Tempo di lettura: 3 minutiCi sono casi in cui nessun medico è in grado di riconoscerle: sono le malattie rare o rarissime. Alcune di esse non hanno neanche un nome, per via di quadri clinici troppo complessi e “rari”. Le reti nazionali e internazionali servono proprio a cercare di costruirne l’identità. Oggi la ricerca italiana ha aggiunto un nuovo tassello con un’iniziativa dell’Istituto Superiore di Sanità ribattezzata Undiagnosed Diseases Network SUD o più semplicemente UDN – SUD che coinvolge quattro Centri clinici di Regioni del sud e del centro, quali Puglia, Sicilia, Calabria e Abruzzo, afferenti alla Rete Nazionale Malattie Rare e realizzata con il sostegno incondizionato di Farmindustria, allo scopo di ampliare la casistica dei pazienti e poter fornire diagnosi a un numero crescente di persone. L’obiettivo di Udn – Sud è quello di caratterizzare in un anno, da un punto di vista biologico-molecolare, trenta nuovi pazienti con fenotipi unici.
Udn – Sud
“Questa nuova indagine, che coinvolge quattro Centri clinici appartenenti alla nostra Rete Nazionale Malattie Rare, è molto importante poiché aggiunge al nostro database di oltre settanta casi lo studio di altri trenta fenotipi a una casistica difficile – dichiara Domenica Taruscio, direttore del Centro Nazionale Malattie Rare dell’ISS – abbiamo già iniziato la caratterizzazione e speriamo, come è accaduto con un precedente progetto, di riuscire a caratterizzare la patologia anche da un punto di vista genetico molecolare contribuendo quindi a dare una diagnosi a questi pazienti che ne restano privi per anni e ad arricchire il nostro network internazionale che abbiamo contribuito a fondare ”.
La maggior parte delle malattie rare non diagnosticate è di origine genetica; ad esse si aggiunge un ulteriore 20% con probabile origine multifattoriale. Pochissimi gli studi disponibili soprattutto se ci si riferisce proprio alla loro possibile origine causata da interazione geni-ambiente. La ricerca su questo tipo di patologie risulta quindi molto complessa, insufficiente e spesso condotta in maniera disomogenea nei diversi centri clinici, nazionali e internazionali. Ecco perché le malattie senza diagnosi rappresentano oggi una nuova frontiera spingendo ad affrontare il problema dei pazienti non diagnosticati a livello globale e non più solamente locale attraverso l’attuazione di iniziative basate sulla necessità di condividere dati, risultati e programmi.
Udn – Sud è “un’iniziativa molto importante” – commenta Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria – . “Perché vuole aiutare la Ricerca e magari permetterà a diverse malattie rare, oggi prive di nome, di averne uno. Le imprese del farmaco vogliono continuare a impegnarsi anche su questo fronte, come hanno fatto finora. Negli USA – ad esempio – quasi il 60% dei farmaci approvati nel 2018 sono per malattie rare: 34 su 59 di cui molti first-in-class, cioè capostipiti di nuove terapie. In Europa sono state oltre 2.100 le designazioni di farmaci orfani dal 2000 a oggi. E in Italia è aumentato negli ultimi anni dal 10% al 25,5% il peso degli studi clinici – nel complesso oltre 140 – sulle malattie rare. La stella polare della R&S farmaceutica – conclude Scaccabarozzi – è il paziente. Tanto più quando si tratta di piccoli malati, come nel caso delle patologie rare.”
“Sull’identificazione genetica di queste patologie si gioca molto del futuro della ricerca nel campo della biologia molecolare – spiega Marco Salvatore, Direttore della neonata Struttura di Missione Temporanea dell’ISS dedicata alle malattie rare senza diagnosi -. L’Istituto ha infatti messo a punto una struttura di Missione Interdipartimentale che utilizza molte delle competenze necessarie attraverso la collaborazione di ricercatori afferenti a vari Dipartimenti e Centri del nostro Istituto proprio per supportare questa sfida complessa. Spesso questi pazienti hanno solo un secondo caso nel senso che è possibile che ci sia un solo paziente al mondo con un quadro clinico sovrapponibile. Ecco perché i nostri database nazionali non possono prescindere dall’incrocio con quelli internazionali ed ecco perché la ricerca deve essere mondiale”.
