Tempo di lettura: 4 minutiPer la prima volta in Italia i ricercatori impegnati nella lotta alla SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica, patologia oggi inguaribile che colpisce oltre 6000 italiani, potranno contare sulla prima biobanca per la conservazione dei tessuti biologici necessari alla ricerca sulla SLA e aperta a tutti gli scienziati nel mondo.
La Giornata Mondiale sulla SLA
La SLA è una malattia neurodegenerativa che porta alla progressiva perdita di forza muscolare e in alcune forme può portare alla morte nel giro di un anno dalla diagnosi. Il taglio del nastro della Biobanca Nazionale SLA è stato in occasione della Giornata Mondiale sulla SLA “Global Day”, che si celebra in tutto il mondo il 21 giugno per sollevare l’attenzione sui diritti delle persone con SLA. La scelta del 21 giugno, solstizio d’estate, esprime la speranza in un punto di svolta nella ricerca delle cause e delle cure efficaci per sconfiggere la SLA. Il simbolo del Global Day è il fiordaliso, fiore di campo sempre più raro e il cui colore blu lo rende bellissimo.
La biobanca al Gemelli
La Biobanca Nazionale SLA è stata inaugurata ieri a Roma da AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e da XBiogem alla presenza del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Nella giornata, in cui in tutto il mondo si celebra la speranza di cura per la SLA, il Presidente Conte ha incontrato i pazienti con SLA ospiti del NeMO, NeuroMuscular Omnicentre, il Centro Clinico che da oltre 10 anni è dedicato alla presa in carico specialistica delle persone con malattie neuromuscolari.
All’inaugurazione sono intervenuti Giovanni Raimondi, presidente di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS; Franco Anelli, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; Massimo Mauro, presidente di AISLA; Alberto Fontana, presidente dei Centri Clinici NeMO; Giovanni Scambia, direttore scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS; Mario Sabatelli, direttore clinico dell’area adulti del Centro clinico NeMO di Roma; Maurizio Colombo, presidente di Biorep e Maniele Tasca, direttore generale di Selex Gruppo Commerciale, Annalisa Manduca, giornalista Radio 1 Rai.
Massimo Mauro, presidente di AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, sottolinea: “E’ la prima volta che, su iniziativa degli stessi pazienti, si realizza una Biobanca messa interamente a disposizione degli scienziati impegnati nella ricerca. La nostra gente guarda al futuro con speranza e, ad oggi, l’unica risposta possibile è la ricerca. E’ un progetto in cui ho da sempre creduto perché sono convinto che aiuterà i ricercatori a offrire finalmente nuove terapie ed avere una freccia in più per sconfiggere la Sla”.
La Biobanca Nazionale SLA è una struttura situata al Policlinico Gemelli di Roma e sarà gestita da XBiogem, (Biorep Gemelli Biobank), società nata dalla collaborazione tra Policlinico Gemelli e BioRep, il Centro di Risorse Biologiche del Gruppo Sapio. Comprende 10 contenitori per la crioconservazione a vapore d’azoto a temperature comprese tra -20°C e i -190°C. I contenitori possono conservare fino a 380.000 campioni biologici di persone con SLA, tra tessuti, campioni di sangue etc.
Giovanni Raimondi, presidente di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, sostiene: “Nel nostro ospedale ricerca scientifica e cura si legano inscindibilmente con alta specializzazione e tecnologie innovative a disposizione di tutti i malati. La Biobanca è un nuovo importante tassello di questo mosaico di struttura d’avanguardia, la cui realizzazione è un esempio di fruttuosa sinergia tra industria, strutture ospedaliere e associazionismo per il raggiungimento di risultati nella ricerca di cure contro la SLA. Siamo onorati che il Presidente del Consiglio abbia voluto, con la sua partecipazione a questa giornata inaugurale, esprimerci sostegno e incoraggiamento”.
La Biobanca è stata pensata non solo per poter ricevere e stoccare i campioni biologici dai centri di ricerca, secondo criteri standard ottimali per la ricerca scientifica, ma anche per poterli condividere e inviare ai ricercatori che ne fanno richiesta. Sarà stilato un catalogo con i campioni stoccati, consultabile dagli scienziati italiani e stranieri e potrà essere gestito anche l’invio dei tessuti ai centri di ricerca, sempre nel rispetto dei criteri di corretta conservazione dei campioni.
La disponibilità di campioni biologici di persone affette da SLA, raccolti secondo standard internazionali e nel rispetto delle norme sulla privacy (i campioni sono catalogati in modo anonimo) è fondamentale per condurre ricerche scientifiche su questa patologia, per verificare in vitro sia la reazione a test con nuove molecole, sia la possibilità di identificare marker della patologia. Ad oggi, infatti, nonostante gli enormi passi avanti fatti dalla ricerca negli ultimi venti anni, le cause della SLA sono sconosciute e non sono ancora state trovate cure risolutive.
Sottolinea il presidente dei Centri Clinici NeMO, Alberto Fontana: “Nella giornata in cui si celebra in tutto il mondo la speranza di cura sulla SLA, siamo felici di aver accolto al Centro Clinico NeMO il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e di aver fatto conoscere il nostro modello di presa in carico delle persone con malattie neuromuscolari. NeMO pone al centro ogni giorno il bisogno della persona, mantenendo sempre lo sguardo rivolto al futuro. E oggi, con la nascita della prima Biobanca nazionale per la ricerca sulla SLA, non possiamo che festeggiare un importante passo avanti nella ricerca. Una ricerca che parte dal contributo e dal valore di ogni persona che vive la malattia”.
La creazione e l’avvio delle attività della Biobanca Nazionale SLA sono stati possibili grazie ad una donazione di 300.000 euro di Selex Gruppo Commerciale, terza realtà italiana della distribuzione moderna. Questa cifra è stata raccolta anche grazie alla campagna nazionale “Un gesto con il cuore per sostenere la ricerca contro la SLA” portata avanti in 700 punti vendita nel mese di maggio 2019 che ha portato il Gruppo a donare l’1% del venduto dei propri prodotti a marchio ad AISLA. Dopo questo inizio l’intenzione di Selex Gruppo Commerciale è di rimanere accanto ad AISLA per sostenere le attività future.
