Tempo di lettura: 3 minutiL’alimentazione incide sui principali fattori di rischio cardiovascolare (diabete, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, obesità) e sugli eventi cardiovascolari (infarti del miocardio e ictus cerebrali) che, da soli, costituiscono il 20% delle morti degli europei che avvengono prima dei 65 anni. “Ma queste morti – fa notare Stefania Maggi, dell’Istituto di neuroscienze del Cnr di Padova, nonché presidente della Fdm – che possiamo a ben ragione considerare premature, sono in gran parte prevenibili anche attraverso una sana alimentazione, che, ancora una volta, vuol dire soprattutto Dieta mediterranea”. La Dieta mediterranea, infatti, continua a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile stante le tante dimostrazioni di efficacia nella prevenzione delle malattie. A tal riguardo però, è opportuno sottolineare un aspetto che riguarda uno dei pilastri della sana alimentazione, i cereali. Se pane, pasta, riso, polenta, couscous sono alla base della sana piramide alimentare e vanno consumati quotidianamente, è anche vero che le evidenze ci suggeriscono che dobbiamo decisamente preferire quelli integrali. “I cereali integrali – continua la Maggi – oltre ad essere, come quelli raffinati, fonte di carboidrati complessi, proteine e vitamine del gruppo B, si distinguono perché, al contrario di questi ultimi, sono anche ricchi in fibre, fitosteroli e antiossidanti quali la vitamina E, le lignine e i sali minerali come magnesio e selenio”. Grazie alle fibre, i cereali integrali contribuiscono a ridurre l’ipercolesterolemia, il diabete, il sovrappeso, l’obesità, per il loro ruolo nel ridurre l’assorbimento di zuccheri e colesterolo e per il senso di sazietà dovuto al rallentamento dello svuotamento gastrico. Inoltre contribuiscono a prevenire i tumori del colon, per la facilitazione del transito intestinale, grazie ai fitosteroli che riducono l’assorbimento del colesterolo e grazie agli antiossidanti che contrastano l’azione deleteria dei radicali liberi dell’ossigeno su membrane, mitocondri e Dna.
Il ruolo dei cereali integrali. Gli studi
Innumerevoli studi dimostrano che con soli 50 grammi al dì di cereali integrali possiamo ridurre la mortalità cardiovascolare intorno al 20%, quella per tumori oltre il 10% e quella per tutte le cause intorno al 15%. “Per raggiungere questa quantità – afferma Roberto Volpe dell’Unità di prevenzione del Cnr di Roma, nonché rappresentante della Siprec e dell’Ehn – sono sufficienti solo 3 porzioni al giorno e, considerando che una porzione è rappresentata da 3-4 fette biscottate o da 3-4 cucchiai di cereali da colazione o da una fetta di pane o da un piatto di 80 grammi di pasta o riso, è ben comprensibile come non sia difficile raggiungere tale obiettivo. Eppure, nonostante i benefici, in Italia, come in molti altri Paesi europei, consumiamo solo sui 10 g di cereali integrali al giorno, ben lontani dai consigliati 50 g al giorno che, in Europa, vengono raggiunti solo dai Paesi finnoscandinavi, dall’Olanda e, recentemente, anche dalla Germania. Pertanto, tutti dobbiamo impegnarci per diffondere la cultura dei cereali integrali e il loro consumo anche in Italia e in altri Paesi europei”.
A tal riguardo, l’Unità di prevenzione e protezione del Cnr di Roma, in stretta collaborazione con altre strutture del Cnr quali l’Ibe di Bologna e l’Ispa di Bari e con la Siprec, la Fdm, l’Ehn di Bruxelles e la Wgi di Vienna, ha partecipato in questi giorni a tutta una serie di iniziative che vanno dal “7th Whole Grain Summit 2021”, al “Whole Grains: a game changer for public and planetary health” della Presidenza slovena del Consiglio dell’Unione europea 2021, al “Time4Child”, a “Scienza@Tavola” e a “Nutri-Box” del Cnr, al “Whole Grain and the Mediterranean Diet” della Fdm. “Inoltre – conclude Volpe – altrettanto importante è il lavoro che stiamo svolgendo a livello europeo sull’etichettatura degli alimenti, affinché i cereali integrali siano differenziati da quelli raffinati e valorizzati, al fine di promuoverne un acquisto consapevole e informato da parte del consumatore”.
