Tempo di lettura: 4 minutiLo chef stellato Heinz Beck ieri ha inaugurato nella Hall del Policlinico Universitario Gemelli IRCCS il progetto “Special Cook”. Un insieme di laboratori di cucina per i piccoli pazienti oncologici del Policlinico dedicati alla memoria del giovane chef Alessandro Narducci. Il progetto è stato reso possibile grazie alle donazioni raccolte con il contributo di familiari e amici. Ad accendere per primo i fuochi della “Special Kitchen”, simbolo del progetto, con un’originale Estemporanea di Cucina, è stato proprio Heinz Beck che, in passato, ha avuto Alessandro Narducci tra i membri dello staff di uno dei suoi ristoranti. Lo chef stellato ha cucinato insieme ai piccoli pazienti dell’U.O. di Oncologia Pediatrica che, divertiti ed emozionati, hanno preparato una ricciola marinata agli agrumi con guacamole.
“E’ bello essere qui e offrire ai pazienti un momento di svago, una parentesi in cui pensare ad altro – ha detto Heinz Beck. – Questo meraviglioso progetto è dedicato ad Alessandro Narducci, un mio allievo a Roma e a Dubai, e quindi lo sento anche mio. Tornerò sicuramente al Policlinico Gemelli per seguire personalmente i laboratori di cucina per i piccoli pazienti oncologici”.
All’evento sono intervenuti Walter Ricciardi, Direttore Dipartimento Scienze della Salute della Donna e del Bambino e di Sanità Pubblica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Eugenio Maria Mercuri, Direttore UOC Neuropsichiatria Infantile Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Antonio Ruggiero, Direttore U.O. Oncologia Pediatrica Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Antonella Guido, Psicologa Psicoterapeuta U.O. Oncologia Pediatrica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Simona Fabrizi, Responsabile “Progetto Special Cook” Officine Buone Onlus e Giacinto Miggiano, Direttore UOC Nutrizione Clinica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
“Questo è un progetto di grande interesse che coinvolge i bambini ricoverati” – ha detto il Direttore Generale del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS Marco Elefanti. “Questa splendida iniziativa – ha continuato – si propone di coniugare la dimensione medica con quella relazionale di fondamentale importanza soprattutto per patologie come quelle oncologiche”. Sul palco commossi anche i genitori di Alessandro che hanno ricordato la passione con la quale il figlio ha perseguito il proprio sogno e come il progetto trasmetterà un po’ della vitalità, dei profumi e dell’arte di Alessandro al Policlinico Gemelli, ospedale in cui lui è nato. L’U.O. di Oncologia Pediatrica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS ha già realizzato in passato periodici laboratori di cucina in reparto, registrando un grande successo tra i piccoli pazienti e migliorando la qualità di vita e dell’assistenza durante l’ospedalizzazione. Ciò è stato potenziato grazie alla collaborazione con Officine Buone, un’organizzazione di volontariato promotrice di un innovativo progetto che porta la dinamica del talent di cucina negli ospedali con una funzione di intrattenimento ma anche di educazione alla buona alimentazione. Le donazioni ricevute in memoria dello chef Alessandro Narducci sono state utilizzate per dare continuità al progetto e realizzare i laboratori con una cadenza mensile, acquistando anche una cucina professionale: la Special Kitchen di Officine Buone che rimarrà negli spazi dell’U.O. di Oncologia Pediatrica del Gemelli e che sarà utilizzata durante gli eventi in ospedale.
L’alimentazione è un aspetto molto importante nella gestione globale delle persone ricoverate. “Il paziente oncologico in particolare – ha spiegato il professor Antonio Ruggiero – deve affrontare problemi nutrizionali di diversa natura nel corso della malattia che, oltre a definire una progressiva perdita di peso, possono essere un limite per le cure terapeutiche, accentuare la sofferenza fisica e psicologica del malato e incidere, di fatto, sulla qualità della vita. L’importanza del progetto è legata proprio a questi aspetti di criticità che nel paziente pediatrico assumono maggior peso”.
“Le sequele legate alla malattia e ai trattamenti terapeutici – ha continuato la dottoressa Antonella Guido – rischiano di alterare il rapporto che i pazienti hanno con il cibo e con l’alimentazione, in una fase delicata dello sviluppo. Per questo oltre a messaggi di educazione alla sana alimentazione, i laboratori hanno l’obiettivo di creare uno spazio interattivo per ridefinire, in un’ottica positiva, il rapporto che i piccoli pazienti hanno con il cibo”.
I laboratori sono nati per coinvolgere bambini e ragazzi ricoverati attraverso il gioco e la curiosità nell’esperienza della scoperta del gusto, grazie alla collaborazione tra l’equipe psicologica dell’U.O. di Oncologia Pediatrica e dell’U.O. di Nutrizione Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Bambini e ragazzi ricoverati parteciperanno alla realizzazione delle ricette, attivandosi creativamente nella preparazione del piatto, trascorrendo momenti insoliti, divertenti e giocosi. I pazienti potranno conoscere da vicino il mondo della cucina di qualità, all’interno del progetto sono, infatti, coinvolti grandi chef e, al contempo, giovani cuochi che valorizzano il proprio talento all’interno di un progetto sociale. L’obiettivo del laboratorio è dare anche consigli pratici per affrontare eventuali problemi alimentari legati alla malattia, all’alterazione del gusto e migliorare la qualità di vita durante l’ospedalizzazione. Una raccolta di consigli, alla quale potrà far seguito la realizzazione di un Ricettario speciale, frutto dei laboratori effettuati insieme ai piccoli pazienti.
