Tempo di lettura: 2 minuti“Il suolo del nostro pianeta è ogni anno più minacciato ed occorre rispondere concretamente, prima che sia troppo tardi”. Così il Crea in occasione della Giornata Mondiale del Suolo che si celebra domani e durante la quale verrà presentata la traduzione italiana delle Linee Guida volontarie FAO sull’uso sostenibile dei suoli.
La Giornata Mondiale del Suolo
L’evento “Suolo & Agricoltura: Dalla ricerca all’azione” in programma domattina presso la Sala del Refettorio, Camera dei Deputati (via del Seminario 76) è un’ occasione per ascoltare il punto di vista degli agricoltori e per elaborare insieme a Istituzioni, Ricerca e mondo produttivo le iniziative da intraprendere per la tutela dei suoli italiani e per promuovere una gestione sostenibile, in grado di aumentare la produzione agroalimentare, favorire la qualità nutrizionale degli alimenti e consentire di mitigare quel cambiamento climatico i cui effetti sono ormai sotto gli occhi di tutti.
L’Italia, rientra fra quei Paesi virtuosi, ancora troppo pochi purtroppo, che hanno tradotto nella propria lingua le Linee Guida Volontarie FAO per la Gestione Sostenibile del Suolo. Un traguardo importante per il nostro Paese, reso possibile dal progetto europeo Soil4life, cui partecipano tra gli altri – oltre al CREA – Legambiente, Cia, Ispra e Comune di Roma. Si è trattato di riconoscere finalmente il giusto ruolo di una risorsa essenziale, da cui dipende oltre il 95% della produzione di cibo e quindi la vita dell’uomo. Un bene ancora troppo misconosciuto, fragile e soprattutto non rinnovabile, perchè per formare solo 1 cm di suolo fertile sono necessari, infatti, dai 100 ai 1000 anni.
Si stima che oltre il 33% dei suoli mondiali, infatti, siano moderatamente o fortemente degradati (500 ha, infatti, sono persinel mondo ogni mezz’ora per diverse cause): perdere, quindi, ogni anno, a livello mondiale, 75 miliardi di tonnellate di suolo coltivabile costa circa 400 miliardi di dollari/anno di produzione agricola persa. Tale perdita, a sua volta, riduce la fertilità e la capacità di produrre cibo.
I suoli coltivati nel mondo hanno perso tra il 25 e il 75% del loro stock di carbonio originario, rilasciato nell’atmosfera sotto forma di CO2, principalmente a causa di pratiche di gestione non sostenibili che hanno portato al degrado e amplificato il cambiamento climatico e i suoi impatti. Un suolo degradato riduce la sua capacità di mantenere e immagazzinare carbonio, contribuendo a minacce globali come il cambiamento climatico, con un costo stimato in miliardi di dollari all’anno.
Una gestione sostenibile dei suoli significa salvaguardare, oltre alla produzione e alla sicurezza alimentare (stima FAO: al 2050 + 56% delle produzioni, a fronte di + 60% di fabbisogno richiesto dall’aumentata popolazione), tutti i servizi ecosistemici ad esso legati: immagazzinare e fornire acqua pulita (decine di migliaia di Km3 di acqua l’anno), sequestrare carbonio (regolazione delle emissioni di anidride e di altri gas a effetto serra, aumentando così la resilienza ai cambiamenti climatici), conservare la biodiversità (oltre il 90 % della biodiversità in termini di organismi viventi del pianeta, in grado di regolare i nutrienti indispensabili per le colture, si trova nei primi 5 cm di suolo). E, sotto questi aspetti, il documento FAO, rappresenta un formidabile strumento formativo, in grado di trasferire efficacemente la scienza a chi sul suolo ci lavora ogni giorno ed è in grado di incidere sulla situazione, sia con la prevenzione e il contrasto a fenomeni in atto sia avviando il recupero dei suoli degradati. Non a caso, nell’ambito di Soil4life, è previsto la diffusione mirata delle Linee Guida a 5000 aziende agricole italiane, anche con specifici momenti formativi.
E d’altronde, come ha affermato il presidente della Commissione Agricoltura della Camera Filippo Gallinella: “Senza suolo, non c’è agricoltura”.
Chirurgia robotica, se il bisturi lo manovra un software
Ricerca innovazioneNon siamo ancora ai robot chirurghi (e, viene da dire, menomale) ma di certo la chirurgia robotica ha cambiato in meglio la chirurgia moderna. La differenza tra robot chirurgo e robot chirurgico è di lessico, ma anche di sostanza. Un conto è pensare di essere operato da un chirurgo che manovra un robot, sfruttandone la precisione e le articolazioni snodate; tutt’altra cosa è andare “sotto i ferri” mettendo la propria vita nella mani (anzi nei chip) di una macchina. Ma probabilmente anche questa è solo una questione di tempo. Chi sa, nei prossimi decenni l’intelligenza artificiale potrebbe diventare sempre più presente in sala operatoria.