Cardiologia. Congresso SIC: impianto valvola aortica senza bisturi
News PresaLa stenosi aortica è la valvulopatia più comune che richiede chirurgia o intervento transcatetere in Italia. La sua prevalenza sta aumentando rapidamente. La causa più frequente della stenosi aortica è la degenerazione calcifica che riguarda, quindi una fetta della popolazione avanti con l’età. Il 50% dei pazienti con tale patologia se non trattati muoiono entro 2 anni. “Attualmente i pazienti in cui deve essere posizionata una valvola cardiaca devono essere attentamente valutati per scegliere la migliore opzione possibile (se percutanea o chirurgica) in considerazione di parametri clinici ed anatomici. Le novità delle ultimissime linee guida della Società Europea di Cardiologia ESC 2021, per la prima volta, considerano la volontà del paziente nella scelta del tipo di intervento da effettuare – osserva il Prof. Ciro Indolfi, Presidente della SIC, Società Italiana di Cardiologia. – Le nuove linee guida ci aiutano a prendere delle decisioni riguardo alla procedura da eseguire – precisa Indolfi – La prima cosa da fare è accertarsi della severità della stenosi aortica: in alcuni casi tutti i parametri sono concordi nel definire una stenosi aortica severa, ma in altri non è così semplice perché abbiamo dei parametri discordi: in questi casi l’ecocardiogramma e la TAC aiutano nella diagnosi. Altra cosa da valutare attentamente è la sintomatologia del paziente. Se sono presenti sintomi come dolore al torace, difficoltà nella respirazione o scompenso cardiaco, l’intervento deve essere effettuato in tempi brevi. In sintesi, le linee guida Europee oggi consigliano la TAVI per i pazienti di età uguale o superiore a 75 anni. Anche i pazienti di età inferiore ai 75 anni possono essere sottoposti a TAVI quando presentano molte comorbidità o sono inoperabili –sottolinea Indolfi”.
“Durante la pandemia non sono stati effettuati tantissimi interventi sulle valvole cardiache, sulle coronarie o di prevenzione cardiovascolare e questo si tradurrà in futuro in un aumento della mortalità –, afferma il Prof. Massimo Mancone, Professore Associato dell’Università la Sapienza di Roma. – È necessario oggi organizzare un piano Marshall per potenziare l’attenzione sulle patologie cardiovascolari che rappresentano ancora oggi la prima causa di morte in Italia. Oggi sono disponibili tecniche mininvasive come la TAVI che consentono una dimissione precoce entro 3-4 giorni dall’intervento senza la necessità di una riabilitazione successiva all’intervento. Il PNRR potrebbe essere un’opportunità per potenziare tali attività e consentire di recuperare gli interventi non effettuati durante la pandemia”.
Malattie rare: intervista a Simona Bellagambi
PodcastTrenta grammi di cioccolata per raggiungere (o quasi) la felicità
AlimentazioneTre quadratini di cioccolato al dì, rigorosamente fondente, per conquistare la felicità. O quasi. Non è uno spot, bensì il risultato di uno studio guidato dalla Seoul National University, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Nutritional Biochemistry. A quanto pare, consumare circa 30 grammi di cioccolata fondente (all’85% o più) nel corso della giornata aiuta a migliorare l’umore. Per realizzare questo gustosissimo studio i ricercatori hanno lavorato con 46 partecipanti, che hanno consumato 30 grammi al giorno di cioccolato al cacao all’85%, la stessa porzione di cioccolato al cacao al 70% o nessuna quantità per tre settimane.
