Tempo di lettura: 5 minutiE’ certamente vero che siamo ciò che mangiamo. Lo è ancor più in alcune condizioni che richiedono un’alimentazione particolare, perché le malattie si combattono anche a tavola. L’osteoporosi è certamente una di queste, visto che gli alimenti possono contribuire sensibilmente al benessere delle ossa. L’equilibrio al quale dobbiamo aspirare quando siamo a tavola riguarda acqua, carboidrati (zuccheri e amidi), proteine, grassi, vitamine, sali minerali. Niente paura, tutti gli alimenti contengono questi elementi, il segreto è scegliere le giuste combinazioni.
La dose quotidiana di calcio
Dire che è importante assumere calcio è semplice, meno lo è riuscire a spiegare in che modo se ne può assumere la quantità giusta e da quali alimenti. Proviamo dunque a fare il punto. Certamente non è un segreto che il calcio si assorbe soprattutto dal latte e dai suoi derivati (ad esempio yogurt e formaggi). Ma quanto calcio è contenuto in un litro di latte? Anche se totalmente scremato, un litro di latte contiene circa 1,2 grammi di calcio.
Scremato non significa “privo di calcio”
A dispetto di quanto si potrebbe credere, il latte parzialmente o totalmente scremato e lo yogurt magro contengono importanti quantità di calcio, spesso anche più dei prodotti interi. In modo particolare il latte totalmente scremato è un’ottima fonte di calcio e di proteine, dà pochissime calorie, e (ammesso che piaccia) si può usare durante la giornata come bevanda dissetante. Allo stesso modo, circa 80 grammi parmigiano (o in alternativa 120 grammi di altri formaggi stagionati (caciocavallo ad esempio) ne contengono circa 1 grammo.
Acqua
L’acqua è un’altra fonte di calcio, sia che si preferisca quella del rubinetto, sia che si beva acqua in bottiglia. Per trovare i valori relativi a ciascuna fonte basta leggere le etichette (nel caso di acqua in bottiglia) o collegarsi con il sito dell’acquedotto (se si beve quella della fontana).
Pesce, vegetali e frutta secca
Tra gli alimenti che contengono calcio, e che fanno anche molto bene, c’è il pesce. Ad esempio le alici, soprattutto se mangiate con lisca, sono perfette per il benessere delle ossa. Non sono da meno polpi, calamari e gamberi. Cambiando genere, magari per chi preferisce una dieta più orientata verso i prodotti della terra, broccoletti, radicchio, carciofi, spinaci e così via, contengono una buona quantità di calcio. Unico problema è che l’organismo ha più difficoltà ad assimilare il calcio delle verdure rispetto a quello contenuto, ad esempio, nei latticini. Arachidi, pistacchi, noci, mandorle, nocciole, fichi secchi contengono molto calcio. Quini, in vista di qualche spuntino, (con moderazione) la frutta secca è perfetta.
Costruire il proprio corpo
Ciò che è bene comprendere è che mangiando non forniamo solo “carburante” al nostro corpo, gli diamo anche i mattoni per crescere e rinnovarsi. Il benessere delle ossa è molto legato a questa seconda funzione. Proteine, carboidrati, grassi, acqua, minerali e così via sono tutti i mattoni del nostro corpo. Noi stessi siamo, anche a livello cellulare, in continua evoluzione. E’ un po’ come pensar ad una casa in perenne ristrutturazione. Il benessere delle ossa, che sono la nostra struttura portante, è legato alla presenza di tutti gli elementi che servono a questa “ristrutturazione”. Una corretta alimentazione non può prescindere dal giusto apporto di cibi ricchi di vitamina D. Nella lotta all’osteoporosi, anche intesa come prevenzione, la vitamina D svolge infatti un ruolo importante. Sia che si tratti di vitamina D2, sia che si tratti di vitamina D3. Ma cosa centra la vitamina D con le ossa? Il rapporto fra il tessuto osseo e vitamina D è in realtà molto stretto e conosciuto da tempo. Diciamo che i medici conoscono bene gli effetti negativi sullo scheletro della mancanza di questa vitamina a causa della carenza di luce solare: problema che riguarda spesso bambini e adolescenti di paesi del Nord Europa affetti da rachitismo infantile. Altro fenomeno riguarda gli anziani. La vitamina D viene infatti sintetizzata dalla pelle attraverso i raggi solari (in gran parte) e, proprio le persone più in là con gli anni, che non amano stare troppo al sole e hanno una pelle con ridotte capacità biosintetiche genera una carenza di vitamina D, con conseguenti effetti negativi a livello scheletrico. Per prevenire i danni ossei prodotti dall’ipovitaminosi D è importante mantenere livelli in linea con quelli definiti dalle linee guida di molti Paesi, se necessario ricorrendo ad integratori, soprattutto nella popolazione di anziani che sono spesso al di sotto del minimo necessario. Sono molti gli studi che confermano i benefici della vitamina D, in associazione con il calcio, nel ridurre l’incidenza delle fratture sia vertebrali che non vertebrali. E quindi in definitiva anche contro l’osteoporosi.