“Dare un nome alla malattia – conclude Domenica Taruscio – significa in qualche modo riconoscerne i sintomi e delimitarli entro un preciso quadro clinico di riferimento, un punto di partenza importante per il paziente ma anche per i suoi familiari che cominciano a muoversi in base a una strategia, qualunque essa sia, e ad affrontare la malattia con maggiore fiducia”.
Dal diabete all’Alzheimer. Si potranno curare con il trapianto di microbiota
Ricerca innovazioneNell’intestino umano abitano un insieme di batteri chiamati microbiota. In uso clinico, il trapianto di microbiota, è già una realtà (contro le diarree croniche di origine batterica), ma potrebbe diventare una terapia efficace su molti fronti, dal diabete al Parkinson, fino all’Alzheimer. In altre parole, sono tantissime le patologie interessate anche da alterazioni delle popolazioni microbiche intestinali. Ad aprire la strada a questa nuova possibilità è la rivista Frontiers in Cellular and Infection Microbiology, che ipotizza la possibilità di selezionare i “super-donatori”, coloro cioè il cui microbiota è sano e in grado di curare l’intestino dei pazienti.
La studio presentato dalla rivista è una revisione di dati scientifici relativi a una serie di trial clinici tutti su trapianto di microbiota per la cura di diverse patologie, curata da Justin O’Sullivan della University of Auckland in Nuova Zelanda.
Questo tipo di trapianto si fa a partire dalle feci di donatori sani che vengono purificate per estrarne la popolazione batterica. “Le ultime due decadi hanno visto una lista crescente di malattie associate a cambiamenti del microbiota intestinale”, spiega O’Sullivan. Tuttavia, nei trial clinici esaminati nella review è emersa una elevata variabilità di risultati, che sembra in buona parte riconducibile al donatore: in termini di efficacia del trapianto sembra fondamentale la scelta del donatore, precisa l’esperto. È sempre più evidente che non tutti i donatori hanno una condizione altrettanto efficace nel favorire la guarigione dalle malattie.
Editoria, Speciale Salute e Prevenzione di Ottobre in edicola.
News Presa, SpecialiOggi è in edicola, all’interno del Corriere della Sera nel Mezzogiorno lo speciale “Salute e Prevenzione” in partnership con PreSa, in cui si accende il dibattito tra medici e universitari riguardo i test di ammissione, numero chiuso si o no?
Sport e solidarietà per la Medical Device Challenge con la partecipazione di alcuni atleti paralimpici e la storia emozionante di Roberto Sodero, asso della Nazionale calcio italiana amputati. Inoltre ampio spazio a due nuovi progetti hi-tech per rendere le città accessibili grazie a dispositivi in microelettronica e intelligenza artificiale, luce, messaggi vocali, telecamere, per orientare il viaggiatore con disabilità visiva verso qualsiasi luogo in totale sicurezza. Infine le protesi bio-tech per i pazienti con disfunzione erettile: il 97% rifarebbe l’intervento.
Malattie Rare senza nome, ISS lancia iniziativa “UDN – SUD”
News PresaCi sono casi in cui nessun medico è in grado di riconoscerle: sono le malattie rare o rarissime. Alcune di esse non hanno neanche un nome, per via di quadri clinici troppo complessi e “rari”. Le reti nazionali e internazionali servono proprio a cercare di costruirne l’identità. Oggi la ricerca italiana ha aggiunto un nuovo tassello con un’iniziativa dell’Istituto Superiore di Sanità ribattezzata Undiagnosed Diseases Network SUD o più semplicemente UDN – SUD che coinvolge quattro Centri clinici di Regioni del sud e del centro, quali Puglia, Sicilia, Calabria e Abruzzo, afferenti alla Rete Nazionale Malattie Rare e realizzata con il sostegno incondizionato di Farmindustria, allo scopo di ampliare la casistica dei pazienti e poter fornire diagnosi a un numero crescente di persone. L’obiettivo di Udn – Sud è quello di caratterizzare in un anno, da un punto di vista biologico-molecolare, trenta nuovi pazienti con fenotipi unici.