Sport e movimento, ecco le buone abitudini da non perdere
SportOggi anche i più piccoli preferiscono muoversi sulle ruote di un wakeboard elettrico piuttosto che pedalare o andare fare una corsa. La cosa è preoccupante perché un po’ alla volta il movimento e lo sport stanno sparendo dalle nostre abitudini, con effetti molto negativi sulla nostra salute. Il movimento non è solo pratica sportiva. È gioco, attività all’aria aperta, corsa, passeggiata. Il gioco, ad esempio, comprende attività psicofisiche che ci stimolano alla competizione più o meno accentuata. Il gioco “di movimento” è molto importante nell’infanzia, e per gli esperti «non va considerato solo come una attività propedeutica allo sport, bensì come una distinta forma motoria educativa».
ABITUDINI FAMILIARI
L’influenza dello stile di vita dei genitori (fin dalla fase pre-concezionale e poi nella gestazione) e del contesto ambientale nella primissima infanzia hanno un ruolo chiave nel determinare lo stato di salute negli anni a venire. Uno stile di vita attivo durante la gravidanza contribuisce al benessere del nascituro. Dopo la nascita, fin dai primi mesi, il neonato può essere aiutato a muoversi e, in seguito, incoraggiato a fare giochi di movimento, assicurando anche un sufficiente numero di ore di sonno. È molto importante intervenire precocemente perché il bambino acquisisca, in modo piacevole e come un gioco, uno stile di vita attivo, anche perché l’inattività fisica, associata ad una non corretta alimentazione, oltre a comportare un bilancio energetico positivo con conseguente sovrappeso o obesità.
RUOLO DELLA FAMIGLIA
L’influenza della famiglia sullo stile di vita, le scelte alimentari e l’attività fisica è parte di un processo educativo che coinvolge il bambino già nei primi anni di vita. In famiglia il bambino non solo impara a relazionarsi con il mondo attraverso il modello e lo stimolo dei genitori, ma può apprendere uno stile di vita sano e attivo, necessario per poter crescere in salute, e possono nascere le prime motivazioni che avvicinano all’attività sportiva. La famiglia svolge, pertanto, un ruolo fondamentale nella promozione dell’attività fisica, ma anche nel mantenimento dell’impegno e il proseguimento dell’attività sportiva. Lo sport può avere un ruolo rilevante nella vita familiare, poiché può svolgere una funzione di supporto all’attività educativa dei genitori. Inoltre, la condivisione di interessi e passioni sportive favorisce il dialogo tra i componenti familiari, permette di stare insieme e mette le generazioni in contatto.
IL PEDIATRA
Il pediatra è una figura chiave nel percorso di crescita del bambino, non solo dal punto di vista clinico, ma anche perché supporta e consiglia i genitori e la famiglia, nel suo complesso, sullo stile di vita più adeguato per il benessere psicofisico del bambino e per la prevenzione di varie patologie e dell’obesità. In particolare, può sensibilizzare, motivare e sostenere la famiglia sui vantaggi dell’attività fisica regolare, indicare la tipologia di attività più adatta al bambino nelle diverse età e tramite i controlli periodici. Oltre a valutare le condizioni di salute psicofisica del bambino e dell’adolescente prima di cominciare una pratica di esercizio fisico, può anche monitorare tali condizioni col passare del tempo per valutare gli effetti dell’esercizio. A partire dai 6 anni, da quando incomincia la scuola, il bambino può incorrere nel rischio della sedentarietà: le ore trascorse dietro il banco sommate al tempo necessario per lo svolgimento dei compiti a casa e al tempo trascorso davanti a televisione e computer possono impigrire il bambino e condizionarne il benessere e l’equilibrio psicofisico presente e del futuro. Anche se negli ultimi tempi la percentuale di bambini in età scolare che pratica attività fisica è in lieve aumento rispetto agli anni precedenti, rimangono alti i numeri che indicano tra i più piccoli il permanere di abitudini alimentari scorrette e di comportamenti sedentari. La cosa migliore da fare con i propri ragazzi è quella di incoraggiare sempre l’attività all’aperto, consapevoli che il movimento è alla base della buona salute del corpo e della mente.
Orticaria, sudore e alimentazione compici del malessere
Economia sanitariaPrurito, prurito e ancora prurito. Chi non ha mai sperimentato gli effetti dell’orticaria non può comprendere cosa significhi sentire l’esigenza di grattare la pelle (cosa decisamente sconsigliata) come se non ci fosse un domani. Beh, il caldo, il sole e il sudore, ma anche l’alimentazione (se si abusa di alimenti come pesche, fragole o vini che contengono solfiti) possono essere alla base di veri e propri attacchi di orticaria. Patologia che per queste ragioni in estate tende ad aumentare. In Italia la malattia coinvolge circa 5 milioni di persone, mentre sono 600mila quelli che hanno un’orticaria cronica spontanea, che dura a lungo e che non ha una causa identificata.