“Selex ha pianificato un percorso di sviluppo sostenibile che ha come comune denominatore la responsabilità sociale d’impresa ed è costellato da iniziative di solidarietà in sinergia con i territori che abbiamo il privilegio di servire” dichiara Maniele Tasca, Direttore Generale di Selex Gruppo Commerciale, terzo gruppo della distribuzione moderna nazionale “Cerchiamo di individuare ed elaborare progetti che hanno l’obiettivo di creare valore condiviso, che si tratti della sensibilizzazione verso gli sprechi alimentari, di sostegno alla ricerca o di salvaguardia dell’ambiente che ospita la nostra attività. Per questo abbiamo contattato AISLA, per dare un aiuto concreto condividendo l’impegno con i nostri clienti, e da qui è nata la campagna nazionale a favore della ricerca. Il resto è un gesto che ci è parso naturale fare”.
Arriva il caldo infernale, allarme dei medici
PrevenzioneUn caldo come quello che ci attende nei prossimi giorni non lo si vedeva da un decenni, per questo i medici tornano a lanciare l’allarme: «Non sottovalutate i rischi dei copi di calore». Andiamo con ordine. Entro giovedì secondo le previsioni dei metereologi, l’Europa sarà investita da correnti caldissime, con punte di 40 gradi anche in Italia e in particolare al Centro-Nord. I problemi maggiori saranno ovviamente quelli vissuti nelle giungle di cemento delle nostre metropoli. Quest’ultima settimana di giugno si prospetta rovente, e le temperature da record saranno estremamente pericolose per anziani e giovanissimi. La poderosa ondata di caldo dovrebbe raggiungere l’apice tra il 27 e il 29 giugno, sono attesi picchi di 37-40 gradi in città come Torino, Milano, Bologna, Roma, Frosinone, Rieti, Sassari.
I CONSIGLI DEL MINISTERO
I COLPI DI CALORE
Non tutti lo sanno, ma con temperature che superano i 40 gradi prendere un colpo di calore è molto facile. Non si tratta di una cosa da nulla, quando si sta male per aver preso un colpo di calore è infatti necessario intervenire il prima possibile per bloccare aumento ulteriori incrementi della temperatura potrebbero essere estremamente pericolosi. Ma come ci si rende conto di aver preso un colpo di calore? I sintomi più comuni sono la nausea e il vomito, la pelle arrossata talora con perdita della capacità di sudorazione, respirazione o battiti cardiaci accelerati, mal di testa, crampi o debolezza muscolare, stato confusionale e perdita di conoscenza. Mai sottovalutare questi campanelli d’allarme, la cosa migliore è consultare subito un medico e se necessario ricorrere all’intervento del 118.
Salute e social media, la parola ai lettori
News PresaPostare foto e scambiare messaggi con amici e parenti non è più il primo obiettivo di quanti usano i social media. Oggi, infatti, la comunità virtuale cerca e offre anche moltissime informazioni relative alla salute, anche se spesso queste notizie risultano a dir poco “inesatte” e finiscono per alimentare lo sterminato mondo delle fake news. Un tema molto sentito dalla comunità medica, che non a caso è sempre più spesso coinvolta nel dibattito sull’attendibilità e sulla credibilità di queste news.
I VACCINI
Uno dei temi di salute che maggiormente si è prestato alla circolazione di fake news è quello dei vaccini. Nel corso degli anni singoli utenti e interi gruppi “no-vax” hanno alimentato il dibattito, spesso anche argomentando le proprie posizioni con studi pseudo scientifici se non addirittura con casi montati o manipolati. I medici dal canto loro hanno risposto con un crescente impegno social, e con l’avvio di importanti campagne informative. Due casi su tutti: in primis l’esperienza della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, che ha realizzato una campagna rivolta proprio alle bufale in rete. E in secondo luogo, la pagina Facebook di Roberto Burioni. Una pagina che il medico utilizza per una strenua lotta in favore della salute e della prevenzione sottolineando (con argomenti scientifici) l’importanza dei vaccini.
IL CASO
In questi giorni proprio la pagina Facebook di Burioni è stata oggetto di un giallo. Il virologo del San Raffaele aveva pubblicato due post nei quali si commentava il caso della bambina ricoverata in rianimazione all’ospedale Confortini di Verona dopo aver contratto il tetano. Nonostante le raccomandazioni dell’Asl la bambina non era stata vaccinata, proprio per volontà dei genitori. Duro il commento di Burioni nei confronti dei no-vax. Solo che i post sono spariti da Facebook per alcune ore, a quanto pare a causa della violazione di standard e community policy della piattaforma. Secondo Burioni si è trattato di una segnalazione in massa dei no-vax con la motivazione dell’«incitamento all’odio».
LA PAROLA AI LETTORI
Insomma, indagare il ruolo che i social media hanno ormai nella veicolazione delle notizie di salute, ma anche l’impatto che generano sulla vita di ciascuno, non è più un passatempo da “nerd”. Si tratta invece di comprendere un fenomeno di portata gigantesca, destinata a crescere sempre più. Per questo il network editoriale PreSa, il CEIS EEHTA (Economic Evaluation and HTA), coordinato dal Prof. Francesco Saverio Mennini dell’Università Torvergata di Roma, e la Kingston University di Londra hanno promosso un questionario composto da 44 domande sul tema. Un questionario che tutti possono compilare per fornire un quadro più completo sull’impatto che i social media hanno sulle notizie relative alla salute. Rispondendo al questionario ciascuno potrà fare la propria parte, e contribuire alla ricerca. Inoltre, compilando il questionario, i partecipanti riceveranno un vero e proprio premio, un ringraziamento per l’impegno. Cosa? Un buono Amazon dal valore di € 5,00. Dopo aver risposto alle domande, l’importante sarà controllare la mail di conferma e quella successiva con il buono.
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Caregiver: identikit, leggi e nuove tecnologie in Italia
AnzianiIn Italia, secondo i dati ISTAT, sono 8,5 milioni (il 17,4% della popolazione) i caregiver. Queste figure si prendono cura di una persona che per malattia, infermità o disabilità, croniche o degenerative, non è autosufficiente, necessita di un’assistenza totale e continua di lunga durata o è titolare di un’indennità di accompagnamento. In alcuni casi, i caregiver sono gli stessi familiari del paziente: in Italia 7,3 milioni (il 14,9%). A questo tema è dedicato il convegno che si è svolto ieri in ISS, organizzato dal Centro Nazionale Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica (CNTISP) e dall’Associazione Scientifica per la Sanità Digitale (ASSD): “La figura del caregiver: tecnologie e ausili per migliorare la qualità della vita”.
