Tempo di lettura: 6 minutiL’ intelligenza artificiale è la prossima rivoluzione anche in campo medico. Secondo gli esperti potremo anticipare e migliorare la diagnosi di malattie e curarci sempre meglio. Tuttavia, sarà un valore aggiunto all’expertise medica, mai una sostituta. In un recente dibattito al Gemelli alcuni massimi esperti del settore hanno analizzato rischi e opportunità dell’AI.
“L’intelligenza artificiale è uno strumento e, come tutti gli strumenti, dipende dall’uso che se ne fa e non può prescindere dalla relazione con l’uomo – ha sottolineato Paolo Benanti, teologo, esperto di bioetica e nuove tecnologie e membro Task Force MISE per l’AI -. Nessuna AI può prendere il posto di una persona. Le intelligenze artificiali sono un qualcosa e non un qualcuno”.
L’intelligenza artificiale pone una nuova sfida: “dobbiamo sviluppare un ‘algor-etica’ – ha aggiunto – in quanto le AI sono dotate di caratteristiche di agency – possono cioè compiere scelte anche senza la supervisione umana; se vogliamo che queste scelte siano in favore dell’uomo – ha precisato Benanti – devono essere impostate secondo ciò che è ritenuto buono e desiderabile per l’uomo. Allora si tratterà di pensare e progettare questa agency perché rispecchi il voluto umano all’interno del suo agire. Per fare questo siamo chiamati a scrivere un nuovo capitolo nella nostra riflessione etica: pensare modi per rendere le istanze etiche, proprie dell’umano, come vincolanti e comprensibili per la macchina e rendere l’etica computabile, per così dire, dalla macchina”.
“Solo ottemperando a questa nuova etica si potrà progettare, implementare e adottare una AI utile per i pazienti” ha sottolineato Benanti durante il dibattito dal titolo “Quali futuri possibili per la medicina?”cui sono intervenuti Massimiliano Boggetti, Presidente Confindustria Dispositivi Medici, Roberto Chareun, Managing Director & VP Italy Getinge, Gianluca Garziera, Digital Business Lead J&J Medical Spa, Michele Perrino, Presidente e AD Medtronic Italia Spa e Massimo Massetti. “Sappiamo che alcune aree della medicina beneficeranno maggiormente dell’applicazione dell’intelligenza artificiale – ha spiegato il cardiochirurgo Massetti – abbiamo già esperienze virtuose nella nostra organizzazione: un gruppo di nostri specialisti sta sperimentando un nuovo sistema di robotica chirurgica avanzata messo a punto da Google e Johnson&Johnson, siamo stati protagonisti della progettazione di una soluzione che memorizzando e disponendo di una serie di dati di comportamento durante interventi chirurgici, sulla base di modelli di machine learning, riuscirà a guidare i nostri chirurghi in futuro”. L’intelligenza artificiale, ha aggiunto, rappresenterà sicuramente un elemento di progresso e una sfida da cogliere e declinare nella pratica clinica quotidiana; “tutto questo dovrà naturalmente essere accompagnato dalla dimostrazione che l’intelligenza artificiale, in tutte le sue applicazioni, garantisca la sicurezza per il paziente, la semplificazione del lavoro dei clinici e il potenziale progresso verso nuove frontiere nell’ottica di un miglioramento della qualità delle cure”. L’intelligenza artificiale non rappresenta un pericolo per i medici, ha sottolineato, ma solo una risorsa a beneficio dei pazienti, migliorando la qualità della diagnosi, raffinando tecniche e terapie e quindi sarà un elemento di progresso medico-scientifico, nel rispetto della centralità del paziente e del prendersi cura oltre che curare.
La futura chirurgia digitale sarà il prossimo fattore di innovazione in chirurgia, è infatti il punto di vista della Johnson&Johnson e ha in sé il potenziale per creare la prossima rivoluzione dopo l’avvento della laparoscopia. La chirurgia digitale utilizza tecnologie avanzate per tutti i tipi di procedure chirurgiche e impatta quanto avviene prima, durante e dopo la chirurgia, sfruttando l’intelligenza artificiale connessa per offrire esperienze e migliori outcome per pazienti, chirurghi e sistemi sanitari. La piattaforma della chirurgia digitale ha il potenziale per ridurre al minimo la variabilità che esiste ancora oggi in chirurgia tra pazienti curati in paesi diversi o nello stesso: la piattaforma della digital surgery consentirà, grazie all’AI, ai chirurghi e agli ospedali di raccogliere, identificare e diffondere le migliori pratiche per avere un impatto positivo sugli esiti, che ci si trovi in un grande istituto universitario o in un ospedale di rete. La chirurgia digitale supporterà il decision making grazie a informazioni integrate e accurate, ma lascerà la decisione finale all’operatore clinico.
“Il sapere medico è stato e sarà sempre più travolto dall’esplosione dell’intelligenza artificiale, da tutto quello che comporta il digital health, che sta dando grande supporto alla medicina”, ha affermato il Preside di Medicina e Chirurgia della Cattolica Rocco Bellantone nel corso del dibattito dal titolo “Come governare l’Intelligenza Artificiale?” introdotto da Mauro Ferrari, presidente designato per il 2020 European Research Council, che ha illustrato lo stato dell’arte su etica ed intelligenza artificiale in Europa.
“Questo convegno – ha aggiunto Bellantone – nasce dall’obiettivo strategico della nostra Facoltà di interrogarsi pubblicamente su pericoli e limiti dell’intelligenza artificiale immaginando anche scenari futuri. Come docenti di medicina sentiamo il dovere di preparare i nostri studenti all’uso di queste tecnologie evitando il rischio di trasformare il concetto di ‘human with technology in technology with human’”.
“L’impiego dell’intelligenza artificiale rappresenta uno strumento preziosissimo, poichè offre risparmio e maggiore qualità al sistema salute, ma richiede anche un grande investimento nella formazione del personale sanitario” – ha detto Sandra Zampa, Sottosegretaria alla Salute. “Non possiamo rischiare che la diseguaglianza aumenti poichè subentra l’intelligenza artificiale. Dobbiamo sviluppare una ‘algor-etica’, in quanto le intelligenze artificiali sono dotate di caratteristiche di agency, possono cioè compiere scelte anche senza la supervisione umana. Se vogliamo che queste scelte siano in favore dell’uomo devono essere impostate secondo ciò che è ritenuto buono e desiderabile per l’uomo. Per fare questo siamo chiamati a scrivere un nuovo capitolo nella nostra riflessione etica: pensare modi per rendere le istanze etiche come vincolanti e comprensibili per la macchina, rendendo l’etica computabile dalla macchina”.
