capillare in tutti i reparti di Patologia neonatale e/o Terapia Intensiva Neonatale (TIN) italiani della prima indagine nazionale sui servizi di follow – up del neonato pretermine e/o a rischio. Questa indagine – prosegue Fabio Mosca – è il primo passo per disporre di dati affidabili sulla base dei quali operare scelte professionali e di politica sanitaria”.
Anche la Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile ha pienamente investito nella collaborazione con l’ISS per l’istituzione di una rete di coordinamento tra neuropsichiatria infantile e pediatria finalizzata alla diagnosi e all’intervento precoce.
“La SINPIA fornirà il suo contributo nella definizione del protocollo di follow-up – dice Antonella Costantino, presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza – I servizi di neuropsichiatra infantile da sempre partecipano alla sorveglianza longitudinale del neonato pretermine insieme ai neonatologi e ai pediatri. Una diagnosi precoce consente l’introduzione di interventi tempestivi e mirati, e può migliorare in modo significativo la prognosi e la qualità di vita”.
“I risultati dell’indagine nazionale dei servizi di follow – up del neonato pretermine e/o a rischio, – conclude Maria Luisa Scattoni – saranno presentati a Roma il 13 novembre 2019 in occasione della settimana in cui si celebra la Giornata Mondiale della Prematurità. Un appuntamento cruciale in cui i professionisti impegnati a vario grado nel follow-up e nel primo intervento, le società scientifiche e le istituzioni si riuniranno per discutere il contesto nazionale, le criticità e gli interventi strategici da mettere in campo”.
Tutto pronto per Giochi senza Barriere
Associazioni pazientiDomani, per Giochi senza Barriere, ci sarà anche una rappresentanza dell’azienda ospedaliera Antonio Cardarelli di Napoli. La manifestazione si terrà alla Mostra d’Oltremare di Napoli ed è organizzata dall’Associazione Tutti a Scuola. «Il Cardarelli – spiega il Commissario Straordinario Anna Iervolino – è un’azienda che guarda ad una sanità d’eccellenza orientata ai bisogni dell’utenza, soprattutto quella più bisognosa di attenzioni. Con questa rinnovata sensibilità, vogliamo dare forza a quei servizi, vecchi e nuovi, dedicati alle persone con disabilità». Per Giochi senza Barriere saranno due gli ambulatori per pazienti con disabilità in rappresentanza del Cardarelli: quello di Ginecologica (afferente all’unità operativa complessa diretta dal dottor Claudio Santangelo) e quello di Odontoiaria che vede da decenni impegnata la dott.ssa Salerno, afferente all’unità operativa diretta dal dottor Umberto Esposito. «Essere presenti a questa manifestazione– conclude Anna Iervolino – è per noi motivo di grande orgoglio, un’opportunità di far conoscere meglio i nostri servizi ma anche quella di promuovere e sollecitare iniziative analoghe, e comunque creare certamente occasione di confronto su temi ai quali sia noi che il Presidente Vincenzo De Luca tiene in modo particolare».
INGRESSO GRATUITO
Ormai da anni Giochi senza Barriere richiama migliaia di partecipanti, in arrivo non solo da Napoli ma da ogni parte della provincia. Come sempre ci saranno rappresentati delle istituzioni, associazioni e tanti artisti, animazione, musica e spettacoli. E poi ci sarà lo sport, protagonista indiscusso di ogni edizione. Si mira stavolta al traguardo record delle 20mila presenze, per bissare e magari superare il dato della scorsa edizione per una giornata all’insegna della spensieratezza e dell’allegria. Molti i laboratori previsti grazie all’impegno delle associazioni e delle scuole del territorio. Attività destinate ai più piccoli e ai più grandi, ma anche un vero e proprio Ranch di “Tutti a Scuola”
TUTTI A SCUOLA
L’associazione è una delle più attive nel suo ambito e mette a disposizione molti utili servizi, tra i quali:
Centro ascolto e di counseling
si svolge tutti i giorni e serve le famiglie dei disabili distribuiti in tutta Italia per problematiche legate alla scuola, al tempo extra scolastico, alla assistenza . Questa attività ha prodotto , affianco a risultati concreti anche numerose denunce pubbliche nei riguardi di dirigenti scolastici, insegnanti, medici e politici.