“Negli ultimi anni è stato riconosciuto che il pieno coinvolgimento del caregiver nell’assistenza – dichiara Mauro Grigioni, responsabile del CNTISP – favorisce l’inclusione del paziente e ne migliora la qualità di vita, tanto che la figura del caregiver è stata riconosciuta dal punto di vista legislativo: la legge di Bilancio 2018 ha infatti istituito un fondo di 20 milioni di euro l’anno per il triennio 2018-2020”. La “presa in carico” di una persona non si limita alla gestione di una patologia, ma si estende alla qualità di vita a 360°: “di grande rilevanza in questo ambito – continua l’esperto – è la valutazione della fruibilità delle tecnologie da parte non solo dei pazienti, ma anche dei caregiver, in modo che tali ausili tecnologici assolvano in pienezza al loro compito, che è quello di rendere la vita un po’ più semplice alle persone con disabilità, favorirne l’integrazione e promuoverne l’autonomia”.
Identikit del caregiver
I dati dell’indagine ISTAT rivelano che il 18,5 % dei caregiver di professione ha dai 15 anni in su, il 17,4% si trova tra i 65 e i 74 anni, il 14,1% ha più di 65 anni mentre il 10,4% ha più di 75 anni. Leggermente più basse le percentuali di chi è caregiver dei propri parenti: il 16,1% ha un’età che va dai 15 anni in su, il 14,1 % ha tra i 65 e 74 anni, l’11,5% ha oltre 65 anni e l’8, 4% supera i 75 anni. In generale, le classi di età maggiormente impegnate nel fornire assistenza sono quelle comprese tra i 45 e i 54 anni (il 24,9% è caregiver e il 22% lo è nei confronti dei propri familiari) e tra i 55 e i 64 anni (il 26,6% è caregiver, il 22,9% si dedica all’assistenza familiare). Sempre secondo l’ISTAT, le principali caregiver sono le donne di età compresa tra 45 e 64 anni e che nel 60% dei casi hanno dovuto abbandonare la loro attività lavorativa. Quanto all’attività di assistenza, il 53,4% vi dedica meno di dieci ore a settimana, mentre il 25,1% supera le 20 ore e il 19, 8% svolge attività di assistenza per almeno dieci ore a settimana. Chi vi dedica più tempo ha in genere un livello di istruzione basso. Il dato regionale evidenzia che il numero più alto di caregiver è in Friuli Venezia Giulia (20,2%), quello più basso a Bolzano (11,9%). Riguardo all’assistenza familiare la Regione con percentuale più alta è l’Umbria (17,1%) mentre in fondo resta sempre Bolzano (9,3%).
Il reddito inverte la disponibilità: i numeri evidenziano infatti che chi si trova nel quintile più ricco (il 18,6%) ha più possibilità economiche per permettersi l’assistenza di un caregiver, non così ovviamente chi è collocato al primo quintile (il 13,6%) e dunque ha il reddito più basso. Se si prendono in considerazione le ore settimanali dedicate all’assistenza, la percentuale è maggiore ovviamente tra chi si trova nel primo quintile (quindi con il reddito più basso), con un 28,2% di chi ha tra i 15 e i 64 anni e con un 47,4% per chi ha più di 65 anni.
Una percentuale legata al reddito che si inverte invece quando si prende in considerazione la fascia di coloro che dedicano all’assistenza più di 20 ore a settimana. Infatti in questo caso la percentuale è maggiore tra chi si trova nel primo quintile (il più basso appunto) con un 28,2% di chi ha tra i 15 e i 64 anni e con un 47,4% per chi ha più di 65 anni.
Per quanto riguarda i caregiver “famigliari”, i dati evidenziano che più frequentemente ad essere caregiver sono proprio gli anziani che a loro volta si occupano di altri anziani che necessitano di maggiori assistenza per motivi di salute e che sovente non trovano altre forme di assistenza sul territorio.
Asl Napoli 1 Centro, nasce la scuola per caregivers
News PresaPrendersi cura dei propri cari affetti da patologie invalidanti, essere – come dicono gli inglesi – caregivers, significa troppo spesso dover svolgere un ruolo molto gravoso al quale non si è mai stati preparati. Ecco perché a Napoli, in particolare alla Asl Napoli 1 Centro, nasce la prima scuola di formazione dedicata ai familiari dei pazienti con malattia epatica cronica. Proprio oggi (lunedì 24 giugno) si inaugura nell’Aula Multimediale del Frullone (ore 14.00) questo straordinario progetto di formazione organizzato dal coordinamento del network epatologico aziendale, un percorso che ha l’obiettivo di “formare” i familiari (caregivers) che prestano cure e assistenza ai pazienti epatopatici cronici.
MEDICINA PROATTIVA
In linea con gli indirizzi del Governo Regionale, l’Asl Napoli 1 Centro risponde ai bisogni dei cittadini offrendo informazioni, consigli pratici e formazione affinché chi si prende cura di un proprio caro possa farlo nel migliore dei modi e possa affrontare questo difficile compito con la dovuta serenità. «L’obiettivo – spiega il Commissario Straordinario Ciro Verdoliva – è dunque quello di promuovere un progetto basato sulla Medicina Proattiva, offrendo risposte anche alle esigenze latenti dei nostri assistiti. Lo facciamo con il supporto dei Presidi Ospedalieri e dei Distretti Sanitari di base consapevoli delle complicanze che la malattia epatica cronica comporta e delle ricadute sulla qualità di vita non solo dei pazienti, ma anche delle loro famiglie. Per questo nel percorso diagnostico terapeutico sono coinvolte figure professionali e sedi diverse di cura (Medici di Medicina Generale in Aggregazioni Funzionali Territoriali c.d. AFT, Presidi Ospedalieri e Distretti Sanitari di Base), figure che grazie a questo progetto potranno avvalersi di una qualificata “sorveglianza” da parte degli stessi caregivers». Un modello che per funzionare ha bisogno di una precisa organizzazione gestionale, utile a far lavorare in sincrono i Presidi Ospedalieri e i Distretti Sanitari di base, ma anche di una spinta collaborazione tra specialisti diversi, figure sanitarie e sociali, tra medici e infermieri. Al centro, come sempre dovrebbe essere, la salute e le esigenze del paziente e dei suoi congiunti.