Gli alimenti che la contengono
Anche gli alimenti possono essere importanti serbatoi di vitamina D. Proviamo allora a fare una lista di quelli che certamente sono tra i più gettonati:
Il tonno in scatola è tra gli alimenti che si possono consumare per assumere vitamina D. Un alimento che (preso al naturale) spesso è inserito nelle diete ipocaloriche. Il tonno in scatola contiene fino a 236 IU di vitamina D in una porzione di 100 grammi, pari a più della metà del fabbisogno giornaliero. È anche una buona fonte di niacina e vitamina K.
Aringhe e sardine sono anch’esse ricche di vitamina D. Spesso si mangiano in scatola, affumicate o marinate. L’aringa fresca fornisce 1.628 IU per una porzione di 100 grammi, che è quattro volte il fabbisogno giornaliero. Ad ogni modo, anche per chi non ama il pesce fresco, le aringhe in salamoia sono una grande fonte di vitamina D, e forniscono 680 IU 100 grammi, che è pari al 170% del fabbisogno giornaliero. Tuttavia, le aringhe in salamoia contengono anche una quantità elevata di sodio, che invece per molte persone non è raccomandabile.
L’olio di fegato di merluzzo è un integratore molto popolare e anche molto salutare. Una buona soluzione per chi non ama il pesce e che vuole comunque assumere determinate sostanze nutrienti che sono difficili da ottenere da altri alimenti. In un cucchiaino di olio di fegato di merluzzo, pari circa a 5 ml, sono contenuti 450 IU di vitamina D. Piccola parentesi, l’olio di fegato di merluzzo è anche un’ottima fonte di vitamina A.
Il Salmone è un pesce che viene definito “grasso” che contiene una buona quantità di vitamina D. In media 100 grammi di salmone contengono tra i 361 e i 685 IU di vitamina D. Attenzione però a scegliere salmone che non sia di allevamento, che contiene in media un terzo della vitamina D di quello selvatico.
Le ostriche sono certamente più ricercate e non sono tra gli alimenti di uso comune, ma (oltre ad essere deliziose) hanno un basso contenuto di calorie e sono ricche di sostanze nutritive. Una porzione di 100 grammi di ostriche selvatiche contiene solo 68 calorie e 320 IU di vitamina D, pari a circa l’80% del fabbisogno giornaliero.
Gamberi o i gamberetti hanno un contenuto di grassi molto basso. Nonostante questo, contengono una buona quantità di vitamina D, circa 152 IU per porzione, pari al 38% del fabbisogno giornaliero. Contengono anche acidi grassi omega-3, pur se in una quantità inferiore rispetto a molti altri alimenti ricchi di vitamina D. I gamberi, inoltre, contengono circa 152 mg di colesterolo per porzione, che è una quantità piuttosto significativa. Tuttavia, questo non dovrebbe essere un motivo di preoccupazione.
I tuorli d’uovo sono una buona variante per chi non ama mangiare pesce. Le uova consumate intere sono un’altra buona fonte e anche un alimento molto nutriente. Mentre la maggior parte delle proteina si trova nell’albume, i grassi, le vitamine e i minerali si trovano principalmente nel tuorlo d’uovo. Un tuorlo di uova di gallina allevata in modo convenzionale contiene tra i 18 e i 39 IU di vitamina D, che non è una quantità molto alta. Tuttavia, i polli allevati a terra che vagano fuori alla luce del sole producono uova con livelli di vitamina D che sono che 3-4 volte superiori.
Infine i funghi, unica fonte vegetale di vitamina D. Come gli esseri umani, i funghi in grado di sintetizzare questa vitamina con l’esposizione alla luce UV. Tuttavia, funghi producono vitamina D2, mentre gli animali producono vitamina D3. Sebbene la vitamina D2 contribuisce ad aumentare i livelli ematici di vitamina D, questa non è efficace come la vitamina D3. Ciò nonostante, i funghi selvatici sono un’ottima fonte di vitamina D2. Infatti, alcune varietà contengono fino a 2.300 IU per 100 grammi.
Alcol: spot visti da piccoli incidono sul consumo
Alimentazione, News Presa, PrevenzioneBoston – Gli annunci televisivi influenzano le scelte di consumo di alcolici nei bambini. Tanti più annunci di un certo tipo di prodotto vedrai da giovane, tanto piu’ e’ probabile che, appena ti sara’ possibile, berrai quel determinato prodotto. Ad affermarlo è un recente studio di un gruppo di ricercatori guidato da Timothy Naimi della Boston University School of Pubblic Health. Il lavoro è stato pubblicato dal Journal of Studies on Alcohol and Drugs. “Naturalmente – ha spiegato Naimi – si può obiettare che il nostro studio non dice se i bambini che vedono spot di alcool iniziano a bere prima o quanto bevono, tuttavia si tratta di un riscontro importante – ha aggiunto – che permette di osservare le dinamiche indotte da questi spot su una categoria di pubblico che dovrebbe essere messa al riparo da questo tipo di messaggi”. Lo studio ha preso in esame un campione di circa 1.000 giovani minorenni (dai 13 ai 20 anni) che, in un questionario, avevano ammesso di aver bevuto un alcolico nell’ultimo mese. I risultati hanno evidenziato che i ragazzi che avevano visto in tv un numero elevato di spot che riguardavano gli alcolici erano anche quelli che bevevano di più.
