Tempo di lettura: 2 minutiUna percentuale elevata di ex malati di cancro consuma alcol in quantità superiore a quella raccomandata. Il dato emerge da un recente studio. Tuttavia, spiegano gli esperti, aver sconfitto un tumore non mette al riparo dai danni che questa sostanza provoca all’organismo. Lo studio americano ha analizzato le abitudini di più di 34.000 adulti a cui era stato diagnosticato un tumore. Uno su due dichiara di consumare alcolici, uno su tre ammette di superare le quantità di alcol considerate accettabili e uno su cinque confessa di cedere al binge drinking (bere grandi quantità di alcol in pochissimo tempo). È la prima volta che uno studio su larga scala restituisce un’istantanea del consumo di alcol tra chi ha avuto una diagnosi di cancro, e l’immagine che ne emerge, secondo i ricercatori, è preoccupante.
Cancro e alcol, giovani più a rischio
Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of the National Comprehensive Cancer Network, è basato sui dati raccolti dal National Health Interview Survey, un programma che, attraverso questionari annuali, monitora lo stato di salute della popolazione americana.
La probabilità di eccedere con l’alcol e di darsi al binge drinking risulta più alta tra i giovani e tra i fumatori. Il binge drinking in particolare è più comune tra i pazienti con una diagnosi di melanoma, tumore della cervice, tumore del testicolo e tumore testa-collo, anche se questo potrebbe dipendere dal fatto che sono tumori diffusi tra i giovani, più che dalle caratteristiche intrinseche dei tumori stessi.
Vi sono sempre più studi che dimostrano che bere dopo la diagnosi di un tumore può influire negativamente sul successo delle cure, ma questo è il primo studio che dimostra che aver avuto già la malattia non rende necessariamente più attenti a evitare fattori di rischio per ricadute o nuovi tumori. Il rischio è ancora maggiore per i giovani, visto che le abitudini negative si protraggono per più anni nel corso della vita.
Esistono, tra l’altro, dati analoghi per quanto riguarda il fumo, il più grande fattore di rischio oncologico. Continuare a fumare accentua gli effetti tossici delle terapie, riduce la sopravvivenza e aumenta il rischio di un secondo tumore. Eppure sono molti i pazienti che non rinunciano alla sigaretta. Proprio per questo, nel 2019 l’Associazione internazionale per lo studio del tumore del polmone (IASLC) ha stilato un documento in cui raccomanda agli oncologi di parlare con i pazienti del consumo di tabacco, per far comprendere loro come smettere di fumare sia una componente essenziale delle cure.
Gli autori dell’indagine sull’alcol giungono a conclusioni simili: il momento della diagnosi di un tumore è un’occasione privilegiata per esaminare abitudini e comportamenti. Alcuni cambiamenti avranno effetti benefici non solo nella lotta contro il cancro, ma sulla salute generale del paziente prima e del cancer survivor. Ecco perché è importante informare i pazienti sui rischi dell’alcol.
Tumore vescica: 1 su 20 in UE a causa dell’acqua del rubinetto
PrevenzioneIn Europa il 5 per cento dei casi di tumore alla vescica sarebbe collegato a contaminazioni nell’acqua di rubinetto. Si tratta di un caso ogni venti, per un totale di 6.561 casi l’anno in 26 paesi del continente. Sono i dati che emergono da uno studio pubblicato su Environmental Health Perspectives. Secondo la ricerca, concentrazioni massime dei contaminanti hanno superato il limite di 100 microgrammi per litro in 9 paesi, inclusa l’Italia. Ricerche precedenti hanno trovato un legame tra cancro alla vescica e l’esposizione a lungo termine a un gruppo di sostanze chimiche chiamate trialometani (THM), come il cloroformio, risultate cancerogene negli studi sugli animali e che si formano come sottoprodotto indesiderato quando l’acqua viene disinfettata negli impianti.
Tumore alla vescica e acqua del rubinetto. I dati
Per riuscire a calcolare l’entità del problema, i ricercatori del Barcelona Institute for Global Health, hanno analizzato la presenza di sostanze chimiche nell’acqua potabile negli stati UE tra il 2005 e il 2018, inviando questionari agli organismi responsabili della qualità delle acque nazionali.