“Gli strumenti basati sull’intelligenza artificiale hanno e avranno sempre più poteri diagnostici e curativi – ha ribadito Mons. Mauro Cozzoli,Ordinario Teologia Morale Pontificia Università Lateranense -. Potranno essere usati a beneficio dei pazienti nella misura in cui restino sottoposti alla verifica e al controllo della persona dei medici opportunamente formati al loro uso sotto il profilo nel contempo tecnico ed etico – ha aggiunto -. Si tratta di volgere le AI alla ottimizzazione e umanizzazione delle cure mediche, includendo le humanities ovvero dati valoriali e sapienziali (drivers etici) nei calcoli e nei computi di queste intelligenze”, ha precisato Mons Cozzoli, anch’egli intervenuto nel dibattito “Come governare l’Intelligenza Artificiale?” insieme a Marco Elefanti, Direttore Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Irene Sardellitti, Programme officer in the Unit Robotics and Artificial Intelligence DG Connect European Commission e Marco Simoni, Presidente Human Technopole.
“L’introduzione di nuove tecnologie, tra cui anche sistemi di intelligenza artificiale – ha rilevato Marco Simoni – porteranno a nuove terapie e nuove cure in particolar modo per quello che riguarda lo sviluppo della medicina personalizzata. Human Technopole, per esempio – ha anticipato l’esperto intervenuto nel dibattito – lavorerà all’integrazione di dati su larga con l’analisi genomica permettendo di sviluppare nuove terapie diagnostiche su misura per ciascun individuo. Questo sarà possibile anche grazie ad un approccio sempre più multidisciplinare alla ricerca scientifica che mira a coinvolgere scienziati con profili e competenze diverse”. Più in generale, ha concluso l’esperto, in ambito sanitario, l’augurio è che lo sviluppo e l’introduzione di tecnologie dell’intelligenza artificiale consentiranno di rendere le cure sempre più accessibili, riducendo i costi e le disuguaglianze tra i cittadini.
Alla sessione intitolata “Verso il dominio dell’algoritmo?” sono intervenute personalità d’eccezione: Roberto Cingolani, Chief Technology&Innovation Officer Leonardo SPA, Fabio Moioli, Head Consulting & Services @Microsoft, Agostino Santoni, AD CISCO Italy, Hassan Sawaf, Former Director of AI Amazon & eBay, Daniela Scaramuccia, Direttore Health & Life Science IBM Italia, Alexander Waibel, della Carnegie Mellon University and Karlsruhe Institute of Technology, nonché Massimo Chiriatti di IBM Italia con un talk su “Intelligenza aumentata”.
“L’intelligenza artificiale – ha dichiarato, durante la tavola rotonda “Verso il dominio dell’algoritmo?” Daniela Scaramuccia, Direttore Health & Life Science IBM Italia – insieme alle nuove tecnologie, può e potrà sempre più supportare i medici nella diagnostica e nello sviluppo di piani di cura personalizzati, e i pazienti nel seguirli. Inoltre l’AI sta mostrando grande potenzialità nell’aiutare i ricercatori nella scoperta di nuove terapie. Grazie a ciò che in IBM chiamiamo ‘intelligenza aumentata’, connubio tra tecnologia e professionalità, saremo così capaci di dare maggiore supporto alla cura delle persone. In ambito terapeutico Food and Drug Administration dal 2014 a oggi ha autorizzato oltre 30 algoritmi di intelligenza artificiale per la medicina. Di recente in Germania è stata approvata la prima legge che autorizza la prescrizione e il rimborso di terapie digitali”, ha aggiunto Scaramuccia sottolineando “come in tutte le grandi trasformazioni non è possibile anticipare con esattezza il futuro, mentre è fondamentale definire e perseguire obiettivi etici a cui attenersi. Per IBM sono chiari: lo scopo dell’AI è quello di aumentare l’intelligenza umana e non di sostituirla e tutti i sistemi dotati di AI devono essere trasparenti e spiegabili; inoltre, dati e idee appartengono e devono restare al loro creatore. Non si deve poi dimenticare il ruolo fondamentale della formazione e delle competenze, affinché nessuno sia lasciato indietro e tutti possano cogliere a pieno i vantaggi del cambiamento in atto”.
“Abbiamo davanti a noi una sfida immensa: unire maggiormente il mondo digitale, che procede veloce ma corre il rischio di andare avanti in modo autoreferenziale, con quello dell’etica”. Ha concluso l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato della Santa Sede. Dopo avere sottolineato l’urgenza di superare il profondo divario tra nord e sud del mondo, Peña Parra ha avvertito: “Non possiamo dimenticare i valori che dovrebbero essere considerati nel sistema algoritmi non solo in forma di sanzioni postume ma come accompagnatori costanti al fine di umanizzare processi che altrimenti rischiano di cosificare le relazioni”. Per “tutelare la dignità della persona; preservare il lavoro; assecondare uno sviluppo equo, integrale e sostenibile; corroborare l’alleanza medico-paziente; essere salvaguardati da forme di algor-crazia abbiamo bisogno di algor-etica come ha ricordato Papa Francesco lo scorso 14 novembre”, ha detto ancora. Dunque, ha concluso, “tocca anche a noi sviluppare tecnologie e al tempo stesso contribuire ad orientarle in modo squisitamente umano e a proporle per la cura integrale della persona”.
18mln di europei hanno rinunciato alle cure lo scorso anno
News PresaNel 2018 sono stati 18 milioni i cittadini europei che hanno rinunciato alle cure mediche di cui avevano bisogno. Si tratta del circa il 3,6% della popolazione. Una percentuale che in Italia ha riguardato il 2,6%, ovvero quasi 1,6 milioni di italiani, un numero più basso della media dei 28 Stati membri dell’Unione Europea, ma da cui emerge il peso dei costi elevati. La fotografia è stata scattata dall’Eurostat, che ha diffuso i dati che riguardano il 2018. Dall’analisi è emerso che, in valori assoluti, il numero maggiore di persone costrette a rinunciare alle cure è nel Regno Unito (5,5 milioni), seguito dalla Polonia (3,2 milioni), dalla Francia (2,2 milioni) e dall’Italia (1,6 milioni). Ma se si guarda alla percentuale rispetto alla popolazione, la situazione peggiore è in Estonia con il 19% mentre l’Italia è al 18/mo posto (2,6%).
Perché si rinuncia alle cure mediche?
Per quanto riguarda i motivi che hanno portato le persone a rinunciare alle cure, la Grecia ha la più alta percentuale di persone con esigenze mediche insoddisfatte a causa dei costi insostenibili (8,3%), ma questa classifica vede l’Italia al quarto posto (con il 2%). Delle circa 1 milione e 569.000 persone che non si sono curate nel nostro Paese, 241.000 lo hanno fatto per liste d’attesa troppo lunghe, circa 60.000 per paura e altrettanti per mancanza di tempo; mentre la grande maggioranza, oltre 1 milione e 200.000 cittadini, perché le cure erano troppe care. Tuttavia, anche se i numeri sono ancora alti, sono in netto miglioramento rispetto alle rilevazioni fatte nel 2009, quando in Italia, avevano rinunciato alle cure 4,1 milioni di persone. Ad oggi quindi si tratta di una diminuzione di circa il 60%.