MICROBIOTA
Gli stati d’animo sono stati misurati utilizzando il Positive and Negative Affect Schedule (Panas), una scala psicologica che consiste di 20 aggettivi che indicano stati d’animo positivi o negativi. Ai partecipanti è stato chiesto di valutare i propri sentimenti su una scala da uno (molto poco o per niente) a cinque (molto) per ogni aggettivo. Per valutare l’associazione tra gli effetti di alterazione dell’umore legati al cioccolato fondente e il microbiota intestinale, sono stati analizzati anche campioni fecali dei partecipanti. La ricerca ha rilevato che il consumo di cioccolato extra fondente, all’85%, ha ridotto significativamente gli stati d’animo negativi, mentre lo stesso effetto non si verificava in chi sceglieva quello fondente al 70%. I campioni fecali hanno mostrato inoltre che la diversità microbica intestinale era significativamente più alta nel primo gruppo rispetto a quello cosiddetto di controllo che non consumava cioccolata. In particolare, è emerso che vi erano livelli più alti di Blautia, un tipo di batterio intestinale significativamente associato a cambiamenti positivi nei punteggi dell’umore. Ovviamente il consiglio degli esperti è di non esagerare nel consumo di cioccolata, perché se circa 30 grammi al dì migliorano l’umore, andare oltre può essere deleteri per la forma fisica, arrivando addirittura a sviluppare patologie com il diabete. Quindi: cioccolata sì, ma senza esagerare.
Genitori e vaccini anti Covid, tanti dubbi da superare
Bambini, Genitorialità, PediatriaNei prossimi giorni anche in Italia inizieranno le vaccinazioni pediatriche per la fascia che va dai 5 agli 11 anni. Un momento importante per la campagna vaccinale, ma anche un passaggio di grandi dubbi per i genitori. Nonostante i vaccini siano stati ampiamente testati, è comprensibile infatti che le mamme e i papà abbiano qualche remora a fare inoculare la dose di vaccino, ma si tratta comunque di paure che possono essere superate confrontandosi con i medici e con i pediatri sulla base di quelle che sono le evidenze scientifiche. Lasciano cadere ogni pregiudizio instillato nei nostri cuori da chi, spesso sul web, ama cavalcare le paure e i dubbi altrui. In tutta Italia sono molte le iniziative con le quali si cerca di aiutare i genitori a comprendere l’importanza dei vaccini, due di queste, in particolare, merita di essere citate: quella dell’Ordine dei Medici di Napoli che ha creato un numero verde al quale è possibile chiamare per avere risposte dai medici stessi e, la seconda, è quella dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, che ha messo on line un prontuario con le risposte alle domande più frequenti.
I MEDICI DI NAPOLI
Assieme alle ASL napoletane l’Ordine dei Medici di Napoli lancia ora un nuovo servizio di informazione dedicato ai genitori per le vaccinazioni anti Covid in età pediatrica. Il numero 800.95.44.27, già in uso per informare la popolazione sulle vaccinazioni, sarà attivo a partire proprio da questa mattina anche alle per sciogliere ogni dubbio dei genitori che intendono vaccinare i propri figli, chiarendo se e quando i vaccini possono essere un problema. In occasione della presentazione di questo nuovo servizio il dottor Pietro Amoroso (già primario di infettivologia del Cotugno), mostrerà alcuni dati che mettono in luce l’impatto del Covid nei giovanissimi, chiarendo anche quali sono le patologie che mettono a rischio la salute dei bambini e dei ragazzi in caso di infezione da Covid.
IL BAMBINO GESU’
Nello stile che è proprio della struttura pediatrica romana, ovvero in modo chiaro e diretto, è stato caricato on line un prontuario di risposte alle domande più frequenti. Un approfondimento nel quale gli esperti dell’Ospedale Bambino Gesù rispondono ai dubbi più comuni dei genitori sulle vaccinazioni in età pediatrica. Noi di PreSa abbiamo scelto la risposta alla domanda che su tutte tormenta le mamme e i papà: Il vaccino è sicuro nei bambini? La risposta non lascia spazio a dubbi: «Sì. Gli studi effettuati per i vaccini in questa fascia di età dimostrano un’elevata efficacia nel prevenire il COVID-19 (91%). Come per i ragazzi più grandi e gli adulti, dopo la vaccinazione contro il COVID-19 i bambini possono avere alcuni effetti collaterali locali (dolore, gonfiore) o generali (febbre, malessere, stanchezza), che hanno breve durata (uno-due giorni). I bambini dai 5 anni di età e i ragazzi possono essere vaccinati contro COVID-19 perché la sicurezza e l’efficacia del vaccino è stata attentamente monitorata inclusi studi nella fascia di età 5-11 anni. Suo figlio/a non può ammalarsi di COVID-19 vaccinandosi».