Attività legale
si svolge prevalentemente in Campania ma si è ormai estesa in rete in altre regioni d’Italia ( Lazio , Friuli, Calabria, Sicilia e Puglia ) per il riconoscimento delle ore di sostegno e per la tutela dei diritti dei disabili nei diversi ambiti della vita.
Grazie alla sentenza n. 80 di febbraio 2010 della Corte Costituzionale abbiamo aperto la strada nella scuola a diversi migliaia di ricorsi in tutta Italia che vedono inevitabilmente soccombere la Pubblica Amministrazione.
Mentre la politica sta a guardare.
Anagrafe della disabilità
rappresenterebbe un pre requisito indispensabile per la politica per pensare e realizzare politiche di sostegno per i disabili.
E’ un progetto a costo zero che abbiamo costruito insieme a docenti delle facoltà di Medicina e di Economia della Università Federico II e proposto alle amministrazioni pubbliche (regione, provincia e comune) della Campania. Per approfondire clicca QUI
SMA, al via screening neonatale gratuito in Lazio e in Toscana
Bambini, News PresaI bambini che nasceranno nel Lazio e in Toscana avranno l’opportunità di un test gratuito che permetterà di sapere subito se si è affetti da una grave e rara malattia neuromuscolare: l’atrofia muscolare spinale (SMA), la prima causa genetica di mortalità infantile. È il risultato di un progetto pilota coordinato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, realizzato in collaborazione con i centri dello screening neonatale regionali, i centri nascita di Lazio e Toscana, e le Istituzioni regionali, con il supporto non condizionato dell’azienda farmaceutica Biogen. Circa 140 mila bambini in due anni (tanti sono i neonati stimati), verranno sottoposti a screening mediante un test genetico, che permetterà di fare con certezza la diagnosi di questa malattia quando ancora non ha fatto il suo esordio e quindi prima che produca danni gravi ed irreversibili. Questo naturalmente previo consenso dei loro genitori, che saranno informati durante il percorso nascita, e raggiunti anche attraverso una campagna di sensibilizzazione sui social organizzata in collaborazione con Famiglie SMA da Osservatorio Malattie Rare.
Screening Neonatale, a cosa serve
Secondo le stime di incidenza, si calcola di poter offrire una diagnosi precoce a circa 20 bimbi di cui l’80% affetto da SMA I o II, le forme più gravi (l’incidenza stimata è tra 1/6000 e 1/10000 nati vivi). I bimbi così individuati potranno essere presi in carico in un vero e proprio percorso di assistenza: sebbene una ‘cura’ definitiva non esista ancora, oggi una terapia efficace è disponibile ed ha dimostrato di poter cambiare radicalmente l’evoluzione della malattia.
“Qui da oggi nel Lazio parte un segnale forte, un modello per l’intero Paese di cui siamo profondamente orgogliosi”: ha sottolineato per la Regione l’Assessore alla Sanità e all’Integrazione Sociosanitaria Alessio D’Amato. “Un grande risultato raggiunto con l’aiuto di tutti, il mondo dell’associazione, i centri nasciti di Lazio e Toscana, e una decisa volontà politica. Siamo all’inizio di un percorso che ci auguriamo diventi quanto prima un esempio per tutto il territorio italiano”.