PIAGA SOCIALE
Per comprendere l’importanza dell’iniziativa basti pensare che diversi milioni di persone in Europa hanno contratto l’Epatite B e l’Epatite C che sono tra le principali cause di epatopatia cronica. Inoltre per quanto riguarda l’epatite cronica virale da virus dell’epatite C, secondo i dati relativi al 2018, la Regione Campania ha erogato più di 20.000 trattamenti con nuovi antivirali ad alta efficacia clinica, ottenendo nel 98% dei casi risoluzione totale dell’epatopatia C, molto diffusa nel nostro territorio. Di questi, l’Asl Napoli 1 Centro ha erogato, tramite i suoi 4 Centri Prescrittori, circa 3.000 trattamenti terapeutici agli epatopatici afferenti al suo territorio o provenienti da altre province campane, soddisfacendo il 14,3% della specifica richiesta assistenziale campana, a far data dal Decreto regionale n°20/2015. «L’esperienza di questa modalità di formazione per i caregivers di pazienti epatopatici cronici – commenta il Sub Commissario Sanitario Anna Borrelli – è la prima in Campania. Il nostro auspicio è di poter giungere alla migliore gestione dell’assistenza domiciliare al paziente durante le varie fasi della malattia, con il risultato di ridurre il numero dei ricoveri impropri, ma anche di migliorare la qualità di vita della famiglia del paziente».
Allarme nuove droghe. La lista delle sostanze psicoattive più pericolose
News PresaLe nuove sostanze psicoattive individuate sono in tutto 730, di cui 55 soltanto nel 2018. Un dato allarmante che emerge dall’ultimo report pubblicato a giugno 2019 dall’EMCDDA (European Monitoring Centre on Drugs and Drug Abuse), l’ente preposto al controllo europeo delle nuove sostanze in circolazione.
Nuove sostanze psicoattive, dove si trovano
Uno dei canali di vendita più pericoloso è il web: può raggiungere un pubblico potenzialmente infinito e di qualsiasi età, anche minorenni. Le ‘Novel Psychoactive Substances’, da cui nasce l’acronimo inglese NPS, sono tutte le sostanze d’abuso (in forma pura o in preparazioni), non sottoposte a controllo secondo le due convenzioni delle Nazioni Unite sui Narcotici (1961) e sulle Sostanze Psicotrope (1971), ma che possono causare conseguenze per la salute umana paragonabili a quelli determinati dalle sostanze ivi incluse. Si tratta di un problema di portata internazionale e in crescita, infatti le nuove molecole vengono continuamente inserite nel mercato anche per eludere i controlli che cominciano ad essere istituiti nei vari Paesi con l’aggiornamento della normativa in materia. In assenza di standard analitici di riferimento, le intossicazioni causate dalle NPS sono difficili da individuare e trattare, quindi potenzialmente più letali. Se ne è parlato nei giorni scorsi a Firenze al convegno nazionale della Società Italiana di Psichiatria. Spesso le NPS vengono riciclate da prodotti sintetizzati in passato per scopi farmacoterapeutici e abbandonati per via degli effetti avversi. Ad essere maggiormente a rischio sono i ragazzi, le sostanza inoltre sono difficili da rintracciare nei liquidi biologici con i comuni test tossicologici standard. Tra le molecole più rischiose ci sono le sostanze stimolanti come catinoni sintetici, fenetilamine, responsabili di episodi di delirio paranoide, agitazione psicomotoria grave, aggressività, allucinazioni, nonché ipertensione, crisi convulsive, disturbi cardiovascolari, addirittura coma, ma anche cannabimimetici sintetici, più spesso causa di intossicazioni anche fatali, ma anche di sintomi psicotici spesso non transitori. Inoltre sono state rinvenute nelle NPS anche nuovi oppioidi sintetici, a partire dal 2009: molecole molto potenti (ad esempio il fentanyl, capostipite di questa famiglia, ha una azione circa 100 volte maggiore rispetto a quella della morfina), che possono essere utilizzati anche come adulteranti di ‘sostanze classiche’, come eroina, causando scie di decessi per overdose.
I dati del consumo in Europa
Secondo i dati dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA) sono circa 88 milioni (25%) gli europei che hanno consumato sostanze illecite almeno una volta nella vita. Le più utilizzate restano ancora cannabis e cocaina (rispettivamente il 24,8 e il 5,1%). Nonostante non sia certo che la cannabis (la sostanza più studiata in assoluto), provochi schizofrenia o conseguenze simili in persone che altrimenti non l’avrebbero avuta, molti studi sembrano portare in questa direzione. Nuovi sviluppi sono attesi da ulteriori studi in corso che coinvolgono anche bambini.
Macula e danni del sole: berretto, occhiali e antiossidanti per proteggerla
AnzianiIn Italia si calcola che circa 800.000-1.000.000 di persone presentino segni iniziali di maculopatia senile con 100.000 nuovi casi all’anno. Non solo pelle, quindi, anche gli occhi vanno protetti dal sole soprattutto negli anziani che hanno un rischio maggiore di sviluppare la Degenerazione Maculare Legata all’Età (DMLE), un disturbo che colpisce un terzo della popolazione dopo i 70 anni, in prevalenza donne. È scientificamente dimostrato, infatti, che l’esposizione prolungata ai raggi UV, associata all’età, rappresenta una vera minaccia per la salute della macula. Inoltre, pazienti con un occhio già colpito da maculopatia senile hanno un rischio aumentato di svilupparla nell’altro. Perciò, occhiali da sole, cibi sani e integratori antiossidanti di ultima generazione devono far parte della routine quotidiana e non solo in vacanza ma anche in città.
Macula, come proteggerla
“E’ fondamentale avere un’alimentazione ed uno stile di vita equilibrati ma anche proteggere gli occhi dalla luce intensa con berretti con visiera e lenti da sole”, suggerisce Alfredo Pece, Primario della Divisione di oculistica dell’Ospedale di Melegnano e presidente della ‘Fondazione Retina 3000‘. Quando la patologia è in fase iniziale, si cerca di evitare che peggiori con integratori alimentari contenenti sostanze ad azione anti-ossidante e anti-infiammatoria che agiscono proteggendo la retina e rallentando i fenomeni ossidativi, ovvero distruttivi, della macula. “E’ stato dimostrato che alcune sostanze con funzione anti-ossidante possono rallentare la progressione della DMLE fino al 25%. Per questo è importante una corretta alimentazione e l’attenzione verso sostanze con funzione anti-ossidante e protettive del tessuto oculare” prosegue Pece. Queste sostanze possono avere un ruolo anche nella retinopatia diabetica, che rappresenta la complicanza micro vascolare più comune del diabete ed è la prima causa di cecità.
