Tempo di lettura: 2 minutiAlcuni biomarcatori potrebbero preannunciare l’esito dell’infezione da Covid. In particolare, in modo diverso per gli uomini e per le donne, possono prevedere la gravità e la progressione della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Questi biomarcatori sesso-specifici sono stati identificati dai ricercatori del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’ISS in collaborazione con i colleghi dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani (INMI – IRCCS), in uno studio pubblicato su Biology of sex differences.
“E’ ormai evidente che il sesso rappresenti una variabile biologica che influenza la severità di COVID-19 e l’insorgenza della insufficienza respiratoria grave – afferma Elena Ortona, ricercatrice dell’ISS che ha coordinato il team ISS-INMI – La definizione, dunque, di biomarcatori predittivi della progressione della malattia specifici per il sesso può aiutare a monitorare meglio e quindi indirizzare correttamente il trattamento dei pazienti più a rischio”.
Nell’indagine – continua l’esperta – “abbiamo esaminato, al momento del ricovero in ospedale, i livelli plasmatici di ormoni sessuali, quali testosterone, estradiolo, ACE2 solubile (sACE2) e Angiotensina1-7 (Ang1-7) insieme ai biomarcatori noti per la COVID-19 (livelli plasmatici di D-Dimero e ferritina, numero di neutrofili e linfociti). Tenendo conto, allo stesso tempo, di una serie di altri fattori, quali la presenza di comorbidità preesistenti, la gravità della malattia respiratoria al momento dell’ammissione in ospedale e l’insorgere di un peggioramento durante la degenza”.
I biomarcatori “sesso-specifici”, lo studio
I ricercatori hanno osservato – su un totale di 160 pazienti (80 uomini e 80 donne di età comparabile) ricoverati allo Spallanzani tra marzo e settembre 2020, positivi al SARS-CoV-2 – che alcuni marcatori erano efficaci nel predire l’andamento clinico della malattia sia negli uomini che nelle donne, mentre altri mostravano un valore predittivo sesso-specifico. In particolare, i livelli plasmatici di Ang1-7 e la conta dei neutrofili predicevano l’esito dell’ARDS solo nelle femmine, mentre i livelli plasmatici di testosterone e la conta dei linfociti solo nei maschi.
Nel dettaglio, per quanto riguarda in particolare il testosterone, i suoi livelli plasmatici erano significativamente più bassi in quei pazienti maschi che hanno poi sviluppato, durante l’ospedalizzazione, una ARDS moderata/grave rispetto a quelli con ARDS lieve/non grave. Diversi studi hanno infatti dimostrato che il testosterone ha un effetto antinfiammatorio, diminuendo quelle citochine che giocano un ruolo centrale nella tempesta citochinica e nell’infiammazione che contribuisce alla ARDS. Questo spiegherebbe perché negli uomini anziani l’abbattimento del testosterone si correla con l’aumento di uno stato pro-infiammatorio. Inoltre, il testosterone diminuisce in presenza di obesità e diabete, che sono comorbidità frequentemente associate alla COVID-19.
“I nostri dati- conclude Elena Ortona– pur necessitando di validazione su una popolazione più ampia, evidenziano che il sesso dovrebbe essere considerato come variabile biologica per la scelta del biomarcatore appropriato e sottolineano la necessità di personalizzare l’assistenza dei pazienti anche tenendo conto del loro sesso”.