“La SMA è una grave malattia neuromuscolare che comporta la perdita dei motoneuroni, ovvero quei neuroni che trasportano i segnali dal sistema nervoso centrale ai muscoli, controllandone il movimento volontario. Dal punto di vista clinico – ha spiegato il prof. Eugenio Mercuri Direttore dell’Unità operativa di Neuropsichiatria Infantile del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – è caratterizzata da debolezza e atrofia muscolari progressive. In base all’età di esordio e alla massima acquisizione motoria, la SMA viene classificata in tre forme. Nelle forme gravi, come la SMA I l’aspettativa di vita è fortemente ridotta, inferiore ai due anni, senza supporto respiratorio.” La diagnosi neonatale potrebbe migliorare notevolmente l’aspettativa e la qualità di vita dei bambini che ne sono affetti. Dal 2017 esiste, infatti, un trattamento efficace: Nusinersen, un farmaco riconosciuto come ‘innovativo’ che appartiene alla categoria degli oligonucleotidi antisenso (ASO). Altri trattamenti sono ormai prossimi alla registrazione e commercializzazione.
“È stato dimostrato – ha spiegato il responsabile del progetto italiano, Francesco Danilo Tiziano, professore associato presso l’Istituto di Medicina Genomica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – che l’inizio del trattamento in fase pre-sintomatica è più efficace di quello in fase avanzata di malattia, tanto da consentire ai bambini con diagnosi predittiva di SMA I tappe di sviluppo motorio sovrapponibili a quelle dei bambini non affetti. Questo progetto – ha aggiunto – consentirà l’identificazione precoce dei pazienti e l’inizio del trattamento in fase pre-sintomatica, massimizzando i risultati della terapia. Inoltre i dati di questo studio consentiranno di definire l’esatta incidenza della SMA, di valutare la fattibilità dell’inclusione di questa condizione nell’elenco degli screening neonatali obbligatori a livello nazionale, oltre che di consentire ai parenti dei piccoli di effettuare scelte riproduttive informate.”
“Questo progetto arricchisce ulteriormente il panel di screening neonatale che il nostro centro screening già offre ai suoi neonati. Infatti la Regione Toscana ha aggiunto al pannello obbligatorio per legge altre 3 malattie da accumulo lisosomiale, come premessa per l’inserimento nel pannello nazionale obbligatorio” ha aggiunto la dr.ssa Maria Alice Donati, Responsabile della Struttura Operativa Complessa di Malattie Metaboliche e Muscolari Ereditarie, del Centro di Eccellenza di Neuroscienze dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Meyer di Firenze.
“L’avvento del farmaco commerciale, lo stato avanzato e positivo dei trials in corso e l’approvazione americana della terapia genica rendono indispensabile e imprescindibile arrivare ad identificare i bambini prima del manifestarsi dei sintomi della malattia, per assicurare un futuro di serenità a loro e alle loro famiglie. Ci auguriamo che il progetto pilota faccia da apripista per agevolare lo screening esteso a livello nazionale” – sostiene Daniela Lauro, Presidente Famiglie SMA.
“L’emendamento alla legge di bilancio del 2019, che modifica la legge 197/2016 sullo screening neonatale prevede che anche malattie come questa possano essere inserite nell’elenco degli screening obbligatori”: ha spiegato Teresa Petrangolini, Direttore Patient Advocacy LAB, ALTEMS, Università Cattolica del Sacro Cuore. “Mi auguro che questo innovativo progetto regionale, e i dati che ne proverranno, siano da stimolo affinché il Ministero della Salute provveda poi ad una estensione nazionale, così che tutti i bimbi possano avere le stesse opportunità”.
Lo studio è coordinato dall’Istituto di Medicina Genomica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e realizzato grazie alla collaborazione con la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma, l’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” di Roma, l’Università Sapienza di Roma, l’Azienda Ospedaliera Universitaria “Anna Meyer” di Firenze, i Governi Regionali di Lazio e Toscana, i Centri Nascita di Lazio e Toscana, l’associazione di pazienti Famiglie SMA ed è reso possibile grazie al contributo non condizionato di Biogen Italia srl.