Udn – Sud
“Questa nuova indagine, che coinvolge quattro Centri clinici appartenenti alla nostra Rete Nazionale Malattie Rare, è molto importante poiché aggiunge al nostro database di oltre settanta casi lo studio di altri trenta fenotipi a una casistica difficile – dichiara Domenica Taruscio, direttore del Centro Nazionale Malattie Rare dell’ISS – abbiamo già iniziato la caratterizzazione e speriamo, come è accaduto con un precedente progetto, di riuscire a caratterizzare la patologia anche da un punto di vista genetico molecolare contribuendo quindi a dare una diagnosi a questi pazienti che ne restano privi per anni e ad arricchire il nostro network internazionale che abbiamo contribuito a fondare ”.
La maggior parte delle malattie rare non diagnosticate è di origine genetica; ad esse si aggiunge un ulteriore 20% con probabile origine multifattoriale. Pochissimi gli studi disponibili soprattutto se ci si riferisce proprio alla loro possibile origine causata da interazione geni-ambiente. La ricerca su questo tipo di patologie risulta quindi molto complessa, insufficiente e spesso condotta in maniera disomogenea nei diversi centri clinici, nazionali e internazionali. Ecco perché le malattie senza diagnosi rappresentano oggi una nuova frontiera spingendo ad affrontare il problema dei pazienti non diagnosticati a livello globale e non più solamente locale attraverso l’attuazione di iniziative basate sulla necessità di condividere dati, risultati e programmi.
Udn – Sud è “un’iniziativa molto importante” – commenta Massimo Scaccabarozzi, Presidente di Farmindustria – . “Perché vuole aiutare la Ricerca e magari permetterà a diverse malattie rare, oggi prive di nome, di averne uno. Le imprese del farmaco vogliono continuare a impegnarsi anche su questo fronte, come hanno fatto finora. Negli USA – ad esempio – quasi il 60% dei farmaci approvati nel 2018 sono per malattie rare: 34 su 59 di cui molti first-in-class, cioè capostipiti di nuove terapie. In Europa sono state oltre 2.100 le designazioni di farmaci orfani dal 2000 a oggi. E in Italia è aumentato negli ultimi anni dal 10% al 25,5% il peso degli studi clinici – nel complesso oltre 140 – sulle malattie rare. La stella polare della R&S farmaceutica – conclude Scaccabarozzi – è il paziente. Tanto più quando si tratta di piccoli malati, come nel caso delle patologie rare.”
“Sull’identificazione genetica di queste patologie si gioca molto del futuro della ricerca nel campo della biologia molecolare – spiega Marco Salvatore, Direttore della neonata Struttura di Missione Temporanea dell’ISS dedicata alle malattie rare senza diagnosi -. L’Istituto ha infatti messo a punto una struttura di Missione Interdipartimentale che utilizza molte delle competenze necessarie attraverso la collaborazione di ricercatori afferenti a vari Dipartimenti e Centri del nostro Istituto proprio per supportare questa sfida complessa. Spesso questi pazienti hanno solo un secondo caso nel senso che è possibile che ci sia un solo paziente al mondo con un quadro clinico sovrapponibile. Ecco perché i nostri database nazionali non possono prescindere dall’incrocio con quelli internazionali ed ecco perché la ricerca deve essere mondiale”.
“Dare un nome alla malattia – conclude Domenica Taruscio – significa in qualche modo riconoscerne i sintomi e delimitarli entro un preciso quadro clinico di riferimento, un punto di partenza importante per il paziente ma anche per i suoi familiari che cominciano a muoversi in base a una strategia, qualunque essa sia, e ad affrontare la malattia con maggiore fiducia”.
Malattie rare, al Bambino Gesù una scoperta che apre uno spiraglio di luce
News Presa, Ricerca innovazioneAll’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù sono state scoperte due nuove sindromi neurodegenerative ad esordio precoce. E anche se la notizia potrebbe sembrare interessante solo per la comunità scientifica non è così. Per molte famiglie che lottano contro malattie difficili anche solo da diagnosticare si apre infatti una luce di speranza.