Open Point, cresce la cultura della salute
PrevenzioneSI chiamano Open Point e sono veri e propri “punti di contatto” con i cittadini, per una sanità più semplice e per favorire la diffusione della cultura della salute. Succede a Napoli, a Scampia, dove la ASL Napoli 1 Centro (grazie alla disponibilità dei locali concessi da EAV) ha voluto far sentire forte la propria presenza, anche se nei prossimi mesi gli Open Point saranno in molte stazioni e nei centri di maggiore afflusso della città. Dal punto di vista normativo lo scopo degli Open Point è quello di rendere concreto quanto previsto dal “Piano triennale 2019-2021 di sviluppo e riqualificazione del Servizio Sanitario Campano” (Decreto Commissario ad acta Piano di rientro n°99/2018 e n°94/2019).
ORIENTAMENTO
Tra i concetti essenziali, la centralità del paziente, la promozione della salute, l’orientamento dell’assistenza nella dimensione territoriale, il miglioramento della qualità dell’assistenza. Ed è per questo che nascono queste postazioni avanzate sociosanitarie integrate di prossimità, deputate appunto all’accoglienza e all’orientamento del cittadino per sviluppare una cultura di maggior conoscenza per la promozione della salute e per creare un collegamento ancor più diretto con i servizi dell’ASL Napoli 1 Centro. «L’obiettivo del mandato conferitomi dal Presidente De Luca – dice il direttore generale Ciro Verdoliva – è quello di rivoluzionare un’ASL che ha grandissime professionalità, ma che per tanti anni è stata abbandonata a se stessa ma ancor peggio, è stato mortificato l’eccellente lavoro svolto da tanti a causa di una mancanza assoluta di comunicazione e di contatto con gli utenti. La nostra rivoluzione è iniziata e i cittadini stanno dimostrando di essere più che felici di percepire la qualità dei nostri servizi ed imparare a conoscere le donne e gli uomini che sono al loro servizio. Alcuni esempi sono la presenza dell’ASL Napoli 1 Centro nelle strade cittadine con il poliambulatorio mobile per rafforzare concretamente le campagne di screening e per la prevenzione, maggiori orari di apertura dei Distretti Sanitari di base per screening e vaccinazioni (compreso il sabato mattina), strumenti informatici (app per prenotare visite). Ma non basta, dobbiamo anche rafforzare, o creare dove manca, una cultura della salute. Gli Open Point sono veri e propri punti di contatto, un modo in più che abbiamo per andare incontro ai nostri utenti, accendere la curiosità e aiutarli ad entrare in contatto con i servizi territoriali».
SCREENING E MOLTO ALTRO
Gli Open Point servono a fornire informazioni (su screening, vaccinazioni, percorsi sanitari, cure domiciliari, accoglienza sociosanitaria, promozione di stili di vita salutari) in vari campi d’azione (famiglia, salute di genere, disabilità, dipendenze, bullismo, pari opportunità e molto altro). Ma servono anche a raccoglie i bisogni di salute dei cittadini così da permetterci di analizzare meglio la domanda ed organizzare un’offerta di servizi adeguati alle reali necessità. «Grazie a queste postazioni – conclude Verdoliva – creiamo dei punti di contatto tra ASL Napoli 1 Centro e il territorio, così da colmare i bisogni di una vasta area della popolazione altrimenti non toccata dalle informazioni sui servizi offerti e favorire un accesso corretto alle nostre strutture erogatrici di salute».
eSports: i rischi della nuova tendenza
Nuove tendenzeI giocatori professionisti non sono soltanto riferiti al mondo dello sport “tradizionale”, ma anche ai videogiochi. Gli eSports, infatti, crescono in tutto il mondo e hanno vere e proprie squadre di professionisti. Questa forma di gioco elettronico, noto anche come videogioco competitivo, ogni anno conquista popolarità, a tal punto che nel 2017 il Comitato Olimpico Internazionale li ha riconosciuti come attività sportiva e nel 2018 hanno fatto addirittura il loro debutto ai Giochi Asiatici. Le competizioni professionali attraggono oltre 250 milioni di spettatori in tutto il mondo e, ad oggi, solo negli Stati Uniti si annoverano più di 80 squadre di College attive. I rischi per la salute però sono reali.
Gli eSports
Seppur simili agli sport tradizionali, per le divise e la presenza di un allenatore, a distinguere gli eSports sono la destrezza manuale richiesta e i rapidi tempi di reazione, necessari per ottenere la vittoria. I videogiocatori professionali possono eseguire fino a 500 movimenti al minuto e la pratica può durare dalle 3 alle 5 ore di gioco al giorno, oltre all’esercizio in casa. I giocatori sono seduti per tutta la durata dell’attività e, per questa ragione, i tipi di infortunio sono più simili a quelli di cui soffre un impiegato che un calciatore.
In particolare, i maggiori problemi di salute sembrano influenzare le condizioni oftalmologiche, muscoloscheletriche, metaboliche e la salute mentale. Secondo uno studio del New York Institute of Technology College of Osteopathic Medicine, a causa della natura sedentaria degli eSports, i videogiocatori professionisti hanno la tendenza a sviluppare lesioni muscoloscheletriche, tra cui disfunzioni della colonna cervicale e lombare o degli arti superiori; o, ancora, la disregolazione metabolica, i disturbi del ritmo circadiano, o i disturbi di salute mentale, quali l’Internet Gaming Disorder, la depressione, l’ansia e l’alessitimia. Tali disturbi sono presenti a differenti livelli, a seconda del genere e del tipo di gioco svolto. Uno dei disturbi più comuni è poi la Computer Vision Syndrome, derivante dalla visualizzazione prolungata degli schermi digitali. La sindrome è caratterizzata da diversi sintomi, tra cui la visione offuscata, la lombalgia e il mal di testa. I problemi alla vista aumentano secondo la quantità di tempo spesa davanti allo schermo: oltre il 50% di videogiocatori d’élite intervistati trascorre più di 2 ore al giorno fissando lo schermo del computer, prima di concedersi una pausa in piedi. Oltre il 25% degli atleti universitari, inoltre, riferisce di praticare gli eSports per più di 5 ore al giorno.
Secondo un’altra ricerca del New York Institute of Technology College of Osteopathic Medicine, il disturbo più frequente riportato tra i videogiocatori d’elité è l’affaticamento degli occhi (56%), seguito da dolore al collo e alla schiena (42%). Gli atleti riportano anche dolori al polso (36%) e alla mano (32%). La mancanza di contrasto e di definizione delle immagini generate al computer aumenta la fatica dell’occhio. Di conseguenza, i movimenti saccadici e la convergenza aumentano, mentre diminuisce il battito di ciglia affaticando il sistema oculomotore.