Questo conferma che gli spot visti da piccoli influiscono sulle scelte di consumo fatte da adulti.
Così i batteri diventano resistenti ai farmaci
News PresaNon è Hollywood, ma grazie ad una sequenza video in time lapse gli scienziati hanno potuto mostrare al mondo come i batteri diventano resistenti agli antibiotici. Si tratta di uno dei principali problemi che il mondo si troverà a dover affrontare negli anni a venire, un allarme che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato ormai da tempo e per il quale sono state avviate molte campagne di sensibilizzazione.
Tutto dipende dall’uso eccessivo e indiscriminato che si fa di questo farmaci. Ora un esperimento pubblicato su Science e realizzato dagli scienziati della Harvard Medical School e Technion-Israel Institute of Technology mostra in modo sorprendente come una colonia di batteri possa evolvere e proliferare nonostante la presenza di un antibiotico. La colonia è stata posta in un’enorme piastra di Petri, sulla quale sono state sistemate aree a crescenti concentrazioni di farmaco. L’evoluzione temporale è stata registrata in time lapse.
Super batteri
Nell’esperimento i margini esterni del piatto sono stati lasciati liberi da qualsiasi farmaco. Sulla sezione successiva è stata posta una piccola quantità di antibiotici, appena sopra il minimo necessario per uccidere i batteri, su ogni sezione successiva è stata posta una quantità maggiore di antibiotico: a partire da una dose 10 superiore sino alle 1.000 volte al centro del piatto. I risultati sono in un video sensazionale.
L’allarme dell’OMS
Basta collegarsi con il portale dell’Agenzia Italiana del Farmaco per comprendere quanto sia grave e neanche troppo lontano il rischio di vivere un’era “post antibiotici” nella quale «infezioni comuni e lievi ferite possono diventare mortali». Non più una fantasia apocalittica, si legge, bensì una reale possibilità di questo secolo. Queste sono state le parole di Keiji Fukuda, vicedirettore per la Sicurezza Sanitaria del WHO scritte nella prefazione del primo Rapporto Globale sulla resistenza antimicrobica (AMR), pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un allarme che non possiamo sottovalutare, un allarme che possiamo far cessare solo adottando comportamenti responsabili.
Fumo in gravidanza: aumento rischio disturbi neuropsichiatrici
News Presa, PrevenzioneNew York – Le donne che fumano in gravidanza potrebbero causare un aumento di rischio per il nascituro di sviluppare la sindrome di Tourette (o di Gilles) o altra forma di disordine neurologico tra cui i tic (movimenti improvvisi, ripetitivi, motori o fonici, che coinvolgono determinati gruppi muscolari). È il risultato di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori della Icahn School of Medicine at Mount Sinai Hospital di New York e della Aarhus University (Danimarca) che e’ stato pubblicato sulla rivista Journal of American Academy of Child and Adolescent Psychiatry (JAACAP). Il team ha esaminato i dati da 73.073 gravidanze. Il fumo durante la gravidanza è sempre stato associato a una serie di disturbi neuropsichiatrici dei bambini, ma questa volta i ricercatori hanno riscontrato nello specifico un aumentato rischio di disordini tic cronici (disturbi che in genere scompaiono in età adolescenziale). Questo tipo di disordine è stato più evidente nel caso la madre fumasse più di dieci sigarette al giorno durante la gravidanza. In questi casi, i ricercatori hanno osservato un aumento del rischio del 66 per cento per i disordini tic cronici nel bambino. ”Identificare le cause ambientali per i disordini tic cronici e le condizioni psichiatriche correlate è importante perché se conosciamo i fattori di rischio specifici, siamo in grado di sviluppare strategie più efficaci per la prevenzione. Il passo successivo sarà quello di capire come questi fattori ambientali esercitano i loro effetti sul rischio, in modo da aprire una finestra sui meccanismi biologici che sono alla base di queste condizioni”, ha spiegato Dorothy Grice, professore presso la Scuola Icahn di Medicina e autore dello studio.
Parto cesareo? Il rischio è che il bambino cresca obeso
Alimentazione, PrevenzioneIn molte regioni d’Italia, Campania in testa, al parto naturale si preferisce spesso il parto cesareo. Da tempo questa situazione ha messo in allarme gli esperti del Ministero della Salute e anche moltissimi medici si sono detti contrari a questa “abitudine”. naturalmente in alcuni casi il parto cesareo è l’unica strada ma, quando il parto naturale è possibile, non si dovrebbero avere dubbi. Il parto cesareo può infatti portare a tutta una serie di complicazioni, per il bambino e per la neo mamma. Inoltre, ed è questa la notizia più interessante, i bambini nati con parto cesareo hanno una probabilità molto alta di diventare obesi. E il rischio aumenta durante la crescita sino all’età adulta.