La ricerca
Dal punto di vista scientifico i due studi sono stati pubblicati sullo stesso numero della prestigiosa rivista dell’American Journal of Human Genetics. Le ricerche sono il frutto del lavoro di team di ricercatori diretti dai professor Enrico Bertini e Marco Tartaglia dell’Area di Ricerca in Genetica e Malattie Rare e hanno identificato nelle mutazioni dei geni “TBCD” e “TBCE” la causa delle due nuove forme di malattie neurodegenerative. In sostanza questi geni sono responsabili della sintesi di particolari proteine che hanno un ruolo nel regolare l’attività delle tubuline, vale a dire di proteine che costituiscono le unità fondamentali dello scheletro cellulare. La loro funzione è particolarmente importante nelle cellule neuronali, dove sono necessarie durante lo sviluppo del cervello e dove partecipano all’attività neurosecretoria. Alterazioni dei geni che controllano le tubuline sono responsabili di malattie ad impatto prevalentemente neurologico, come epilessia, disabilità mentale e ritardo dello sviluppo motorio.
Queste scoperte seguono gli importanti risultati già ottenuti dai ricercatori del Bambino Gesù nella genetica delle malattie rare e senza diagnosi, favoriti dall’uso di tecnologie di sequenziamento di seconda generazione del DNA che permettono di studiare l’intero genoma di un individuo. Oggi, queste due nuove malattie hanno una causa nota, un loro inquadramento clinico più accurato e possono beneficiare di un test genetico rapido, favorendo una diagnosi precoce. Queste nuove conoscenze rendono oggi possibile studi diretti all’identificazione di approcci terapeutici per bloccare o rallentare la progressione degenerativa di queste malattie.
Al tema delle Malattie Rare è collegata la campagna di comunicazione istituzionale ‘Vite Coraggiose’, promossa dalla Fondazione Bambino Gesù Onlus in occasione del Giubileo straordinario della Misericordia. Una campagna nazionale di raccolta fondi della durata 3 anni, con l’obiettivo di finanziare i progetti di ricerca che l’Ospedale Pediatrico ha sviluppato per “dare un nome alle patologie senza nome”, individuare i meccanismi genetici alla base delle malattie “orfane” ed elaborare nuove possibili strategie terapeutiche.
Se la sclerosi multipla entra in camera da letto
PrevenzioneRicevere una diagnosi di sclerosi multipla è sempre uno choc, nonostante oggi questa patologia non sia una condanna. Il fatto è che spesso la malattia si manifesta in un’età nella quale si iniziano a fare progetti di vita importanti, come quello di crearsi una famiglia. Ma qual è il rapporto della malattia con la sfera della sessualità? Se lo sono chiesto i migliori esperti d’Italia riuniti nell’Aula Magna “Gaetano Salvatore” del Policlinico Federico II , durante l’evento “Sclerosi multipla e sessualità” (inserito tra i progetti di Educazione Continua in Medicina).
I dati
A svelare tutta la verità sono, come spesso accade, i numeri. In Italia sono oltre 118mila le persone che in vivono con una diagnosi di sclerosi multipla, 3.400 diagnosi in più dello scorso anno (Dati Aism). La sclerosi multipla è una malattia cronica che può portare a disabilità e viene diagnosticata nella maggior parte dei casi tra i 20 e i 40 anni. Un nuovo caso ogni tre ore. Le donne si ammalano due volte di più degli uomini e i giovani con sclerosi multipla sono quasi 60mila. Tracciato l’identikit del nemico c’è da dire che questo può incidere (e purtroppo in molti casi lo fa) sulla sfera sessuale: nella popolazione di pazienti con sclerosi multipla la diffusione dei disturbi sessuali è stimata tra il 60 ed il 90% (fonte AISM). Ma non significa che una coppia nella quale il partner abbia una diagnosi di sclerosi multipla debba abbandonare qualsiasi progetto. Il primo passo da compiere è innanzitutto la presa di coscienza su cosa sta cambiando, per cercare di trovare insieme al curante il giusto rimedio.
