Tempo di lettura: 4 minutiNel 2020 almeno 310.000 bambini sono stati contagiati dall’HIV, ovvero un bambino ogni due minuti. Altri 120.000 bambini sono morti per cause legate all’AIDS durante lo stesso periodo, un bambino ogni cinque minuti. Due bambini su 5 che vivono con l’HIV in tutto il mondo non conoscono il loro stato. Poco più della metà dei bambini con l’HIV sta ricevendo un trattamento antiretrovirale (ART). Circa l’88% delle morti di bambini legate all’AIDS sono avvenute nell’Africa sub-sahariana. La pandemia prolungata da COVID-19 ha aggravato ulteriormente le disuguaglianze che hanno a lungo guidato l’epidemia di HIV. Sono questi i dati del nuovo rapporto dell’UNICEF diffuso in occasione della Giornata Mondiale di lotta contro l’AIDS, oggi primo dicembre.
AIDS nel mondo. I dati sui minori
L’ultima analisi globale su HIV e AIDS – “HIV and AIDS Global Snapshot” – avverte che la pandemia prolungata da COVID-19 sta aggravando le disuguaglianze che hanno a lungo guidato l’epidemia di HIV, esponendo i bambini vulnerabili, gli adolescenti, le donne in stato di gravidanza e le madri che allattano a un rischio maggiore di perdere i servizi salvavita di prevenzione e trattamento dell’HIV.
Ulteriori dati del 2020 inclusi nel rapporto:
- 160.000 bambini di età compresa tra 0 e 9 anni hanno contratto l’HIV, portando il numero totale di bambini in questa fascia di età che vivono con l’HIV a 1,03 milioni.
- 150.000 adolescenti tra i 10 e i 19 anni hanno contratto l’HIV, portando il numero totale di adolescenti che vivono con l’HIV a 1,75 milioni.
- 120.000 ragazze adolescenti hanno contratto l’HIV, rispetto ai 35.000 ragazzi adolescenti.
- 120.000 bambini e adolescenti sono morti per cause legate all’AIDS; 86.000 da 0 a 9 anni e 32.000 da 10 a 19 anni.
- In Africa orientale e meridionale, i nuovi contagi annuali tra gli adolescenti sono diminuiti del 41% dal 2010, mentre in Medio Oriente e Nord Africa i contagi sono aumentati del 4% nello stesso periodo.
- 15,4 milioni di bambini hanno perso uno o entrambi i genitori per cause legate all’AIDS l’anno scorso. Tre quarti di questi bambini, 11,5 milioni, vivono in Africa sub-sahariana. I bambini rimasti orfani a causa dell’AIDS rappresentano il 10% di tutti gli orfani del mondo, ma il 35% di tutti gli orfani vive nell’Africa subsahariana.
“L’epidemia di HIV entra nel suo quinto decennio nel contesto di una pandemia globale che ha sovraccaricato i sistemi sanitari e limitato l’accesso ai servizi salvavita. Nel frattempo, la crescente povertà, i problemi di salute mentale e gli abusi stanno aumentando il rischio di contagio per i bambini e le donne”, ha detto il Direttore generale dell’UNICEF Henrietta Fore. “A meno che non intensifichiamo gli sforzi per risolvere le disuguaglianze che guidano l’epidemia di HIV, che sono ora esacerbate dal COVID-19, rischiamo di vedere più bambini contagiati dall’HIV e più bambini che perdono la loro lotta contro l’AIDS”.
È allarmante che 2 bambini su 5 che vivono con l’HIV in tutto il mondo non conoscano il loro stato, e che poco più della metà dei bambini con l’HIV stia ricevendo un trattamento antiretrovirale (ART). Alcune barriere all’accesso adeguato ai servizi per l’HIV sono durature e familiari, tra cui la discriminazione e le disuguaglianze di genere.
Il rapporto evidenzia che molti paesi hanno subito interruzioni significative nei servizi per l’HIV a causa del COVID-19 all’inizio del 2020. I test dell’HIV per i neonati nei paesi ad alto impatto sono diminuiti dal 50 al 70%, con l’inizio di un nuovo trattamento per i bambini sotto i 14 anni che è diminuito dal 25 al 50%. I blocchi hanno contribuito ad aumentare i tassi di contagio a causa dei picchi di violenza di genere, dell’accesso limitato alle cure di follow-up e della mancanza di prodotti chiave. Diversi paesi hanno anche subito riduzioni sostanziali nelle consegne nelle strutture sanitarie, nei test HIV materni e nell’inizio del trattamento antiretrovirale dell’HIV. In un esempio estremo, la copertura della terapia antiretrovirale tra le donne in stato di gravidanza è scesa drasticamente nell’Asia meridionale nel 2020, dal 71% al 56%.