Dolore cronico, in italia ne soffre 1 milione di persone
News PresaIl dolore cronico, che molti considerano un sintomo, è invece una vera e propria malattia. Sono circa 100mila i campani che ne soffrono e poco meno di 3mila di questi pazienti vivono la drammatica esperienza del dolore disabilitante. A svelare questi dati è stato Arturo Cuomo (Direttore Anestesia, IRCCS Pascale, Napoli) all’interno del Forum del “Progetto Relief: una lotta nelle regioni, un’emergenza per la sanità”, evento regionale tenutosi a Napoli e promosso dalla testata Italian Health Policy Brief-IHPB con il supporto non condizionato di Grünenthal Italia. Ed è proprio il primario a chiarire che «per dare risposta a questi cittadini ed ai loro bisogni è necessario avviare urgentemente sul nostro territorio la Rete regionale per la gestione del dolore cronico». A definire il dolore cronico una malattia è stata la legge 38/2010 ed è grazie a questa legge se oggi si possono tracciare i contorni di un fenomeno che appare enorme. In Italia sono infatti circa 1milione le persone colpite e 200mila di queste con dolore debilitante. Nello specifico accompagna le cefalee e le cervicali, le fibromialgie e le osteoartriti, le neuropatie centrali e periferiche, il low back pain ed i pazienti con condizioni di dolore post Covid 19. Eppure – nonostante la sua diffusione, il suo impatto socio-economico e le norme esistenti per affrontarlo – il dolore cronico è ancora sottostimato, poco percepito ed identificato come patologia, ed ancor meno curato, nonostante l’esistenza di centri Hub and Spoke dedicati. Aldo Sterpone, General Manager di Grünenthal Italia, ha sottolineato l’impegno del gruppo «a trasformare quest’area, anche a networking collaborativi a livello regionali come il Progetto Relief. Il sostegno di Grunenthal nasce da questo e ha l’obiettivo ultimo di rispondere al bisogno di salute nell’area e di migliorare la gestione del dolore cronico».
NETWORK
Purtroppo negli ultimi anni si è registrata una scarsa attenzione verso questa problematica, al punto che gli addetti ai lavori considerano ormai indispensabile dar vita con urgenza alle Reti richieste dall’accordo Stato-Regioni del luglio 2020, strumento che può assicurare una corretta clinical governance della patologia ed un’integrazione tra centri hub/spoke e territorio, connettendo tra loro le competenze e monitorando i risultati. «L’accreditamento della Rete di terapia del dolore in Campania è il nostro obiettivo come esperti multidisciplinari», dice Cuomo, che è anche membro del board nazionale Relief. E sempre Cuomo propone l’acquisizione regionale delle 5 azioni irrinunciabili messe a punto dal Progetto Relief: «creare consapevolezza socio-politica e istituzionale sulla necessità di prendere in carico i pazienti con dolore cronico; creare gli organismi di coordinamento regionale; monitorare le cure e l’equità di accesso alle stesse; fornire formazione continua per le figure professionali coinvolte; comunicazione e informazione corretta per i cittadini, per gli operatori e per i media». A questi cinque punti programmatici è giunto, dopo oltre un anno e mezzo di lavoro, il board Relief composto da esperti su scala nazionale (anestesisti, medici di medicina generale, rappresentanti di cittadini…) di cui faceva parte anche Maria Caterina Pace (professoressa Anestesiologia, Uni. Vanvitelli) che ha sottolineato come “per attivare correttamente la Rete sia necessario avviare azioni di formazione multiprofessionale assicurando pertanto la presenza diffusa di personale dedicato e formato, capace di affiancare pazienti e loro caregiver in un’azione non occasionale ma rispondente ai Livelli essenziali di Assistenza”
LA REGIONE
Durante il forum Ugo Trama (Direttore politiche del Farmaco e Interventi Socio-Asistenziali della Regione Campania), ha assicurato l’attenzione regionale, confermando che «La Regione Campania intende avvalersi dei messaggi che gli esperti del Progetto Relief hanno messo a punto, riprendendo il percorso ad oggi interrotto del Coordinamento regionale sul Dolore cronico, partito alcuni anni fa, ma poi rallentato bruscamente anche a motivo del periodo pandemico. Non intendiamo abbandonare i cittadini e i pazienti del nostro territorio: sappiamo che ci sono migliaia di persone che attendono ascolto, cure, assistenza e siamo decisi a creare le condizioni affinché la rete regionale possa prendere forma e diventare operativa anche grazie a piattaforme tecnologiche in grado di condividere tra operatori sanitari e organizzazioni i bisogni di salute».
Covid-19, biomarcatori “sesso-specifici” predicono esito malattia
Ricerca innovazioneAlcuni biomarcatori potrebbero preannunciare l’esito dell’infezione da Covid. In particolare, in modo diverso per gli uomini e per le donne, possono prevedere la gravità e la progressione della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS). Questi biomarcatori sesso-specifici sono stati identificati dai ricercatori del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’ISS in collaborazione con i colleghi dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani (INMI – IRCCS), in uno studio pubblicato su Biology of sex differences.