Attualmente, non esiste un modello di gestione della salute per i videogiocatori d’élite e sono ancora poche le ricerche sulle abitudini e gli stili di vita di questi giocatori. Tuttavia, alcuni interventi, potrebbero minimizzare i sintomi associati alla sindrome da visione artificiale: la postazione di gioco di un atleta dovrebbe essere organizzata in modo tale che il centro del monitor sia da 5 a 6 pollici al di sotto dell’angolo di visione retta e ad una distanza di 20-28 pollici. Le luci nella stanza, poi, dovrebbero essere modificate per limitare l’abbagliamento. Gli atleti potrebbero anche essere informati per cercare la correzione di eventuali errori di rifrazione, di accomodazione oculare, di convergenza e astigmatismo. Quelli più estremi potrebbero svolgere esercizi che riducono l’affaticamento degli occhi, che includono la messa a fuoco e la “regola del 20-20-20”: fare una pausa di 20 secondi, ogni 20 minuti, guardando a 20 piedi di distanza.
Epilessia, un passo avanti per la ricerca
News Presa, Stili di vitaL’idea non è solo innovativa, va oltre l’immaginazione e trasforma la fantascienza in scienza medica. Di cosa si tratta? Di mantenere in vita il tessuto cerebrale asportato dai pazienti con epilessia, per studiare l’origine della malattia e sperimentare nuovi trattamenti terapeutici. Questa nuova frontiera frontiera della ricerca si apre all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù grazie alla donazione della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti, che ha consentito di realizzare per la prima volta in Italia, attraverso una collaborazione tra l’Ospedale della Santa Sede e l’European Brain Research Institute (EBRI), la fondazione legata al nome di Rita Levi Montalcini, un laboratorio per lo studio dei tessuti cerebrali umani attraverso una tecnologia innovativa.
LO STUDIO
Poter studiare il tessuto cerebrale asportato è di fondamentale importanza per comprendere meglio la malattia. Il problema è sempre stato quello di mantenere in vita il tessuto asportato, che tende a degradarsi dopo poche ore. La sofisticata strumentazione acquistata dal Bambino Gesù grazie alla donazione della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti permetterà di studiare l’eccitabilità dei neuroni presenti nel tessuto cerebrale umano in coltura mediante registrazioni elettrofisiologiche da singole cellule o popolazioni neuronali, di cui l’EBRI è particolarmente esperto. In questo modo sarà possibile studiare il tessuto cerebrale umano asportato, che grazie a una tecnica particolare di coltura in vitro (organotipica) sarà mantenuto in vita senza deterioramento fino a 6-8 settimane, preservandone invariata la connettività, l’attività epilettica e l’eccitabilità. Permetterà inoltre di utilizzare tecniche di biologia molecolare per attivare o silenziare geni di interesse in determinate classi di neuroni. Più nel dettaglio, il tessuto cerebrale asportato viene mantenuto “vivo” grazie alla somministrazione di un liquido artificiale simile al liquor, il fluido corporeo che si trova nel sistema nervoso centrale e che ha la funzione di proteggere e nutrire il cervello, e di una miscela di O2/CO2. Diventa così possibile studiare dal punto di vista elettrofisiologico un tessuto che normalmente dopo poche ore perderebbe le capacità vitali.
LA MALATTIA
L’epilessia è una malattia neurologica caratterizzata dal ripetersi di crisi epilettiche, manifestazioni cliniche di vario tipo dovute a scariche abnormi dell’attività elettrica cerebrale. Può essere causata da alterazioni del funzionamento delle cellule cerebrali (i neuroni) o da alterazioni strutturali cerebrali (lesioni del cervello), queste ultime di varia natura, congenite o acquisite. Circa un terzo dei pazienti non risponde al trattamento farmacologico (epilessia resistente) ed in questi la soluzione terapeutica può essere rappresentata dall’intervento neurochirurgico. Ma questo è possibile solo quando le lesioni cerebrali sono circoscritte (focali) e l’asportazione della zona del cervello responsabile della crisi (area epilettogena) non causa deficit neurologici. Grazie a questo nuovo studio si aprono ora nuovi scenari di conoscenza e, si spera, anche di cura.
Influenza, si va verso il periodo epidemico
PrevenzioneLa temuta influenza ha iniziato a farsi sentire. Secondo gli esperti la circolazione dei virus sta iniziando ad intensificarsi e si avvicina il cosiddetto periodo epidemico. Nella settimana passata i contagi sono stati 177.000 portando a 887.000 il totale degli allettati da inizio stagione, ovvero molto vicino al milione di casi. A fare il punto è il bollettino Influnet, a cura del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto superiore di sanità(Iss). Secondo il Sistema di Sorveglianza Integrata dell’Influenza, nella settimana dal 2 all’8 dicembre 2019 l’incidenza totale è stata pari a 2,88 casi per mille assistiti e a esser colpiti sono stati soprattutto i bambini. Nella fascia di età 0-4 anni, infatti, l’incidenza è pari a 6,64 casi per mille assistiti, il doppio rispetto agli adulti. In Piemonte, Lombardia, La provincia autonoma di Trento, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo e Sicilia è stata superata la soglia epidemica. I due ceppi attivi sono le due varianti H3N2 (A/Kansas) e H1N1(A/Brisbane), molto pericolosi per bambini, anziani e soggetti fragili, oltre ai ceppi B/Colorado e B/Phuket, già conosciuti nelle passate stagioni.
MEDICI DI FAMIGLIA
L’arma principale a disposizione della popolazione resta il vaccino. «Come sempre è fondamentale – spiega il dottor Corrado Calamaro, segretario FIMMG Napoli – garantire un’adeguata copertura vaccinale per non mettere in pericolo le categorie a rischio. Noi medici di famiglia siamo in prima linea nel diffondere, consigliare e veicolare messaggi efficaci sull’importanza della prevenzione». Eppure, sottolinea ancora Calamaro «il ritardo con cui vengono distribuiti i lotti di vaccino rischiano di comprometterne l’efficacia, dal momento che iniziando la profilassi in netto anticipo la copertura sarebbe decisamente migliore». Il segretario FIMMG tuttavia rassicura: «la situazione è sotto controllo. Negli ultimi 10 anni abbiamo raggiunto soglie di copertura più che sufficienti, e quest’anno non saremo da meno».
PEDIATRI
Sorvegliati speciali anche i bambini, soprattutto dai sei mesi ai due anni, in particolar modo se scolarizzati. «Il vaccino è assolutamente indicato per questa categoria – afferma il dottor Antonio D’Avino, vicepresidente nazionale FIMP e pediatra di libera scelta a Napoli – dal momento che le complicanze più importanti riguardano proprio questa fascia d’età». Si tratta di complicanze che coinvolgono l’apparato uditivo e respiratorio, e che possono sfociare in otiti e polmoniti, con relativa ospedalizzazione. «E’ fondamentale poi – continua D’Avino – garantire una copertura vaccinale a tutti quei bambini che presentano situazioni di rischio non solo legate all’età, ma a patologie preesistenti, come i bambini cardiopatici. Il nostro compito – conclude – è informare e rassicurare i genitori sulla migliore scelta di salute e prevenzione per i loro bambini».