“L’occhio umano è costantemente sottoposto a una forte quota di stress ossidativo, provocato dall’esposizione alla luce solare (foto-ossidazione), con conseguente accumulo di radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno a livello del cristallino e della retina”, spiega Gianluigi Manzi, dell’UOC di Oftalmologia AORN dei Colli – Ospedale Monaldi di Napoli. Per questo è importante assumere la giusta quantità di anti-ossidanti. “Molti studi, tra cui AREDS 1 e AREDS 2, hanno valutato l’azione antiossidante sulle cellule retiniche di Luteina, Zeaxantina ed Omega3, contenute anche nei comuni alimenti (verdure a foglia verde, uova, tonno, salmone e sardine). Un nuovo impulso è stato dato dalla chiara evidenza che tanto la DMLE che la RD sono causate e peggiorate da fattori infiammatori. Per questo, la ricerca ha rivolto la sua attenzione anche ad altre sostanze come Gingko Biloba, Epigallocatechingallato, resveratrolo e antocianine, potenti antiossidanti per la loro funzione di protezione maculare”, spiega Manzi.
Di recente è stata provata anche l’efficacia anti-ossidante e anti-infiammatoria del Maqui, il cosiddetto ‘mirtillo della Patagonia’. Si tratta della bacca di una pianta, l’Aristothelia Chilensis, di un colore molto intenso e blu, la cui forma e il cui sapore ricorda molto il nostro comune sambuco. Viene coltivata solo in Patagonia, Argentina e Cile. E’ ricco di nutrienti e in particolare di flavonoidi tra cui antocianine e delfinidine , potenti anti-ossidanti contenuti anche nei frutti rossi come fragole, mirtilli e ribes, in grado di proteggere gli occhi anche dai danni dei raggi solari. In base ai test ORAC, che indicano la capacità di assorbimento dei radicali liberi dell’ossigeno.
“Il Maqui vive in un ambiente ostile per le condizioni di temperatura, le violente piogge e il forte vento che spira, condizioni che inducono la pianta a produrre delle bacche molto ricche di antiossidanti che le permettono di difendersi al meglio dall’ambiente. In particolare, contiene una quantità molto elevata di delfinidina, un polifenolo molto promettente. Il MaquiBright®, estratto purificato del Maqui berry, in recenti studi pubblicati anche sulla rivista Journal of the American College of Nutrition, è stato individuato come una molecola ad azione protettiva sull’apparato visivo. In un dosaggio di 30 mg in associazione a 150 mg di acido alfa lipoico sembra essere l’ultimo ritrovato in tema di supporto antiossidante anche per l’ottima tollerabilità” conclude Manzi.
La degenerazione maculare è una malattia che colpisce la parte centrale della retina. Grazie alla sua funzione gli occhi leggono, riconoscono i volti, distinguono i colori e gli oggetti. Quando le cellule della macula si deteriorano, l’occhio perde la visione della parte centrale del campo visivo, lasciando intatta quella periferica. “La forma più frequente (80%) – spiega Pece – è quella “secca” in cui la retina perde le sue cellule lentamente ma progressivamente, segue la forma umida (20%) in cui improvvisamente si ha la formazione di piccoli vasi all’interno dell’occhio con emorragie e perdita di liquido nella retina. La malattia inizia generalmente in un occhio, ma può interessare in breve tempo anche l’altro”.
La retinopatia diabetica colpisce circa il 3-5% delle persone nei paesi socialmente sviluppati ed è in forte crescita per le abitudini alimentari di certe popolazioni che assumono più zuccheri e calorie. “E’ legata sia al diabete di tipo 1 in una fascia di età più giovane che a quello di tipo 2 dell’adulto, nell’età medio-avanzata. Il tempo di insorgenza è molto variabile e dipende comunque dal controllo della glicemia e dei fattori di rischio” spiega Pece
Anemia mediterranea, al Cardarelli una nuova eccellenza
News PresaE’ del Cardarelli di Napoli il primo centro di risonanza magnetica in Campania della rete MIOT (Myocardial Iron Overload in Thalassemia) per la diagnosi e la cura dei soggetti affetti da Anemia Mediterranea. Il centro fa parte della struttura Complessa di Radiologia Generale e di PS (diretta da Luigia Romano). L’UOSD Malattie rare del globulo rosso (diretta da Aldo Filosa) segue 200 pazienti talassemici dipendenti da trasfusioni continue, 140 pazienti con talassemia intermedia e 40 pazienti con drepanocitosi o microdrepanocitosi. «L’impegno del Cardarelli e dei professionisti che animano quest’azienda è massimo in tutti i campi», dice il Commissario Straordinario Anna Iervolino. «L’apertura del centro MIOT al Cardarelli è stata sostenuta grazie ad un finanziamento regionale (obiettivi di piano 2018-2019) che ha permesso di sostenere i costi della validazione del centro e dei periodici controlli di qualità, nonché i costi per la formazione del Team dei Radiologi e dei Tecnici di Radiologia. Sono fiera di ricordare che il Cardarelli – conclude Iervolino – è un punto di riferimento per molti pazienti affetti da Anemia Mediterranea, pazienti che per vivere hanno bisogno di continue trasfusioni di sangue. A questi pazienti, in linea con la ferma intenzione del presidente Vincenzo De Luca di realizzare una sanità che sia sempre più votata all’eccellenza, noi offriamo una risposta vera e completa. Una risposta che si traduce in qualità di vita per i pazienti e per le loro famiglie e in un risparmio». Il risparmio per le casse pubbliche si aggira sui 100.000 euro l’anno, ma soprattutto si assiste alla fine della migrazione sanitaria per i pazienti talassemici troppo spesso costretti ad andare fuori regione – in strutture specializzate – per essere inseriti in programmi di valutazione dei depositi di ferro negli organi. Le trasfusioni necessarie a chi soffre di Anemia Mediterranea hanno infatti come effetto collaterale l’accumulo di ferro nel cuore e in altri organi come il fegato ed il pancreas con conseguenti complicanze quali problemi cardiaci (prima causa di morte delle persone adulte affette da questa patologia). Fino ai primi anni 2000 la quantità del ferro nel cuore non poteva essere quantificata e quindi i farmaci specifici per la chelazione del ferro venivano somministrati sulla base di parametri indiretti quali la ferritina sierica, dimostratasi oggi non correlare con l’accumulo di ferro nel cuore.