In Europa, al momento, sono tre i progetti pilota di screening neonatale per l’atrofia muscolare spinale in corso: oltre al progetto di Lazio e Toscana ce n’è uno in Germania e uno in Belgio.
Etichetta accessibile dell’olio d’oliva per i non vedenti, è in arrivo
AlimentazioneDare a chi non vede, cioè a oltre 1.500.000 italiani, la possibilità di scegliere consapevolmente cosa mettere in tavola. Con questo scopo è nata l’etichetta accessibile dell’olio d’oliva realizzata dal CREA, con il suo centro di Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura, in collaborazione con l’Unione non vedenti e ipovedenti di Cosenza, Sisspre s.r.l. e l’azienda agricola Oli Tucci.
Etichetta accessibile, il progetto
Grazie al linguaggio braille e alle moderne tecnologie è stata realizzata un’etichetta narrante proprio per consentire a chi è affetto da disabilità visiva il libero accesso alle informazioni sulla composizione e sulle proprietà dell’olio d’oliva. Questo alimento, alla base della dieta mediterranea, è composto da varie molecole in prevalenza dall’acido oleico, un acido grasso monoinsaturo che agisce riducendo il colesterolo dannoso, dalla vitamina E, dallo squalene con attività antitumorale, dai fenoli che gli conferiscono proprietà antiossidanti, combattendo i radicali liberi e favorendo il rinnovo cellulare. In generale, migliora lo stato di benessere dell’organismo stesso, in quanto concorre alla diminuzione di disturbi legati a patologie cardiovascolari e neurodegenerative.
L’etichetta alimentare si delinea, quindi, come uno strumento fondamentale per un consumo responsabile che tuteli il consumatore, fornendo le informazioni indispensabili per un acquisto ragionato. Nel caso dell’olio extra vergine e vergine d’oliva queste riguardano, oltre alla composizione e alle proprietà nutrizionali, altre informazioni tra cui la denominazione di vendita e la designazione dell’origine (il Paese di provenienza delle olive e dell’olio). In questo modo, quindi, è possibile tracciare il prodotto lungo l’intera filiera, dimostrandone la genuinità e l’origine e contrastandone la contraffazione. L’olio italiano è un patrimonio unico al mondo per qualità e biodiversità, che deve poter essere accessibile a tutti. Si tratta, quindi, di un progetto di inclusione sociale, di pari opportunità nonché di educazione alimentare, in cui il CREA ha fornito le indicazioni per l’etichetta braille e ha creato lo storytelling per raccontare la cultivar, Sisspre, start up dell’innovazione, ha creato la tecnologia adatta all’etichetta narrante, l’Unione non vedenti e ipovedenti di Cosenza ha realizzato la grafica e stampato l’etichetta e Oli Tucci è stata l’azienda che ha promosso l’iniziativa.
“Un ente di ricerca, inserito e radicato nel territorio come il nostro, – ha dichiarato Gabriella Lo Feudo, responsabile dell’iniziativa per il CREA Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura – non poteva non avvertire la necessità dei consumatori/cittadini e quindi, mettendo a disposizione conoscenza e competenze, ha avviato questa iniziativa sociale molto importante. Leggere le etichette è un diritto/dovere dei consumatori e tutti devono essere messi nelle condizioni giuste per poterlo fare.”
Partner, li scegliamo sempre uguali. La ricerca
News PresaCiascuno di noi ha un suo “tipo” ideale. Non solo tendiamo a scegliere partner che hanno tra loro personalità simili, ma per certi aspetti ci somigliano anche. Una ricerca ha svelato le ‘leggi dell’amore”, dimostrando l’esistenza di ”regole” nella formazione delle coppie. Lo studio in questione è stato pubblicato sulla rivista PNAS ed è stato realizzato da Yoobin Park della University of Toronto. Dai dati emerge un elevato grado di coerenza nelle persone che scegliamo. I ricercatori canadesi hanno coinvolto i partecipanti allo studio “German Family Panel”, partito nel 2008 fino al 2017, raccogliendo informazioni sui loro partner tramite la compilazione di questionari ad hoc relativi alla propria personalità.