Indice di massa corporea
Lo studio
Questa conclusione allarmante arriva analizzando i dati di 22mila giovani arruolati nello studio Growing Up Today Study. I ricercatori della Harvard T.H. Chan School of Public Health hanno seguito i soggetti per ben 16 anni (dal 1996 al 2012), rispondendo ogni 12 o 24 mesi a dei questionari che chiedevano informazioni sulla propria forma fisica.
Incredibile il dato di comparazione che emerge dallo studio. Secondo i ricercatori all’interno di una stessa famiglia i bambini nati con un parto cesareo hanno una probabilità di diventare obesi maggiore del 64% rispetto ai propri fratelli nati per via vaginale.
Il professor Jorge Chavarro (Harvard T.H. Chan School of Public Health e autore senior dello studio) ha voluto chiarire che lo studio non vuole in alcun modo demonizzare il parto cesareo, che in alcuni casi è una procedura salvavita. Bisogna però essere a conoscenza dei rischi noti, sia per le madri sia per i nuovi nati.
I risultati dello studio mostrano che il rischio di obesità per il nascituro potrebbe essere uno dei fattori da tenere in considerazione nella valutazione del da farsi.
Sul tema dell’obesità e di una corretta alimentazione in Italia si stanno portando avanti molte campagne informative, prendendo come punto di rifermento la Dieta Mediterranea. Per valutare il proprio stato di salute basta collegarsi al sito del Ministero della Salute, dove è disponibile un semplice strumento per il calcolo dell’indice di massa corporea.
Trombosi: uccide più dei tumori, ma per molti è sconosciuta
Alimentazione, Associazioni pazienti, News Presa, PrevenzioneDue italiani su tre non hanno idea di che cosa sia la trombosi, eppure è responsabile di 400mila morti ogni anno soltanto in Italia. Lo rivelano i dati raccolti dall’Associazione per la Lotta alla Trombosi e le malattie cardiovascolari – Onlus (ALT).
La trombosi consiste nella formazione di coaguli di sangue, che poi vanno a occludere vene o arterie provocando infarti, ictus e trombosi venose, o nella liberazione di emboli che colpiscono gli arti inferiori (la cosiddetta arteriopatia periferica) o i polmoni (embolia polmonare). È un problema molto frequente, ma potrebbe essere prevenuto. Una delle situazioni a maggior rischio, ad esempio, è il ricovero ospedaliero, oltre metà dei casi, infatti, si verifica in degenti o pazienti dimessi da poco (provoca più decessi delle polmoniti o delle temute infezioni ospedaliere). Anche uno stile di vita poco sano favorisce la tendenza a formare trombi. «Una nostra indagine ha evidenziato che anche chi ha sentito parlare di malattie da trombosi non conosce la loro reale incidenza e ne sottovaluta la pericolosità», spiega Lidia Rota Vender, presidente ALT.
I risultati dell’indagine dicono che solo un italiano su tre conosce la parola “trombosi” e più della metà non sa che è un problema evitabile, soprattutto al centro-sud; anche chi ne ha sentito parlare, non sa quanto sia diffusa. «Ai partecipanti all’indagine è stato chiesto se nella donna colpisca di più il tumore alla mammella o la trombosi: la maggioranza non ha saputo rispondere, solo il 10 per cento ha dato la risposta corretta, indicando la maggior incidenza della trombosi – osserva Rota Vender –. Per le donne in menopausa questa malattia diventa infatti il nemico numero uno, tanto da provocare il 54 per cento dei decessi contro il 18 per cento che sono causati da tumori. A causa della disinformazione questo rischio è ampiamente sottovalutato ed è anche mediamente più tardiva la diagnosi, perché le manifestazioni cliniche “sfuggenti” delle malattie cardiovascolari nelle donne le rendono più difficili da riconoscere nel sesso femminile. La prevenzione è fondamentale, oltre che possibile, in entrambi i sessi, rinunciando alle cattive abitudini che mettono a repentaglio la salute di cuore e vasi come sedentarietà, fumo, alcol e cibi grassi».
Apnee notturne: riguardano 12 mln italiani. Causano 250 morti l’anno sulle strade
PrevenzioneSi smette di respirare per pochi secondi fino a 90 volte ogni ora di sonno e ogni notte, senza accorgersene quasi mai. Soprattutto si russa molto. Durante il giorno, invece, ci si sente affaticati e assonnati. Sono i disturbi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno – OSAS (o apnee notturne), una malattia, che secondo recenti stime, riguarda oltre 12 milioni di italiani fra i 40 e gli 85 anni, pari a circa il 50% degli uomini e il 23% delle donne, ma solo circa il 20% ne è consapevole. Il problema del non dormire di notte, ha pesanti ripercussioni sulla strada di giorno. Infatti, dopo un riposo frammentato si è inevitabilmente stanchi, assonnati, incapaci di concentrarsi, con pesanti rischi alla guida: due secondi di “disattenzione” a 50 km/h equivalgono a 28 metri ad occhi chiusi. Un recente studio attribuisce ai colpi di sonno per OSAS il 7% dei 175.791 incidenti stradali registrati ogni anno in Italia, pari a 12.305 sinistri che provocano 250 morti e oltre 12.000 feriti all’anno. Le apnee notturne sono inoltre uno dei maggiori fattori di rischio per malattie cardio e cerebrovascolari, che quadruplica la probabilità di ictus e raddoppia quella di ipertensione, diabete, aritmie. I costi dell’OSAS per il Servizio Sanitario Nazionale sono pari a circa 3 miliardi di euro ma diagnosi e cura “pesano” appena per il 6%: il resto è costituito dalle spese dirette e indirette imputabili alla mancata diagnosi, fra cui circa 800 milioni di euro di costi sociali per incidenti stradali altrimenti evitabili.