Anche se la fruizione dei servizi è ripresa nel giugno 2020, i livelli di copertura rimangono molto al di sotto di quelli precedenti al COVID-19, e la vera portata dell’impatto rimane sconosciuta. Inoltre, nelle regioni fortemente colpite dall’HIV, una pandemia prolungata potrebbe interrompere ulteriormente i servizi sanitari e ampliare i divari nella risposta globale all’HIV, avverte il rapporto.
Nel 2020, in Africa sub-sahariana si è registrato l’89% dei nuovi contagi pediatrici da HIV e l’88% dei bambini e degli adolescenti che vivono con l’HIV in tutto il mondo, con le ragazze adolescenti che hanno sei volte maggiori probabilità di essere contagiate dall’HIV rispetto ai ragazzi. Circa l’88% delle morti di bambini legate all’AIDS sono avvenute nell’Africa sub-sahariana.
Secondo il rapporto, nonostante alcuni progressi nella lotta contro l’HIV e l’AIDS, nell’ultimo decennio i bambini e gli adolescenti hanno continuato a rimanere indietro in tutte le regioni. La copertura della terapia antiretrovirale globale per i bambini è molto indietro rispetto a quella delle madri in gravidanza (85%) e degli adulti (74%). La percentuale più alta di bambini che ricevono il trattamento antiretrovirale si registra in Asia meridionale (>95%), seguita da Medio Oriente e Nord Africa (77%), Asia orientale e Pacifico (59%), Africa orientale e meridionale (57%), America Latina e Caraibi (51%) e Africa occidentale e centrale (36%).
“La ricostruzione migliore in un mondo post-pandemico deve includere risposte all’HIV che siano basate sui dati, incentrate sulle persone, resilienti, sostenibili e, soprattutto, eque”, ha dichiarato Fore. “Per colmare le lacune, queste iniziative devono essere fornite attraverso un sistema sanitario rafforzato e un impegno significativo di tutte le comunità colpite, specialmente le più vulnerabili”.
Attività fisica e longevità, ecco cosa c’è da sapere
Alimentazione, SportTutti sanno che praticare attività fisica aiuta il nostro organismo a mantenersi giovane, ma quali sono i meccanismi alla base di questo principio? A svelarli è una revisione di studi che ne ha individuato uno in particolare, responsabile della capacità dell’attività fisica di allungare la durata della vita in buona salute. In particolare, un gruppo di ricercatori dell’Università di Miami, della Wellness Foundation e dell’Università Tor Vergata di Roma ha individuato gli interruttori della longevità sana che l’attività fisica andrebbe ad accendere. Si tratta dei cosiddetti geni SIRT responsabili della produzione di proteine, chiamate appunto sirtuine (ne esistono in totale 7) che avrebbero effetti sorprendenti sulla durata e sulla qualità della vita. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Journal of Physical Medicine and Rehabilitation, mostrano anche che a diversi tipi di sport equivale una produzione spontanea di diverse tipologie di sirtuine: ad esempio l’attività aerobica moderata stimola la produzione di SIRT3, mentre attività di allenamento intensivo stimola la produzione di SIRT1, gli atleti professionisti, ad esempio, stimolano, grazie alla loro intensa attività fisica, sia SIRT1 che SIRT3. Tuttavia, purtroppo, questi tipi di effetti diminuiscono di intensità con il passare del tempo, si è dimostrato infatti che nei topi più anziani, a parità di intensità e durata dell’allenamento con esemplari più giovani, l’espressione di SIRT1 e SIRT3 è molto meno accentuata.
INTEGRATORI
Fortunatamente è possibile attivare gli stessi interruttori, anche nei più anziani, assumendo una serie di sostanze naturali e puntando sul ruolo delle “sirtuine”, che si producono normalmente con l’esercizio fisico incidendo positivamente su condizioni croniche come la sindrome metabolica, l’obesità, l’insulino-resistenza e diabete di tipo 2, nonché sul miglioramento della longevità e sull’invecchiamento sano. «La produzione di sirtuine tende a diminuire dopo i 35 anni di età e inizia proprio a decrescere intorno i 60 anni di età”, dice Silvano Zanuso, direttore del Dipartimento Medico e Scientifico di Technogym e tra gli autori dello studio. La buona notizia è che la loro produzione può essere stimolata da specifiche strategie alimentari, da integratori naturali e dall’esercizio fisico”, sottolinea Zanuso. Le sirtuine possono infatti essere attivate da diete che prevedono una rigida restrizione calorica, ma possono essere anche stimolate mediante l’esercizio fisico e composti naturali estratti da piante che si trovano principalmente nei paesi asiatici, come l’insieme di Pterostilbene, Polidatina, Acido Ellagico e Onochiolo».