ELETTRICISTA DEL CUORE
Intanto, sta facendo molto scalpore l’intervento portato a termine con “Stereotaxis”, il robot “elettricista del cuore” che all’ospedale Mauriziano di Torino ha salvato la vita ad un paziente di 65 anni affetto da una grave aritmia cardiaca ventricolare. Il sistema è stato utilizzato, per la prima volta in Italia, per una procedura di ablazione. Un robot manovrato, tornando a quanto detto prima, e non certo autonomo. Ad operare, di fatto, è stato Stefano Grossi, presso la sala di elettrofisiologia della Cardiologia diretta dal facente funzione dottor Mauro De Benedictis. L’intervento é durato quattro ore ed è tecnicamente riuscito. Guidato dal cardiologo, Stereotaxis ha localizzato le lesioni aritmogene con un mappaggio elettrico del cuore e, utilizzando informazioni estratte dalla risonanza magnetica cardiaca realizzata dalla dottoressa Chiara Lario presso la Radiologia diretta dal dottor Stefano Cirillo. In questo modo, il robot riesce a raggiungere con estrema precisione le sedi cardiache malate, un tempo invisibili, e a distruggerle attraverso una ablazione transcatetere, impedendo l’insorgere di nuove aritmie.
SISTEMA DA VINCI
Uno dei robot chirurgici più utilizzati è al giorno d’oggi il Da Vinci, un robot che ha portato nelle sale operatorie l’evoluzione della chirurgia mininvasiva. Con il sistema Da Vinci il chirurgo non opera con le proprie mani, ma manovrando un robot a distanza. Il sistema computerizzato trasmette istantaneamente il movimento delle mani alle braccia robotiche alle quali vengono fissati i vari strumenti chirurgici sofisticati quali pinze, forbici e dissettori. [youtube]https://www.youtube.com/watch?v=6A_r9kB1LV0[/youtube]Un approccio tecnologicamente avanzato che porta innumerevoli benefici pre-intra-post operatori, sia per il paziente che dal punto di vista clinico. La chirurgia robotica tramite sistema robotico da Vinci – rispetto alle tecniche tradizionali – permette un gesto chirurgico più preciso, minor sanguinamento, rischi di infezione post-operatoria più bassi, tempi di degenza e recupero inferiori. La speranza è che, per ancora molto tempo, non si cerchi di sostituire l’abilità dell’uomo con quelle di un software.
Con dicembre il 71% degli italiani abbandona palestra fino a dopo Natale
SportA dicembre solo il 29% degli italiani continuerà a fare attività fisica. È quanto emerge da una ricerca dell’associazione NutriMente, che ha indagato le abitudini di un campione di 2mila persone. Proprio così: con l’inizio del periodo natalizio, il 71% della popolazione della Penisola dice addio alla palestra per poi riprendere gli allenamenti a gennaio.
La ricerca dell’associazione NutriMente è promossa da GetFIT ed è stata realizzata in vista della pubblicazione del libro “50 scuse per non andare in palestra”. Lo studio, grazie al monitoraggio online, ha valutato le abitudini di 2mila italiani tra i i 18 e 40 anni.
Dai numeri è emerso che la maggior parte degli italiani (il 47%) non segue del tutto il personal trainer. Il 29% dei partecipanti è spesso distratto durante gli allenamenti, soprattutto a causa dell’eccessiva stanchezza dopo il lavoro (42%) o per aver fatto le ore piccole con gli amici.
Tra le scuse per non allenarsi, il 73% ha dato la colpa della propria pigrizia alla mancanza di tempo e buona parte del campione alla stanchezza. Altri partecipanti hanno risposto di non voler lasciare da solo per troppo tempo il proprio amico a quattro zampe.
Per quanto riguarda le modalità di allenamento, il 35% preferisce la palestra, il 29% il calcetto con gli amici e il 21% una corsa all’aperto.
Perché si va in palestra?
La maggior parte degli italiani (il 43%) va in palestra solo per fini estetici, il 23% per restare in salute, il 16% per sfogare lo stress e il 14% per fare nuove conoscenze.
Un dato prevedibile è che una buona parte degli italiani (il 41%) comincia a frequentare la palestra a inizio dell’anno, il 36% si iscrive in vista del periodo estivo per correre ai ripari prima della prova costume e solo il 20% è costante negli allenamenti durante tutto l’anno.
Medicina di genere, ecco il futuro delle cure
News PresaSi chiama medicina di genere ed è quella particolare visione della medicina per la quale non basta prendersi cura del “paziente”, bisogna anche considerarne il genere. Uomo o donna, insomma, non possono essere guardati dal medico allo stesso modo. E del resto è bene noto che sia le donne che gli uomini hanno le proprie peculiarità in fatto di salute. E allora, in linea con questa visione decisamente più ampia delle cure, in tutta Italia stanno nascendo a macchia di leopardo esperienze virtuose.