Per fronteggiare questa emergenza, ACI – Automobile Club d’Italia – e FISAR – Fondazione Italiana Salute Ambiente e Respiro – promuovono la Campagna “Dormi meglio, Guida sveglio” sui rischi per la sicurezza stradale della Sindrome delle Apnee notturne, Roma, Milano, Chieti, Lecce e Catania le prime tappe del progetto che si articolerà in tutta Italia. L’iniziativa mira a migliorare la conoscenza, la diagnosi e la cura dei moltissimi casi di OSAS ancora sommersi e a garantire una più efficace applicazione del decreto 22/12/2015 – in vigore dal febbraio 2016 e spesso disatteso – che subordina il rilascio o il rinnovo della patente alla valutazione del profilo di rischio da OSAS quando è presente anche eccessiva sonnolenza. Obiettivo del progetto è far sì che il rilascio/rinnovo della patente, che riguarda ogni anno 5 milioni di italiani, diventi un’occasione per un “check-up del sonno” a tutela della salute dei cittadini, oltrechè della loro sicurezza al volante.
“E’ necessario richiamare l’attenzione su questo fenomeno, i cui potenziali rischi anche per la sicurezza stradale non possono e non devono essere sottovalutati. Troppo spesso questi disturbi vengono alla luce quando si è coinvolti in incidenti stradali, molte volte anche gravi. Allora importante è ogni iniziativa di sensibilizzazione sul tema, affinché si superi il timore di perdere la patente e si acquisisca la consapevolezza che attraverso percorsi terapeutici adeguati è possibile intervenire, con la sicurezza di non essere esposti a rischi ulteriori quando siamo alla guida di un veicolo” – commenta Roberto Sgalla, Prefetto, Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato, Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Ministero dell’Interno.
“Lo screening dell’OSAS ha un’importanza fondamentale per la salute e la sicurezza dell’autista e di terzi e se i potenziali pazienti venissero adeguatamente trattati permetterebbero un risparmio annuo enorme. Ma è opportuno evidenziare, che per quanto riguarda il rilascio e il rinnovo della patente, la legge prende in considerazione esclusivamente i casi di OSAS moderata e grave associati a eccessiva sonnolenza, che equivalgono a circa il 50% di tutti i soggetti da OSAS” – rassicura Sergio Garbarino, esperto in sonnolenza e disturbi del sonno del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Genova.
“Le apnee notturne sono una patologia sommersa, un immenso iceberg di cui si conosce solo la punta: sono infatti 12 milioni gli italiani adulti a rischio di OSAS ma solo circa il 20% ne è consapevole, nonostante siano 12.300 i sinistri attribuibili a OSAS che causano ogni anno 250 morti e oltre 12.000 feriti. FISAR ha risposto a questa emergenza sociale ideando un progetto concretamente risolutivo del problema dell’OSAS, col quale mette a disposizione il proprio network di esperti e la sua piattaforma informatica” – spiega Fernando De Benedetto, Responsabile del progetto e Direttore Scientifico della Fondazione Italiana Salute, Ambiente, Respiro (FISAR).
Calorie assunte spesso sono sottostimate. Lo studio
AlimentazioneMolte persone non hanno idea o sottovalutano il numero di calorie che assumono durante il giorno. A dimostrarlo è uno studio pubblicato su New England Journal of Medicine. Durante la ricerca è stato chiesto a due gruppi (il primo a dieta e l’altro no) che avevano peso, BMI, percentuale di grasso corporeo, livello di istruzione e carriera simili, di riportare il numero di calorie che assumevano durante la giornata. Entrambi i gruppi hanno sottostimato l’apporto calorico di circa 1000 calorie o più. Secondo un’altra indagine più recente del Sistema sanitario britannico, oltre un terzo degli inglesi tende a sottostimare l’apporto energetico che assume. Su oltre 4mila persone, infatti, emerge che gli uomini assumono in media quotidianamente 3mila calorie ma dichiarano di prenderne soltanto 2mila. Stessa differenza di percezione tra le donne: dichiarano di prenderne 1500 ma in realtà sono 2500. Insomma, sembra che in generale le persone pensino di mangiare o almeno di assumere meno apporto calorico di quanto non avvenga in realtà.