Emicrania: donne le più colpite, ma si trascurano e dilatano tempi di diagnosi
Stili di vitaLe donne sono le più colpite dall’emicrania e anche più precocemente rispetto agli uomini. Rappresentano quasi l’80% dei pazienti, contro il 18,3% degli uomini. L’esordio della malattia si registra in media a 21,4 anni di età per le donne contro i 26,1 anni degli uomini. La patologia si manifesta in maniera precoce, cioè prima dei 18 anni, per il 42,1% delle pazienti donne, rispetto al 26% degli emicranici uomini. La fotografia emerge dalla ricerca «Vivere con l’emicrania» realizzata dal Censis con la sponsorizzazione di Eli Lilly, Novartis e Teva. Grazie alla collaborazione delle Società scientifiche che si occupano di emicrania e cefalea a grappolo e delle Associazioni dei pazienti è stato possibile interpellare un campione di 695 pazienti dai 18 ai 65 anni con diagnosi di emicrania ed è stato realizzato anche un focus sui pazienti colpiti da cefalea a grappolo, una forma non frequente di cefalea primaria molto dolorosa.
Emicrania: le donne si trascurano e dilatano i tempi della diagnosi
L’emicrania spesso tende ad essere trascurata e riconosciuta con ritardo. Il 58,9% dei pazienti si rivolge al medico entro un anno dalla comparsa dei primi sintomi (il 55,9% delle donne contro il 73,2% degli uomini), ma il 20,7% aspetta più di cinque anni. Sono le donne a indugiare di più (il 23,3% contro il 9,4% dei maschi). Il tempo medio per arrivare a una diagnosi è di 7,1 anni: 7,8 anni per le donne, solo 4,1 anni per gli uomini. La patologia quindi può rimanere a lungo non diagnosticata: il 28,1% dei pazienti ha avuto la diagnosi entro un anno dai primi sintomi, il 30,5% ha dovuto aspettare tra due e cinque anni, il 23,4% più di dieci anni. Si tratta di una patologia dolorosa e penalizzante. Appare più debilitante per le donne colpite, che definiscono «scadente» il proprio stato di salute nel 34,1% dei casi (contro il 15% degli uomini). Il 36,3% delle donne colpite soffre di emicrania cronica, cioè con più di 14 giornate di emicrania al mese (per gli uomini il dato scende al 29,9%). E il 47,9% delle donne soffre contemporaneamente di altre patologie (contro il 33,9% degli uomini). La durata media per singolo attacco, se non debitamente trattato, nel 46% dei casi è pari a 24-48 ore e nel 34% dura più di 48 ore. Sono le donne a lamentare gli attacchi più lunghi, con il 39,2% che soffre di attacchi che superano le 48 ore contro l’11,8% degli uomini. La patologia impatta sulle attività quotidiane, in misura maggiore per le pazienti donne. L’aspetto più penalizzante è considerato il dolore (per l’81,7% delle donne e il 72,4% degli uomini), seguito da stanchezza ed energie ridotte (rispettivamente per il 50,3% e il 44,1%). Sempre le donne lamentano una riduzione delle attività sociali in misura maggiore rispetto agli uomini (il 42,9% contro il 21,3%) e a causa del mal di testa hanno più problemi di vario tipo: sul lavoro, il 39,7% delle donne, nello svolgimento dei propri compiti familiari e domestici, il 36,3%, ad occuparsi dei figli, il 18,7% (contro rispettivamente il 26,8%, il 18,1% e il 7,9% degli uomini). Il condizionamento esistenziale può essere ancora più penalizzante per coloro i cui sintomi si manifestano più precocemente: il tempo medio per arrivare a una diagnosi in questi casi è in media di 11,5 anni. Inoltre, chi ha avuto un esordio precoce (cioè prima dei 17 anni) descrive in misura maggiore un impatto negativo sul lavoro (il 43,9%, contro il 27,6% di chi aveva oltre 30 anni). Lo stesso vale per l’impatto negativo sulle attività sociali, citato dal 42,8% dei primi contro il 32,7% dei secondi.
Intelligenza Artificiale in Medicina: rivoluzione, ma serve una “algor-etica”
News PresaL’ intelligenza artificiale è la prossima rivoluzione anche in campo medico. Secondo gli esperti potremo anticipare e migliorare la diagnosi di malattie e curarci sempre meglio. Tuttavia, sarà un valore aggiunto all’expertise medica, mai una sostituta. In un recente dibattito al Gemelli alcuni massimi esperti del settore hanno analizzato rischi e opportunità dell’AI.
“L’intelligenza artificiale è uno strumento e, come tutti gli strumenti, dipende dall’uso che se ne fa e non può prescindere dalla relazione con l’uomo – ha sottolineato Paolo Benanti, teologo, esperto di bioetica e nuove tecnologie e membro Task Force MISE per l’AI -. Nessuna AI può prendere il posto di una persona. Le intelligenze artificiali sono un qualcosa e non un qualcuno”.
L’intelligenza artificiale pone una nuova sfida: “dobbiamo sviluppare un ‘algor-etica’ – ha aggiunto – in quanto le AI sono dotate di caratteristiche di agency – possono cioè compiere scelte anche senza la supervisione umana; se vogliamo che queste scelte siano in favore dell’uomo – ha precisato Benanti – devono essere impostate secondo ciò che è ritenuto buono e desiderabile per l’uomo. Allora si tratterà di pensare e progettare questa agency perché rispecchi il voluto umano all’interno del suo agire. Per fare questo siamo chiamati a scrivere un nuovo capitolo nella nostra riflessione etica: pensare modi per rendere le istanze etiche, proprie dell’umano, come vincolanti e comprensibili per la macchina e rendere l’etica computabile, per così dire, dalla macchina”.
“Solo ottemperando a questa nuova etica si potrà progettare, implementare e adottare una AI utile per i pazienti” ha sottolineato Benanti durante il dibattito dal titolo “Quali futuri possibili per la medicina?”cui sono intervenuti Massimiliano Boggetti, Presidente Confindustria Dispositivi Medici, Roberto Chareun, Managing Director & VP Italy Getinge, Gianluca Garziera, Digital Business Lead J&J Medical Spa, Michele Perrino, Presidente e AD Medtronic Italia Spa e Massimo Massetti. “Sappiamo che alcune aree della medicina beneficeranno maggiormente dell’applicazione dell’intelligenza artificiale – ha spiegato il cardiochirurgo Massetti – abbiamo già esperienze virtuose nella nostra organizzazione: un gruppo di nostri specialisti sta sperimentando un nuovo sistema di robotica chirurgica avanzata messo a punto da Google e Johnson&Johnson, siamo stati protagonisti della progettazione di una soluzione che memorizzando e disponendo di una serie di dati di comportamento durante interventi chirurgici, sulla base di modelli di machine learning, riuscirà a guidare i nostri chirurghi in futuro”. L’intelligenza artificiale, ha aggiunto, rappresenterà sicuramente un elemento di progresso e una sfida da cogliere e declinare nella pratica clinica quotidiana; “tutto questo dovrà naturalmente essere accompagnato dalla dimostrazione che l’intelligenza artificiale, in tutte le sue applicazioni, garantisca la sicurezza per il paziente, la semplificazione del lavoro dei clinici e il potenziale progresso verso nuove frontiere nell’ottica di un miglioramento della qualità delle cure”. L’intelligenza artificiale non rappresenta un pericolo per i medici, ha sottolineato, ma solo una risorsa a beneficio dei pazienti, migliorando la qualità della diagnosi, raffinando tecniche e terapie e quindi sarà un elemento di progresso medico-scientifico, nel rispetto della centralità del paziente e del prendersi cura oltre che curare.