I numeri raccolti riguardano 26 paesi, inclusa l’Italia, mancano i dati soltanto della Bulgaria e della Romania. La media annua stimata dei livelli di trialometani è stata di 11,7 microgrammi per litro. I Paesi con le medie più basse sono risultati essere Danimarca e Paesi Bassi (0,2 microgrammi), i valori medi più elevati sono stati invece osservati a Cipro (66,2 microgrammi) e a Malta (49,4).
Se invece delle medie si considerano i picchi massimi, in 9 Paesi sono stati rilevati dei livelli di trilometani superiori a 100 microgrammi per litro (valore limite UE): ovvero Gran Bretagna, Spagna, Cipro, Estonia, Ungheria, Irlanda, Italia, Polonia e Portogallo. I ricercatori hanno stimato il numero di casi di cancro alla vescica attribuibili utilizzando i tassi di incidenza e i livelli di trilometani. Secondo l’analisi Cipro aveva la percentuale più alta, con un quarto delle diagnosi legate alle sostanze chimiche. La Spagna e il Regno Unito hanno però il maggior numero assoluto di casi potenzialmente collegati, rispettivamente 1.482 e 1.356. Per quanto riguarda il nostro Paese, si tratta di 336 casi annui collegati. Gli autori hanno sottolineato che negli ultimi 20 anni sono stati fatti grandi sforzi per ridurre i livelli di trialometani in diversi paesi dell’Unione europea. Tuttavia c’è ancora molto da fare. Ad esempio, se nessun Paese sforasse l’attuale media europea si eviterebbero 2.868 casi annui di tumore alla vescica.
Cancro: “passata la paura, l’attenzione deve restare alta”
News PresaUna percentuale elevata di ex malati di cancro consuma alcol in quantità superiore a quella raccomandata. Il dato emerge da un recente studio. Tuttavia, spiegano gli esperti, aver sconfitto un tumore non mette al riparo dai danni che questa sostanza provoca all’organismo. Lo studio americano ha analizzato le abitudini di più di 34.000 adulti a cui era stato diagnosticato un tumore. Uno su due dichiara di consumare alcolici, uno su tre ammette di superare le quantità di alcol considerate accettabili e uno su cinque confessa di cedere al binge drinking (bere grandi quantità di alcol in pochissimo tempo). È la prima volta che uno studio su larga scala restituisce un’istantanea del consumo di alcol tra chi ha avuto una diagnosi di cancro, e l’immagine che ne emerge, secondo i ricercatori, è preoccupante.
Cancro e alcol, giovani più a rischio
Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of the National Comprehensive Cancer Network, è basato sui dati raccolti dal National Health Interview Survey, un programma che, attraverso questionari annuali, monitora lo stato di salute della popolazione americana.
La probabilità di eccedere con l’alcol e di darsi al binge drinking risulta più alta tra i giovani e tra i fumatori. Il binge drinking in particolare è più comune tra i pazienti con una diagnosi di melanoma, tumore della cervice, tumore del testicolo e tumore testa-collo, anche se questo potrebbe dipendere dal fatto che sono tumori diffusi tra i giovani, più che dalle caratteristiche intrinseche dei tumori stessi.
Vi sono sempre più studi che dimostrano che bere dopo la diagnosi di un tumore può influire negativamente sul successo delle cure, ma questo è il primo studio che dimostra che aver avuto già la malattia non rende necessariamente più attenti a evitare fattori di rischio per ricadute o nuovi tumori. Il rischio è ancora maggiore per i giovani, visto che le abitudini negative si protraggono per più anni nel corso della vita.
Esistono, tra l’altro, dati analoghi per quanto riguarda il fumo, il più grande fattore di rischio oncologico. Continuare a fumare accentua gli effetti tossici delle terapie, riduce la sopravvivenza e aumenta il rischio di un secondo tumore. Eppure sono molti i pazienti che non rinunciano alla sigaretta. Proprio per questo, nel 2019 l’Associazione internazionale per lo studio del tumore del polmone (IASLC) ha stilato un documento in cui raccomanda agli oncologi di parlare con i pazienti del consumo di tabacco, per far comprendere loro come smettere di fumare sia una componente essenziale delle cure.