“E’ ormai evidente che il sesso rappresenti una variabile biologica che influenza la severità di COVID-19 e l’insorgenza della insufficienza respiratoria grave – afferma Elena Ortona, ricercatrice dell’ISS che ha coordinato il team ISS-INMI – La definizione, dunque, di biomarcatori predittivi della progressione della malattia specifici per il sesso può aiutare a monitorare meglio e quindi indirizzare correttamente il trattamento dei pazienti più a rischio”.
Nell’indagine – continua l’esperta – “abbiamo esaminato, al momento del ricovero in ospedale, i livelli plasmatici di ormoni sessuali, quali testosterone, estradiolo, ACE2 solubile (sACE2) e Angiotensina1-7 (Ang1-7) insieme ai biomarcatori noti per la COVID-19 (livelli plasmatici di D-Dimero e ferritina, numero di neutrofili e linfociti). Tenendo conto, allo stesso tempo, di una serie di altri fattori, quali la presenza di comorbidità preesistenti, la gravità della malattia respiratoria al momento dell’ammissione in ospedale e l’insorgere di un peggioramento durante la degenza”.
I biomarcatori “sesso-specifici”, lo studio
I ricercatori hanno osservato – su un totale di 160 pazienti (80 uomini e 80 donne di età comparabile) ricoverati allo Spallanzani tra marzo e settembre 2020, positivi al SARS-CoV-2 – che alcuni marcatori erano efficaci nel predire l’andamento clinico della malattia sia negli uomini che nelle donne, mentre altri mostravano un valore predittivo sesso-specifico. In particolare, i livelli plasmatici di Ang1-7 e la conta dei neutrofili predicevano l’esito dell’ARDS solo nelle femmine, mentre i livelli plasmatici di testosterone e la conta dei linfociti solo nei maschi.
Nel dettaglio, per quanto riguarda in particolare il testosterone, i suoi livelli plasmatici erano significativamente più bassi in quei pazienti maschi che hanno poi sviluppato, durante l’ospedalizzazione, una ARDS moderata/grave rispetto a quelli con ARDS lieve/non grave. Diversi studi hanno infatti dimostrato che il testosterone ha un effetto antinfiammatorio, diminuendo quelle citochine che giocano un ruolo centrale nella tempesta citochinica e nell’infiammazione che contribuisce alla ARDS. Questo spiegherebbe perché negli uomini anziani l’abbattimento del testosterone si correla con l’aumento di uno stato pro-infiammatorio. Inoltre, il testosterone diminuisce in presenza di obesità e diabete, che sono comorbidità frequentemente associate alla COVID-19.
“I nostri dati- conclude Elena Ortona– pur necessitando di validazione su una popolazione più ampia, evidenziano che il sesso dovrebbe essere considerato come variabile biologica per la scelta del biomarcatore appropriato e sottolineano la necessità di personalizzare l’assistenza dei pazienti anche tenendo conto del loro sesso”.