MILANO
L’ospedale Macedonio Melloni di Milano è il primo ospedale per la salute della donna in Italia, ad opera della Regione Lombardia, l’Asst Fatebenefratelli Sacco e la Fondazione Onda. Guardando proprio alla medicina di genere, l’obiettivo è istituire un modello organizzativo dedicato interamente alla donna con percorsi specifici per le varie fasi della vita: sviluppo (11-18 anni), età fertile e riproduzione (19-50 anni), menopausa (45/50 – 65 anni), senescenza (65 anni). L’ospedale da oggi offrirà dei percorsi specifici dedicati alla presa in carico degli ambiti fisiologici e di sviluppo, delle patologie e delle necessità clinico assistenziali delle donne nelle varie fasce di età, integrandoli con quelli già esistenti, riservando particolare attenzione anche alla salute delle lavoratrici.
NAPOLI
Anche all’ombra del Vesuvio, in particolare al Cardarelli, questa sensibilità alla medicina di genere sta dando i suoi primi frutti. L’Azienda ospedaliera più grande del Mezzogiorno ha scelto di dare vita ad un percorso di formazione post-base inserendo nel Piano Formativo aziendale un corso politematico proprio sulla medicina di genere. Ma non è tutto, la convinzione della Direzione Generale che la formazione di base sia il primo passo verso un reale cambiamento ha portato l’Azienda Cardarelli (che è Polo Didattico Universitario) a chiedere e ottenere – unico esempio in tutta la Campania – l’inserimento di un’attività didattica elettiva completamente dedicata alla medicina di genere all’interno del corso di laurea in Infermieristica diretto da Gesualda La Porta. «Siamo fermamente convinti – dice il direttore generale Giuseppe Longo – che questa sia la strada da percorrere. Ecco perché stiamo per istituire un gruppo di coordinamento della Medicina di Genere, con esperti di questo settore, così da definire gli obiettivi generali da trasmettere a tutti i Direttori di Dipartimento e redigere relazioni annuali sui risultati ottenuti. La Medicina di Genere è uno strumento strategico di equità e appropriatezza delle cure, un argomento al quale ci dedichiamo con grande attenzione». Piccoli e grandi esempi di una rivoluzione in atto in tutto il Paese, che porteranno (si spera presto) a guardare non più al paziente, bensì alla persona. Uomo o donna in tutta la sua complessità e con le sue specifiche esigenze di salute.
Calcoli alla colecisti: come prevenirli e curarli
News PresaIl 10% degli italiani ha sofferto di calcoli alla colecisti almeno una volta nella vita. Il disturbo colpisce circa il 15% delle persone dopo i 40 anni.
Si tratta di piccoli sassolini duri formati da sali e colesterolo che bloccano il passaggio della bile, il liquido prodotto dal fegato per digerire i grassi. In altre parole colesterolo e sali possono aggregarsi e formare calcoli che ostruiscono il passaggio di questo liquido, causando così l’infiammazione della colecisti.
Esistono due tipi di calcoli: la prima con una formazione principale di colesterolo (più frequente negli adulti) e un’altra che ha invece la sua natura nella bilirubina, una delle sostanze di cui è composta la bile (più frequente nei bambini).
I fattori di rischio per la formazione di calcoli
Tra i fattori di rischio ci sono: il sesso, l’età, la familiarità e patologie come il diabete mellito e l’obesità.
Il dottor Massimo Colombo, specialista in Epatologia in Humanitas, ha spiegato che le donne, ad esempio, producono calcoli a un ritmo superiore all’uomo, soprattutto nella fase fertile o quando utilizzano estrogeni. Gli uomini, invece, invecchiando raggiungono le percentuali femminili, poiché con l’invecchiamento si perde la capacità di produrre acidi biliari in quantità sufficienti per sciogliere il colesterolo nella bile.
Alcuni comportamenti e stili di vita scorretti, come un’alimentazione tipica delle diete occidentali molto ricche di zuccheri raffinati e di grassi, facilitano l’accumulo di colesterolo nella bile e di conseguenza i calcoli, così come il sovrappeso (legato a una dieta ipercalorica e alla mancanza di attività fisica) e l’obesità.
Infine, c’è il fattore familiarità. Anche se, spiega Colombo, è difficile definire la familiarità perché dipende dal trasferimento di caratteristiche genetiche e da comportamenti e abitudini del nucleo familiare, tuttavia esistono per esempio rapporti con le etnie ad esempio riguardanti gli indiani del Cile che hanno tassi di calcolosi nelle donne giovani che sfiorano il 70%.