Gli autori dell’indagine sull’alcol giungono a conclusioni simili: il momento della diagnosi di un tumore è un’occasione privilegiata per esaminare abitudini e comportamenti. Alcuni cambiamenti avranno effetti benefici non solo nella lotta contro il cancro, ma sulla salute generale del paziente prima e del cancer survivor. Ecco perché è importante informare i pazienti sui rischi dell’alcol.
Bronchiolite, ecco cos’è e quali sono i sintomi
BambiniFebbre alta e tosse, l’allarme dei pediatri si estende da Nord a Sud. Quest’anno l’influenza si sta facendo sentire e i più colpiti sono i bambini. Il vice presidente della Federazione Italiana dei Medici Pediatri Antonio D’Avino mette in guardia da corse “inappropriate” al pronto soccorso, perché uno dei rischi – dice – è quello di «esporre i piccoli a ricchi inutili, trasportandoli per una banale influenza in pronto soccorso, dove rischiano di entrare in contatto con virus e batteri ben più pericolosi». Questo non significa certo che bisogna sottovalutare una febbre troppo alta o una brutta tosse. L’invito è quello a rivolgersi sempre e comunque al proprio pediatra di famiglia, e possibilmente fidarsi dei suoi consigli. Tra le patologie più frequenti in questi mesi invernali c’è la bronchiolite, che per molti, troppi, genitori è un nemico sconosciuto.
CHE COS’È
La bronchiolite è un’infezione virale acuta che colpisce il sistema respiratorio dei bambini di età inferiore ad un anno con maggiore prevalenza nei primi 6 mesi di vita e maggiore incidenza tra novembre e marzo. L’agente infettivo più coinvolto (nel 75% circa dei casi) è il virus respiratorio sinciziale (VRS) ma anche altri virus possono esserne la causa (metapneumovirus, coronavirus, rinovirus, adenovirus, virus influenzali e parainfluenzali). L’infezione è secondaria a una trasmissione che avviene primariamente per contatto diretto con le secrezioni infette. La fase di contagio dura tipicamente da 6 a 10 giorni. L’infezione interessa bronchi e bronchioli innescando un processo infiammatorio, aumento della produzione di muco e ostruzione delle vie aeree con possibile comparsa di difficoltà respiratoria. Fattori che aumentano il rischio di maggiore gravità sono la prematurità, l’età del bambino (< 12 settimane), le cardiopatie congenite, la displasia broncopolmonare, la fibrosi cistica, le anomalie congenite delle vie aeree e le immunodeficienze.
QUALI SONO I SINTOMI
Generalmente esordisce con febbricola e rinite (infiammazione nasale); successivamente possono comparire tosse insistente, che si aggrava gradualmente, e difficoltà respiratoria – più o meno marcata – caratterizzata da un aumento della frequenza respiratoria e da rientramenti intercostali. Il più delle volte si risolve spontaneamente e senza conseguenze. Tuttavia, in alcuni casi, può rendersi necessario il ricovero, specialmente al di sotto dei sei mesi di vita. In bambini così piccoli è spesso presente un calo dei livelli di saturimetria (ossigeno nel sangue) e può osservarsi una disidratazione causata dalla difficoltà di alimentazione e dell’aumentata perdita idrica determinata dal lavoro respiratorio. Inoltre, nei pazienti nati prematuri o di età inferiore alle 6 settimane di vita, è aumentato il rischio di apnea (episodio di pausa respiratoria prolungata) e ne vanno pertanto controllati i parametri cardio-respiratori. Generalmente la malattia è benigna e si risolve spontaneamente in circa 12 giorni.
Salute, il 2019 degli italiani (secondo il web)
News PresaDalla menopausa all’epilessia, passando per endometriosi, alluce valgo e molto altro. MioDottore (piattaforma specializzata nella prenotazione on line di visite mediche) ha stilato un’interessante classifica di quelle che nel 2019 sono state le principali “ricerche” di salute da parte degli italiani. I risultati? La più cercata è stata la menopausa, seguita dall’endometriosi. In particolare, proprio la menopausa continua a preoccupare le donne italiane, tanto da mantenere la posizione di capolista in questo speciale ranking dal 2017. Al terzo gradino della classifica sale l’alluce valgo, acquistando una posizione rispetto allo scorso anno e scalzando dal podio la scoliosi, che scende drasticamente al settimo posto. Risultati che dicono anche un’altra cosa, a informarsi maggiormente, on line, su questioni di salute sono le donne. Allargando lo sguardo sulla lista delle patologie più cercate, emerge che circa il 14% rispetto al totale di ricerche, riguardano la sfera intima-sessuale: nello specifico 4 disturbi toccano l’area ginecologica (menopausa, endometriosi, ovaio policistico e cistite) e 1 quella andrologica (disfunzione erettile).