La futura chirurgia digitale sarà il prossimo fattore di innovazione in chirurgia, è infatti il punto di vista della Johnson&Johnson e ha in sé il potenziale per creare la prossima rivoluzione dopo l’avvento della laparoscopia. La chirurgia digitale utilizza tecnologie avanzate per tutti i tipi di procedure chirurgiche e impatta quanto avviene prima, durante e dopo la chirurgia, sfruttando l’intelligenza artificiale connessa per offrire esperienze e migliori outcome per pazienti, chirurghi e sistemi sanitari. La piattaforma della chirurgia digitale ha il potenziale per ridurre al minimo la variabilità che esiste ancora oggi in chirurgia tra pazienti curati in paesi diversi o nello stesso: la piattaforma della digital surgery consentirà, grazie all’AI, ai chirurghi e agli ospedali di raccogliere, identificare e diffondere le migliori pratiche per avere un impatto positivo sugli esiti, che ci si trovi in un grande istituto universitario o in un ospedale di rete. La chirurgia digitale supporterà il decision making grazie a informazioni integrate e accurate, ma lascerà la decisione finale all’operatore clinico.
“Il sapere medico è stato e sarà sempre più travolto dall’esplosione dell’intelligenza artificiale, da tutto quello che comporta il digital health, che sta dando grande supporto alla medicina”, ha affermato il Preside di Medicina e Chirurgia della Cattolica Rocco Bellantone nel corso del dibattito dal titolo “Come governare l’Intelligenza Artificiale?” introdotto da Mauro Ferrari, presidente designato per il 2020 European Research Council, che ha illustrato lo stato dell’arte su etica ed intelligenza artificiale in Europa.
“Questo convegno – ha aggiunto Bellantone – nasce dall’obiettivo strategico della nostra Facoltà di interrogarsi pubblicamente su pericoli e limiti dell’intelligenza artificiale immaginando anche scenari futuri. Come docenti di medicina sentiamo il dovere di preparare i nostri studenti all’uso di queste tecnologie evitando il rischio di trasformare il concetto di ‘human with technology in technology with human’”.
“L’impiego dell’intelligenza artificiale rappresenta uno strumento preziosissimo, poichè offre risparmio e maggiore qualità al sistema salute, ma richiede anche un grande investimento nella formazione del personale sanitario” – ha detto Sandra Zampa, Sottosegretaria alla Salute. “Non possiamo rischiare che la diseguaglianza aumenti poichè subentra l’intelligenza artificiale. Dobbiamo sviluppare una ‘algor-etica’, in quanto le intelligenze artificiali sono dotate di caratteristiche di agency, possono cioè compiere scelte anche senza la supervisione umana. Se vogliamo che queste scelte siano in favore dell’uomo devono essere impostate secondo ciò che è ritenuto buono e desiderabile per l’uomo. Per fare questo siamo chiamati a scrivere un nuovo capitolo nella nostra riflessione etica: pensare modi per rendere le istanze etiche come vincolanti e comprensibili per la macchina, rendendo l’etica computabile dalla macchina”.
“Gli strumenti basati sull’intelligenza artificiale hanno e avranno sempre più poteri diagnostici e curativi – ha ribadito Mons. Mauro Cozzoli,Ordinario Teologia Morale Pontificia Università Lateranense -. Potranno essere usati a beneficio dei pazienti nella misura in cui restino sottoposti alla verifica e al controllo della persona dei medici opportunamente formati al loro uso sotto il profilo nel contempo tecnico ed etico – ha aggiunto -. Si tratta di volgere le AI alla ottimizzazione e umanizzazione delle cure mediche, includendo le humanities ovvero dati valoriali e sapienziali (drivers etici) nei calcoli e nei computi di queste intelligenze”, ha precisato Mons Cozzoli, anch’egli intervenuto nel dibattito “Come governare l’Intelligenza Artificiale?” insieme a Marco Elefanti, Direttore Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Irene Sardellitti, Programme officer in the Unit Robotics and Artificial Intelligence DG Connect European Commission e Marco Simoni, Presidente Human Technopole.
“L’introduzione di nuove tecnologie, tra cui anche sistemi di intelligenza artificiale – ha rilevato Marco Simoni – porteranno a nuove terapie e nuove cure in particolar modo per quello che riguarda lo sviluppo della medicina personalizzata. Human Technopole, per esempio – ha anticipato l’esperto intervenuto nel dibattito – lavorerà all’integrazione di dati su larga con l’analisi genomica permettendo di sviluppare nuove terapie diagnostiche su misura per ciascun individuo. Questo sarà possibile anche grazie ad un approccio sempre più multidisciplinare alla ricerca scientifica che mira a coinvolgere scienziati con profili e competenze diverse”. Più in generale, ha concluso l’esperto, in ambito sanitario, l’augurio è che lo sviluppo e l’introduzione di tecnologie dell’intelligenza artificiale consentiranno di rendere le cure sempre più accessibili, riducendo i costi e le disuguaglianze tra i cittadini.
Alla sessione intitolata “Verso il dominio dell’algoritmo?” sono intervenute personalità d’eccezione: Roberto Cingolani, Chief Technology&Innovation Officer Leonardo SPA, Fabio Moioli, Head Consulting & Services @Microsoft, Agostino Santoni, AD CISCO Italy, Hassan Sawaf, Former Director of AI Amazon & eBay, Daniela Scaramuccia, Direttore Health & Life Science IBM Italia, Alexander Waibel, della Carnegie Mellon University and Karlsruhe Institute of Technology, nonché Massimo Chiriatti di IBM Italia con un talk su “Intelligenza aumentata”.
“L’intelligenza artificiale – ha dichiarato, durante la tavola rotonda “Verso il dominio dell’algoritmo?” Daniela Scaramuccia, Direttore Health & Life Science IBM Italia – insieme alle nuove tecnologie, può e potrà sempre più supportare i medici nella diagnostica e nello sviluppo di piani di cura personalizzati, e i pazienti nel seguirli. Inoltre l’AI sta mostrando grande potenzialità nell’aiutare i ricercatori nella scoperta di nuove terapie. Grazie a ciò che in IBM chiamiamo ‘intelligenza aumentata’, connubio tra tecnologia e professionalità, saremo così capaci di dare maggiore supporto alla cura delle persone. In ambito terapeutico Food and Drug Administration dal 2014 a oggi ha autorizzato oltre 30 algoritmi di intelligenza artificiale per la medicina. Di recente in Germania è stata approvata la prima legge che autorizza la prescrizione e il rimborso di terapie digitali”, ha aggiunto Scaramuccia sottolineando “come in tutte le grandi trasformazioni non è possibile anticipare con esattezza il futuro, mentre è fondamentale definire e perseguire obiettivi etici a cui attenersi. Per IBM sono chiari: lo scopo dell’AI è quello di aumentare l’intelligenza umana e non di sostituirla e tutti i sistemi dotati di AI devono essere trasparenti e spiegabili; inoltre, dati e idee appartengono e devono restare al loro creatore. Non si deve poi dimenticare il ruolo fondamentale della formazione e delle competenze, affinché nessuno sia lasciato indietro e tutti possano cogliere a pieno i vantaggi del cambiamento in atto”.