Farmaci ed equità di accesso alle cure, il lavoro della Regione Campania
Economia sanitaria, News PresaIl tema dei pazienti con elevati livelli di colesterolo e del correlato aumento del rischio cardiovascolare non può essere discusso senza tenere in considerazione anche tutto ciò che è legato all’impiego di nuovi farmaci. UgoTrama, dirigente responsabile dell’U.O.D. del farmaco e dispositivi della Regione Campania, spiega che «con DGR n. 130 del 31.03.21, sono state definite le nuove procedure operative di funzionamento e i criteri decisionali adottati dal Tavolo Tecnico Regionale di Lavoro sui farmaci e i Dispositivi Medici.
Ugo Trama
Le richieste di valutazione per l’inserimento di farmaci e dispositivi nel Prontuario Terapeutico Regionale, fatti salvi quei farmaci ad accesso diretto, ossia farmaci con requisito di innovatività, A-PHT, malattie rare, HIV, sottoposti a registro AIFA (Web-Monitoraggio-Appropriatezza Prescrittiva), sono inviate dalle Aziende Farmaceutiche o dalle Aziende Sanitarie Regionali attraverso le Commissioni/Tavoli di lavoro (PTO/PTA) presenti presso le singole Aziende Sanitarie con apposito modulo regionale». Trama chiarisce anche che l’adozione di un unico Prontuario Terapeutico Regionale (PTR) che consiste in un elenco di principi attivi farmacologici e dispositivi classificati secondo la nomenclatura ATC (Anatomica Terapeutica Chimica) e CND (Classificazione Nazionale dei Dispositivi medici), è vincolante e valido per tutte le Aziende del Servizio Sanitario Regionale, al fine di garantire l’uniformità e l’equità di accesso alle cure in modo capillare su tutto il territorio regionale. Ma qual è il ruolo del farmaco nel ridurre eventi cuti che generano costi molto alti per la sanità regionale? «Il Tavolo Tecnico Regionale di Lavoro sui farmaci e Dispositivi Medici collabora con la Centrale di acquisto e committenza SoReSa per la predisposizione della programmazione e delle procedure ad hoc per Farmaci, Dispositivi Medici e le Attrezzature ad alta specialità (sia comuni che quelli impiegati in emergenza/urgenza) coordinandosi con professionalità esperte in materia. Infatti, la Regione Campania opera con l’ausilio team multisciplinari per la definizione di percorsi terapeutico assistenziali che contemplino ogni aspetto dei farmaci e dei dispositivi, quali “sentinelle” della gestione della sostenibilità Servizio Sanitario Nazionale nell’ambito delle azioni di governance sanitaria».
Malattie neurosviluppo: infezioni in gravidanza aumentano rischio
News PresaGli studi hanno dimostrato una chiara associazione tra infezioni durante lo stato di gravidanza e più alto rischio di malattie del neurosviluppo, quali autismo, schizofrenia ed epilessia nei bambini. La connessione tra i due fenomeni è ora stata analizzata in uno studio pubblicato su Immunity(Cell Press), condotto da Humanitas University in collaborazione con l’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In) e l’Università di Montreal e con il Politecnico Federale di Zurigo.
Malattie del neurosviluppo, lo studio
“È noto che l’attivazione del sistema immunitario materno a seguito di infezioni determina un processo infiammatorio che porta alla liberazione di moltissime molecole cruciali per la giusta risposta immunitaria. Il nostro gruppo di ricerca, utilizzando un particolare modello preclinico di infiammazione prenatale in stadi tardivi di gravidanza, ha dimostrato che l’aumento della citochina pro-infiammatoria IL-6 (una molecola dell’infiammazione) potrebbe essere responsabile degli effetti sul neurosviluppo a lungo termine sui nascituri”, spiega il dottor Davide Pozzi, ricercatore di Humanitas University.
“In particolare, abbiamo dimostrato che questa citochina agisce direttamente sui neuroni in via di sviluppo del feto: essa induce un aumento della formazione delle sinapsi, i siti di contatto tra neuroni che permettono il trasferimento dell’informazione nel cervello, determinando una modificazione delle connessioni neuronali in diverse zone del cervello”, prosegue il dottor Pozzi.
Lo studio ha anche fatto luce sui processi molecolari attivati da IL-6 nei neuroni, consentendo di identificare il ruolo chiave di un gene neuronale coinvolto in pazienti affetti da schizofrenia, supportando così la teoria del legame tra alti livelli materni di IL-6 e rischio di malattie del neurosviluppo.