LEI E LUI
Che le donne siano molto attente al proprio benessere non è un segreto, lo conferma il fatto che oltre i due terzi degli utenti che hanno effettuato ricerche sulla salute appartenga al gentil sesso e tra queste, più di una su quattro (27%) rientra nella fascia di età tra i 35 e i 44 anni. Diversamente gli uomini che hanno effettuato ricerche in ambito benessere sono solo il 33%, pari a un terzo degli utenti totali e la percentuale più alta di loro (24%) appartiene alla fascia d’età tra i 45 e i 54 anni. Anche la sfera ortopedica desta particolare preoccupazione tra gli utenti dello Stivale, registrando il 13% delle ricerche totali sulla salute, con diverse patologie che mettono in allarme gli italiani: oltre al già menzionato alluce valgo e alla scoliosi, nella classifica 2019 compaiono anche osteoporosi (4° posto), ernia del disco (8°) e mal di schiena (16°).
NUOVE PREOCCUPAZIONI
Superate le prime 24 posizioni, ci sono alcune new entry tra le malattie più cercate rispetto allo scorso anno che coinvolgono le sfere oculistica, dermatologica e neurologica e costituiscono insieme il 4% delle ricerche: degenerazione maculare, cefalea, cisti sebacea ed epilessia. Assenti invece altri disturbi che caratterizzavano le ricerche dei pazienti italiani lo scorso anno, come quelli del sonno, ipertensione, dermatite atopica e vaginismo.
Diabete, obesità e disturbi mentali: legame con l’insulina. Lo studio
Ricerca innovazionePotrebbe esserci un nesso tra i disturbi metabolici, in particolare il diabete di tipo 2 e l’obesità, e i disturbi cerebrali come il morbo di Alzheimer, il disturbo ossessivo-compulsivo e i disturbi dello spettro autistico. Questa correlazione si basa su alterazioni nei meccanismi di azione dell’insulina. Si tratta di un’ipotesi realizzata da PRIME (Prevenzione e rimedio della multimorbilità dell’insulina in Europa), un progetto europeo finanziato nell’ambito di Horizon 2020, a cui partecipa anche l’Istituto Superiore di Sanità, che mira a esplorare i meccanismi molecolari tramite cui alterazioni legate all’insulina possano essere alla base di queste patologie. Alla ricerca, della durata di cinque anni (gennaio 2020-dicembre 2024), partecipano, insieme all’ISS, altre 16 istituzioni, tra enti di ricerca e università di nove diversi paesi europei.
“Le insulinopatie somatiche conosciute (per esempio il diabete di tipo 2 e i disturbi metabolici) sono spesso malattie croniche a lungo termine – spiega Simone Macrì, ricercatore che rappresenta, assieme a Giovanni Laviola e Francesca Zoratto, l’ISS nel progetto – e come tali costituiscono un importante onere sanitario, sociale ed economico. Per questo, gli sforzi medici sono principalmente o esclusivamente dedicati alla gestione di questi disturbi somatici. Ben poco si conosce di altre insulinopatie: quelle cerebrali, che possono comportare disturbi mentali anche gravi. Il progetto PRIME intende affrontare per la prima volta questo problema, partendo dall’ipotesi che l’alterazione della segnalazione dell’insulina abbia effetti, lungo tutto l’arco della vita, non solo sulle malattie somatiche, quali il diabete di tipo 2 e l’obesità, ma anche sui disturbi dello sviluppo neurologico e neurodegenerativo, soprattutto quelli legati all’inflessibilità cognitiva. Vogliamo monitorare attentamente la via di comunicazione che l’insulina percorre dal corpo al cervello, per arrivare a comprendere gli effetti sulla cognizione e sul comportamento”.