La scelta del partner. Lo studio
Nel 2017 i 332 individui che hanno partecipato all’indagine avevano avuto almeno 2 relazioni diverse. I ricercatori hanno confrontato l’esito dei questionari compilati dall’ex e dall’attuale dolce metà. I dati mostrano che i partner vecchi e attuali tendono a somigliarsi molto tra loro come personalità. In altre parole, le persone in una certa misura hanno un proprio ‘tipo’ di personalità da cui sono attratti. Inoltre tendiamo quindi a scegliere persone simili a noi. Secondo gli esperti, nonostante alcune persone possano interpretare questi dati negativamente, in quanto si può pensare a un ‘errore che si ripete’ quando la scelta ricade sempre su partner sbagliati; in realtà frequentando una persona simile a un ex, si possono utilizzare informazioni acquisite nella precedente relazione e rielaborarle con il nuovo partner in maniera più efficace.
Linfoma follicolare, una nuova terapia stimola risposta immunitaria contro i tumori
News PresaLa combinazione tra le cellule immunitarie del paziente, isolate e attivate in laboratorio, e rituximab (anticorpo diretto contro le cellule tumorali, detto anti-CD20), sembra essere una promettente terapia personalizzata per i pazienti con linfoma follicolare avanzato resistente alle cure. Un tumore caratterizzato dalla proliferazione incontrollata dei linfociti B. Si tratta di un risultato tutto italiano, frutto della collaborazione di strutture pubbliche e private. La scoperta, infatti, è stata fatta dai ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità che, in collaborazione con i colleghi dell’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea di Roma (il Centro clinico dove è stato condotto lo studio) e del Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano, hanno condotto una sperimentazione clinica di fase I (“Clinical and antitumor immune responses in Relapsed/Refractory Follicular Lymphoma patients after intranodal injections of IFN – Dendritic Cells and Rituximab”), pubblicata sulla rivista Clinical Cancer Research, su pazienti refrattari o recidivanti dopo precedenti trattamenti. Sebbene lo studio abbia coinvolto solo otto pazienti, in tutti è stata osservata l’attivazione di una risposta immune antitumorale e nella metà dei pazienti è stata ottenuta una risposta clinica parziale o completa con riduzione o scomparsa della malattia non solo nei linfonodi trattati, ma anche in quelli non trattati.
“Siamo molto soddisfatti dell’esito di questo studio – afferma Eleonora Aricò, ricercatrice di FaBioCell, la struttura dell’ISS dove vengono fabbricati questi farmaci innovativi – perché abbiamo visto concretizzarsi in risultati clinici lunghi anni di ricerche condotte in laboratorio, in collaborazione con i ricercatori del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS, sulle cellule dendritiche da noi “lavorate”, le cosiddette IFN-DC. È stato molto gratificante osservare che le cellule del paziente, coltivate per soli tre giorni nelle condizioni da noi messe a punto nell’ “officina per farmaci cellulari” dell’ISS, una volta re-inoculate nel linfonodo malato erano capaci di educare il sistema immunitario a riconoscere e combattere le cellule tumorali”.
In pratica, le IFN-DC – oggetto di un brevetto di proprietà dell’ISS – sono state inoculate all’interno di un linfonodo malato pretrattato con rituximab per potenziarne l’efficacia e il risultato non è mancato: in tutti i pazienti è stata stimolata una risposta immunologica antitumorale e nella metà dei pazienti è stata ottenuta una riduzione o addirittura la scomparsa della malattia non solo nei linfonodi trattati, ma anche in quelli non trattati. Un risultato che dimostra un vero e proprio “effetto vaccino” della combinazione IFN-DC e anti-CD20. Tutti i pazienti, inoltre, sono stati trattati ambulatorialmente e nessuno ha riportato effetti collaterali rilevanti.