Prospettive di cura e il peso del COVID
“Alcuni tipi di infezioni contratte durante la gravidanza possono costituire parte dei meccanismi patogenetici di base all’origine di disturbi del neurosviluppo le cui cause sono ancora poco chiare. Il nostro studio permetterà di identificare nuovi bersagli terapeutici per lo sviluppo di farmaci per la prevenzione di queste patologie”, spiega la professoressa Michela Matteoli, docente di Farmacologia di Humanitas University e direttrice del Cnr-In.
“Tale scoperta, inoltre, è di particolare interesse in questo periodo di pandemia da COVID-19 poiché l’agente virale SARS-CoV-2 determina una cascata di citochimica in cui la molecola IL-6 sembra giocare un ruolo chiave nel processo infiammatorio scatenato dal virus. Sebbene finora i dati abbiano evidenziato che infezioni da COVID-19 non influiscono negativamente sulla progressione della gravidanza e sulla salute dei neonati, questo resta un campo di indagine aperto. Negli Stati Uniti, il National Institutes of Health (l’NIH) ha iniziato uno studio di follow-up di quattro anni sui potenziali effetti a lungo termine di COVID-19 sulle donne colpite da COVID-19 durante la gravidanza. Lo studio seguirà anche i loro bambini per verificare eventuali potenziali effetti a lungo termine”, conclude la professoressa Matteoli.
Vaccino Pfizer, via libera dall’AIFA per i bimbi 5-11 anni. Le modalità
News PresaL’AIFA dà il via libera alla vaccinazione anti-Covid per la fascia pediatrica dei bambini tra 5 e 11 anni. Avverrà con due dosi del vaccino Pfizer, in formulazione specifica e un terzo del dosaggio, a tre settimane di distanza. Il parere arriva dopo l’ok, lo scorso 25 novembre, dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema). I dati disponibili “dimostrano un elevato livello di efficacia e non si evidenziano al momento segnali di allerta in termini di sicurezza”, ha spiegato la Commissione tecnico scientifica (Cts) dell’Agenzia italiana del farmaco.
Vaccino Comirnaty (Pfizer) per la fascia di età 5-11 anni
La CTS raccomanda, per i bimbi 5-11 anni, l’uso esclusivo della formulazione pediatrica ad hoc suggerendo, quando possibile, l’adozione di percorsi vaccinali adeguati all’età, al fine di evitare possibili errori di somministrazione. Nel parere si legge: “sebbene l’infezione da SARS-CoV-2 sia sicuramente più benigna nei bambini, in alcuni casi essa può essere associata a conseguenze gravi, come il rischio di sviluppare la sindrome infiammatoria multisistemica (MIS-c), che può richiedere anche il ricovero in terapia intensiva”. “La vaccinazione comporta benefici quali la possibilità di frequentare la scuola e condurre una vita sociale connotata da elementi ricreativi ed educativi che sono particolarmente importanti per lo sviluppo psichico e della personalità in questa fascia di età”.
Per evitare che scatti la Dad, verranno aumentati anche i test: per gli studenti saranno, infatti, disponibili 11 laboratori di biologia molecolare della Difesa in 8 regioni che processeranno i i tamponi molecolari effettuati a domicilio da team mobili militari. Lo ha annunciato il commissario per l’Emergenza Francesco Figliuolo. Saranno, inoltre, a disposizione due laboratori mobili dopo la richiesta di palazzo Chigi di elaborare il piano per lo screening nelle scuole. Team e laboratori sono stati messi a disposizione dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini e saranno coordinati dal Comando operativo di vertice interforze (Covi).
Nel Lazio verranno allestiti 78 mini-hub, in tutte le Asl, dedicati alla vaccinazione degli under 12 . Ci saranno pediatri, medici, infermieri e anche ‘clown’ per mettere a loro agio i più piccoli. Per le famiglie saranno disponibili pillole informative on-line sotto la supervisione dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù e delle Società scientifiche.
Covid, aumentano i ricoveri tra i non vaccinati
News PresaUn trend di ricoveri Covid in progressiva crescita e accelerazione. Sono i dati che arrivano dagli ospedali sentinella di Fiaso, che nell’ultima settimana registrano un numero dei pazienti ospedalizzati in aumentato del 16%. In tutto sono 810 i pazienti monitorati dallo studio Fiaso contro i 697 del 23 novembre. L’incremento sembra anche accelerare rispetto all’ultima rilevazione quando il tasso di crescita era stato leggermente inferiore, pari all’11%. Parzialmente differenti i dati relativi alle terapie intensive, in cui i pazienti crescono a un ritmo inferiore. I ricoveri in Rianimazione fanno registrare un aumento di sole 7 unità, pari al 9%, e si tratta esclusivamente di non vaccinati: nelle terapie intensive aumentano del 17% i pazienti non vaccinati mentre diminuiscono del 10% i vaccinati. La diminuzione dei vaccinati nelle intensive, nonostante l’aumento complessivo dei ricoverati, è un segnale positivo circa la protezione del vaccino dalle forme gravi.