Napoli «radioattiva quanto una Tac», è polemica
News PresaSi dice “vedi Napoli e poi muori”. Beh, a giudicare dal modulo di consenso informato di una ASL del Nord viene da chiedersi se gli autori del documento la città di Napoli l’abbiamo mai vista. E’ un vero e proprio caso mediatico quello sollevato dal consigliere regionale Francesco Emilio Borrelli ai microfoni della Radiazza (programma radiofonico condotto da Gianni Simioli). A quanto pare nella nota, scritta in un modulo dell’azienda sanitaria scaligera, si descrive il rapporto rischio/beneficio di una tecnologia diagnostica con un esempio quantomeno ardito. Dal punto di vista di radiazioni assorbite, vivere per un mese a Napoli è come sottoporsi all’esame radiologico “TC cone beam”, una tecnica di tomografia computerizzata utilizzata in implantologia e in ortodonzia.
DISCRIMINAZIONE
«Sembra uno scherzo e invece è drammaticamente vero – hanno ribadito in radio il consigliere regionale dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli, e il conduttore Simioli -. Basta andare sul sito dell’azienda sanitaria di Verona ULSS9 scaligera e cercare il modello per il consenso all’esecuzione di un esame radiologico TC Cone Beam. Una discriminazione bella e buona che non trova alcuna ratio se non quella della scarsa sensibilità e intelligenza di chi ha elaborato il testo. Ci auguriamo che la modulistica in questione venga immediatamente modificata»
LE SCUSE
«È evidente che la città di Napoli viene citata unicamente in qualità di benchmark nazionale per quanto riguarda il tasso di radioattività ambientale, senza alcuna accezione negativa, come lasciato intendere da chi ha sollevato il “caso”. Pur “nella più assoluta buona fede”, al fine di evitare ulteriori strumentalizzazioni la Direzione dell’Ulss 9 ha comunque deciso di sostituire e aggiornare il modulo in questione, che è stato già rimosso dal sito internet aziendale, e si scusa con quanti possano essersi risentiti per l’accaduto», ha spiegato l’azienda in una nota. Scuse, se così si possono definire, che non hanno convinto più di tanto i partenopei. In molti si sono lasciati andare a commenti al vetriolo sui social, convinti che un’Azienda sanitaria pubblica dovrebbe essere ben più “attenta” nel lanciarsi in esempi tanto arditi.
Cina, allarme per la polmonite misteriosa
News PresaSono notizie non proprio rassicuranti quelle che arrivano dalla Cina, dove è stato individuato a dicembre un nuovo “coronavirus” colpevole di una misteriosa polmonite che a quanto pare sta causando non pochi problemi. Se le fonti ufficiali cinesi parlano di una cinquantina di casi di contagio, secondo la Bbc la realtà potrebbe essere molto diversa. Gli esperti del Regno Unito stimano già diverse centinaia di casi, per un totale che sarebbe di poco inferiore ai 1.800 casi. La malattia respiratoria è apparsa nella città di Wuhan a dicembre.
PREOCCUPAZIONE
Ad alzare l’allerta sono anche le dichiarazioni rilasciate dall’epidemiologo Neil Ferguson, fra gli autori di uno studio che ha stimato le infezioni in Cina sulla base del tipo di virus e della rilevazione di alcuni casi esportati in Paesi vicini. «Sono sostanzialmente più preoccupato di quanto non fossi una settimana fa», ha detto. Il lavoro è stato condotto dal Centro MRC per l’analisi globale delle malattie infettive dell’Imperial College di Londra, che fornisce consulenza ad enti tra cui il governo del Regno Unito e l’Organizzazione mondiale della sanità. L’indizio cruciale per comprendere la reale entità del problema sta proprio nei casi rilevati in altri Paesi, si legge sulla Bbc online. Ci sono stati infatti due pazienti infettati in Thailandia e uno in Giappone. «Questo mi ha fatto preoccupare», ha detto Ferguson. Dal momento che «Wuhan ha esportato tre casi in altri Paesi, ciò implica che ci dovrebbero essere molte più infezioni lì di quanto riportato» finora. È impossibile ottenere un numero preciso, ma i modelli relativi alle epidemie, basati sul tipo di virus, sulla popolazione locale e sui dati relativi ai voli, possono aiutare.