Violenza sulle donne: una Giornata da sola non basta. “Questione culturale”
News PresaDall’inizio del 2021 è stata uccisa una donna ogni 3 giorni. Le vittime di femminicidio in Italia sono state 109, di cui 63 per mano del partner o dell’ex, si tratta dell’8% in più rispetto all’anno precedente. E nei due anni della pandemia le situazioni critiche sono peggiorate: il 2020 è stato l’anno in cui l’incidenza della componente femminile sul totale degli omicidi è stata la più alta di sempre: il 40,6%. Guardando i dati il presidente della Camera Roberto Fico ha commentato «Siamo di fronte a un fenomeno di carattere strutturale e non emergenziale». Secondo il rapporto della commissione parlamentare d’inchiesta sulla violenza sulle donne presieduta dalla senatrice Valeria Valente che ha preso in esame 237 fascicoli processuali degli omicidi di donne avvenuti nel 2017 e 2018 soltanto il 15% delle donne uccise (circa 1 su 7) aveva denunciato l’uomo che poi le avrebbe ammazzate. L’ 85% rimanente o aveva subito in silenzio o ne aveva accennato a persone a loro vicine. Sono 89 al giorno le donne vittime di reati di genere in Italia, e nel 62% dei casi si tratta di maltrattamenti in famiglia. Secondo una ricerca demoscopica realizzata da AstraRicerche un italiano su quattro pensa che non si possa davvero considerare una forma di violenza quella sulle donne. C’è chi ha “commentato un abuso fisico subito da una donna affermando che è meno grave perché gli atteggiamenti di lei, il suo abbigliamento o aspetto comunicavano che era ‘disponibile‘ “; a pensarlo sono in maggioranza gli uomini (30%), ma anche la percentuale delle donne è significativa (20%). La ricerca, realizzata su un campione rappresentativo di mille italiani, è stata presentata in Senato. Circa 3 persone su dieci, secondo la ricerca, non considerano violenza “Dare uno schiaffo alla partner se lei ha flirtato con un altro”; tra le donne, ne è convinto il 20%, mentre la percentuale sale al 40% per gli uomini. Ancora, un italiano su tre non considera violenza forzare la partner a un rapporto sessuale se lei non ne ha voglia; lo pensano circa quattro uomini e tre donne su dieci. “Numeri – commentano gli stessi estensori della ricerca – che raccontano di un’Italia patriarcale, in cui c’è ancora tanto da fare in termini di informazione e sensibilizzazione. Una questione culturale che non è appannaggio dei soli uomini, ma che riguarda anche le donne“.
Violenza delle donne. Numeri in Europa
In tutta Europa, nel 2019, secondo i dati Eurostat, sono state uccise 1.421 donne, una ogni quattro giorni, una ogni sei ore: 285 in Francia, 276 in Germania, 126 in Spagna e 111 nel nostro Paese. Le donne sono la stragrande maggioranza delle vittime delle violenze di genere, cioè tutti gli abusi, che siano psicologici, fisici o sessuali che riguardano tutte le persone discriminate in base al genere. Rientrano, quindi, in questa forma di violenza anche i reati persecutori come lo stalking, le molestie, le aggressioni, lo stupro e il femminicidio. Come precisa la convenzione di Istambul, l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato. Esistono forme di violenza che solo le donne subiscono (aborto forzato, mutilazione genitale femminile), o che le donne sperimentano molto più spesso degli uomini (violenza sessuale e stupro, stalking, molestie sessuali, violenza domestica, matrimonio forzato, sterilizzazione forzata).
Ad oggi in Italia – dopo il blocco del disegno legge San – non esiste una legge che inasprisca le pene per chi commette atti discriminatori o violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, o sull’identità di genere, come richiede la convenzione di Istambul ratificata anche dal nostro Paese.
Epatologia, l’esempio virtuoso della Campania
News Presa«Le attuali terapie per l’epatite C stanno contribuendo in modo molto efficace all’aumento della sopravvivenza dei pazienti affetti dall’infezione – dice Claar -, ma nonostante la straordinaria efficacia dei farmaci antivirali ad azione diretta (DAA) si stima che il pool di pazienti affetti da HCV si esaurirà non prima del 2030. Abbiamo ancora un alto carico di infezione senza diagnosi e senza trattamento».
IL NETWORK
PDTA
Chirurgia e oncologia, quanti passi avanti
News PresaLa chirurgia moderna è orientata verso l’eradicazione del cancro, conservando l’organo colpito e la sua funzione, per quanto possibile. Il motivo è chiaro: ottenere una riduzione degli effetti collaterali, preservare una migliore qualità della vita dopo l’intervento chirurgico. E questo accade ancora di più in alcuni settori specialistici. A chiarirlo è Roberto Sanseverino, direttore del dipartimento di Chirurgia generale e urologia dell’Asl di Salerno, che presenta la sua esperienza clinica e sottolinea: «Le principali neoplasie urologiche rappresentano un esempio molto chiaro di questa evoluzione nelle cure», grazie all’introduzione di procedure e tecnologie sempre più avanzate e sofisticate che consentono di ottenere risultati molto soddisfacenti. I numeri parlano chiaro. Tant’è che il trattamento chirurgico mininvasivo nelle neoplasie prostatiche oggi è diventato di routine e soltanto l’equipe di urologi diretta da Sanseverino ha di recente superato i 500 interventi di prostatectomia radicale laparoscopica, imponendosi come uno dei centri con un maggiore volume di attività a livello regionale, in tutta la Campania, in questo ambito particolarmente delicato. Si tratta di procedure chirurgiche che utilizzano sistemi hi-tech, con colonne laparoscopiche ad altissima definizione che consentono la riproduzione delle immagini in 3D, dotate di un braccio robotico a comando vocale, sistemi avanzati di sezione e sintesi dei tessuti.