Abbattere il tabù
Purtroppo il tema della sessualità ancora oggi è spesso un tabù, per Roberta Lanzillo, neurologa dell’Università Federico II di Napoli «la presa in carico del paziente deve affrontare anche questo tema, in tutte le sue sfaccettature. Il team multidisciplinare è in grado di dare risposte anche su un tema così intimo e delicato come la sessualità». Ecco perché il dialogo sulla sessualità deve irrompere nel rapporto medico paziente. Anche di questo aspetto si occupa lo staff multidisciplinare del Centro Sclerosi Multipla dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli, che da oltre un decennio collabora per offrire a tutte le persone affette da sclerosi multipla un percorso di cura e di salute conforme ad un approccio integrato alla salute del paziente, che include anche un opportuno sostegno psicologico. Il passo fondamentale per gestire le problematiche della sessualità correlate alla sclerosi multipla è parlarne e affrontare apertamente questi disturbi. E’ fondamentale riconoscere la presenza di difficoltà della sfera sessuale: un’adeguata anamnesi medica e sessuologica dovrà essere finalizzata a valutare le effettive problematiche in modo da individuarne le possibili strategie di intervento.
I protagonisti
L’evento è stato introdotto dai saluti del sindaco di Napoli Luigi De Magistris, del Presidente della Scuola di medicina e Chirurgia Luigi Califano, del Direttore Sanitario dell’AOU Federico II Gaetano D’Onofrio, del Presidente eletto della Società Italiana di Neurologia Gioacchino Tedeschi, dal Responsabile del Centro Regionale per la Sclerosi Multipla Vincenzo Brescia Morra e del Direttore del centro SInApsi Paolo Valerio. Tra gli altri, hanno partecipato Lucio Santoro, Annamaria Colao, Carlo Alviggi, Ciro Imbimbo, Giuseppe Servillo, Nelson Mauro Maldonato e Luigi Lavorgna.
Malattie rare, verso un futuro migliore
News PresaQuello delle malattie rare è un vero e proprio universo, tanto sconfinato quanto complesso da gestire. Per i pazienti questo significa spesso vivere una condizione di solitudine, mentre per i clinici e per i tecnici che devono organizzare la rete assistenziale la sfida si gioca sul terreno della prossimità e della capacità di creare un network di competenze.
Campania e Puglia
Sono regioni che hanno saputo fare molto. L’esperienza della Campania è ben rappresentata da Antonella Guida, dirigente di staff tecnico operativo presso la direzione generale tutela della salute e coordinamento del sistema sanitario regionale. «Sul tema delle malattie rare c’è grande attenzione», spiega. «Del resto i pazienti hanno bisogno di un’assistenza quasi personalizzata, con una grande attenzione clinica e un pressante lavoro di presa in carico».
Riorganizzazione del sistema
Il lavoro nasce anche sulla scorta del nuovo Dpcm che ha aumentato il novero delle malattie rare ricomprese nei Lea. «Come Regione – prosegue Guida – è stato varato un decreto del Commissario ad acta che spiega come il paziente debba essere preso in carico tramite un Pdta che, in parole povere, chiarisce chi debba fare cosa». Guida chiarisce anche che nella lotta alle malattie rare è cruciale il rapporto con le associazioni di pazienti, che per questo siedono al tavolo preposto. In regione si sta anche rafforzando un call center dedicato a pazienti e famiglie. «Alcune diagnosi conclude Guida – sono devastanti e in molti casi per fare una diagnosi serve una profonda anamnesi familiare». Al dottor Giuseppe Limongelli è stato assegnato il ruolo di responsabile del Centro regionale di coordinamento sulle malattie rare. Ed è lui a spiegare che in Campania il numero di certificati di malati rari è di 20mila circa. Ma, verosimilmente, il numero dei pazienti è ben più alto. CONTINUA A LEGGERE CLICCA QUI
Sclerosi multipla, tra cura e sostenibilità
Economia sanitariadi Francesco Saverio Mennini*
La Sclerosi multipla è diffusa a livello mondiale con frequenze d’incidenza che variano a seconda delle aree geografiche e colpisce più le donne. Si stima che il 70% di tutti i pazienti sia di sesso femminile. Fa eccezione la forma primaria progressiva che interessa con la stessa frequenza i due sessi. Nel panorama europeo di prevalenza e incidenza della patologia, l’Italia occupa una posizione intermedia, con 113 casi ogni 100mila abitanti e 1.800 nuovi casi per ogni anno. L’incidenza è significativamente più alta in Sardegna con un tasso di 6,8 per 100mila abitanti registrato nel 1993-1997. In base a questi dati, considerando che la popolazione italiana è di 60.782.668 abitanti, è possibile stimare una prevalenza di più di 68mila casi di Sclerosi multipla sull’intero territorio nazionale. Partendo da questi numeri si capisce bene come la Sclerosi multipla rappresenti una patologia altamente impattante, tanto dal punto di vista del paziente che da quello del Sistema Sanitario, ma soprattutto dal punto di vista economico.