IL SALTO
Il microrganismo responsabile della polmonite misteriosa che sta colpendo in Cina «è il terzo coronavirus a fare il salto di specie dall’animale all’uomo in 17 anni: dal 2003 abbiamo avuto prima la Sars in Cina, poi la Mers in Medio Oriente, e ora questo episodio ancora in Cina. Questi virus hanno un potenziale che prima non conoscevamo: bisogna studiarli con occhi nuovi, consapevoli dell’effetto della globalizzazione, ma anche dei social media». A mettere in guardia tutti su cosa sta accadendo è la virologa e ricercatrice Ilaria Capua, raggiunta telefonicamente negli Stati Uniti dall’agenzia di stampa Adnkronos. Le parole dell’esperta lasciano trasparire una certa preoccupazione. Del caso si stanno occupando tutti i maggiori quotidiani, ed è di queste ore la notizia di altri casi di contagio. In un mondo fortemente globalizzato una questione da tenere ben sotto controllo.
Gli artisti del circo si esibiscono al Bambino Gesù
News PresaClown, acrobati e giocolieri circensi hanno invaso oggi la ludoteca e il Castello dei giochi dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Per iniziativa del Dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale in collaborazione con l’ospedale della Santa Sede, quindici artisti del Rony Roller Circus (premiati al Festival del Circo di Montecarlo) si sono esibiti nella mattinata davanti ai piccoli pazienti del Bambino Gesù nelle aree gioco dell’ospedale e in alcuni reparti.
Prima dell’esibizione i circensi hanno partecipato alla Santa Messa celebrata nella cappella del Bambino Gesù dal cardinale Peter K.A. Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. L’evento è espressione dell’attenzione pastorale della Chiesa verso il mondo dei circensi e dei fieranti e si inserisce nel cammino di collaborazione tra l’Ospedale Bambino Gesù e il dicastero presieduto dal cardinale Turkson che cura anche la pastorale sanitaria. Il dicastero partecipa anche al “Forum per le Organizzazioni Cristiane per la Pastorale dei Circensi e dei Lunaparchisti”, che si riunisce annualmente a Montecarlo. Tra le aree di intervento del Dicastero rientra anche la pastorale degli Operatori sanitari. Da qui l’idea del circo in ospedale, nata assieme al Bambino Gesù, Istituzione della Santa Sede, che garantisce oltre 600 posti letto e quasi 29 mila ricoveri l’anno e che nel 2019 ha celebrato il 150° anniversario della sua fondazione.
«Gli operatori sanitari – ha affermato Turkson nel salutare il personale dell’ospedale – sono espressioni concrete della misericordia di Dio».L’iniziativa è stata organizzata anche in vista della Giornata Mondiale del Malato che si celebra l’11 febbraio. «Regalare ad un piccolo ricoverato un ricordo di gioia legato ad un momento delicato della sua vita – ha sottolineato Turkson – significa alleggerire il suo carico di dolore, alleviare quello dei genitori che lo accompagnano e, perché no, sollevare anche un po’ medici ed infermieri, donando loro un pizzico di letizia per nutrire la straordinaria missione che ogni giorno realizzano a servizio degli altri».
La presidente del Bambino Gesù, Mariella Enoc, ha ringraziato gli artisti per il messaggio di gioia e di coraggio portato ai piccoli pazienti dell’ospedale: «Gli artisti del circo sono gli artisti più veri: spesso anonimi e sempre coraggiosi hanno l’unica missione di portare felicità»
Tumori: in Italia sopravvivenza più alta rispetto alla media Eu
News PresaNel nostro Paese la sopravvivenza dopo un tumore è più alta rispetto al resto dell’Europa. In altre parole, i tassi di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di malattie oncologiche in Italia sono più elevati rispetto alle media europea. Il dato emerge dal rapporto ‘State of Health in the EU: Italy. Country Health Profile 2019’ presentato a Bari.
Tumori: i tassi di sopravvivenza
Per quanto riguarda il tumore alla prostata, nel nostro Paese la sopravvivenza è del 90% contro una media europea dell’87%. Per il cancro ai polmoni è del 16% in Italia e 15% in Europa, per quello al seno 86% in Italia contro l’83% europeo, per il tumore al colon 64% in Italia e 60%in Europa. Il rapporto sottolinea come il sistema sanitario nazionale fornisca cure efficaci e tempestive per i pazienti oncologici. In generale, il Ssn italiano viene promosso per la sua efficacia: “L’Italia – si legge nel report – registra il secondo tasso più basso di mortalità prevenibile nell’UE, dopo Cipro”. Lo studio verrà presentato anche ad Atene, Stoccolma e Helsinki. Nel lavoro viene analizzata l’efficacia ed efficienza del sistema sanitario italiano paragonandolo a quello di 26 Stati membri dell’UE. Quello italiano si presenta come un modello efficiente e funzionale.