Le abitudini sbagliate
Queste ricerche hanno confermato l’importanza di tenere traccia del cibo assunto anche attraverso un diario alimentare, come spiegano i nutrizionisti. Tuttavia, dall’altra parte, avvisano gli esperti assumere poche calorie può ostacolare la perdita di peso perché le cellule entrano in modalità di “magra” e assorbono più grasso del dovuto. Quando si vuole perdere peso è importante abituare il corpo a bruciare il grasso accumulato, ma tenendo il conto esatto delle calorie assunte. Tra le calorie maggiormente “dimenticate” ci sono quelle liquide. Quando l’obiettivo è perdere peso è importante essere consapevoli di ciò che si sta assumendo. Esempi di calorie liquide sono i succhi di frutta, le bibite gassate o gli sport drink. La dose giornaliera di liquidi dovrebbe essere 35-40 ml per ogni kg di peso e in aggiunta 500-1000 ml per ogni ora di esercizio fisico. Sono escluse le bibite gassate “light” che non hanno calorie. Gli altri nemici dell’alimentazione sana, secondo le ricerche, sono la tv, il computer o il cellulare, se usati durante i pasti. La digestione, infatti, inizia con gli occhi. Guardando il cibo, la bocca produce gli enzimi nella saliva per iniziare il processo digestivo prima di iniziare a deglutire. Inoltre si dovrebbe masticare circa 25 volte prima di deglutire. Un campanello di allarme è il senso di gonfiore dopo mangiato, è il sintomo che probabilmente è stata ingerita anche aria insieme al cibo. Per questo è importante mangiare con calma.
Disturbi alimentari: a rischio anche gli anziani
News PresaLe persone anziane sempre più spesso vivono con difficoltà il loro rapporto con l’alimentazione. A sottolineare la questione, spesso poco conosciuta o sottovalutata, è HappyAgeing, l’Alleanza Italiana per l’invecchiamento attivo in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione. “Numerose evidenze scientifiche e sociologiche – ha dichiarato Michele Conversano, presidente di HappyAgeing – conducono ad affermare che, nel nostro Paese, gli anziani non sono affetti da scarsa nutrizione, ma soffrono sempre più soprattutto di cattiva nutrizione, per carenze di nutrienti essenziali, per il consumo di prodotti ricchi di conservanti, sali e grassi occulti e questo anche e soprattutto per difficoltà economiche.”
La solitudine, i problemi dentari, la scarsa disponibilità economica, la perdita dell’appetito sono tra i fattori che condizionano le abitudini alimentari dell’anziano, ostacolando uno stile di vita sano che possa garantire l’invecchiamento in salute. Non solo: anche l’isolamento e l’apatia spingono gli anziani a perdere interesse per il cibo, sia nella preparazione che nella scelta delle pietanze. Un fenomeno più accentuato negli uomini che spesso per pigrizia tendono a privilegiare scatolette e cibi pronti. L’isolamento sociale può spingere alcuni anziani a trovare rifugio nelle abbuffate tipiche dei soggetti bulimici.
Disturbi alimentari
A essere colpiti da anoressia e bulimia non sono solo i giovani, ma sempre più anche gli over 65. Un trend poco conosciuto e riconosciuto, ma diffuso specialmente nelle grandi città. “Gli anziani sono soggetti particolarmente deboli e gli eventi traumatici, come la perdita di una familiare o la scarsezza di condizioni economiche o la perdita di fiducia nel futuro sono eventualità che possono condizionare in maniera diretta lo stile alimentare – ha aggiunto Conversano – La perdita di motivazione nel cibo e nella cucina porta spesso a non variare adeguatamente la dieta, provocando carenze nutrizionali particolarmente pericolose in presenza di patologie pregresse. Soprattutto in queste situazioni la magrezza eccessiva può essere imputata facilmente ad altri disturbi e non riconosciuta come sintomo di un disturbo alimentare da tenere sotto stretto controllo medico.”
Antipatia, essere gentili con gli altri aiuta
News PresaL’antipatia di può curare. A rivelarlo, anche se in maniera indiretta, è uno studio realizzato dall’Università di York e pubblicato sulla rivista Translational Issues in Psychological Science. La medicina contro l’ antipatia non si trova però nelle farmacie e non si può comprare on line, è qualcosa che solo l’antipatico può trovare dentro di sé. Cosa? L’empatia. Già, non è una banalità e lo studio ha un solido fondamento scientifico. Stando ai risultati ottenuti «più sono sgradevoli e poco gentili, e più farebbe loro bene comportarsi in modo compassionevole ed empatico verso gli altri.
Il rapporto con la depressione
Le persone con questo carattere sono anche quelle che più traggono beneficio, si sentono meglio e più soddisfatte se compiono atti di gentilezza verso chi gli è più vicino. Come detto, lo studio si è occupato n modo particolare del rapporto tra l’empatia di queste persone e lo stato di depressione. Nella ricerca, condotta su 640 persone di 30anni moderatamente depresse, è stato chiesto ai volontari di partecipare a tre esercizi online di empatia, completandoli e mandando le risposte su una piattaforma online ogni giorno per 3 settimane. Due mesi più tardi si è visto che le persone antipatiche, che avevano fatto atti di gentilezza con le persone della depressione e aumento della soddisfazione nella propria vita. «Tutti hanno bisogno degli altri – commenta Myriam Mongrain, coordinatrice dello studio – Per via della loro ostilità e mancanza di cooperazione, le persone antipatiche e sgradevoli rischiano di essere rifiutate o ostracizzate. Le loro relazioni sono molto conflittuali e ne soffrono le conseguenze».