Calcoli. Le cure
“Il trattamento è richiesto solo per pazienti con colica biliare o complicanze infettive o ostruttive – ha spiegato lo specialista -. I calcoli di piccole dimensioni e recenti possono essere risolti con somministrazione orale di acidi biliari. Questa terapia funziona però solo in una minoranza di questi pazienti e va somministrata dopo aver verificato che il dotto è in grado di ricevere il farmaco, libero e non ostruito dal calcolo stesso. Se i calcoli invece sono di volume maggiore, si indica di solito la colecistectomia in laparoscopia” , ha detto l’epatologo.
“Nel 90% dei casi, la vita dei pazienti che sono stati trattati con l’intervento chirurgico della colecistectomia, decorre senza complicanze post chirurgiche. In solo il 5-10% dei casi si presenta la cosiddetta sindrome post colecistectomia che può durare da pochi giorni a qualche mese, a seconda del paziente e che comporta cattiva digestione e qualche dolore, ma che è trattabile e curabile con alcune procedure mediche”, ha concluso il medico.
Chi si ammala di demenza dimezza il rischio di cancro e viceversa. I dati Iss
News PresaGli ultimi studi hanno messo in evidenza il rapporto inverso tra il rischio di demenza e tumore. Nei pazienti affetti da malattia di Alzheimer o da malattia di Parkinson il rischio di insorgenza di tumori risulta dimezzato rispetto alla popolazione generale. Viceversa, i pazienti affetti da patologie tumorali presentano un rischio ridotto del 50% di insorgenza di malattie neurodegenerative (in particolare morbo di Alzheimer e malattia di Parkinson). Sono queste le evidenze epidemiologiche, più recenti e consolidate, frutto di una revisione della letteratura scientifica effettuata dall’ISS e presentata nel workshop Neurodegenerazione e cancerogenesi: quali possibili cause di un’associazione inversa?.
Sono stati messi a confronto diversi approcci – epidemiologico, clinico e di ricerca di base – per discutere la possibilità di trovare trattamenti terapeutici per entrambe le condizioni morbose.
La sfida del futuro è quella di capire se questa evidenza epidemiologica possa avere una base biologica in quanto i processi di neurodegenerazione e di oncogenesi hanno probabilmente una lunga fase di latenza prima dell’insorgenza dei segni e dei sintomi. L’attenzione è puntata soprattutto sul coinvolgimento di oncogeni e di alcune proteine, che potrebbero influenzare i meccanismi di proliferazione cellulare indirizzando una lunga storia naturale di malattia in direzioni opposte.
Ancora sono aperte tutte le strade della ricerca, ma questa prima evidenza è una base importante da cui partire, sottolineano gli esperti.
5 milioni italiani con malattie reumatiche, il progetto “da zero a cento”
News PresaNegli over 60 la più frequente forma reumatologica è l’artrosi (più di 4 milioni di pazienti), per gli under 50 l’artrite reumatoide (0,5%) e per i giovani sotto i 16 anni l’artrite idiopatica giovanile (incidenza di 1 a 1000). Le malattie reumatiche toccano tutte le età con gli stessi sintomi: rigidità al mattino, impaccio nei movimenti, zoppia, non sempre dolore. Da qui nasce il progetto di reumatologia “Da zero a cento”, grazie all’azione dell’Istituzione dei due fondatori e promotori a latere dell’incontro organizzato dalle due unità operative di reumatologia (clinica e dell’età evolutiva) dell’ASST Gaetano Pini-CTO e dell’Università di Milano.
Malattie reumatiche, il progetto
“La reumatologia “Da zero a cento” ha come obiettivo quello di prendere in carico i pazienti affetti da malattie reumatologiche seguendoli con continuità clinica nella gestione e nell’accudimento del paziente dall’anno zero, appunto, fino al’età avanzata (come cento anni), nella stessa struttura ad alta specializzazione – spiega Roberto CAPORALI, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Reumatologia Clinica, ASST Gaetano Pini-CTO di Milano – Sono dunque due le anime: quella della cura dei bambini e quella della cura degli adulti, dove abbiamo messo tutta la nostra esperienza, quella del Gaetano Pini di Milano come ospedale e dell’Università di Milano”.
Un bambino che entra nel Progetto “Da zero a cento” potrà ora contare non solo su un team multidisciplinare di esperti (dagli ortopedici agli oculisti), coordinato dal reumatologo pediatra, ma anche sulla continuità di cure, di condivisione delle informazioni cliniche e psicologiche che lo riguardano fino all’età adulta e anche dopo.