Super batteri, servono nuovi antibiotici
FarmaceuticaLo spettro di un’era pre-antibiotica, che ci riporterebbe indietro di cent’anni, si sta allungando inesorabilmente sulla salute pubblica globale per colpa dei super-batteri resistenti agli antibiotici. Un’emergenza sanitaria che potrebbe rientrare grazie a nuovi antibiotici, come sottolinea Matteo Bassetti, Presidente della Società Italiana Terapia Antinfettiva (SITA). «Già oggi, utilizzando al meglio e più precocemente i farmaci più innovativi, alcuni già esistenti e altri in fase di approvazione, si potrebbe ridurre di un terzo la mortalità da super-batteri nel nostro Paese salvando 3.000 vite l’anno», spiega l’esperto. Ad esempio nel caso di Klebsiella pneumoniae, uno dei più frequenti batteri isolati in infezioni del sangue, dei polmoni e delle vie urinarie, recenti studi hanno evidenziato che i nuovi antibiotici hanno diminuito drasticamente la mortalità, che è scesa dal 50-55% al 10-15%, riduzione di circa un terzo che, rapportata ai 10mila morti l’anno in Italia (dati del Centro Europeo per il Controllo delle Malattie, ECDC), equivalgono a 3.000 morti in meno. Purtroppo sono soltanto 12 nel mondo le nuove molecole in fase avanzata di sviluppo clinico in antibioticoterapia a fronte delle oltre 700 in oncologia.
INVESTIMENTI
Per contrastare i germi multiresistenti è dunque necessario potenziare la ricerca e incentivare l’utilizzo di nuovi antibiotici, veri salvavita come gli antitumorali, superando il paradosso di non curare un’infezione oggi per timore che diventi più grave o meno curabile domani. Se le aziende farmaceutiche non investiranno più in ricerca e sviluppo di nuovi antibiotici vi è il rischio di un ritorno in epoca pre-antibiotica, con la comparsa di ceppi batterici sui quali nessun antibiotico funziona più. E’ fondamentale fare ricerca per individuare nuovi farmaci e valorizzare gli antibiotici innovativi, che inseriti all’interno di schemi terapeutici adeguati consentano anche di proteggere gli sforzi e gli investimenti fatti a sostegno della salute del paziente con enormi risparmi di risorse.
I DATI
D’altronde i dati parlano chiaro: un recente scenario elaborato dall’OMS prevede che entro il 2050 la prima causa di morte saranno le infezioni da germi resistenti con un numero di vite perdute, 10 milioni, superiori alle morti che il cancro causa attualmente. In Europa si prevedono 392.000 morti e 120.000 in Italia, che già oggi con 10.000 decessi l’anno è la nazione più colpita assieme alla Grecia.
LA PROPOSTA
Cambiare passo è dunque indispensabile perché la semplice prevenzione non basta più: anche somministrando gli antibiotici soltanto quando è necessario e facendo molta attenzione al contenimento delle infezioni e della trasmissione batterica in ospedali e case di cura, soltanto il 50% delle infezioni acquisite durante l’assistenza può essere prevenuto. Anche per questo gli esperti propongono di equiparare i requisiti regolatori dei nuovi antibiotici a quelli degli antitumorali, creando ‘corsie preferenziali’ e percorsi regolatori accelerati e semplificati per l’approvazione, l’immissione in commercio e l’introduzione a livello regionale di farmaci salvavita. Proposte già sottolineate anche dalla Coalizione Internazionale delle Autorità di Regolamento del Farmaco (ICMRA), che ha evidenziato la necessità di dare priorità allo sviluppo di nuovi farmaci investendo in ricerca e sviluppo, dando un giusto valore economico che premi il valore delle vite salvate e gli sforzi di chi ha continuato o ripreso a investire nella ricerca di nuovi antibiotici e creando un fondo nazionale dedicato, in linea con quelli previsti per i farmaci oncologici più innovativi.