Netto miglioramento
Dar loro suggerimenti concreti in cui esprimere le loro preoccupazioni e interesse per gli altri si è rivelato estremamente utile. Le persone più sgradevoli spesso sono prive di empatia, anche nelle loro relazioni più strette. «Adottare questi nuovi comportamenti potrebbe averli fatti sentire affermati e apprezzati nel loro circolo sociale più stretto – continua – E questo può funzionare da antidepressivo per loro». I risultati sono tanto più apprezzabili, secondo i ricercatori, se si considera che gli interventi sono stati fatti online e richiedevano non più di 15 minuti al giorno. In altre parole, è un “metodo” facile da implementare, che può essere fatto ovunque e ha effetti profondi per un gruppo di persone, con applicazione pratica immediata.
Benessere delle ossa, quanto è importante l’alimentazione
Alimentazione, Benessere, Medicina funzionaleE’ certamente vero che siamo ciò che mangiamo. Lo è ancor più in alcune condizioni che richiedono un’alimentazione particolare, perché le malattie si combattono anche a tavola. L’osteoporosi è certamente una di queste, visto che gli alimenti possono contribuire sensibilmente al benessere delle ossa. L’equilibrio al quale dobbiamo aspirare quando siamo a tavola riguarda acqua, carboidrati (zuccheri e amidi), proteine, grassi, vitamine, sali minerali. Niente paura, tutti gli alimenti contengono questi elementi, il segreto è scegliere le giuste combinazioni.
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La dose quotidiana di calcio
Dire che è importante assumere calcio è semplice, meno lo è riuscire a spiegare in che modo se ne può assumere la quantità giusta e da quali alimenti. Proviamo dunque a fare il punto. Certamente non è un segreto che il calcio si assorbe soprattutto dal latte e dai suoi derivati (ad esempio yogurt e formaggi). Ma quanto calcio è contenuto in un litro di latte? Anche se totalmente scremato, un litro di latte contiene circa 1,2 grammi di calcio.
Scremato non significa “privo di calcio”
A dispetto di quanto si potrebbe credere, il latte parzialmente o totalmente scremato e lo yogurt magro contengono importanti quantità di calcio, spesso anche più dei prodotti interi. In modo particolare il latte totalmente scremato è un’ottima fonte di calcio e di proteine, dà pochissime calorie, e (ammesso che piaccia) si può usare durante la giornata come bevanda dissetante. Allo stesso modo, circa 80 grammi parmigiano (o in alternativa 120 grammi di altri formaggi stagionati (caciocavallo ad esempio) ne contengono circa 1 grammo.
Acqua
L’acqua è un’altra fonte di calcio, sia che si preferisca quella del rubinetto, sia che si beva acqua in bottiglia. Per trovare i valori relativi a ciascuna fonte basta leggere le etichette (nel caso di acqua in bottiglia) o collegarsi con il sito dell’acquedotto (se si beve quella della fontana).
Pesce, vegetali e frutta secca
Tra gli alimenti che contengono calcio, e che fanno anche molto bene, c’è il pesce. Ad esempio le alici, soprattutto se mangiate con lisca, sono perfette per il benessere delle ossa. Non sono da meno polpi, calamari e gamberi. Cambiando genere, magari per chi preferisce una dieta più orientata verso i prodotti della terra, broccoletti, radicchio, carciofi, spinaci e così via, contengono una buona quantità di calcio. Unico problema è che l’organismo ha più difficoltà ad assimilare il calcio delle verdure rispetto a quello contenuto, ad esempio, nei latticini. Arachidi, pistacchi, noci, mandorle, nocciole, fichi secchi contengono molto calcio. Quini, in vista di qualche spuntino, (con moderazione) la frutta secca è perfetta.
Costruire il proprio corpo
Ciò che è bene comprendere è che mangiando non forniamo solo “carburante” al nostro corpo, gli diamo anche i mattoni per crescere e rinnovarsi. Il benessere delle ossa è molto legato a questa seconda funzione. Proteine, carboidrati, grassi, acqua, minerali e così via sono tutti i mattoni del nostro corpo. Noi stessi siamo, anche a livello cellulare, in continua evoluzione. E’ un po’ come pensar ad una casa in perenne ristrutturazione. Il benessere delle ossa, che sono la nostra struttura portante, è legato alla presenza di tutti gli elementi che servono a questa “ristrutturazione”. Una corretta alimentazione non può prescindere dal giusto apporto di cibi ricchi di vitamina D. Nella lotta all’osteoporosi, anche intesa come prevenzione, la vitamina D svolge infatti un ruolo importante. Sia che si tratti di vitamina D2, sia che si tratti di vitamina D3. Ma cosa centra la vitamina D con le ossa? Il rapporto fra il tessuto osseo e vitamina D è in realtà molto stretto e conosciuto da tempo. Diciamo che i medici conoscono bene gli effetti negativi sullo scheletro della mancanza di questa vitamina a causa della carenza di luce solare: problema che riguarda spesso bambini e adolescenti di paesi del Nord Europa affetti da rachitismo infantile. Altro fenomeno riguarda gli anziani. La vitamina D viene infatti sintetizzata dalla pelle attraverso i raggi solari (in gran parte) e, proprio le persone più in là con gli anni, che non amano stare troppo al sole e hanno una pelle con ridotte capacità biosintetiche genera una carenza di vitamina D, con conseguenti effetti negativi a livello scheletrico. Per prevenire i danni ossei prodotti dall’ipovitaminosi D è importante mantenere livelli in linea con quelli definiti dalle linee guida di molti Paesi, se necessario ricorrendo ad integratori, soprattutto nella popolazione di anziani che sono spesso al di sotto del minimo necessario. Sono molti gli studi che confermano i benefici della vitamina D, in associazione con il calcio, nel ridurre l’incidenza delle fratture sia vertebrali che non vertebrali. E quindi in definitiva anche contro l’osteoporosi.