I costi sociali
Il peso economico di questa patologia non si riflette solamente in termini di costi sostenuti direttamente dal Sistema Sanitario, ma anche e soprattutto dai costi sostenuti dai pazienti (cure informali) e dalla perdita di produttività. Nello specifico, si stima un onere complessivo annuo pari a oltre 2,08 miliardi, di cui circa il 45% (878,2 milioni) è imputabile a costi diretti sanitari, il 47% (970,6 milioni) è causato dai costi diretti non sanitari, mentre la perdita di produttività associata all’assenza dal lavoro legata alla malattia supera i 234,6 milioni e rappresenta l’11% della spesa complessiva sostenuta nella prospettiva sociale. Per contestualizzare questi risultati, basti pensare che la spesa stimata supera di centinaia di milioni la spesa indotta da una malattia cronica come l’HCV (stima dei costi diretti ed indiretti pari a 1,05 miliardi). Un fattore da tenere in considerazione è, ancora, quello relativo alla progressione della malattia.
Sostenibilità
La progressione della disabilità rappresenta, infatti, un fattore negativo, sia in termini di qualità della vita, quanto per le risorse che occorre impiegare per il trattamento della patologia. Da analisi recenti si evince che i pazienti in stato avanzato di disabilità, pari al 14% della popolazione, assorbono più di un quarto della spesa totale. Invece, i pazienti in stato EDSS lieve si dimostrano la popolazione che assorbe la quota parte di spesa minore (23% del totale), pur costituendo il 41% dei pazienti totali. Conseguentemente, interventi precoci e appropriati potrebbero permettere di rallentare fortemente la progressione della disabilità con conseguenti ricadute positive tanto dal punto di vista della qualità di vita del paziente che di un corretto utilizzo delle risorse.
* Professore di Economia
Sanitaria Università degli Studi
di Roma Tor Vergata
Dieta mima digiuno, così ci si salva dalle malattie
AlimentazioneLa Campania è la regione italiana dove la speranza di vita alla nascita è la più bassa: 78,5 anni per gli uomini e 83,3 anni per le donne, rispetto alla media nazionale pari a 80,3 anni per gli uomini e 85 anni per le donne. I dati sono quelli dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, analizzati in occasione dell’ultimo appuntamento de «Il Sabato delle Idee» dedicato interamente al tema “Alimentazione e Salute: un binomio inscindibile per il ben-essere dell’individuo».
Ma quali sono le cause alla base di questi dai scioccanti? Secondo gli esperti l’enorme diffusione dell’obesità infantile, poi gli scarsi investimenti in assistenza sanitaria e le emergenze ambientali.