“Stiamo dando una svolta al problema del momento della transizione in modo indolore, evitando interruzioni e rivoluzioni di struttura e di riferimenti – continua Rolando CIMAZ Responsabile Unità Operativa Complessa di Reumatologia Pediatrica, ASST Gaetano Pini-CTO di Milano – Il ragazzo che diventa adulto di solito si trova spiazzato, perché
per la sua malattia passa repentinamente dalla gestione dei genitori a una gestione più
e più atonoma della malattia. Anche le terapie posso cambiare, come i referenti, che di
solito sono in un altro ospedale rispetto a quello di riferimento pediatrico, e sarà poi il
medico di base, che non è sempre preparato in questo campo così specialistico, a
diventare il nuovo “pediatra”. Una rivoluzione che spesso porta a diagnosi ritardate (dai 6
mesi all’anno e mezzo di media), ma anche all’abbandono delle terapie in atto”.
Si calcola che, se non curate adeguatamente e in tempo, in 10 anni la metà delle forme
più gravi portano a invalidità permanente. Nel caso dell’artrite reumatoide, l’inabilità
nelle mansioni giornaliere e nel lavoro colpisce il 50% dei pazienti, e una persona su 5
dovrà sottoporsi a un intervento per protesi articolare. “E’ strettamente fondamentale che
la diagnosi arrivi il più presto possibile, e una struttura come la nostra ha anche questo
compito – precisa Caporali – Il nostro obiettivo è la diagnosi sotto il ritardo medio attuale, quindi sotto i 6 mesi: puntiamo a entro i 3 mesi. Anche perché le malattie reumatiche hanno un andamento evolutivo cronico e possono portare alla disabilità. La diagnosi precoce è fondamentale ed è un obiettivo primario del progetto da zero a 100”.
In media i ritardi delle diagnosi variano dai sei mesi all’anno e mezzo, per una serie di motivi legati alla complessità di queste malattie e alla transizione fra pediatra e medico di base che crea un “vuoto” anche diagnostico. “La transizione, ovvero il passaggio dall’età pediatrica a quella della maggiore età ha un impatto psicologico pesante sui ragazzi e sulle famiglie – spiega Silvia OSTUZZI, Responsabile Progetti ALOMAR (Associazione Lombarda Dei Malati Reumatici)- Avere un riferimento unico e una continuità nel tempo è un vantaggio enorme. Noi come Associazione affianchiamo il progetto sul campo, con informazione, aiuto e supporto a tutte le persone affette da malattie reumatiche, da zero a 100 anni. Ci sentiamo a tutti gli effetti parte del team”. “Sono molti i giovani pazienti che possono soffrire per mesi prima che venga fatta loro l’esatta diagnosi e prescritta una cura efficace – precisa Valeria GERLONI, Presidente ARG (Associazione Artrite Reumatoide Giovanile) – Il nostro impegno è a fianco dei genitori, pediatri e insegnanti per evitare che possano scambiare i primi sintomi dell’artrite idiopatica giovanile (es. presenza di dolore e/o tumefazione persistente, la cadenza mattutina del dolore, dito o ginocchio gonfio, difficoltà motoria che migliora con il movimento) per dolori postumi di un gioco, sottovalutando la necessità di indagini approfondite”
Esiste anche una responsabilità dei familiari di pazienti in età avanzata che pensano che l’artrite sia una normale conseguenza della vecchiaia. “Non è così, ed è un vero peccato, perché si può fare molto per i sintomi, per il decorso di queste malattie e per la qualità di vita, soprattutto per l’artrite reumatoide. E oggi abbiamo soluzioni terapeutiche nuove – conclude Caporali – Un intervento su questa patologia porterebbe vantaggi anche sulla spesa complessiva che in Italia supera i 4 miliardi di euro l’anno, dei quali la metà sono in perdita di produttività per malattia sul lavoro. L’artrite reumatoide è responsabile ogni anno di oltre 13 milioni di giornate di assenza dal lavoro, con un costo di circa un miliardo e mezzo l’anno (in perdita di produttività si sfiora il miliardo di euro”.
I due team cosi concepiti e organizzati, oltre a curare i pazienti a stretto contatto, sono anche nelle condizioni di studiare e produrre ricerche insieme. “Uno dei campi su cui concentreremo i nostri sforzi sarà proprio quello dello studio delle differenze e delle concordanze fra diverse età in campo terapeutico – conclude Caporali – Vogliamo anche capire perché le donne si ammalano di più, dato che ad oggi non ci sono spiegazioni definitive: la teoria che si basa sugli assetti ormonali femminili è solo un’ipotesi, dobbiamo capire di più”. Il progetto “Da zero a cento” è operativo: basta prenotare una visita presso il Presidio Ospedaliero Gaetano Pini di Milano per entrare nel “sistema” ad alta specializzazione che accompagnerà il paziente per tutta la vita.