NO VAX
A conferma delle precedenti rilevazioni, l’età media risulta decisamente più bassa tra i non vaccinati: i pazienti positivi al Covid che finiscono in ospedale senza aver ricevuto nemmeno una dose di vaccino hanno in media 63,4 anni a differenza dei vaccinati che hanno 74,7 anni. La presenza di patologie pregresse, inoltre, continua a essere più alta tra chi è stato vaccinato: fra i vaccinati i pazienti con comorbidità sono il 71% mentre fra i non vaccinati il 56%. I non vaccinati che vengono ricoverati, dunque, sono in media più giovani e godono di uno stato di salute migliore «Crescono i ricoveri di non vaccinati, diminuiscono quelli di vaccinati: i dati degli ospedali sentinella Fiaso relativi alle Terapie intensive nell’ultima settimana evidenziano come a subire le conseguenze peggiori del Covid siano essenzialmente i non vaccinati – commenta il Presidente Fiaso Giovanni Migliore -. Siamo fiduciosi che l’ampliamento della platea per la terza dose e l’ampia copertura dei fragili proteggerà i soggetti vaccinati dalle forme gravi della malattia. Occorre però intraprendere la campagna vaccinale anche tra i bambini per bloccare la circolazione del virus e per proteggere i più fragili». Il numero di pazienti Covid ricoverati è in crescita, ma i dati dimostrano che la vaccinazione e la diagnosi precoce influenzano positivamente e in modo sensibile la tipologia di pazienti che necessitano di ricovero e di cure intensive e l’esito della malattia. «È importante proseguire in questa direzione con uno sforzo congiunto di tutti gli attori del sistema – chiarisce Massimo Lombardo, Direttore generale della Asst Spedali Civili di Brescia -. Tutti gli strumenti di prevenzione, tra cui anche l’igiene delle mani, l’utilizzo della mascherina e il rispetto del distanziamento sociale sono ancora necessari se vogliamo ridurre l’impatto della malattia nella nostra comunità».
I PIU’ PICCOLI
Il totale dei pazienti di età inferiore ai 18 anni ricoverati negli ospedali sentinella Fiaso è di 17 di cui 2 in terapia intensiva. Età media 4 anni. I due ricoverati in Rianimazione hanno 14 e 11 anni e sono ricoverati all’ospedale pediatrico Santobono di Napoli e agli ospedali Riuniti di Ancona. «Nella quarta ondata pandemica stiamo assistendo a una crescita di bambini ricoverati per Covid e qualcuno manifesta anche la necessità di cure intensive. L’aggressività del virus non risparmia i più piccoli e, oltre a colpirli con la malattia, li rende potenziali vettori dell’infezione tra gli adulti: ecco perché è necessario procedere con la vaccinazione in età pediatrica. Serve a proteggere i nostri bambini, a frenare la circolazione del virus e anche garantire il diritto allo studio riducendo i contagi nelle scuole e assicurando la regolarità delle lezioni in presenza», dice il direttore generale dell’ospedale pediatrico Santobono-Pausilipon, Rodolfo Conenna.
Scuola e Covid19: si resta in classe con un solo contagiato
BambiniLa Dad scatta solo con tre positivi in classe: è questa la decisione del Governo che ha fatto dietrofront sul protocollo sulla scuola. L’aumento repentino dei contagi nella fascia di età scolare e la paura per la variante Omicron aveva convinto il ministero della Salute e dell’Istruzione a dire sì alla richiesta delle Regioni di irrigidire le regole sulla gestione delle quarantene a scuola: con un solo alunno positivo sarebbe scattata immediatamente la quarantena per tutti i compagni di classe con ricorso alla didattica a distanza. Ma ieri 30 novembre, a distanza di 24 ore dalla firma della circolare, è arrivata la frenata dI Draghi: garantire la partecipazione in presenza e lo svolgimento delle lezioni a scuola in assoluta sicurezza è una priorità del Governo. Le regole, dunque, restano quelle in vigore. Oggi, intanto, l’Aifa si riunisce per decidere sulle vaccinazioni per i bambini nell’età tra i 5 e gli 11 anni.