SOLUZIONE POSSIBILE
A sottolinearlo sono gli esperti della Società italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (Siaaic) in occasione del loro XXXII Congresso nazionale (a Milano da domani e fino al 29 giugno). Nel 30% dei casi l’orticaria è insensibile agli antistaminici e si deve ricorrere al cortisone. Per circa 5.000 pazienti, i più complessi, la soluzione potrebbe però essere una terapia con farmaci biologici, ma solo poco più di 2.000 persone la stanno seguendo. Erogare a tutti l’omalizumab, l’anticorpo monoclonale approvato per l’orticaria cronica, costerebbe secondo i medici da 15 milioni a un massimo di 25 milioni di euro, mentre i costi diretti e indiretti di un’orticaria trattata in maniera inefficiente ammontano a circa 40 milioni di euro l’anno fra eventi avversi da cortisonici e assenze dal lavoro per i disagi provocati dal prurito che non passa mai.
I RIMBORSI
A oggi, proseguono i medici, il Sistema sanitario rimborsa la terapia per un massimo di 11 mesi, che per alcuni casi più complessi possono essere insufficienti. «Dopo proteste dei pazienti, Aifa – dicono dalla Società scientifica – si è impegnata a verificare se la rimborsabilità possa essere estesa oltre i 12 mesi in casi specifici e Siaaic lancia un appello perché i piani terapeutici possano essere allungati e sia così tutelata al meglio la salute dei pazienti». «Il Servizio sanitario nazionale non rimborsa oltre e quindi i casi veramente gravi, che non passano, sono costretti a ritornare ai precedenti trattamenti con scarso controllo della malattia con tutti i disagi che ne conseguono – osserva Mario Di Gioacchino, vicepresidente Siaaic – Alcuni pazienti che ne hanno la possibilità sono costretti ad acquistare di tasca propria il farmaco, a un costo di circa 500 euro al mese che può essere insostenibile per molti»
Sostenibilità, orzo unico a crescere in tutto il mondo
AlimentazioneÈ l’unica pianta tra le specie coltivate a crescere al tempo stesso in Islanda o in Lapponia, a nord del circolo polare artico, o in pieno campo in Tibet ad oltre 4.000 metri di quota, ma è anche l’ultima coltura prima del deserto nella regione del Medio Oriente, in aree con una piovosità inferiore a 250 mm anno. Per questo l’orzo è stato oggetto di numerosi studi e oggi il consorzio Europeo WHEALBI, di 25 ricercatori, con il contributo Italiano di CREA, Università di Milano e PTP Science Park ha pubblicato sulla rivista scientifica The Plant Journal un lavoro che descrive e spiega la sua capacità di crescere ed essere coltivato in tutte le aree del globo.
Integrando i dati di una rete internazionale di campi con quelli derivanti dalla sequenza parziale del genoma di circa 400 varietà provenienti da più di 70 paesi, i ricercatori hanno identificato decine di geni, che controllano i meccanismi grazie ai quali la pianta dell’orzo “legge” le condizioni ambientali ed adatta il proprio ciclo vitale ai diversi ambienti.
“Di fronte ai cambiamenti climatici in atto, comprendere la straordinaria capacità di adattamento dell’orzo è fondamentale per selezionare le piante da coltivare nei prossimi anni” afferma Luigi Cattivelli, direttore del Centro di ricerca Genomica e Bioinformatica del CREA, “il clima cambia e l’agricoltura globale deve rispondere alla sfida con piante che cambino di conseguenza, per garantire i fabbisogni di cibo e di altri prodotti di origine agricola”.
L’orzo è molto diffuso in Europa, in tutta l’area mediterranea ed in Italia, dove è utilizzato sia per l’alimentazione animale sia per la produzione della birra.
“La collezione di varietà del progetto WHEALBI e i relativi dati genomici rappresentano una risorsa unica per future ricerche sulla risposta delle piante agli stress” – commenta la Prof.ssa Laura Rossini del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali della Statale di Milano, che ha coordinato il lavoro di sequenziamento in collaborazione con il PTP – “Per esempio potranno essere impiegati per studiare la resistenza alle malattie o alla ridotta disponibilità di acqua, così da applicare queste conoscenze per ottenere varietà migliorate”.
“La partecipazione al progetto WHEALBI – aggiunge Andrea Di Lemma, amministratore delegato PTP Science Park – ha permesso al PTP Science Park di lavorare al fianco di ricercatori di livello internazionale per poter sviluppare conoscenze che potranno essere valorizzate sia internamente, grazie alla proprietà intellettuale generata nell’ambito del progetto, che nell’implementazione di programmi di trasferimento tecnologico a favore del mondo produttivo”.
Il lavoro si intitola “Exome sequences and multi-environment field trials elucidate the genetic basis of adaptation in barley”
Emicrania, in Italia sei milioni di incompresi
News PresaSei milioni di italiani convivono con l’emicrania. Si tratta dell’11% della popolazione, ma ad essere più colpite sono le donne (con una frequenza tre volte maggiore). Il malessere spesso viene sottovalutato, non diagnosticato e quindi non riceve trattamento.