Gli alimenti che la contengono
Anche gli alimenti possono essere importanti serbatoi di vitamina D. Proviamo allora a fare una lista di quelli che certamente sono tra i più gettonati:
Il tonno in scatola è tra gli alimenti che si possono consumare per assumere vitamina D. Un alimento che (preso al naturale) spesso è inserito nelle diete ipocaloriche. Il tonno in scatola contiene fino a 236 IU di vitamina D in una porzione di 100 grammi, pari a più della metà del fabbisogno giornaliero. È anche una buona fonte di niacina e vitamina K.
Aringhe e sardine sono anch’esse ricche di vitamina D. Spesso si mangiano in scatola, affumicate o marinate. L’aringa fresca fornisce 1.628 IU per una porzione di 100 grammi, che è quattro volte il fabbisogno giornaliero. Ad ogni modo, anche per chi non ama il pesce fresco, le aringhe in salamoia sono una grande fonte di vitamina D, e forniscono 680 IU 100 grammi, che è pari al 170% del fabbisogno giornaliero. Tuttavia, le aringhe in salamoia contengono anche una quantità elevata di sodio, che invece per molte persone non è raccomandabile.
L’olio di fegato di merluzzo è un integratore molto popolare e anche molto salutare. Una buona soluzione per chi non ama il pesce e che vuole comunque assumere determinate sostanze nutrienti che sono difficili da ottenere da altri alimenti. In un cucchiaino di olio di fegato di merluzzo, pari circa a 5 ml, sono contenuti 450 IU di vitamina D. Piccola parentesi, l’olio di fegato di merluzzo è anche un’ottima fonte di vitamina A.
Il Salmone è un pesce che viene definito “grasso” che contiene una buona quantità di vitamina D. In media 100 grammi di salmone contengono tra i 361 e i 685 IU di vitamina D. Attenzione però a scegliere salmone che non sia di allevamento, che contiene in media un terzo della vitamina D di quello selvatico.
Le ostriche sono certamente più ricercate e non sono tra gli alimenti di uso comune, ma (oltre ad essere deliziose) hanno un basso contenuto di calorie e sono ricche di sostanze nutritive. Una porzione di 100 grammi di ostriche selvatiche contiene solo 68 calorie e 320 IU di vitamina D, pari a circa l’80% del fabbisogno giornaliero.
Gamberi o i gamberetti hanno un contenuto di grassi molto basso. Nonostante questo, contengono una buona quantità di vitamina D, circa 152 IU per porzione, pari al 38% del fabbisogno giornaliero. Contengono anche acidi grassi omega-3, pur se in una quantità inferiore rispetto a molti altri alimenti ricchi di vitamina D. I gamberi, inoltre, contengono circa 152 mg di colesterolo per porzione, che è una quantità piuttosto significativa. Tuttavia, questo non dovrebbe essere un motivo di preoccupazione.
I tuorli d’uovo sono una buona variante per chi non ama mangiare pesce. Le uova consumate intere sono un’altra buona fonte e anche un alimento molto nutriente. Mentre la maggior parte delle proteina si trova nell’albume, i grassi, le vitamine e i minerali si trovano principalmente nel tuorlo d’uovo. Un tuorlo di uova di gallina allevata in modo convenzionale contiene tra i 18 e i 39 IU di vitamina D, che non è una quantità molto alta. Tuttavia, i polli allevati a terra che vagano fuori alla luce del sole producono uova con livelli di vitamina D che sono che 3-4 volte superiori.
Infine i funghi, unica fonte vegetale di vitamina D. Come gli esseri umani, i funghi in grado di sintetizzare questa vitamina con l’esposizione alla luce UV. Tuttavia, funghi producono vitamina D2, mentre gli animali producono vitamina D3. Sebbene la vitamina D2 contribuisce ad aumentare i livelli ematici di vitamina D, questa non è efficace come la vitamina D3. Ciò nonostante, i funghi selvatici sono un’ottima fonte di vitamina D2. Infatti, alcune varietà contengono fino a 2.300 IU per 100 grammi.