Scuola in Dad: da 6-12 anni con 2 casi in classe, poi con 3 casi
Per i bambini che non possono ancora vaccinarsi le regole sono diverse. La didattica a distanza scatterà con un solo positivo in classe per i bambini fino a sei anni, con due positivi per gli alunni da 6 a 12 anni e dai 12 in poi si andrà in Dad se i casi positivi sono almeno tre. Per i ragazzi che possono vaccinarsi, spiegano fonti dell’esecutivo, le regole restano dunque quelle attuali. La scelta è arrivata dopo un approfondimento con il Cts e con il commissario all’emergenza che ha garantito l’intensificazione dei test Covid a scuola.
Tumore al seno: 1 paziente su 5 ha una ricaduta, rinforzare terapia adiuvante
Ricerca innovazioneIl tumore più frequente tra le donne è quello della mammella: rappresenta il 30% di tutte le neoplasie. Ogni anno in Italia vengono colpite oltre cinquantamila donne, vale a dire 135 al giorno. Se il 93 per cento delle pazienti con tumore del seno valuta positivamente l’estensione della terapia adiuvante, cioè successiva alla chirurgia, per ridurre il rischio di recidiva, più dell’80% teme i ritardi nella disponibilità in Italia di nuovi trattamenti in grado di migliorare la sopravvivenza. Sono questi i principali risultati del sondaggio condotto su circa 130 pazienti sull’assistenza sanitaria nel post Covid, appena presentati nell’ambito di un progetto di sensibilizzazione sulla terapia adiuvante, realizzato con il supporto incondizionato di Pierre Fabre.
Tumore al seno, la terapia adiuvante
Nonostante il costante aumento dei casi di neoplasia alla mammella, anche grazie alla terapia adiuvante, la mortalità è diminuita del 6,8% rispetto al 2015. I trattamenti adiuvanti vengono proposti in base allo studio del singolo caso. Nelle pazienti con tumori caratterizzati da iperespressione della proteina HER2, il trattamento adiuvante con la chemioterapia, la terapia ormonale e un anno di terapia biologica rappresenta lo standard di cura. “Questo ha migliorato la sopravvivenza, rendendo la malattia HER2 positiva guaribile nella grande maggioranza delle pazienti – spiega Francesco Cognetti, presidente della Fondazione Insieme Contro il Cancro –, ma non ha eliminato il rischio di un ritorno del tumore, che avviene in circa un caso su 5. Quindi in questa popolazione, c’è un forte bisogno clinico insoddisfatto di ridurre il rischio di ricadute, di progressione e di morte”. La maggior parte delle recidive, sottolinea Cognetti, “ha un decorso inevitabile verso la malattia metastatica. Ecco perché il potenziamento delle terapie adiuvanti è l’unica via per ridurre le possibilità di ricaduta. Studi recenti hanno dimostrato che farmaci innovativi, aggiunti alle terapie standard in quel 15-20% delle pazienti non ancora guarite, sono in grado di ridurre ulteriormente le recidive a distanza a 5 anni”.
Polmonite batterica: funziona nuovo test super-rapido sperimentato al Gemelli
Ricerca innovazioneIn meno di due ore, il test FilmArray Pneumonia Plus (FA-PP) individua il batterio responsabile della polmonite e dà indicazioni sulla migliore terapia antibiotica. Il nuovo esame è stato sperimentato al Policlinico Gemelli nell’ambito di un progetto di ricerca finalizzata per giovani ricercatori del Ministero della Salute, vinto nel 2018 dal dottor Gennaro De Pascale. I risultati sono stati appena pubblicati su Microbiology Spectrum.
Polmonite batterica, il nuovo test super-rapido
Un risultato fondamentale in epidemia da Covid-19, poiché i pazienti che finiscono in rianimazione a causa del virus, possono ulteriormente aggravarsi per via di una polmonite batterica sovrapposta. In una situazione di questo tipo, in cui i polmoni sono già messi a dura prova dal SARS CoV-2, è fondamentale quindi individuare subito la causa dell’infezione batterica sovrapposta, per scegliere una terapia antibiotica mirata. Da qui nasce la ricerca che dimostra l’efficacia di un test innovativo per la diagnosi rapida di polmonite batterica, il FilmArray Pneumonia Plus (FA-PP). Si tratta di un esame basato su PCR, che non richiede una coltura; viene effettuato sul liquido di lavaggio bronco-alveolare (BAL) e fornisce una risposta in appena 1-2 ore, dando informazioni non solo sul tipo di batterio implicato, ma anche sull’eventuale presenza di forme antibiotico-resistenti, quest’ultimo è un dato molto importante nei pazienti ricoverati in Rianimazione. Il nuovo esame consente di indagare contemporaneamente sul campione clinico la presenza di 27 diversi agenti patogeni, facendone un’analisi quantitativa (che permette di distinguere tra un contaminante e il vero agente responsabile di quella malattia); questo test permette inoltre di evidenziare la presenza di 7 diversi geni di antibiotico-resistenza, da quella per i carbapenemici (tipici di alcuni germi Gram negativi), a quelli per la meticillina (presenti in alcuni ceppi di stafilococco aureo).