Emicrania, invalidante e al femminile
L’emicrania, la forma di cefalea che colpisce metà della testa, può causare anche e spesso nausea, vomito e sensibilità per suoni e luci. Il disturbo provoca ripercussioni sul lavoro, sulle relazioni familiari e sociali; oltre ad avere pesanti risvolti psicologici. Secondo i numeri, il 58% di chi ne soffre vive nel timore continuo di un attacco improvviso. Quattro volte su 10 chi ne è affetto teme di essere un peso per la famiglia e di non riuscire far comprendere a capi, colleghi e familiari che è una vera e propria malattia e non il sintomo di qualcos’altro (come cervicale o stile di vita). In effetti il disturbo ha basi biologiche e può anche essere cronico, arrivando a procurare oltre 14 attacchi al mese.
Una vita con il mal di testa. Lo studio del CENSIS
L’emicrania è dolorosa. Il Censis ha scelto di realizzare una ricerca su questo tema, dal titolo: “Vivere con l’emicrania”, per indagare a fondo il malessere degli italiani. La ricerca è stata realizzata su un campione di 695 pazienti dai 18 ai 65 anni ed è stata presentata mercoledì 26 giugno a Roma. Il Censis ha realizzato in collaborazione con le società scientifiche e le associazioni e con il supporto di tre aziende farmaceutiche un tracciato della quotidianità di chi ne soffre. Le vittime sono colpite tre volte di più rispetto agli uomini (15,8% contro il 5%). Inoltre le donne, ne risentono di più della patologia: il 34% delle emicraniche definisce infatti “scadente” il proprio stato di salute, contro il 15% dei pazienti maschi. E sono sempre le donne ad avvertire prima i sintomi: se per la maggioranza dei pazienti l’esordio dell’emicrania avviene intorno ai 22 anni oltre il 42% delle donne fa risalire gli attacchi a prima dei 18 anni. Spesso si tende a minimizzare e un esordio precoce non corrisponde a una altrettanto precoce diagnosi, infatti in media arriva dopo 7 anni. Gli stessi pazienti spesso tardano a riconoscere la malattia. Il 41.1 % del campione ha aspettato più di un anno prima di andare dal medico, e oltre il 20% ha aspetto 5 anni. Il 18,8% si è rivolto a un medico nel corso dei primi 12 mesi di sintomatologia e solo un po’ più del 13% si è rivolto a un dottore non appena ha avvertito i sintomi. Il motivo dell’attesa è la tendenza a minimizzare. Solo il 36.7% dei pazienti considera l’emicrania una vera e propria patologia, gli altri la associano a un sintomo: il 16,2 la ascrive a disturbi ormonali, il 12,1 a disturbi oculistici, a patologie dei seni paranasali e alla cervicale, l’8.7 a un disagio psicologico, e l’8,2 a uno stile di vita scorretto.
I farmaci e i centri cefalee
Si ricorre soprattutto a farmaci analgesici/antiemicranici da prescrizione (82,3%), in quasi la metà dei casi si tratta di triptani. Il 31,8% utilizza prodotti da banco. Il 61% dei pazienti si affida invece a trattamenti che prevengono gli attacchi, nel 71,8% dei casi si tratta di pazienti cronici. La maggior parte dei farmaci prescrivibili vengono ottenuti tramite il Servizio sanitario nazionale, ma solo per il 19,5% in modo totalmente gratuito, mentre per il 42,7% attraverso il pagamento del ticket. C’è un 37,8% che invece paga di tasca propria. Meno di un paziente su tre è seguito da un centro specialistico per il trattamento delle cefalee e solo il 15,4% considera il Centro cefalee come il punto di riferimento, mentre il 55% vede lo specialista come il proprio interlocutore, che nel 20% è un neurologo del Servizio sanitario nazionale, nel il 19,7% un neurologo privato, e nel 25,5% il proprio medico di medicina generale.
Il dolore e il forte condizionamento sulla vita
La durata media per singolo attacco, se non debitamente trattato, nel 46% dei casi è pari a 24-48 ore. Nell’ultimo mese il 44,3% dei pazienti ha contato tra i 6 e i 15 giorni accompagnati dal dolore, che è segnalato da circa l’80% come l’aspetto più penalizzante. Il 69,9% non riesce a fare nulla durante l’attacco, il 58% vive nella costante paura dell’insorgenza dei sintomi. Per quasi il 28% dei pazienti (il 26% degli uomini, il 28,4% delle donne, il 38,1% dei cronici) l’emicrania ha inciso sulla propria attività professionale, per il 18% sul percorso di studi. Quasi il 90% denuncia il fatto che la malattia è sottovalutata socialmente. Simile è la percentuale (95,3%) dei pazienti con cefalea a grappolo che la pensano allo stesso modo. Si tratta di una patologia fortemente condizionante, che richiede tempi lunghi di diagnosi (mediamente 6 anni) e su cui è necessario diffondere informazioni. Tra le priorità segnalate dai pazienti vi è il miglioramento della formazione dei medici su questa specifica patologia (61,2%).