“I risultati clinici dello studio sono veramente promettenti – dichiara Maria Christina Cox, responsabile clinico del protocollo presso l’Azienda ospedaliero-universitaria Sant’Andrea, ora in forze anche presso il King’s College Hospital Trust – considerato che i pazienti arruolati avevano caratteristiche cliniche sfavorevoli, poiché recidivati dopo diversi trattamenti, tra cui anche l’autotrapianto. La somministrazione della terapia si è rivelata molto semplice, priva di tossicità ed estremamente ben tollerata da tutti i pazienti. Penso che il campo di applicazione più interessante della terapia con IFN-DC nel linfoma follicolare sia nelle fasi precoci di malattia quando il sistema immunitario del paziente è più integro e il linfoma è meno aggressivo e resistente”.
“Anche se il numero limitato di pazienti valutati nel nostro studio non consente di trarre conclusioni definitive sull’efficacia clinica – spiega Imerio Capone, ricercatore del Dipartimento Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS, che ha coordinato lo studio insieme a Filippo Belardelli (già Direttore del Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare) – e saranno pertanto necessari studi di fase più avanzata su un maggior numero di pazienti, è interessante sottolineare la regressione delle lesioni non trattate unitamente al linfonodo iniettato, perché suggerisce l’insorgenza di una risposta immunitaria antitumorale sistemica dopo l’iniezione di IFN-DC e rituximab”.
Nel contesto attuale dell’immunoterapia contro il cancro, dove i trattamenti di nuova generazione hanno iniziato a mostrare risultati promettenti, “le IFN-DC – conclude il ricercatore – rappresentano un nuovo tipo di cellule dendritiche dotate di molteplici attività antitumorali e adatte allo sviluppo di terapie combinate più efficaci, sia nelle neoplasie ematologiche sia nei tumori solidi. In questa prospettiva, miriamo a espandere il raggio d’azione delle IFN-DC: stiamo, infatti sviluppando uno studio clinico in pazienti con glioblastoma e studi di combinazione con anticorpi immunostimolatori in altri tumori solidi”.
Le cellule prodotte in ISS contro il linfoma follicolare
Le cellule immunitarie utilizzate in questo studio sono state prodotte all’interno dell’officina farmaceutica FaBioCell dell’ISS partendo da cellule del sangue dei pazienti e coltivandone i monociti in presenza di interferone alfa. Queste cellule, dette IFN-DC, sono state scoperte da ricercatori del dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare quasi 20 anni fa e successivamente caratterizzate in dettaglio per la loro potenziata capacità di attivare, in modelli sperimentali di laboratorio, risposte immunologiche sia contro i tumori che contro le infezioni virali. Le IFN-DC sono oggetto di un brevetto di proprietà dell’ISS. Dopo un primo studio pubblicato nel 2015 in cui i ricercatori avevano dimostrato la totale sicurezza delle IFN-DC in pazienti con melanoma, questo nuovo studio clinico di cui l’ISS è stato coordinatore, dimostra finalmente che le IFN-DC, somministrate nei pazienti con linfoma follicolare refrattario a terapie standard, sono in grado sia di attivare risposte immuni specifiche contro il tumore sia di indurre risposte cliniche evidenti e durature.
Il meccanismo d’azione
Le IFN-DC sono cellule dotate di una spiccata capacità di “assimilare” i bersagli molecolari (o antigeni) delle cellule tumorali e presentarli alle cellule del sistema immunitario (i linfociti T) in modo che questi si attivino contro le cellule tumorali e ne inducano la morte. Per sfruttare questa capacità delle IFN-DC, in questo studio clinico è stata realizzata una vaccinazione in situ sfruttando la capacità del rituximab di indurre la morte delle cellule tumorali, cui è seguito l’inoculo delle IFN-DC che hanno potuto così raccogliere gli antigeni rilasciati dalle cellule morte per attivare risposte tumore specifiche. Per verificare questo meccanismo, è stata sviluppata, in collaborazione con ricercatori del CRO di Aviano, una complessa piattaforma di analisi delle risposte immunologiche. Attraverso questa piattaforma, sono stati analizzati campioni di sangue dei pazienti prima e dopo trattamento e i risultati hanno chiaramente mostrato un aumento delle cellule in grado di riconoscere antigeni del tumore del paziente stesso.