Particolarmente interessante in fatto di alimentazione è la cosiddetta dieta mima digiuno. Il nome è legato al fatto che questa dieta si avvicina al digiuno, ma non lo è. Interessante perché promette, sulla base di una ricerca durata 20 anni, una vita particolarmente longeva. La dieta si basa su un ridotto contenuto proteico e a un particolare mix di grassi, carboidrati e micronutrienti. Il programma è quello di abbattere l’apporto calorico giornaliero fino a dimezzarlo. Naturalmente non è una cosa che si può improvvisare, bisogna essere seguiti dal medico e dura 5 giorni. Il ciclo va ripetuto ogni 3-6 mesi fa dimagrire e aiuta a prevenire malattie cardiovascolari, diabete, obesità e tumori. Riesce così a rallentare i processi di invecchiamento che accorciano la vita. A idearla è stato lo scienziato italiano Valter Longo, della University of Southern California (Usc) e dell’Istituto Firc di oncologia molecolare (Ifom) di Milano. E’ lui stesso a spiegare che la dieta, se seguito correttamente, può regalarci anche 10 anni in più di vita.
Al di là della dieta mima digiuno, nella quotidianità una corretta alimentazione è determinante. Bisogna cambiare radicalmente le abitudini alimentari e se propri non si vuole diventare vegetariani, si deve diminuire la quantità di carne (limitando le proteine animali a quelle del latte, delle uova, dei formaggi) e non far mai mancare una quota settimanale di pesce di almeno 450 grammi perché è ormai scientificamente accertato che l’olio di pesce, l’omega, è in grado di difendere le arterie, a cominciare da quelle del cuore, dai danni del colesterolo.
Malattie rare. È la comunicazione il ponte tra cittadini e ricerca
Ricerca innovazione«Il nostro compito non è solo fare ricerca, ma comunicarla, e comunicarla bene. Se i ricercatori non hanno rapporto diretto con medici di base e cittadini, si resta isolati. Una regola valida per tutte le discipline scientifiche, ma che nel campo delle malattie rare diventa cruciale”. Sono le parole con cui Maurizio D’Esposito, ricercatore del Centro di Genetica e Biofisica “A. Buzzati Traverso” del CNR, ha aperto a Procida il meeting “Malattie genetiche rare: dalla diagnostica alla comunicazione».
Un corso di Educazione Continua in Medicina, promosso proprio da Neuromed e CNR, ma anche un momento di raccordo e comunicazione, come spiega il ricercatore: «Dare una speranza ai pazienti con malattie rare significa non solo essere nei laboratori per cercare nuove risposte, ma significa anche uscire tra la gente, divulgare, incontrare tutti i protagonisti della salute», fare una buona comunicazione. Probabilmente è anche questo uno dei motivi principali per cui è stata scelta Procida: è un luogo con «una sua forte caratterizzazione culturale – spiega D’Esposito – pensiamo al Postino di Troisi, oppure a Elsa Morante. E’ in questo clima che vogliamo creare un rapporto tra il CNR, l’I.R.C.C.S. Neuromed e questa isola».
«Ancora una volta oggi abbiamo cercato di spiegare il concetto di malattia rara confrontandoci con i nostri colleghi», ha detto Alba di Pardo, del Laboratorio di Neurogenetica e Malattie Rare del Neuromed. «È necessario conoscere meglio e intervenire meglio in un campo difficile come questo, dove per la maggior parte delle patologie non vi è ancora una cura. Ma si stanno facendo passi in avanti nella diagnostica e nella pratica clinica, per dare un punto di riferimento ai pazienti. È per questo che ci siamo riuniti a Procida, per dare il corretto messaggio di comunicazione e sensibilizzazione. Fuori dalle porte degli ospedali e dei laboratori di ricerca».
Oggi nascono nuove prospettive terapeutiche nei laboratori di ricerca in tutto il mondo, alcune sono state esposte da Vittorio Maglione, anche lui del Centro Malattie Rare Neuromed. «Inevitabilmente, sono due gli approcci che vengono seguiti: da un lato quello genetico, che mira a ‘riparare’ l’alterazione genetica responsabile della malattia. Dall’altro, la strada farmacologica, nella quale si studiano molecole capaci di intervenire sui danni causati dall’alterazione presente nel DNA. Tra l’altro, è questa la strada che seguiamo al Neuromed. Penso che l’approccio genetico potrà offrirci prospettive notevoli, ma saranno necessari tempi lunghi. La farmacologia, invece, ci ha già messo a disposizione strade interessanti che potranno giungere ai pazienti in tempi più rapidi».