“Abbiamo davanti a noi una sfida immensa: unire maggiormente il mondo digitale, che procede veloce ma corre il rischio di andare avanti in modo autoreferenziale, con quello dell’etica”. Ha concluso l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato della Santa Sede. Dopo avere sottolineato l’urgenza di superare il profondo divario tra nord e sud del mondo, Peña Parra ha avvertito: “Non possiamo dimenticare i valori che dovrebbero essere considerati nel sistema algoritmi non solo in forma di sanzioni postume ma come accompagnatori costanti al fine di umanizzare processi che altrimenti rischiano di cosificare le relazioni”. Per “tutelare la dignità della persona; preservare il lavoro; assecondare uno sviluppo equo, integrale e sostenibile; corroborare l’alleanza medico-paziente; essere salvaguardati da forme di algor-crazia abbiamo bisogno di algor-etica come ha ricordato Papa Francesco lo scorso 14 novembre”, ha detto ancora. Dunque, ha concluso, “tocca anche a noi sviluppare tecnologie e al tempo stesso contribuire ad orientarle in modo squisitamente umano e a proporle per la cura integrale della persona”.
Donazione organi, settimana di sensibilizzazione al Monaldi
News PresaUn intera settimana per dare valore al bene più prezioso, la vita. Parte il 16 dicembre, all’ospedale Monaldi, la settimana del dono. Una settimana di incontri e di eventi dedicati al tema della donazione degli organi, realizzata in collaborazione con il Centro regionale trapianti. Il taglio del nastro ci sarà alle 15, nell’aula Monaldi, con un dibattito sul tema a cui parteciperanno pazienti e caregivers invitati a condividere la loro storia. Interverranno, tra gli altri, Maurizio Di Mauro, direttore generale dell’AO dei Colli; Antonio Corcione, direttore del Centro regionale trapianti; Andrea Petraio, responsabile della Uosd Assistenza meccanica al circolo e dei trapianti nei pazienti adolescenti; Giuseppe Pacileo, responsabile della Uosd Scompenso cardiaco e riabilitazione; modererà l’incontro Carlo Negri, esperto in medicina narrativa. Interverranno, inoltre, i professionisti coinvolti nella gestione dei pazienti cardio trapiantati afferenti alle Uosd coinvolte. Tanti, tra martedì e mercoledì, anche i momenti di musica e spettacoli, tutti previsti alla Uosd di Assistenza meccanica al circolo e dei trapianti nei pazienti adolescenti. Il 19 dicembre, alle ore 15, l’aula Monaldi diventerà il palcoscenico per la presentazione delle attività della Scuola in Ospedale sul tema della donazione degli organi. Il 20, il cortile del Monaldi ospiterà una sfilata di maggiolini a cura dell’associazione Maggiolini Partenopei e l’associazione Kikka e Ciccia si occuperà dell’animazione per i piccoli ricoverati. La settimana si concluderà il 21, presso l’Aula Magna dell’Ospedale Monaldi, con uno spettacolo realizzato in collaborazione con l’Associazione Donare è Vita e l’Associazione Cardiomiopatie e Malattie Rare Onlus (ACMR) a cui hanno già aderito artisti come Andrea Sannino, Maria Nazionale, Gigi e Ross, Francesco Cicchella e Tony Figo.
ECCELLENZA ITALIANA
Va detto che l’Italia è per quel che riguarda i trapianti una vera e propria eccellenza. Il segreto si cela dietro un ottimo sistema di rete, che permette di valorizzare le grandi qualità delle scuole chirurgiche grazie a un’organizzazione che mette insieme la raccolta delle dichiarazioni di volontà alla donazione, i prelievi di organi, la conservazione e il trasporto, fino al trapianto e al follow up. Le nostre eccellenze, riguardano non solo il trapianto di organi, ma anche quello di tessuti, come dimostra il caso del trapianto vertebrale a Bologna. La Rete trapianti è un esempio di come il fare squadra sia un valore aggiunto, specialmente in sanità, perché i trapianti non sono un lavoro da solisti. Non dimentichiamo infine che il trapianto in Italia è inserito nei livelli essenziali di assistenza, quindi è una terapia gratuita, assicurata da un sistema sanitario solidaristico.
Calorie, 20 minuti di corsa per una barretta al cioccolato
AlimentazioneMangereste una barretta di cioccolato sapendo che per smaltirla serviranno 22 minuti di corsa o 44 di camminata veloce? Forse ci pensereste un po’ di più prima di farne un sol boccone. Ed è proprio per questo che molti nutrizionisti stanno proponendo di aggiungere anche etichette dei prodotti alimentari il movimento necessario a smaltire le calorie ingerite. Un accorgimento che potrebbe ridurre i pasti di 200 calorie al giorno. A svelarlo è una meta-analisi pubblicata sul Journal of Epidemiology & Community Health e condotta da Amanda Daley e colleghi dell’Università di Loughborough sulla base di un ampio set di dati da diversi studi pubblicati sull’argomento. In sostanza, spiegano i ricercatori, se si è consapevoli del tempo e della fatica che occorre per smaltire si è portati a tenere a freno l’appetito. Molto più di quanto lo si è con la mera informazione sulle calorie oggi in uso. Insomma, insistono gli autori dello studio, questo nuovo modo di etichettare i cibi migliorerebbe non poco le scelte alimentari e ridurrebbe in media l’introito calorico a pasto di almeno 65 calorie, per un totale di almeno 200 calorie al giorno.
AL LIMITE
Riuscire a mangiare meno sarebbe un bene per tutti. La gravità della situazione è evidente anche solo a guardare programmi Tv che propongono chirurgia barbarica e diete drastiche. Programmi che prima erano ad esclusivo appannaggio degli USA ma che ora sono ben calati in diverse realtà locali del Bel Paese. Secondo i dati relativi al periodo 2014-2017 pubblicati da Epientro, si stima che a livello nazionale circa quattro adulti su dieci rappresentino casi di eccesso ponderale suddivisi in tre fenomeni di sovrappeso e uno di obesità. Osservando le due condizioni di eccesso di peso da un punto di vista geografico sembra che le due distribuzioni su base regionale presentino alcune differenze per determinate aree. Per quanto riguarda il sovrappeso, il nord Italia con l’aggiunta della Sardegna presenta complessivamente una colorazione tendente al verde, sintomo di una percentuale di persone coinvolte inferiore alla media nazionale.