Cambiamenti climatici, un rischio per la gravidanza
News PresaI cambiamenti climatici? Sono un rischio per la salute dei nascituri. Una ricerca condotta da Alan Barreca dell’Università della California a Los Angeles ha svelato risultati scioccanti: ogni anno circa 25.000 neonati nascono prematuri a causa dell’innalzamento delle temperature, con una perdita complessiva di oltre 150.000 giorni di gravidanza l’anno solo negli stati uniti. Nei giorni in cui la massima supera i i 32 gradi le nascite aumentano del 5% rispetto ai numeri medi giornalieri. Lo studio, pubblicato pubblicata sulla rivista Nature Climate Change, rivela l’effetto dell’afa è immediato, infatti i parti aumentano in corrispondenza del giorno stesso dell’esposizione alle alte temperature, con casi di prematurità anche di 2 settimane.
LO STUDIO
Gli esperti hanno analizzato dati relativi a ben 56 milioni di nascite in 20 anni in diversi stati Usa ed hanno confrontato il numero di nascite giornaliere in giorni con diverse temperature, stimando che il tasso di nascite giornaliere aumenta del 5% nei giorni in cui la temperatura massima supera i 32,2 gradi centigradi, con una perdita media di 6,1 giorni di gravidanza, fino a un massimo di due settimane. Gli esperti hanno concluso che, considerando i trend di aumento delle temperature attesi per i prossimi decenni a causa dei cambiamenti climatici, entro fine secolo ogni anno si perderanno 250 mila giorni di gravidanza in più a causa del caldo estremo.
CONSEGUENZE
Non tutti lo sanno ma il parto prematuro può causare problemi di varia natura, alcuni si risolvono da soli, altri purtroppo no. Non di rado le partorienti devono anche affrontare le conseguenze psicologiche del parto pre-temrine. All’iniziale senso di sgomento potrebbe far seguito anche una difficoltà ad accettare la situazione, fino a sfociare in alcuni casi nella depressione post-partum. Quanto ai piccoli, se spesso fortunatamente per i nascituri non ci sono conseguenze (grazie ad un celere intervento dei medici e alle cure del caso) può capitare che il parto prematuro crei conseguenze anche permanenti. Nei casi più sfortunati i bambini nati prima delle 32 settimane che possono andare incontro a cecità, sordità, paralisi cerebrale, alterazioni importanti di vista, udito o motricità, compromissione importante delle capacità neurointellettive.
Giornata mondiale del suolo per maggiore sicurezza alimentare. L’evento CREA
News Presa“Il suolo del nostro pianeta è ogni anno più minacciato ed occorre rispondere concretamente, prima che sia troppo tardi”. Così il Crea in occasione della Giornata Mondiale del Suolo che si celebra domani e durante la quale verrà presentata la traduzione italiana delle Linee Guida volontarie FAO sull’uso sostenibile dei suoli.
La Giornata Mondiale del Suolo
L’evento “Suolo & Agricoltura: Dalla ricerca all’azione” in programma domattina presso la Sala del Refettorio, Camera dei Deputati (via del Seminario 76) è un’ occasione per ascoltare il punto di vista degli agricoltori e per elaborare insieme a Istituzioni, Ricerca e mondo produttivo le iniziative da intraprendere per la tutela dei suoli italiani e per promuovere una gestione sostenibile, in grado di aumentare la produzione agroalimentare, favorire la qualità nutrizionale degli alimenti e consentire di mitigare quel cambiamento climatico i cui effetti sono ormai sotto gli occhi di tutti.
L’Italia, rientra fra quei Paesi virtuosi, ancora troppo pochi purtroppo, che hanno tradotto nella propria lingua le Linee Guida Volontarie FAO per la Gestione Sostenibile del Suolo. Un traguardo importante per il nostro Paese, reso possibile dal progetto europeo Soil4life, cui partecipano tra gli altri – oltre al CREA – Legambiente, Cia, Ispra e Comune di Roma. Si è trattato di riconoscere finalmente il giusto ruolo di una risorsa essenziale, da cui dipende oltre il 95% della produzione di cibo e quindi la vita dell’uomo. Un bene ancora troppo misconosciuto, fragile e soprattutto non rinnovabile, perchè per formare solo 1 cm di suolo fertile sono necessari, infatti, dai 100 ai 1000 anni.
Si stima che oltre il 33% dei suoli mondiali, infatti, siano moderatamente o fortemente degradati (500 ha, infatti, sono persinel mondo ogni mezz’ora per diverse cause): perdere, quindi, ogni anno, a livello mondiale, 75 miliardi di tonnellate di suolo coltivabile costa circa 400 miliardi di dollari/anno di produzione agricola persa. Tale perdita, a sua volta, riduce la fertilità e la capacità di produrre cibo.
I suoli coltivati nel mondo hanno perso tra il 25 e il 75% del loro stock di carbonio originario, rilasciato nell’atmosfera sotto forma di CO2, principalmente a causa di pratiche di gestione non sostenibili che hanno portato al degrado e amplificato il cambiamento climatico e i suoi impatti. Un suolo degradato riduce la sua capacità di mantenere e immagazzinare carbonio, contribuendo a minacce globali come il cambiamento climatico, con un costo stimato in miliardi di dollari all’anno.