LA RETE SCIENTIFICA SANITARIA MIOT
La rete, alla quale fin dall’origine (il 2006) il Cardarelli ha aderito, ha sviluppato una tecnica di diagnosi (T2* multislice multiecho) – condivisa dai centri appartenenti al network – che attraverso la Risonanza Magnetica è in grado di quantificare in modo non invasivo l’accumulo di ferro cardiaco (nel setto e in altri 15 segmenti cardiaci), epatico e pancreatico con la diretta conseguenza di poter curare in modo personalizzato i pazienti attraverso i farmaci chelanti del ferro. Grazie a queste metodiche ed all’immissione in commercio di nuovi farmaci orali per rimuovere il ferro dall’organismo (chelanti del ferro), oggi l’aspettativa di vita di questi pazienti è radicalmente cambiata come dimostrato da evidenze scientifiche recentemente pubblicate sulla prestigiosa rivista European Heart Journal Cardiovascular Imaging nel 2018 (Pepe A et al), grazie allo sforzo cooperativo del MIOT network. «I pazienti con talassemia, mediamente necessitano di un esame di Risonanza Magnetica all’anno per la gestione della terapia ferro-chelante – spiega Alessia Pepe, responsabile scientifica e coordinatrice del progetto MIOT a livello nazionale-. Dai dati dello studio MIOT risulta indispensabile eseguire RM ravvicinate per accumuli cardiaci gravi (ogni 3-6 mesi) determinando uno spostamento molto più frequente per i pazienti più compromessi e inoltre la possibilità di valutare già in età pediatrica precocemente l’accumulo di ferro. Il disagio per i pazienti campani, area ad alta prevalenza di patologia talassemica, era nell’accedere all’esame di Risonanza Magnetica specifico per valutare l’accumulo di ferro cardiaco, epatico e pancreatico. Un disagio che potrà migliorare grazie al nuovo centro del Cardarelli di Napoli. Ad oggi, infatti, nell’ambito della rete MIOT sono stati eseguiti in totale più di 9.000 esami con 2.700 pazienti arruolati (di cui 1.400 donne e 200 in età pediatrica) che in molti casi hanno ridotto significativamente i chilometri da percorrere per accedere alle cure grazie alla presenza sul territorio dei centri del network».
ALTA TECNOLOGIA
Responsabile clinico scientifico per la parte radiologica del progetto MIOT nel reparto di radiologia dell’Ospedale Cardarelli di Napoli: «Il centro è dotato di una apparecchiatura di risonanza magnetica GE ad alto campo (1.5 T) con bobina e software cardio-dedicati in grado di garantire una disponibilità di posti per almeno 18 pazienti al mese». Il centro di Napoli del Cardarelli va ad aggiungersi agli attuali 9 centri di Risonanza Magnetica in Italia che costituiscono la rete MIOT guidata dalla Fondazione Toscana Gabriele Monasterio CNR Regione Toscana di Pisa: Ancona, Campobasso, Catania, Ferrara, Lamezia Terme, Palermo Policlinico e Palermo Ospedale Civico, Pisa, Roma e Taranto. Questi centri garantiscono una disponibilità per più di 1.000 esami per anno. Alla rete, cui possono fare riferimento i circa 6.000 italiani affetti da Anemia Mediterranea, afferiscono 65 centri per la talassemia. A Napoli Aldo Filosa, responsabile della UOSD Malattie rare del globulo rosso, è il responsabile clinico scientifico per la parte ematologica del progetto MIOT, che si avvale della collaborazione di Paolo Ricchi e di Anna Spasiano. Questi centri hanno deciso di condividere le proprie valutazioni clinico-strumentali in un data base centralizzato via web, che ad oggi viene riconosciuto come uno dei più ampi e strutturati a livello mondiale per la talassemia. Grazie a questo database negli ultimi 13 anni sono stati prodotti 60 lavori scientifici che hanno visto la luce editoriale su prestigiose riviste internazionali e a cui il gruppo della UOSD Malattie rare del globulo rosso del Cardarelli ha partecipato attivamente come Autori e/o co-autori al 50% delle pubblicazioni. Tutta l’operazione è avvenuta sotto il controllo etico della Fondazione Italiana Giambrone per la guarigione della Talassemia, ente Morale Onlus di associazione dei pazienti, presieduta da Angela Iacono, che si è fortemente adoperata per l’attivazione del nuovo centro MIOT al Cardarelli.
LA TECNICA
L’Unità Complessa di RM Specialistica e Neuroradiologia della Fondazione Toscana Gabriele Monasterio CNR Regione Toscana ha dapprima sviluppato la tecnica “multislice multiecho” che permette la quantificazione non invasiva dell’accumulo di ferro cardiaco su tutto il ventricolo sinistro con un approccio segmentale più sensibile nell’identificare stati di accumulo precoce a livello cardiaco. La stessa Fondazione ha validato un approccio multislice multiecho per la quantificazione dell’accumulo di ferro pancreatico, considerato che il diabete mellito nella popolazione talassemica è un emergente causa di morbilità, ed ha quindi poi verificato la trasferibilità dell’approccio ai centri di Risonanza Magnetica della rete, attraverso un rigoroso processo di validazione su volontari sani e pazienti ed attraverso un periodico controllo di qualità dei centri attivati.
Salute bambini: contro il “deficit di natura” l’iss ha formato 6mila pediatri e infermieri
News PresaInsegnare ad identificare i fattori di rischio ambientali, come l’inquinamento, e descrivere come il verde urbano possa mitigare le esposizioni. Ma non solo. Nel progetto, vengono elencate dal CURSA le azioni necessarie per rinsaldare quel rapporto tra Natura e Bambini che sembra essersi logorato con l’avvento delle nuove tecnologie digitali: arrampicarsi su un albero, prendere la rincorsa e saltare dentro una pozzanghera, andare in cerca di fossili, guardare in sicurezza un ruscello, fare una passeggiata nel bosco di notte. In altre parole, l’obiettivo è contrastare quello che viene definito il Deficit di Natura tra i bambini, coinvolgendo pediatri e operatori sanitari. Il progetto pilota che si intitola “Ambiente, clima e promozione della salute dei bambini”, è promosso e sostenuto dal Ministero della Salute, nell’ambito delle attività del Centro nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (Dipartimento di Ambiente e Salute) e realizzato dal CURSA (Consorzio Universitario per la Ricerca Socioeconomica e per l’Ambiente) insieme con il Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio. Iniziato nella primavera del 2018, il progetto è giunto alla sua ultima tappa e i risultati sono stati presentati e condivisi oggi 21 giugno presso la Tenuta Presidenziale di Castelporziano.
Uno dei prodotti principali del progetto è stato il Corso di Formazione A Distanza (FAD) “Natura è Benessere: dalla parte dei bambini” per fornire ai pediatri, ai medici di famiglia e a tutti gli operatori sanitari lo strumento per sensibilizzare le famiglie verso stili di vita più sani e sostenibili. Il Corso, sviluppato in collaborazione con il Servizio Formazione, è erogato sulla piattaforma dell’ISS. Ad oggi sono più di 6mila gli iscritti al programma.