OBESITA’ INFANTILE
Non sarebbe per nulla un male, visto che l’Italia sta vedendo peggiorare la salute dei cittadini proprio a causa delle enormi quantità di cibo spazzatura consumate ogni giorno. In Campania poi il problema parte sin da piccoli, infatti l’obesità infantile ha un’incidenza ben maggiore chi in altre regioni. E dire che la nostra dovrebbe essere la culla della Dieta Mediterranea. Nella nostra regione invece un bambino su quattro tra gli 8 e i 9 anni e in sovrappeso, il 17.9% e’ obeso (dati diffusi da Okkio alla Salute) e quando si parte da bambini in questa condizione è facile avere futuri adulti non in buona salute.
Malattie cerebrovascolari seconda causa di morte. Il documento sulla prevenzione
News PresaLe malattie cerebrovascolari sono la seconda causa di morte e la terza causa di disabilità a livello mondiale. Sono anche responsabili di circa un decimo degli anni persi per morte prematura o disabilità, oltre al carico sociale (burden) per il paziente e i familiari che lo assistono. Con l’invecchiamento della popolazione aumenterà sia l’incidenza totale dell’ictus, che è la manifestazione clinica più frequente tra le malattie cerebrovascolari, sia il carico sociale conseguente alla disabilità post ictus.
Alle malattie cerebrovascolari è dedicato il documento Prevenzione delle malattie cerebrovascolari lungo il corso della vita prodotto dai lavori dell’Alleanza Italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari, patto volontario per contrastare le patologie cardio e cerebrovascolari sottoscritto tra Ministero della salute, Società scientifiche, Associazioni dei pazienti e altri Enti del settore. Il documento è stato redatto, sulla base delle indicazioni del Comitato esecutivo dell’Alleanza e in coerenza con i Piani e i Programmi nazionali (Piano Nazionale della Prevenzione, Piano Nazionale Cronicità, Programma “Guadagnare salute: rendere facili le scelte salutari”), dal Gruppo di lavoro sulle malattie cerebrovascolari, costituito nell’ambito dell’Alleanza.
Si tratta di un testo di carattere scientifico ed evidenced based sulla prevenzione delle malattie cerebrovascolari e in particolare dell’ictus. Il documento racchiude gli elementi cardine della prevenzione primaria quali il contrasto ai principali fattori di rischio e la promozione di stili di vita salutari, considerando tutti aspetti delle diverse età e del periodo della gravidanza.
Principali fattori di rischio dell’adulto
caratterizzata da un apporto calorico inadeguato rispetto al fabbisogno energetico)
Malattie cerebrovascolari. I numeri
Tra il 1970 e il 2008, l’incidenza dell’ictus cerebrale si è ridotta di oltre il 40%, passando da 163 a 94 casi per 100.000 abitanti per anno, nei Paesi ad alto reddito, mentre nei Paesi a reddito medio o basso l’incidenza è più che raddoppiata, con un incremento da 52 a 117 casi per 100.000 abitanti per anno. Contemporaneamente, la mortalità precoce per ictus è diminuita sia nei Paesi ad alto reddito sia in quelli a reddito medio o basso (1-Feigin VL 2009). Il calo di incidenza dell’ictus cerebrale nei Paesi ad alto reddito contrasta con il continuo aumento dell’età media della popolazione. I dati disponibili mostrano una maggior incidenza dell’ictus cerebrale nei maschi rispetto alle femmine (4-Feigin VL 2017), come possibile conseguenza del maggior carico in essi di taluni fattori di rischio; l’incidenza è tuttavia diminuita in entrambi i sessi dal 1990 al 2013, nelle femmine più che nei maschi (4-Feigin VL 2017), riducendosi soprattutto nelle fasce di età più elevate della popolazione con una tendenza all’incremento nei giovani (5-Guéniat J 2018; 6-Cabral NL 2017). L’ictus ischemico rappresenta circa l’80% degli eventi cerebrovascolari acuti; più rari sono l’emorragia intracerebrale (15-20%), l’emorragia subaracnoidea (3-5%) e gli eventi cerebrovascolari acuti mal definiti (1-3%).
Anche in Italia l’incidenza dell’ictus cerebrale globalmente si è ridotta nelle ultime due decadi da 293 a 143 casi per 100.000 abitanti per anno (7-Ornello R 2018), risultando lievemente più alta nelle femmine (147 casi per 100.000 abitanti per anno) che nei maschi (139 casi per 100.000 abitanti per anno) (7-Ornello R 2018; 8-Tiseo C 2017) e con un incremento dal 35,7% al 47,8% negli ultra80enni. La mortalità è del 20-30% a 30 giorni dall’evento e del 40-50% a distanza di un anno (7-Ornello R 2018; 8-Tiseo C 2017). Secondo dati altrettanto recenti il TIA ha un’incidenza pari a 35 casi per 100.000 abitanti per anno con il 10% circa di recidive a 5 anni (9-Degan D 2017). La progressiva riduzione dell’incidenza riportata dai recenti dati epidemiologici trova corrispondenza nei dati delle schede di dimissione ospedaliera (SDO), che dimostrano una progressiva riduzione del volume dei ricoveri per ictus ischemico (incluse le recidive) dal 2009 al 2017, da 98.555 a 88.533 (-10,2%) (10-AGENAS-PNE 2018).
In sintesi, l’ictus cerebrale è una patologia il cui peso nella popolazione generale si sta progressivamente modificando grazie all’identificazione puntuale e accurata dei fattori di rischio, modificabili e non, e delle terapie sempre più mirate ed efficaci sui diversi target. A tutto ciò contribuisce anche la diffusione del trattamento dell’ictus ischemico acuto, sia con trombolisi endovenosa sia con approccio endovascolare nei casi di acclarata occlusione di un grosso vaso arterioso intracranico. L’ictus cerebrale è raro in gravidanza (34 casi per 100.000 parti) (11-James AH 2005), mentre per quanto riguarda l’età evolutiva, il Registro Italiano Trombosi Infantili (R.I.T.I.) dal 2007 al 2012 ha registrato 79 casi (49 maschi e 30 femmine) di ictus cerebrale ischemico in bambini di età media di 4,5 anni, e 91 casi (65 maschi e 26 femmine) di trombosi dei seni venosi cerebrali in bambini con un’età media pari a 7,1 anni (12-Suppiej A 2015). I dati sono stati raccolti grazie a un team interdisciplinare attivato con l’obiettivo di permettere una migliore comprensione dei meccanismi e dei fattori di rischio per gli eventi da tromboembolia in età neonatale e pediatrica. La trombosi venosa cerebrale rappresenta lo 0,5-1% di tutti gli eventi vascolari cerebrali con un’incidenza annuale di 3-4 casi per milione/anno negli adulti e di 7 casi per milione nei neonati. Negli ultimi anni è aumentata l’incidenza nei giovani, probabilmente anche in rapporto al miglioramento delle tecniche diagnostiche.