Una gestione sostenibile dei suoli significa salvaguardare, oltre alla produzione e alla sicurezza alimentare (stima FAO: al 2050 + 56% delle produzioni, a fronte di + 60% di fabbisogno richiesto dall’aumentata popolazione), tutti i servizi ecosistemici ad esso legati: immagazzinare e fornire acqua pulita (decine di migliaia di Km3 di acqua l’anno), sequestrare carbonio (regolazione delle emissioni di anidride e di altri gas a effetto serra, aumentando così la resilienza ai cambiamenti climatici), conservare la biodiversità (oltre il 90 % della biodiversità in termini di organismi viventi del pianeta, in grado di regolare i nutrienti indispensabili per le colture, si trova nei primi 5 cm di suolo). E, sotto questi aspetti, il documento FAO, rappresenta un formidabile strumento formativo, in grado di trasferire efficacemente la scienza a chi sul suolo ci lavora ogni giorno ed è in grado di incidere sulla situazione, sia con la prevenzione e il contrasto a fenomeni in atto sia avviando il recupero dei suoli degradati. Non a caso, nell’ambito di Soil4life, è previsto la diffusione mirata delle Linee Guida a 5000 aziende agricole italiane, anche con specifici momenti formativi.
E d’altronde, come ha affermato il presidente della Commissione Agricoltura della Camera Filippo Gallinella: “Senza suolo, non c’è agricoltura”.
Un sorso di ossigeno, ecco il business del futuro
News PresaMentre la piccola Greta scuote le coscienze di tutto il mondo, cercando di far comprendere ai potenti e alla gente comune quanto sia importante prestare attenzione al clima, a Nuova Delhi la follia umana ha dato origine ad un nuovo business: l’Oxygen bar. Esatto, quello che un tempo poteva essere solo il frutto di fantascienza (di serie B) oggi è realtà, c’è chi ormai ha creato un bar dove prendere “un sorso di…ossigeno”. L’Oxygen bar, aperto questa estate a Nuova Delhi, l’inquinatissima metropoli indiana, ha un vero e proprio menu di sopravvivenza.
FRAGRANZE
Ai clienti viene proposta un’ampia scelta tra diverse aromatizzazioni: ossigeno alla lavanda, pepe, vaniglia, cannella, amarena, menta, e altre varietà di oli essenziali a base di spezie e aromatiche. Chi è alla ricerca di aria pura dovrà indossare una maschera nasale che viene collegata alla macchina per una sessione non superiore a 15 minuti. Piccoli break dunque. Alla spina viene qui erogato ossigeno purificato che, secondo quanto indicato nel menu, porterebbe specifici benefici a seconda dell’olio essenziale prescelto. L’eucalipto, ad esempio, lenisce il mal di gola e fluidifica la respirazione, mentre la vaniglia calma la mente. La menta verde rilassa i muscoli, mentre la menta piperita aiuta a eliminare la nausea. Tuttavia, viene precisato al bancone, che questo non è ossigeno medicato che si trova negli ospedali.
DISINTOSSICANTE
Oxy Pure nasce da un’idea di Aryavir Kumar, 26 anni, e Margarita Kuritsyna, 25 anni. Dopo averlo provato al The Venetian Resort di Las Vegas, Kumar ha pensato che Delhi potesse trarne beneficio, data la qualità dell’aria. «Siamo abituati a respirare solo il 21% di ossigeno. Respirare quest’aria ti aiuta a disintossicarti», afferma il giovane imprenditore in una intervista di Shradha Shahani, pubblicata su Traveller. Basta dare uno sguardo a qualche foto per comprendere quanto a Nuova Delhi sia importante concedersi piccole pause di “aria pura”, un sorso di ossigeno prima di rituffarsi in una nuvola di smog che stringe il petto. Chi sa che prima o poi bar del genere non arrivino anche qui da noi.
Glaucoma seconda causa di cecità al mondo. Come prevenire
PrevenzionePuò capitare di urtare senza rendersene conto qualcuno durante una camminata oppure vedere degli aloni e notare parole mancanti durante la lettura. Spesso questi sintomi sono sottovalutati e molti tendono a dare la colpa all’età, invece possono essere i segnali di una patologia oculare. Il glaucoma, ad esempio, è considerato il ‘killer’ silenzioso della vista proprio perché nelle fasi iniziali non presenta sintomi specifici. Spesso chi ne soffre se ne accorge quando la situazione è peggiorata.