TERAPIA FOCALE
Sempre con l’obiettivo di riuscire a conservare l’organo, nel reparto diretto da Sanseverino sta per partire un programma di Terapia focale del carcinoma prostatico: prevede che la ghiandola prostatica non venga rimossa nella sua interezza. Si provvede alla distruzione, in maniera selettiva, solo di quei focolai in cui si annida il tumore. Così nel trattamento delle neoplasie renali. La chirurgia conservativa con la rimozione del tumore e la preservazione della funzione renale oggi rappresentano un approccio terapeutico considerato più adeguato per lesioni fino a sette centimetri di diametro. Questo limite può essere spinto anche oltre in caso di insufficienza renale cronica, rene unico o neoplasie bilaterali. Risultati? L’equipe del Sanseverino ha realizzato circa 300 interventi di questo tipo, in più della metà dei casi eseguiti in chirurgia laparoscopica mininvasiva. Più complesso è, invece, l’approccio conservativo nei tumori vescicali, muscolo-invasivi e della via escretrice superiore, perché queste neoplasie sono spesso multifocali e ad elevata aggressività biologica, sono gravate da un alto tasso di recidiva e di progressione di malattia con esito spesso infausto. In questo settore si ottengono risultati incoraggianti con l’uso sinergico e coordinato di metodiche terapeutiche alternative, combinando in pratica chirurgia, radioterapia e chemioterapia. Ma, su tutto, resta cruciale la scelta corretta del paziente candidato alla conservazione d’organo. Ed è di fondamentale ripetere l’importanza degli screening oncologico, al fine di effettuare diagnosi sempre più precoci, che possano consentire la rapida programmazione di un’operazione chirurgica e quindi una qualità della vita post intervento sempre migliore.
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Disturbi depressivi e ansia post-covid, al via la survey “Serendipity”
News PresaLo tsunami emotivo subito a livello mondiale fa temere una ‘coda lunga’ di disagi a causa dello stress cronico, l’incertezza, ricadute di disturbi preesistenti, ansia e fattori scatenanti di tipo ambientale. Una metanalisi di Lancet ha contato un surplus di casi di disturbi depressivi e 76 milioni di casi
di disturbi d’ansia (52 milioni dei quali nelle donne). La metanalisi ha analizzato 48 studi relativi ai disturbi in 204 paesi del mondo riscontrando il bisogno di un aumento della domanda di assistenza che deve portare ad un rafforzamento dei servizi per rispondere alla domanda ed effettuare delle politiche di prevenzione. Lockdown più prolungati e restrittivi e chiusura delle scuole prolungata sono i fattori che hanno avuto importanti ricadute psichiche su bambini e adolescenti, su adulti e anziani. È quindi emersa, da parte di alcuni clinici, la necessità di una mappatura sistematica delle problematiche emerse, tra cui gli effetti a lungo termine del Sistema Nervoso Centrale (SNC), a seguito della pandemia. Calcolare il burden of disease (carico) della salute mentale e identificare le strategie operative e organizzative per il prossimo futuro sono gli obiettivi del board di esperti che si è riunito a Roma per la prima fase del progetto “SERENDIPITY – Osservare e scoprire la nuova realtà tra pandemia e sindemia”. Il progetto, realizzato con la collaborazione di Viatris, vuole verificare quanto l’impatto della pandemia in Italia abbia avuto le stesse ricadute del resto del mondo.