Cereali integrali: 50 grammi al giorno riducono fattori di rischio
News PresaL’alimentazione incide sui principali fattori di rischio cardiovascolare (diabete, ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, obesità) e sugli eventi cardiovascolari (infarti del miocardio e ictus cerebrali) che, da soli, costituiscono il 20% delle morti degli europei che avvengono prima dei 65 anni. “Ma queste morti – fa notare Stefania Maggi, dell’Istituto di neuroscienze del Cnr di Padova, nonché presidente della Fdm – che possiamo a ben ragione considerare premature, sono in gran parte prevenibili anche attraverso una sana alimentazione, che, ancora una volta, vuol dire soprattutto Dieta mediterranea”. La Dieta mediterranea, infatti, continua a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile stante le tante dimostrazioni di efficacia nella prevenzione delle malattie. A tal riguardo però, è opportuno sottolineare un aspetto che riguarda uno dei pilastri della sana alimentazione, i cereali. Se pane, pasta, riso, polenta, couscous sono alla base della sana piramide alimentare e vanno consumati quotidianamente, è anche vero che le evidenze ci suggeriscono che dobbiamo decisamente preferire quelli integrali. “I cereali integrali – continua la Maggi – oltre ad essere, come quelli raffinati, fonte di carboidrati complessi, proteine e vitamine del gruppo B, si distinguono perché, al contrario di questi ultimi, sono anche ricchi in fibre, fitosteroli e antiossidanti quali la vitamina E, le lignine e i sali minerali come magnesio e selenio”. Grazie alle fibre, i cereali integrali contribuiscono a ridurre l’ipercolesterolemia, il diabete, il sovrappeso, l’obesità, per il loro ruolo nel ridurre l’assorbimento di zuccheri e colesterolo e per il senso di sazietà dovuto al rallentamento dello svuotamento gastrico. Inoltre contribuiscono a prevenire i tumori del colon, per la facilitazione del transito intestinale, grazie ai fitosteroli che riducono l’assorbimento del colesterolo e grazie agli antiossidanti che contrastano l’azione deleteria dei radicali liberi dell’ossigeno su membrane, mitocondri e Dna.
Il ruolo dei cereali integrali. Gli studi
Innumerevoli studi dimostrano che con soli 50 grammi al dì di cereali integrali possiamo ridurre la mortalità cardiovascolare intorno al 20%, quella per tumori oltre il 10% e quella per tutte le cause intorno al 15%. “Per raggiungere questa quantità – afferma Roberto Volpe dell’Unità di prevenzione del Cnr di Roma, nonché rappresentante della Siprec e dell’Ehn – sono sufficienti solo 3 porzioni al giorno e, considerando che una porzione è rappresentata da 3-4 fette biscottate o da 3-4 cucchiai di cereali da colazione o da una fetta di pane o da un piatto di 80 grammi di pasta o riso, è ben comprensibile come non sia difficile raggiungere tale obiettivo. Eppure, nonostante i benefici, in Italia, come in molti altri Paesi europei, consumiamo solo sui 10 g di cereali integrali al giorno, ben lontani dai consigliati 50 g al giorno che, in Europa, vengono raggiunti solo dai Paesi finnoscandinavi, dall’Olanda e, recentemente, anche dalla Germania. Pertanto, tutti dobbiamo impegnarci per diffondere la cultura dei cereali integrali e il loro consumo anche in Italia e in altri Paesi europei”.
A tal riguardo, l’Unità di prevenzione e protezione del Cnr di Roma, in stretta collaborazione con altre strutture del Cnr quali l’Ibe di Bologna e l’Ispa di Bari e con la Siprec, la Fdm, l’Ehn di Bruxelles e la Wgi di Vienna, ha partecipato in questi giorni a tutta una serie di iniziative che vanno dal “7th Whole Grain Summit 2021”, al “Whole Grains: a game changer for public and planetary health” della Presidenza slovena del Consiglio dell’Unione europea 2021, al “Time4Child”, a “Scienza@Tavola” e a “Nutri-Box” del Cnr, al “Whole Grain and the Mediterranean Diet” della Fdm. “Inoltre – conclude Volpe – altrettanto importante è il lavoro che stiamo svolgendo a livello europeo sull’etichettatura degli alimenti, affinché i cereali integrali siano differenziati da quelli raffinati e valorizzati, al fine di promuoverne un acquisto consapevole e informato da parte del consumatore”.