Linfoma follicolare. La malattia
Il linfoma follicolare è un tumore maligno caratterizzato dalla proliferazione incontrollata dei linfociti B. È il sottotipo più frequente tra i linfomi non-Hodgkin di tipo indolente; la sua prevalenza è di un caso su 3000 persone. Si sviluppa in età adulta e viene solitamente diagnosticato intorno ai 60 anni. Nel 70% dei casi la diagnosi avviene quando il linfoma è già in stadio avanzato ed è considerato incurabile. La malattia si localizza soprattutto nei linfonodi, ma può interessare anche la milza, il midollo osseo, e il sangue periferico. Sebbene la terapia standard, che prevede chemioterapia in combinazione con immunoterapia basata su un anticorpo anti-CD20 (rituximab), sia in grado di determinare la remissione clinica nella maggior parte dei pazienti, pressoché tutti poi recidivano nel corso degli anni.
Intervento innovato restituisce la mobilità delle mani
News PresaSembra solo uno slogan, di quelli pensati per una connessione ad internet o una macchina ben accessoriata: «Il futuro è oggi». Eppure deve essere proprio questa la frase balenata per la testa del paziente sino a ieri tetraplegico che, grazie ad un intervento innovativo, potrà riprendere ad usare le mani. Andiamo con ordine. Protagonista di questa storia è un 52enne operato all’ospedale Cto della Città della Salute di Torino. La metodica, eseguita in pochi centri al mondo e – sottolinea l’ospedale – per la prima volta in Italia, bypassa la lesione del midollo spinale ricollegando, come fili elettrici, i nervi sani a nervi non più funzionanti. In questo modo, spiegano i sanitari, è possibile reinnervare distretti muscolari altrimenti non recuperabili.
AUTONOMIA
L’intervento, durato circa tre ore e mezza, è stato eseguito su entrambi gli arti superiori da Bruno Battiston, Diego Garbossa, Paolo Titolo e Andrea Lavorato. Il paziente, un ex pasticcere, aveva riportato una lesione midollare completa a livello cervicale che, oltre al deficit completo degli arti inferiori, gli ha provocato l’impossibilità di aprire e chiudere le dita delle mani e, quindi, di afferrare gli oggetti e di provvedere alla propria cura personale. La chirurgia della mano tradizionale utilizzava trasferimenti di tendini, ma consentiva solo un parziale recupero della funzione motoria. La nuova tecnica, invece, permette un recupero maggiore e più fisiologico della funzione motoria e sensitiva degli arti. L’intervento è riuscito e non si sono presentate complicanze. Nei prossimi mesi il paziente sarà sottoposto a trattamenti fisioterapici possibili solo in centri di riferimento.
VERSO IL SOGNO
La speranza di molti, corroborata da scoperte e interventi sempre più incredibili, è di poter tornare a camminare o a muoversi nonostante la paralisi. In questo senso hanno fatto scalpore nei mesi scorsi le notizie di pazienti che grazie a tecniche molto avanzate hanno potuto tornare in piedi nonostante avessero lesioni sino ad oggi giudicate inguaribili. A settembre l’eccezionale risultato è stato ottenuto negli Stati Uniti grazie alla combinazione di una stimolazione elettrica del midollo spinale e una terapia riabilitativa ad hoc. Qualcosa di unico, una tecnica che ha meritato la pubblicazione su Nature Medicine. Grazie alla ricerca, firmata da Kristin Zhao e Kendall Lee della Mayo Clinic di Rochester.