Serendipity vuole realizzare una fotografia dell’Italia, per genere ed età, su passato e su presente, individuando non solo quali siano state le ricadute sulla popolazione, ma soprattutto quale sarà lo scenario futuro e quali soluzioni potrebbero essere messe in campo per supportare il Sistema Sanitario Nazionale (SSN). Il board che riunisce quattro Psichiatri, un Neurologo e un Medico di Medicina Generale/Geriatra ha il compito di mettere a punto gli argomenti di questa ampia survey italiana sugli effetti della pandemia sulla salute mentale e di analizzarne i risultati.
La survey, curata da Ethos con la collaborazione del Dipartimento di Statistica e Demografia dell’Università La Sapienza di Roma, facoltà di Economia, servirà a misurare l’incidenza dei disturbi emersi come effetto dello stress dato dalla pandemia e dal lockdown, analizzare le caratteristiche della sindrome Long Covid, e valutare le conseguenze della mancata assistenza e della perdita di aderenza.
I risultati della survey su circa 1200 specialisti psichiatri, neuropsichiatri infantili, neurologi, MMG e pediatri saranno oggetto di una pubblicazione scientifica a cura del Board (Prof. Mario Amore di Genova – Prof. Sergio De Filippis di Roma – Dott. Silvestro La Pia di Napoli – Prof. Andrea Fagiolini di Siena – Dott. Alessandro Pirani di Cento (Fe) – Prof. Riccardo Torta di Torino).
Alimentazione e psicologi nella lotta al tumore
News PresaUna sana alimentazione e un percorso psicologico che aiuti i pazienti a sostenere lo stress emotivo legato alla malattia. Sono questi due aspetti di fondamentale importanza nel percorso di presa in carico realizzato nell’Unità Operativa Complessa di Oncologia dell’ospedale Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli, diretto dal professor Gaetano Facchini. Quando si combatte una malattia oncologica è essenziale poter contare sul supporto di figure altamente specializzate, ma soprattutto su una presa in carico globale che metta il paziente, e le sue esigenze, al centro. Di qui il desiderio di raccontare una realtà virtuosa, che ha fatto dell’eccellenza il proprio obiettivo primario. In un’Unità Operativa Complessa di Oncologia, lo psicologo gioca un ruolo fondamentale già dalla prima accoglienza. All’interno del day hospital di Oncologia dell’Ospedale Santa Maria delle Grazie sono presenti due psicologi-psicoterapeuti: il dottor Stefano De Simone e la dottoressa Ermelinda Quarata. Sono loro ad occuparsi della presa in carico dei pazienti e se necessario dei suoi familiari. Lo psicologo attiva infatti una serie di interventi di sostegno che servono ad aiutare e supportare il paziente e il caregiver nella gestione dell’impatto emotivo della malattia e dei trattamenti, contribuendo a migliorare il benessere e la qualità di vita. Per questo è importante che il paziente incontri lo psicologo sin dalla fase della diagnosi.
STRESS
Chi riceve una diagnosi di tumore deve gestire livelli molto elevati di stress e lo psicologo, attraverso il colloquio clinico e le diverse tecniche di rilassamento, fa in modo che il paziente stesso possa fronteggiare al meglio il proprio vissuto. L’obiettivo è quello di promuovere nel paziente l’adattamento alle cure, stimolando l’attivazione delle risorse interne e limitando così l’insorgenza di un disagio psicologico legato alla malattia. Poi, come detto, oltre all’aspetto psicologico, centrale è il supporto ad una corretta alimentazione; ad occuparsene sono il dottor Emilio Sardo e il dottor Mario Coco. In campo oncologico sono sempre più numerose le evidenze che attestano l’importanza del nuovo ruolo della scienza dell’alimentazione, sia per la prevenzione, sia nel percorso di malattia. Chi ha ricevuto una diagnosi oncologica può avere grandi vantaggi e benefici da un diverso e più salutare stile di vita e da un’alimentazione personalizzata. Basti pensare al miglioramento straordinario della qualità di vita che si può ottenere in pazienti che hanno difficoltà alla deglutizione per tumori della testa e del collo, oppure in quelli operati per tumore dell’apparato gastroenterico, in particolare se costretti alla ileo colostomia. Ma in realtà grazie ad una corretta alimentazione si ha un miglioramento del benessere psicofisico in tutte le forme neoplastiche. «Siamo convinti che la presa in carico globale di un paziente affetto da una malattia oncologica – spiega il professor Gaetano Facchini – sia indispensabile per gestire al meglio la patologia. Affrontare un tumore significa considerare ogni aspetto della malattia ed è attorno a questo concetto che ruota tutta l’organizzazione della nostra Unità Operativa Complessa. Questo è il mandato che abbiamo avuto dal nostro direttore generale Antonio D’Amore, questo è l’obiettivo che perseguiamo con passione».