Napoli, all’avanguardia per il tumore del fegato
Ricerca innovazioneNuove tecnologie permettono di trattare al meglio il tumore del fegato. Napoli punta su pianificazione tridimensionale dell’intervento chirurgico, valutazione della funzionalità del fegato affetto da cirrosi e chirurgia laparoscopica guidata dalla fluorescenza. Questo è il trittico delle tecnologie innovative per il trattamento dei tumori del fegato adottate nell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Le tecnologie all’avanguardia per il trattamento di questi casi di tumore sono state acquisite per il Dipartimento di Gastroenterologia, Endocrinologia e Chirurgia Endoscopica, diretto dal professor Giovanni Domenico De Palma, seguendo l’approccio dell’Health Technology Assessment, che valuta l’impatto delle tecnologie innovative negli ambiti ospedalieri secondo analisi multidisciplinari e multidimensionali, applicato dall’ingegneria clinica aziendale, guidata dall’ing. Antonietta Perrone.
ECCELLENZA ITALIANA
Attualmente l’AOU Federico II di Napoli è l’unico centro italiano che applica contestualmente queste nuove tecnologie per la pianificazione e l’esecuzione di interventi di chirurgia epatica. Un investimento di circa 250.000 euro per rendere più sicuri gli interventi oncologici e facilitare il lavoro del chirurgo soprattutto durante gli approcci mininvasivi a garanzia del miglioramento continuo della qualità dell’assistenza. «Le nuove tecnologie innovative per il trattamento dei tumori del fegato, già sperimentate in precedenza presso l’Università di Gand in Belgio – sottolinea De Palma – sono state importate e trasferite all’AOU Federico II di Napoli dall’équipe di chirurgia epato-bilio-pancreatica e mininvasiva coordinata dai professori Roberto Ivan Troisi e Roberto Montalti e d’ora in avanti tali metodiche saranno applicate per il trattamento chirurgico di pazienti affetti da tumori primitivi e secondari del fegato». Le ricostruzioni tridimensionali virtuali del fegato consentono di valutare chiaramente nella fase preoperatoria i rapporti fra i noduli tumorali epatici e le strutture vascolari-biliari. Permettono, inoltre, di poter stampare, con opportune stampanti 3D, modelli da potere utilizzare durante l’intervento chirurgico come base di partenza delle resezioni mininvasive con ausilio della realtà aumentata.
MARCATORI
«La fluorescenza permette di evidenziare in maniera immediata tutti i tipi di tumore del fegato (epatocarcinomi, metastasi, tumori delle vie biliari) durante la chirurgia laparoscopica e robotica, ma anche durante chirurgia tradizionale, cosiddetta a cielo aperto. In assenza di controindicazioni, il verde indocianina, sostanza già applicata in campo oculistico per lo studio della retina, viene iniettata al paziente pochi giorni prima dell’intervento o durante l’operazione. La sostanza viene captata selettivamente dai tumori epatici e, grazie alla sua fluorescenza naturale – dice Troisi – li rende visibili con l’utilizzo di opportune telecamere a infrarossi, Inoltre, il verde indocianina viene usato anche per valutare le riserve funzionali nel caso di resezioni epatiche estese ed in pazienti in fegati con alterazioni strutturali». Queste tecnologie consentono, quindi, di identificare lesioni tumorali non visualizzabili dalle comuni metodiche di diagnostica per immagine (TAC, Risonanza Magnetica e PET-scan), ma soprattutto di guidare il chirurgo durante l’operazione mostrandogli esattamente posizione e margini delle lesioni, i confini anatomici dei vari segmenti epatici, le vie biliari ed eventualmente metastasi linfonodali e rappresentano l’attuale eccellenza tecnologica nel campo della chirurgia del fegato.
“Papà fa caldo”, ecco lo spot che sveglia le coscenze
PsicologiaIl caldo africano di questi giorni ha riportato d’attualità anche il terribile fenomeno delle amnesie che colpiscono alcuni genitori che, schiacciati dalla frenesia, scordano i figli piccoli in auto. Un rischio molto concreto, che più di volta si è tradotto in tragedia. Ieri a Napoli è stato presentato un spot che sta già facendo parlare e che, si spera, possa alzare l’attenzione di tutti. Scritto da Gigi & Ross e Oreste Ciccariello, lo spot è prodotto dalla casa editrice Rogiosi ed è promosso dall’Associazione Arti e Mestieri, con il contributo e il patrocinio di Fondazione Banco Napoli per l’Assistenza all’Infanzia, Università Telematica Pegaso, Fadep Costruzioni, Associazione Liber@Arte.