Per gli esperti, dai 50 anni in poi, specie in presenza di qualche disturbo visivo, è opportuno sottoporsi a una visita oculistica. Il glaucoma è una patologia che aggredisce in modo progressivo ed irreversibile il nervo ottico e che può portare alla cecità. La malattia interessa in media il 3% della popolazione con più di 40 anni di età e rappresenta la seconda causa di cecità nel mondo dopo la cataratta. Si prevede che il numero di persone affette da glaucoma nel mondo aumenterà dagli attuali 64 milioni a 76 milioni nel 2020 e a 112 milioni nel 2040. Si calcola che in Italia circa un milione di persone ne siano affette, ma una persona su due ancora non lo sa.
“All’inizio – spiega il professor Salvatore Cillino, direttore dell’Unità di Oculistica dell’Ospedale di Palermo – il campo visivo viene danneggiato nella sua porzione periferica perciò il paziente percepisce poco il problema. Infatti, vede chiaramente tutto ciò che è al centro del suo sguardo. Man mano che il glaucoma progredisce, la percezione dello spazio circostante il punto centrale di fissazione diminuisce e nascono difficoltà in alcune delle attività quotidiane, con un rischio di cadute anche dentro casa o di incidenti stradali”. “Per questo – prosegue l’esperto – è importante sottoporsi con regolarità a controlli oculistici, specialmente in presenza di fattori di rischio come l’età poiché la frequenza del glaucoma aumenta progressivamente con l’avanzare degli anni. È buona norma, per chi ha più di 40 anni, sottoporsi a un controllo oculistico che comprenda anche la misurazione della pressione oculare. Un momento ideale è rappresentato dall’insorgenza della presbiopia. Altri fattori di rischio sono la familiarità, la miopia elevata e le terapie protratte con farmaci cortisonici”.
Lo stress ossidativo e il glaucoma
Anche se la pressione oculare resta il sintomo più evidente del glaucoma, circa il 30% dei pazienti non ha un’alterazione dei valori pressori. Le ricerche hanno ormai appurato, infatti, che alla base di questa malattia c’è anche lo stress ossidativo tanto da farla considerare una malattia neurodegenerativa al pari di Alzheimer e morbo di Parkinson. “È accertato come lo stress ossidativo sia il meccanismo patologico comune a queste malattie neurodegenerative, con presenza di radicali liberi”, afferma il professor Cillino. “Quando non ci sono abbastanza antiossidanti naturali per neutralizzare i radicali liberi, le cellule sane vengono alterate con danni metabolici, alterazioni del DNA e morte. Gli occhi sono particolarmente sottoposti a condizioni di stress ossidativo perché sono esposti alla luce, all’ossigeno e alle sostanze irritanti presenti nell’aria. Questo determina la comparsa, o l’anticipazione, di condizioni quali la secchezza oculare, la cataratta ed il glaucoma. In quest’ultimo caso lo stress ossidativo è in grado di indurre l’apoptosi delle cellule ganglionari, ovvero la morte delle fibre che costituiscono il nervo ottico. Tutto ciò spiega perché la riduzione della pressione intraoculare non è sufficiente a prevenire l’insorgenza del glaucoma in tutti i soggetti a rischio e non riesce ad arrestarne la progressione in tutti i soggetti già malati”.
Contrastare il danno ossidativo con la neuroprotezione
Sono, quindi, necessarie altre strategie terapeutiche come la neuroprotezione che, affiancate alla riduzione della pressione intraoculare e agendo direttamente sulla cellula neuronale, siano in grado di contrastare la progressiva morte cellulare. La somministrazione di antiossidanti sarebbe appunto in grado di fornire neuroprotezione contrastando il danno ossidativo. “Tra le varie sostanze ad azione antiossidante e bio-energetica – prosegue l’esperto – il Coenzima Q10, noto anche come ubiquinone, è considerato una delle molecole più promettenti. Si tratta di una molecola simile ad una vitamina presente a livello del mitocondrio che partecipa al metabolismo deputato alla produzione di energia all’interno della cellula e che interviene nei meccanismi di rimozione dei radicali liberi. Alcuni studi clinici hanno dimostrato che esercita un’attività neuroprotettiva ed è stato ampiamente studiato in varie forme di neurodegenerazione come la malattia di Parkinson, il morbo di Alzheimer e la corea di Huntington. Il coenzima Q10 è oggi riconosciuto dalla comunità scientifica come un possibile approccio di supporto nel contrastare i complessi meccanismi di danno neuronale causati dal glaucoma”.
Fino ad oggi il Coenzima Q10 veniva utilizzato sotto forma di collirio oculare senza conservanti, ma di recente si è resa disponibile anche la formulazione orale da assumere due volte al giorno. Si tratta di una novità importante visto che l’aderenza alla terapia farmacologica dei pazienti con glaucoma viene spesso messa a dura prova dalla necessità di effettuare numerose instillazioni giornaliere con un rischio elevato di discontinuità del trattamento.
Salvatore Cillino, direttore dell’Unità di Oculistica dell’Ospedale di Palermo