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Disfunzione erettile: L’ansia da contagio in una stanza da letto
News PresaDisfunzione erettile
L’infezione da Covid19 ha modificato gli stili di vita e le abitudini di tutti, entrando di prepotenza persino nelle camere da letto degli italiani, con pesanti ripercussioni sulle relazioni personali e nella sessualità di coppia. Molti studi scientifici, fra cui uno dei più importanti condotto dall’Università di Perugia, hanno dimostrato che la pandemia ha influito molto sulla vita sessuale delle coppie e sulla capacità di interagire fra i sessi. Nel mio ambulatorio, ad esempio, registro moltissimi accessi per problemi di disfunzione erettile e credo sia importante fare su questo tema un po’ di chiarezza». A parlare è Fabrizio Iacono, andrologo e urologo, oltre che professore associato alla Federico II di Napoli. «Le cause di questo disturbo – aggiunge – si possono ricondurre a tre “macro problematiche”: cause vascolari, endocrine o psicogene. Purtroppo, la pandemia ha accentuato problematiche di relazione come il disagio, la frustrazione, l’ansia da contagio che nei soggetti più sensibili è esacerbata con l’insorgenza della disfunzione erettile. Inoltre, vi sono alcuni studi ancora in corso che dimostrano come l’infezione da coronavirus possa ledere le pareti dell’endotelio vascolare, creando delle lesioni ed interrompendo l’integrità dei capillari arteriosi che costituiscono le “strade” più importanti all’interno del pene per veicolare ossigeno e far funzionare il meccanismo dell’erezione».
ONDE D’URTO
Un quadro molto complesso, ma anche ricco di possibili soluzioni non invasive né dolorose. Iacono spiega che una delle strategie più affermate in ambito medico è costituita dall’utilizzo di onde d’urto a bassa intensità. Si tratta, semplificando un po’ di impulsi della durata di circa 5 microsecondi. «Questo meccanismo agisce in due modi – chiarisce il chirurgo – provoca un danno meccanico diretto creato dall’onda stessa e crea un meccanismo di rigonfiamento e successivo collasso delle bolle all’interno dei vasi sanguigni. Vengono coinvolti prima i capillari, cioè i vasi di diametro minore, e poi i vasi più grandi. A causa della formazione e della successiva rottura di queste microbolle, all’interno dei capillari si provoca un danno all’endotelio con associato uno stress vascolare. Mmicrotraumi del tutto innocui che innescano un richiamo di cellule progenitrici e di fattori di crescita che stimolano la neoangiogenesi con la formazione di nuovi vasi sanguigni». Una tecnica che “inganna” per certi versi il nostro organismo spingendolo ad rigenerarsi. Basta di norma una seduta a settimana per 8 -10 settimane e i risultati, dicono gli addetti ai lavori, eccellenti. «In circa 7 pazienti su 10 l’erezione migliora in modo permanente a distanza di mesi o anni dalla fine del trattamento. È possibile anche associare complessi fitoterapici che stimolano la funzionalità erettile tramite meccanismi neurotrasmettitoriali, mimano l’azione del testosterone e hanno spiccate capacità antiossidanti». Questi trattamenti fisici permettono di eseguire quella che il professor Iacono definisce una terapia “tailored”, basata cioè sulle caratteristiche cliniche di ciascun paziente. Resta però un appello che il professore rivolge agli uomini: «Non abbandonate la prevenzione, che può essere determinate anche per individuare precocemente il carcinoma della prostata. Come per l’auto, tutti abbiamo bisogno di fare un “tagliando” del nostro apparato urogenitale e dormire così sonni tranquilli».