AMNESIA DISSOCIATIVA
Quando la cronaca riporta di tragiche dimenticanze, la domanda che tutti si pongono è: «Come può accadere?». Il tragico fenomeno dei bambini dimenticati in auto è legato a episodi di momentanea amnesia dissociativa. «Può capitare a chiunque di dimenticare un bambino in auto, purtroppo – conferma lo psicoterapeuta Simone Pisano –. L’amnesia, che colpisce un papà o una mamma che dimentica il figlio sul seggiolino, è un’amnesia nella quale sono assenti i segnali premonitori. Cosa avviene? Lo spot mostra chiaramente come fattore predisponente la frenesia e, per gestire la frenesia, tendiamo ad automatizzare troppo la nostra vita quotidiana. Entriamo in una routine in cui pretendiamo il massimo raggiungimento degli obiettivi e il compimento di tutte le azioni che abbiamo deciso di compiere in quella specifica giornata. Dimenticare un bimbo in auto è un’atrocità che può accadere a una persona sottoposta a tensioni, pressioni e carichi importanti. Un fenomeno del genere può avvenire come un fulmine a ciel sereno. Un evento drammatico in cui i genitori sono vittime come i bimbi che hanno perso; non vanno criminalizzati».
SERVE UNA LEGGE
Appena due giorni fa, nel parcheggio dell’aeroporto di Catania, è stata sfiorata la tragedia: un bambino di 4 anni lasciato chiuso in auto sotto il sole, con una temperatura che sfiorava i 40 gradi all’ombra, è stato salvato da un poliziotto che, con il calcio della pistola di ordinanza, ha mandato in frantumi il finestrino e soccorso il piccolo. Episodio che ancora una volta ha scosso molto l’opinione pubblica spingendo le istituzioni ad agire concretamente. Ma slitta, probabilmente a fine novembre, l’obbligo dell’utilizzo di speciali dispositivi d’allarme, che sarebbe dovuto entrare in vigore a partire dall’1 luglio, in base al disegno di legge 766, approvato dalla Camera il 25 settembre 2018 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (Anno 159° – Numero 238). La casistica, non elevata, ma comunque registrata, in Italia, assume dimensioni allarmanti sul piano internazionale, dove sono addirittura 830 i bambini (l’87% dei quali aveva meno di 3 anni) deceduti dal 1990 ad oggi. L’Italia sarà il primo paese europeo a varare una legge anti-abbandono, in risposta alla tragedia dei bambini che hanno perso la vita perché dimenticati in auto. E Napoli è la prima città italiana a mobilitarsi per aumentare l’attenzione sul terrificante fenomeno.
TANTE INNOVAZIONI
Nonostante la legge non sia ancora entrata in vigore hanno già iniziato a circolare sul mercato alcuni dispositivi da aggiungere ai seggiolini. Si tratta di sensori di calore, cuscini bluetooth o sistemi ausiliari collegati tramite app a uno o più smartphone, che rilevano la presenza del bambino in auto e inviano automaticamente un messaggio in caso di abbandono. Oppure di telecamere che rilevano il movimento all’interno dell’auto spenta, come accade per i sensori degli antifurti casalinghi. Contemporaneamente stanno iniziando ad arrivare in commercio anche i primi seggiolini con dispositivi anti-abbandono integrati e già omologati. Con portiere e finestrini chiusi, in appena 20 minuti la temperatura interna schizza trasformando l’auto in un forno. È indispensabile che i genitori si dotino di questi dispositivi. Può succedere a chiunque, purtroppo.
Heinz Beck al Gemelli inaugura laboratori di cucina per i piccoli pazienti oncologici
News PresaLo chef stellato Heinz Beck ieri ha inaugurato nella Hall del Policlinico Universitario Gemelli IRCCS il progetto “Special Cook”. Un insieme di laboratori di cucina per i piccoli pazienti oncologici del Policlinico dedicati alla memoria del giovane chef Alessandro Narducci. Il progetto è stato reso possibile grazie alle donazioni raccolte con il contributo di familiari e amici. Ad accendere per primo i fuochi della “Special Kitchen”, simbolo del progetto, con un’originale Estemporanea di Cucina, è stato proprio Heinz Beck che, in passato, ha avuto Alessandro Narducci tra i membri dello staff di uno dei suoi ristoranti. Lo chef stellato ha cucinato insieme ai piccoli pazienti dell’U.O. di Oncologia Pediatrica che, divertiti ed emozionati, hanno preparato una ricciola marinata agli agrumi con guacamole.
“E’ bello essere qui e offrire ai pazienti un momento di svago, una parentesi in cui pensare ad altro – ha detto Heinz Beck. – Questo meraviglioso progetto è dedicato ad Alessandro Narducci, un mio allievo a Roma e a Dubai, e quindi lo sento anche mio. Tornerò sicuramente al Policlinico Gemelli per seguire personalmente i laboratori di cucina per i piccoli pazienti oncologici”.