Un focus particolare è stato dato agli spazi verdi nelle nostre città, ai parchi naturali e all’importanza di un contatto diretto dei bambini con la Natura. Il Corso FAD fornisce infatti la base per modificare le abitudini e gli stili di vita dei bambini e delle loro famiglie, un vero investimento per il mantenimento dello stato di benessere e salute anche da adulti.
Il materiale del Corso FAD fornisce inoltre agli operatori sanitari gli strumenti per comprendere che noi non siamo solo il frutto dei nostri geni, ovvero dell’informazione contenuta nella sequenza di DNA, ma siamo molto più complessi: il nostro genoma dialoga continuamente con l’ambiente e ne rimane intimamente influenzato, sia positivamente che negativamente.
Deficit di natura: i rischi
Il percorso formativo si conclude con una guida per i decisori politici, introducendo un nuovo paradigma clinico, definito nel 2005 da Richard Louv come “disturbo da deficit di natura”. Con questo termine il fondatore del “Children and Nature Network”, pone l’attenzione sugli stili di vita delle nuove generazioni che sono afflitte da una vera e propria sindrome da “deficit di natura”, come riduzione della percezione dei 5 sensi, difficoltà di concentrazione, minore capacità fisica ed emozionale.
Gestazione solidale per altri, nuova proposta di legge
News PresaIn Italia, con un’accezione non certo positiva, molti lo chiamano “utero in affitto”; in diversi paesi viene definita “Gestazione per Altri Solidale”. Il nome che le si sceglie non è cosa da nulla, perché è proprio il modo di percepire una questione che darà forma alle azioni intraprese da parte dei decision maker. Sta di fatti che in questi giorni, ancor più che in altri, sta montando la polemica tra favorevoli e contrari. E in un convegno tenutosi alla sede nazionale della Cgil si è parlato della proposta di legge sulla Gestazione per Altri solidale (GPA), presentata oggi dalle associazioni Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, Certi Diritti e Famiglie Arcobaleno.
SUPERARE I LIMITI
Dopo un lungo lavoro con giuristi, medici, esperti, il testo che disciplina il percorso di Gestazione per Altri solidale (GPA) è costituito da 8 articoli. Con l’obiettivo di superare i limiti imposti dalla Legge 40, chiede al Parlamento di normare le modalità di accesso alla fecondazione medicalmente assistita anche per chi non può sostenere una gestazione. «Anche confrontando le pratiche analoghe legali in molti altri paesi del mondo come Canada, Stati Uniti o Grecia, il testo descrive con precisione le condizioni di accesso al percorso, ammettendolo ai soli fini solidaristici e prevedendo una serie di tutele volte ad assicurare che le parti ricevano un adeguato monitoraggio medico e siano consapevoli e rispettose della reciproca situazione», spiega Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Coscioni. Ai genitori intenzionali l’obbligo di provvedere alla copertura dei costi di gestazione e parto. I minori nati acquisirebbero, sin dal trasferimento in utero dell’embrione, lo status di figli legittimi dei nuovi genitori, senza alcun riferimento alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento. Una proposta alternativa, compatibile e complementare, è stata elaborata anche dal portale di informazione giuridica Articolo29, in cui si prevede anche il controllo da parte di un’autorità giuridica. In merito alla gestazione per altri, l’Ufficio Nuovi Diritti della Cgil ha aperto un confronto con tutte le realtà che si interessano al tema.
QUANTE DONNE
Sono stimate in 10mila in Italia le donne nate senza utero o a cui è stato asportato per un tumore, donne che hanno fatto chemioterapia, o che hanno aritmie cardiache, problemi renali. Donne fertili, ma che non possono avere gravidanze a causa di problemi di salute. E almeno un centinaio di loro, ogni anno, si reca all’estero per avere un figlio. A spiegarlo è Marcello Pili, titolare di Cardiologia della Asl 6 di Cagliari, in occasione del convegno «Fecondazione assistita e gestazione per altri», organizzato presso la sede della Cgil dalle associazioni Luca Coscioni, Certi Diritti e Famiglie Arcobaleno. Gli studi in corso, precisa Pili, «fanno pensare che il numero di potenziali interessate, che per altre cause cliniche hanno lo stesso problema, sia molto maggiore e in costante aumento: all’elenco vanno infatti aggiunte le donne con endometriosi grave. O ancora malattie sistemiche che rendono la gravidanza impossibile, come diabete non compensato, patologie autoimmuni, neurologiche. E, ancora, malformazioni o malattie ossee che non consentono al bacino di modificare le sue forme per accogliere una gravidanza. Tutte queste donne hanno ovaie ben funzionanti e, in altri Paesi, spiega Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni, «hanno una soluzione legale che non si chiama “utero in affitto”, ma si chiama “gestazione per altri solidale”: non si tratta di un mercimonio, ma di una terapia, purtroppo costosa, e riservata a pochissime coppie. Mentre le altre sono costrette a rinunciare a una delle aspirazioni più alte dell’essere umano: dare la vita».
TEMA SCOTTANTE
Che il tema sia “scottante” lo si evince da una nota del segretario generale della Cgil Maurizio Landini, in merito alle «pretestuose critiche» che hanno anticipato il convegno sulla gestazione per altri. «La Cgil è interessata a confrontarsi con tutte le opinioni» si legge, ma «non promuove né appoggia alcuna legge di sostegno o di regolamentazione della maternità surrogata. Simili decisioni, infatti, possono essere assunte solo dal nostro direttivo e ciò non è mai avvenuto». «So – aggiunge – che il tema è delicato, e comprendo appieno il dramma di chi non può avere figli naturali, siano esse ragioni mediche o di genere. Personalmente ritengo il pericolo di mercificazione, di riduzione della persona a oggetto e di deprezzamento della vita una prospettiva che dobbiamo evitare anche solo di evocare. E al direttivo della Cgil esprimerò la mia posizione».
Giornata Mondiale SLA, inaugurata prima biobanca in Italia
News PresaPer la prima volta in Italia i ricercatori impegnati nella lotta alla SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica, patologia oggi inguaribile che colpisce oltre 6000 italiani, potranno contare sulla prima biobanca per la conservazione dei tessuti biologici necessari alla ricerca sulla SLA e aperta a tutti gli scienziati nel mondo.