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Suicidio assistito: paziente ottiene il primo via libera in Italia
Associazioni pazientiIl comitato etico dell’Asl delle Marche (Asur) ha attestato che un uomo possiede i requisiti per l’accesso legale al suicidio assistito. Si tratta del primo malato in Italia a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito, dopo la sentenza ‘Cappato-Dj Fabo’ emessa dalla Corte Costituzionale. Il via libera è arrivato dopo due diffide legali all’Asur e l’aiuto offerto dall’ associazione Luca Coscioni.
“Il Comitato Etico ha riscontrato che “Mario” (nome di fantasia) rientra nelle condizioni stabilite dalla Consulta per l’accesso al suicidio assistito, per la prima volta in Italia – scrive l’associazione. Restano da individuare ora le modalità di attuazione”. Mario dopo aver letto il parere ha commentato: “mi sento più leggero, mi sono svuotato di tutta la tensione accumulata in questi anni”.
L’uomo di 43 anni è paralizzato dalle spalle ai piedi da 11 anni a causa di un incidente stradale in auto. Ha chiesto da oltre un anno all’azienda ospedaliera locale che fossero verificate le sue condizioni di salute per poter accedere, legalmente in Italia, ad un farmaco letale per porre fine alle sue sofferenze. Questo l’inizio dell’iter previsto in applicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019 che indica le condizioni di non punibilità dell’aiuto al suicidio assistito. Dopo il diniego dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche (ASUR), una prima e una seconda decisione definitiva del Tribunale di Ancona, due diffide legali all’ASUR Marche, l’uomo ha finalmente ottenuto il parere del Comitato etico, che a seguito di verifica delle sue condizioni tramite un gruppo di medici specialisti nominati dall’ASUR Marche, ha confermato i requisiti per l’accesso legale al suicidio assistito.
Covid mira al cervello: 70% dei pazienti ha sindrome neurologica post-malattia
Ricerca innovazioneIl cervello è tra i ‘bersagli’ principali del virus SarsCov2. Durante la prima fase dell’infezione i sintomi principali del virus sono soprattutto respiratori e metabolici, ma dopo la fase acuta diventano neurologici. Lo dimostrano i dati dello studio COVID Next dell’Università di Brescia e dell’Istituto Neurologico Besta di Milano, pubblicati sulla rivista Neurological Sciences e discussi durante il primo Webinar del web forum internazionale ‘Pills of Psychiatry and Neurology 2021′ organizzato dall’Università di Brescia e dalla Fondazione Internazionale Menarini.
Fino ad oggi già numerosi studi hanno dimostrato come la sindrome neurologica post-Covid possa riguardare fino al 70% dei pazienti che hanno avuto sintomi medio-gravi. I dati di oggi vanno a confermare l’eredità del covid che va dai disturbi di memoria e concentrazione, a quelli del sonno e dell’umore.
Covid: dai disturbi di memoria all’umore, le ripercussioni sul cervello
Le difficoltà neurologiche post-Covid potrebbero dipendere anche da alterazioni della morfologia cerebrale, poiché è frequente che i pazienti contagiati vadano incontro a una riduzione volumetrica in aree chiave del cervello per effetto del virus. Tuttavia anche la mancanza di interazioni sociali a causa delle restrizioni, ha comportato una riduzione della materia grigia in particolare su giovani e anziani, con un aumento per gli uni della possibilità di sviluppare dipendenze e per gli altri di accelerare il deterioramento cognitivo. I numeri dello studio COVID Next provengono da 165 pazienti ricoverati con Covid di gravità medio-alta e mostrano che mentre i sintomi respiratori e metabolici hanno un picco durante la degenza e tendono a ridursi fino a stabilizzarsi una volta usciti dall’ospedale, i disturbi neurologici e psichiatrici hanno un andamento opposto e iniziano ad aumentare una volta superata la fase acuta dell’infezione. La gravità del Covid incide almeno in parte sul rischio di sviluppare questi disturbi: fino al 70% dei pazienti con malattia di livello medio grave riferisce sintomi neurologici a 6 mesi di distanza, fra cui stanchezza cronica (34%), disturbi di memoria/concentrazione (32%), del sonno (31%), dolori muscolari (30%) e depressione e ansia (27%). Tuttavia questi sintomi stanno comparendo spesso anche nei pazienti che hanno avuto un decorso di grado lieve della malattia.