All’evento sono intervenuti Walter Ricciardi, Direttore Dipartimento Scienze della Salute della Donna e del Bambino e di Sanità Pubblica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Eugenio Maria Mercuri, Direttore UOC Neuropsichiatria Infantile Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Antonio Ruggiero, Direttore U.O. Oncologia Pediatrica Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Antonella Guido, Psicologa Psicoterapeuta U.O. Oncologia Pediatrica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Simona Fabrizi, Responsabile “Progetto Special Cook” Officine Buone Onlus e Giacinto Miggiano, Direttore UOC Nutrizione Clinica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
“Questo è un progetto di grande interesse che coinvolge i bambini ricoverati” – ha detto il Direttore Generale del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS Marco Elefanti. “Questa splendida iniziativa – ha continuato – si propone di coniugare la dimensione medica con quella relazionale di fondamentale importanza soprattutto per patologie come quelle oncologiche”. Sul palco commossi anche i genitori di Alessandro che hanno ricordato la passione con la quale il figlio ha perseguito il proprio sogno e come il progetto trasmetterà un po’ della vitalità, dei profumi e dell’arte di Alessandro al Policlinico Gemelli, ospedale in cui lui è nato. L’U.O. di Oncologia Pediatrica del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS ha già realizzato in passato periodici laboratori di cucina in reparto, registrando un grande successo tra i piccoli pazienti e migliorando la qualità di vita e dell’assistenza durante l’ospedalizzazione. Ciò è stato potenziato grazie alla collaborazione con Officine Buone, un’organizzazione di volontariato promotrice di un innovativo progetto che porta la dinamica del talent di cucina negli ospedali con una funzione di intrattenimento ma anche di educazione alla buona alimentazione. Le donazioni ricevute in memoria dello chef Alessandro Narducci sono state utilizzate per dare continuità al progetto e realizzare i laboratori con una cadenza mensile, acquistando anche una cucina professionale: la Special Kitchen di Officine Buone che rimarrà negli spazi dell’U.O. di Oncologia Pediatrica del Gemelli e che sarà utilizzata durante gli eventi in ospedale.
L’alimentazione è un aspetto molto importante nella gestione globale delle persone ricoverate. “Il paziente oncologico in particolare – ha spiegato il professor Antonio Ruggiero – deve affrontare problemi nutrizionali di diversa natura nel corso della malattia che, oltre a definire una progressiva perdita di peso, possono essere un limite per le cure terapeutiche, accentuare la sofferenza fisica e psicologica del malato e incidere, di fatto, sulla qualità della vita. L’importanza del progetto è legata proprio a questi aspetti di criticità che nel paziente pediatrico assumono maggior peso”.
“Le sequele legate alla malattia e ai trattamenti terapeutici – ha continuato la dottoressa Antonella Guido – rischiano di alterare il rapporto che i pazienti hanno con il cibo e con l’alimentazione, in una fase delicata dello sviluppo. Per questo oltre a messaggi di educazione alla sana alimentazione, i laboratori hanno l’obiettivo di creare uno spazio interattivo per ridefinire, in un’ottica positiva, il rapporto che i piccoli pazienti hanno con il cibo”.
I laboratori sono nati per coinvolgere bambini e ragazzi ricoverati attraverso il gioco e la curiosità nell’esperienza della scoperta del gusto, grazie alla collaborazione tra l’equipe psicologica dell’U.O. di Oncologia Pediatrica e dell’U.O. di Nutrizione Clinica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS. Bambini e ragazzi ricoverati parteciperanno alla realizzazione delle ricette, attivandosi creativamente nella preparazione del piatto, trascorrendo momenti insoliti, divertenti e giocosi. I pazienti potranno conoscere da vicino il mondo della cucina di qualità, all’interno del progetto sono, infatti, coinvolti grandi chef e, al contempo, giovani cuochi che valorizzano il proprio talento all’interno di un progetto sociale. L’obiettivo del laboratorio è dare anche consigli pratici per affrontare eventuali problemi alimentari legati alla malattia, all’alterazione del gusto e migliorare la qualità di vita durante l’ospedalizzazione. Una raccolta di consigli, alla quale potrà far seguito la realizzazione di un Ricettario speciale, frutto dei laboratori effettuati insieme ai piccoli pazienti.
Oms, ecco le linee guida per prendersi cura di sé
PrevenzioneL’ Oms ci invita a riflettere sul significato del prendersi cura di sé. In effetti, se in America l’automedicazione passa soprattutto attraverso il paracetamolo (assurto a panacea di tutti mali), in Italia c’è una forte propensione all’acquisto di svariati farmaci da banco assunti poi come fossero caramelle. Antinfiammatori, antidolorifici e purtroppo anche antibiotici sono d’uso comune per la maggior parte degli italiani, che spesso saltano il consulto medico e vanno dritti al bancone del farmacista. Il tema che le Istituzioni spingono ormai da tempo è quello di saper prendersi cura di sé, ma non basta. Lo si deve anche fare nel modo corretto.
LINEE GUIDA
Quattrocento milioni di persone in tutto il mondo non hanno accesso ai servizi sanitari essenziali. Accanto alla necessità di far sì che anche a loro venga esteso questo diritto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) richiama l’attenzione sull’importanza di imparare a prendersi cura di se stessi, lanciando le prime Linee Guida sugli interventi di autocura. La cura di sé, precisa l’ Oms, è «la capacità di individui, famiglie e comunità di prevenire e affrontare malattie, con o senza il supporto di un operatore sanitario».
#SELFCARE
A promuoverla, all’insegna dell’hashtag #SelfCare, sarà dedicato il mese che va dal 24 giugno al 24 luglio e un’attenzione particolare sarà rivolta alla salute sessuale e riproduttiva, che tanto incide su quella generale. «Oggi – sottolinea il direttore dell’ Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus – 214 milioni di donne nei Paesi in via di sviluppo vogliono evitare la gravidanza ma non possono accedere a contraccettivi. Ogni anno avvengono 22 milioni di aborti in condizioni non sicure e più di un milione di infezioni sessualmente trasmesse sono acquisite ogni giorno».