«Da Procida un segnale di ottimismo”, ha affermato il Presidente della Fondazione Neuromed, Mario Pietracupa. “Un luogo di cultura dal quale partiamo per affrontare problematiche importanti quali quelle relative alle malattie rare. Vogliamo dare un messaggio di speranza a tutti coloro che vivono una situazione di disagio. La speranza nasce dalla ricerca e dal confronto. Per progetti importanti sulle malattie rare, come questo, bisogna confrontarsi con altre realtà. La collaborazione tra Neuromed e CNR è un esempio di due Istituzioni che si mettono in discussione e si aprono a nuove collaborazioni, condividendo la necessità di comunicare con il mondo ‘esterno’ ciò che fanno».
Nella giornata dedicata all’importanza della comunicazione è stato consegnato il premio a un giovane ricercatore Neuromed, Enrico Amico, per il suo impegno nel campo delle malattie rare. Il riconoscimento, assegnato dall’Associazione Paolo Balestrazzi, Lotta alla Neurofibromatosi e a tutte le Malattie rare, vuole mettere in luce l’importanza della ricerca. «Senza la ricerca non avremo futuro», dice Palmina Giannini, Presidente dell’Associazione. «Non è semplice sopportare malattie come la neurofibromatosi, la SLA, il cancro. Parlarne è già un traguardo».
Sclerosi multipla, «ogni paziente è un mondo a sé»
PrevenzioneAnche se la Sclerosi multipla è caratterizzata in maniera macroscopica dalle lesioni della sostanza bianca, la malattia è complessa e non si esaurisce qui». Ad andare oltre la solita definizione di Sclerosi multipla è il professor Gioacchino Tedeschi, che invita a riflettere su qualcosa in più. «In primo luogo – spiega – le lesioni (o placche) possono essere localizzate in aree più o meno rilevanti dal punto di vista clinico. Del resto ci sono altri fattori che vanno molto al di là del peso delle lesioni. Ad esempio l’atrofia, il danno della sostanza bianca apparentemente normale e infine la plasticità del sistema nervoso. Questi sono poi i motivi per i quali ogni paziente è diverso dall’altro».
Tedeschi ricorda anche che sino a qualche anno fasi riteneva che la Sclerosi multipla avesse solo una base infiammatoria che, appunto, causava le lesioni della sostanza bianca del sistema nervoso centrale. «Da qualche anno sappiamo che la malattia è caratterizzata anche da fenomeni neurodegenerativi sia della sostanza bianca che grigia». Queste le ragioni per le quali la Sclerosi multipla si definisce “malattia infiammatoria e degenerativa del sistema nervoso centrale”, volendo sottolineare che coinvolge sia l’encefalo che il midollo spinale. Il meccanismo di questa malattia si definisce “autoimmune”, vale a dire che il sistema immunitario inizia ad attaccare le cellule della mielina che riveste i neuroni.
«Sappiamo – spiega il professore – quello che succede, ma non il perché. Di certo la componente genetica è veramente minima. Molto si è discusso e si discute di fattori ambientali, infettivi e nutrizionali. Tuttavia niente di tutto questo è stato confermato in modo inconfutabile». E’ invece una certezza che la malattia colpisce principalmente le donne. Tedeschi chiarisce che di solito l’esordio si ha in età adulta, ma esistono sia casi di diagnosi in età infantile, sia in età adulta avanzata.
«Oggi più che mai – conclude – c’è grande attenzione al tema della genitorialità e un messaggio lo si deve lanciare forte e chiaro: genitori si può, anche con la Sclerosi multipla. Anzi, la gravidanza è addirittura un momento favorevole per la paziente che durante la gestazione, per una serie di variazioni ormonali, è protetta da ricadute». Alla Seconda Università degli Studi di Napoli, va detto, è attivo un centro di risonanza magnetica ad alto campo, congiunto con l’Associazione Italiana Sclerosi multipla. Sono nati così moltissimi studi, anche collaborativi, che hanno permesso di rivalutare l’importanza dell’atrofia cerebrale e il ruolo della plasticità neuronale in pazienti con Sclerosi multipla.