La Giornata Mondiale sulla SLA
La SLA è una malattia neurodegenerativa che porta alla progressiva perdita di forza muscolare e in alcune forme può portare alla morte nel giro di un anno dalla diagnosi. Il taglio del nastro della Biobanca Nazionale SLA è stato in occasione della Giornata Mondiale sulla SLA “Global Day”, che si celebra in tutto il mondo il 21 giugno per sollevare l’attenzione sui diritti delle persone con SLA. La scelta del 21 giugno, solstizio d’estate, esprime la speranza in un punto di svolta nella ricerca delle cause e delle cure efficaci per sconfiggere la SLA. Il simbolo del Global Day è il fiordaliso, fiore di campo sempre più raro e il cui colore blu lo rende bellissimo.
La biobanca al Gemelli
La Biobanca Nazionale SLA è stata inaugurata ieri a Roma da AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e da XBiogem alla presenza del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Nella giornata, in cui in tutto il mondo si celebra la speranza di cura per la SLA, il Presidente Conte ha incontrato i pazienti con SLA ospiti del NeMO, NeuroMuscular Omnicentre, il Centro Clinico che da oltre 10 anni è dedicato alla presa in carico specialistica delle persone con malattie neuromuscolari.
All’inaugurazione sono intervenuti Giovanni Raimondi, presidente di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS; Franco Anelli, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; Massimo Mauro, presidente di AISLA; Alberto Fontana, presidente dei Centri Clinici NeMO; Giovanni Scambia, direttore scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS; Mario Sabatelli, direttore clinico dell’area adulti del Centro clinico NeMO di Roma; Maurizio Colombo, presidente di Biorep e Maniele Tasca, direttore generale di Selex Gruppo Commerciale, Annalisa Manduca, giornalista Radio 1 Rai.
Massimo Mauro, presidente di AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, sottolinea: “E’ la prima volta che, su iniziativa degli stessi pazienti, si realizza una Biobanca messa interamente a disposizione degli scienziati impegnati nella ricerca. La nostra gente guarda al futuro con speranza e, ad oggi, l’unica risposta possibile è la ricerca. E’ un progetto in cui ho da sempre creduto perché sono convinto che aiuterà i ricercatori a offrire finalmente nuove terapie ed avere una freccia in più per sconfiggere la Sla”.
La Biobanca Nazionale SLA è una struttura situata al Policlinico Gemelli di Roma e sarà gestita da XBiogem, (Biorep Gemelli Biobank), società nata dalla collaborazione tra Policlinico Gemelli e BioRep, il Centro di Risorse Biologiche del Gruppo Sapio. Comprende 10 contenitori per la crioconservazione a vapore d’azoto a temperature comprese tra -20°C e i -190°C. I contenitori possono conservare fino a 380.000 campioni biologici di persone con SLA, tra tessuti, campioni di sangue etc.
Giovanni Raimondi, presidente di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, sostiene: “Nel nostro ospedale ricerca scientifica e cura si legano inscindibilmente con alta specializzazione e tecnologie innovative a disposizione di tutti i malati. La Biobanca è un nuovo importante tassello di questo mosaico di struttura d’avanguardia, la cui realizzazione è un esempio di fruttuosa sinergia tra industria, strutture ospedaliere e associazionismo per il raggiungimento di risultati nella ricerca di cure contro la SLA. Siamo onorati che il Presidente del Consiglio abbia voluto, con la sua partecipazione a questa giornata inaugurale, esprimerci sostegno e incoraggiamento”.
La Biobanca è stata pensata non solo per poter ricevere e stoccare i campioni biologici dai centri di ricerca, secondo criteri standard ottimali per la ricerca scientifica, ma anche per poterli condividere e inviare ai ricercatori che ne fanno richiesta. Sarà stilato un catalogo con i campioni stoccati, consultabile dagli scienziati italiani e stranieri e potrà essere gestito anche l’invio dei tessuti ai centri di ricerca, sempre nel rispetto dei criteri di corretta conservazione dei campioni.
La disponibilità di campioni biologici di persone affette da SLA, raccolti secondo standard internazionali e nel rispetto delle norme sulla privacy (i campioni sono catalogati in modo anonimo) è fondamentale per condurre ricerche scientifiche su questa patologia, per verificare in vitro sia la reazione a test con nuove molecole, sia la possibilità di identificare marker della patologia. Ad oggi, infatti, nonostante gli enormi passi avanti fatti dalla ricerca negli ultimi venti anni, le cause della SLA sono sconosciute e non sono ancora state trovate cure risolutive.
Sottolinea il presidente dei Centri Clinici NeMO, Alberto Fontana: “Nella giornata in cui si celebra in tutto il mondo la speranza di cura sulla SLA, siamo felici di aver accolto al Centro Clinico NeMO il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e di aver fatto conoscere il nostro modello di presa in carico delle persone con malattie neuromuscolari. NeMO pone al centro ogni giorno il bisogno della persona, mantenendo sempre lo sguardo rivolto al futuro. E oggi, con la nascita della prima Biobanca nazionale per la ricerca sulla SLA, non possiamo che festeggiare un importante passo avanti nella ricerca. Una ricerca che parte dal contributo e dal valore di ogni persona che vive la malattia”.
La creazione e l’avvio delle attività della Biobanca Nazionale SLA sono stati possibili grazie ad una donazione di 300.000 euro di Selex Gruppo Commerciale, terza realtà italiana della distribuzione moderna. Questa cifra è stata raccolta anche grazie alla campagna nazionale “Un gesto con il cuore per sostenere la ricerca contro la SLA” portata avanti in 700 punti vendita nel mese di maggio 2019 che ha portato il Gruppo a donare l’1% del venduto dei propri prodotti a marchio ad AISLA. Dopo questo inizio l’intenzione di Selex Gruppo Commerciale è di rimanere accanto ad AISLA per sostenere le attività future.
“Selex ha pianificato un percorso di sviluppo sostenibile che ha come comune denominatore la responsabilità sociale d’impresa ed è costellato da iniziative di solidarietà in sinergia con i territori che abbiamo il privilegio di servire” dichiara Maniele Tasca, Direttore Generale di Selex Gruppo Commerciale, terzo gruppo della distribuzione moderna nazionale “Cerchiamo di individuare ed elaborare progetti che hanno l’obiettivo di creare valore condiviso, che si tratti della sensibilizzazione verso gli sprechi alimentari, di sostegno alla ricerca o di salvaguardia dell’ambiente che ospita la nostra attività. Per questo abbiamo contattato AISLA, per dare un aiuto concreto condividendo l’impegno con i nostri clienti, e da qui è nata la campagna nazionale a favore della ricerca. Il resto è un gesto che ci è parso naturale fare”.