Olio d’oliva, ecco come distrugge i batteri nelle insalate
AlimentazioneCondire l’insalata con dell’ottimo olio d’oliva non è solo un modo per renderla gustosa, serve anche ad eliminare pericolosi batteri. Sembra incredibile, ma la verità è proprio questa: l’olio d’oliva, oltre ad essere buono e sano, è anche un alleato dell’igiene alimentare. Grazie ad una forte attività antimicrobica riesce a debellare alcuni batteri patogeni se utilizzato come ingrediente nei cibi che subiscono minimi processi industriali (proprio il caso delle insalate in busta). A dirlo è un team di scienziati coordinato dal professor Federico Zara (docente di Microbiologia agraria nel dipartimento di Agraria dell’università di Sassari), tra gli altri Francesco Fancello, Chiara Multineddu, Mario Santona, Giacomo Zara, Sandro Dettori, Pierfrancesco Deiana (tutti dell’universita’ di Sassari) e Maria Giovanna Molinu del Cnr.
SALMONELLA
Lo studiodell’università di Sassari, pubblicato sulla rivista internazionale ‘Food Control’ ha dimostrato come l’olio d’oliva elimina quasi del tutto la salmonella nelle insalate in busta. Le varietà di olive Bosana e Sivigliana, coltivate in Sardegna, hanno mostrato l’efficacia maggiore contro i batteri della Listeria della Salmonella bongori artificialmente contaminati in buste d’insalata pronta (quarta gamma), confezionata con foglie tenere di lattuga. Dalla ricerca è emerso che gli oli d’oliva sono in grado di ridurre di più del 90% la concentrazione iniziale dei patogeni delle insalate, dopo solo 15 minuti dall’aggiunta dell’olio. Grazie all’elevata concentrazione di acidi grassi monoinsaturi e composti fenolici, era già noto che l’olio d’oliva fosse un alimento nutraceutico, fra i pilastri della dieta mediterranea. Ma le sue proprietà antibatteriche sono state finora indagate molto poco; eppure è crescente la necessità di ridurre l’impiego di antimicrobici sintetici e conservanti chimici negli alimenti sottoposti a processi industriali minimi, come le insalate in busta.
PROBIOTICI
I ricercatori dell’università di Sassari hanno valutato l’attività antibatterica di oli ottenuti da 13 diverse varietà di olive italiane, tutte coltivate e lavorate in Sardegna, nell’area di Oristano. L’efficacia antibatterica dipende sia dalle specie di batteri bersaglio sia dalla concentrazione, ma è evidente che l’olio d’oliva può essere una difsa contro le tossinfezioni alimentari. Ancora più limitate sono le conoscenze dell’effetto dell’olio d’oliva sui batteri cosiddetti benefici, come i batteri probiotici. I campioni sono stati raccolti e trasformati nell’azienda didattico Sperimentale ‘A. Milella’ del dipartimento di Agraria a ‘San Quirico Fenosu’, a Oristano. Gli esperimenti in vitro hanno dimostrato la potente azione antimicrobica degli oli su Staphylococcus aureus, Salmonella, Listeria monocytogenes e Escherichia coli, che sono tra i principali microrganismi responsabili di tossinfezioni alimentari. Insomma, un buon olio d’oliva non è solo gusto, è anche un alleato della salute.
Giornata Mondiale contro l’AIDS. Nel 2020 contagiato dall’HIV 1 bimbo ogni 2 minuti
BambiniNel 2020 almeno 310.000 bambini sono stati contagiati dall’HIV, ovvero un bambino ogni due minuti. Altri 120.000 bambini sono morti per cause legate all’AIDS durante lo stesso periodo, un bambino ogni cinque minuti. Due bambini su 5 che vivono con l’HIV in tutto il mondo non conoscono il loro stato. Poco più della metà dei bambini con l’HIV sta ricevendo un trattamento antiretrovirale (ART). Circa l’88% delle morti di bambini legate all’AIDS sono avvenute nell’Africa sub-sahariana. La pandemia prolungata da COVID-19 ha aggravato ulteriormente le disuguaglianze che hanno a lungo guidato l’epidemia di HIV. Sono questi i dati del nuovo rapporto dell’UNICEF diffuso in occasione della Giornata Mondiale di lotta contro l’AIDS, oggi primo dicembre.