HPV E AIDS
Nelle linee guida, si consigliano interventi come l’auto-campionamento per l’Hpv e altre infezioni sessuali, l’uso di contraccettivi auto-iniettabili e di kit per conoscere i giorni fertili, l’autotest dell’Hiv e l’autogestione dell’aborto medico. In sostanza sono «interventi che possono essere effettuati al di fuori del settore sanitario convenzionale» ma, precisa l’ Oms, «non sostituiscono servizi sanitari, né costituiscono una scorciatoia per raggiungere una copertura sanitaria universale». Le linee guida saranno ampliate per includere altri interventi di auto-cura, anche per le malattie non trasmissibili.
Salute riproduttiva, inquinamento nemico delle donne
PrevenzioneL’inquinamento impatta gravemente sulla nostra salute: è responsabile di più di un quarto delle morti e delle malattie nel mondo. Non solo, gli effetti si palesano su più fronti, tra cui quello della salute riproduttiva delle donne. Lo ha appena dimostrato uno studio italiano presentato a Vienna nel corso del meeting della European Society of Human Reproduction and Embriology (ESHRE). I ricercatori hanno dimostrato che maggiore è l’inquinamento, minore è la riserva ovarica, cioè la quantità di ovociti vitali presenti nelle ovaie. Si tratta di un’ulteriore presa di coscienza del legame tra fattori ambientali e salute umana, anche se non è ancora del tutto chiaro se ci siano dei reali effetti sulla fertilità femminile. Tuttavia già uno studio recente si era concentrato sulla salute riproduttiva maschile. Infatti si parla di una riduzione intorno al 50% nell’ultimo mezzo secolo, l’inquinamento infatti agisce sulla vitalità degli spermatozoi e sulla loro mobilità. Si è addirittura visto come alcuni inquinanti possano modificare anche la struttura del DNA.
Inquinamento e salute riproduttiva delle donne
Uno studio condotto nell’area di Modena e presentato al congresso della European Society of Human Reproduction and Embriology segnala che più alti livelli di inquinanti si associano a più bassi livelli di un ormone considerato un marker della riserva ovarica. L’autore principate è Antonio La Marca dell’Università di Modena e Reggio Emilia. La ricerca ha coinvolto un campione di circa 1400 donne provenienti dall’area di Modena, che hanno vissuto nella zona tra il 2007 e il 2017. Durante lo studio Ovarian Reserve and Exposure to Environmental Pollutants (ORExPo study), gli studiosi hanno misurato i livelli dell’ormone anti-mulleriano (AMH), prodotto dai follicoli ovarici. I livelli dell’ormone sono stati collegati a quelli di alcuni inquinanti, come particolato (PM 2,5 e PM10) e diossido di azoto. Tuttavia ancora non è chiaro il legame tra livelli di AMH e fertilità, spiega La Marca: bassi livelli di questo ormone – spiega – non influenzano la possibilità di avere un test di gravidanza positivo, ma le donne con livelli di AMH più bassi hanno una finestra riproduttiva più piccola.
Taranto, aumento ricoveri per leucemia infantile. Interviene ministro Grillo
BambiniA Taranto sono aumentati i ricoveri ospedalieri per le leucemie infantili. Il trend in aumento si registra nel periodo 2014-2017 per i soggetti fra gli zero e i 19 anni. Da oggi un Osservatorio fornirà ogni 6 mesi i dati epidemiologici sulla città di Taranto “per acquisire i dati e conoscere le linee di tendenza della condizione sanitaria legate alle emissioni inquinanti dello stabilimento siderurgico e alle altre fonti inquinanti e procedere all’analisi degli effetti e del rischio sanitario”, ha spiegato il ministro della Salute Giulia Grillo, intervenuta ieri a Taranto durante il Tavolo Istituzionale Permanente per la riqualificazione della città. “Stiamo lavorando alla revisione del decreto del 24 aprile 2013 Balduzzi-Clini in materia di Valutazione del danno sanitario – ha spiegato Grillo – e che introduce il concetto di valutazione predittiva dei danni sanitari da inserire nelle Autorizzazioni integrate ambientali (Aia). Significa considerare il rischio sanitario e ambientale in aree interessate da grandi gruppi industriali e prevederne l’impatto. L’iter si conclude con le osservazioni di Arpa Puglia, Ares e Asl Taranto, la valutazione dei nostri uffici tecnici su salute e ambiente e un consulto con gli stakeholders del settore. Più velocemente procederemo, prima avremo il decreto ministeriale”. Sulla Gazzetta ufficiale, ha concluso il ministro, “sono state pubblicate da tempo le linee-guida sull’impatto sanitario per l’applicazione concreta della Valutazione del danno sanitario. Per il nuovo ospedale San Cataldo il 28 maggio c’è stata l’aggiudicazione definitiva della gara e ora dovremo fare gli approfondimenti con l’Asl di Taranto”.