AIDS nel mondo. I dati sui minori
L’ultima analisi globale su HIV e AIDS – “HIV and AIDS Global Snapshot” – avverte che la pandemia prolungata da COVID-19 sta aggravando le disuguaglianze che hanno a lungo guidato l’epidemia di HIV, esponendo i bambini vulnerabili, gli adolescenti, le donne in stato di gravidanza e le madri che allattano a un rischio maggiore di perdere i servizi salvavita di prevenzione e trattamento dell’HIV.
Ulteriori dati del 2020 inclusi nel rapporto:
“L’epidemia di HIV entra nel suo quinto decennio nel contesto di una pandemia globale che ha sovraccaricato i sistemi sanitari e limitato l’accesso ai servizi salvavita. Nel frattempo, la crescente povertà, i problemi di salute mentale e gli abusi stanno aumentando il rischio di contagio per i bambini e le donne”, ha detto il Direttore generale dell’UNICEF Henrietta Fore. “A meno che non intensifichiamo gli sforzi per risolvere le disuguaglianze che guidano l’epidemia di HIV, che sono ora esacerbate dal COVID-19, rischiamo di vedere più bambini contagiati dall’HIV e più bambini che perdono la loro lotta contro l’AIDS”.
È allarmante che 2 bambini su 5 che vivono con l’HIV in tutto il mondo non conoscano il loro stato, e che poco più della metà dei bambini con l’HIV stia ricevendo un trattamento antiretrovirale (ART). Alcune barriere all’accesso adeguato ai servizi per l’HIV sono durature e familiari, tra cui la discriminazione e le disuguaglianze di genere.
Il rapporto evidenzia che molti paesi hanno subito interruzioni significative nei servizi per l’HIV a causa del COVID-19 all’inizio del 2020. I test dell’HIV per i neonati nei paesi ad alto impatto sono diminuiti dal 50 al 70%, con l’inizio di un nuovo trattamento per i bambini sotto i 14 anni che è diminuito dal 25 al 50%. I blocchi hanno contribuito ad aumentare i tassi di contagio a causa dei picchi di violenza di genere, dell’accesso limitato alle cure di follow-up e della mancanza di prodotti chiave. Diversi paesi hanno anche subito riduzioni sostanziali nelle consegne nelle strutture sanitarie, nei test HIV materni e nell’inizio del trattamento antiretrovirale dell’HIV. In un esempio estremo, la copertura della terapia antiretrovirale tra le donne in stato di gravidanza è scesa drasticamente nell’Asia meridionale nel 2020, dal 71% al 56%.
Anche se la fruizione dei servizi è ripresa nel giugno 2020, i livelli di copertura rimangono molto al di sotto di quelli precedenti al COVID-19, e la vera portata dell’impatto rimane sconosciuta. Inoltre, nelle regioni fortemente colpite dall’HIV, una pandemia prolungata potrebbe interrompere ulteriormente i servizi sanitari e ampliare i divari nella risposta globale all’HIV, avverte il rapporto.
Nel 2020, in Africa sub-sahariana si è registrato l’89% dei nuovi contagi pediatrici da HIV e l’88% dei bambini e degli adolescenti che vivono con l’HIV in tutto il mondo, con le ragazze adolescenti che hanno sei volte maggiori probabilità di essere contagiate dall’HIV rispetto ai ragazzi. Circa l’88% delle morti di bambini legate all’AIDS sono avvenute nell’Africa sub-sahariana.
Secondo il rapporto, nonostante alcuni progressi nella lotta contro l’HIV e l’AIDS, nell’ultimo decennio i bambini e gli adolescenti hanno continuato a rimanere indietro in tutte le regioni. La copertura della terapia antiretrovirale globale per i bambini è molto indietro rispetto a quella delle madri in gravidanza (85%) e degli adulti (74%). La percentuale più alta di bambini che ricevono il trattamento antiretrovirale si registra in Asia meridionale (>95%), seguita da Medio Oriente e Nord Africa (77%), Asia orientale e Pacifico (59%), Africa orientale e meridionale (57%), America Latina e Caraibi (51%) e Africa occidentale e centrale (36%).
“La ricostruzione migliore in un mondo post-pandemico deve includere risposte all’HIV che siano basate sui dati, incentrate sulle persone, resilienti, sostenibili e, soprattutto, eque”, ha dichiarato Fore. “Per colmare le lacune, queste iniziative devono essere fornite attraverso un sistema sanitario rafforzato e un impegno significativo di tutte le comunità colpite, specialmente le più vulnerabili”.