La chirurgia diventa hi-tech al Policlinico di Napoli
News PresaInnovazioni tecnologiche d’avanguardia nelle nuove sale operatorie dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia generale e oncologica mininvasiva dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II. Le sale, in cui nei giorni scorsi sono terminati i lavori, sono state oggi oggetto di una visita del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Ad accompagnare il governatore campano sono stati Matteo Lorito, Rettore dell’Università Federico II, Anna Iervolino, Direttore generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria federiciana, Maria Triassi, Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo Federico II, e il professore Franco Corcione, direttore dell’UOC Chirurgia generale e oncologica mininvasiva del Policlinico Federico II. L’acquisizione delle nuove apparecchiature, messe in funzione con la collaborazione del Servizio di Ingegneria clinica dell’Azienda, è stata possibile grazie a un finanziamento di 800mila euro dell’Università Federico II quando alla guida c’era l’ex rettore e oggi sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, percorso che è poi stato seguito e completato dal Rettore Matteo «La didattica incontra anche il servizio al cittadino – ha detto il rettore Matteo Lorito – abbiamo una grande eccellenza medica ed una grande eccellenza tecnologica. Andremo avanti così e la Federico II continuerà a investire perché le eccellenze vanno sostenute”. Le sale operatorie sono state oggetto di lavori di adeguamento per accogliere le nuove tecnologie video 3D 4K dotate di un sistema integrato per cui è possibile trasmettere le immagini nelle sale operatorie d’Italia e d’Europa e sono state attrezzate anche con la tecnologia Igc che valuta la vascolarizzazione dei viscidi (intestino, colon, retto). Ma non solo. Tra le innovazioni tecnologiche anche il sistema denominato ‘Orbeye’, sorta di microscopio operatorio che ingrandisce 5 volte i particolari e che viene inserito in addome aperto.
CONNETTIVITA’
Sla: nuovo bersaglio terapeutico. La ricerca non si ferma
Ricerca innovazioneUn farmaco già in uso per altre patologie mostra effetti neuroprotettivi nella Sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Lo studio preclinico è stato condotto presso Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, in collaborazione con l’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr e grazie ad un finanziamento di Fondazione AriSLA. I risultati sono pubblicati su British Journal of Pharmacology.
SLA, nuovo bersaglio terapeutico da uno studio italiano
Un nuovo potenziale bersaglio terapeutico per curare la Sla è stato scoperto da uno studio italiano. La ricerca ha dimostrato l’efficacia di un farmaco in un modello preclinico di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) nel rallentare la progressione della neurodegenerazione e nell’aumentare la sopravvivenza dei modelli murini. La Sla è una malattia neurodegenerativa grave dell’età adulta, progressivamente invalidante, dovuta alla compromissione dei motoneuroni (le cellule responsabili della contrazione dei muscoli volontari) spinali, bulbari e corticali, che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Molti pazienti affetti da Sla mostrano un dispendio energetico aumentato, cioè una condizione in cui viene utilizzata più energia di quella necessaria. Questa alterazione, detta ipermetabolismo, insieme ad una diminuzione dell’indice di massa corporea è in genere correlata con una prognosi peggiore della malattia.
Il gruppo di ricerca, coordinato da Alberto Ferri e Cristiana Valle della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ift), ha dimostrato che i meccanismi molecolari alla base delle disfunzioni metaboliche correlate con la Sla possono essere normalizzati da un farmaco, la Trimetazidina, suggerendo che questo approccio possa contribuire a rallentare il decorso della malattia. Il farmaco, già in uso per altre patologie, è stato sperimentato su un modello murino di Sla dove ha agito ripristinando il corretto bilancio energetico cellulare e ostacolando lo sviluppo di processi infiammatori e neurodegenerativi, sia nel midollo spinale che nel nervo periferico. Questa azione neuroprotettiva si è manifestata rallentando la degenerazione dei motoneuroni e della giunzione neuromuscolare e incrementando la forza muscolare.
“Il nostro laboratorio si occupa da anni della comprensione dei meccanismi molecolari che sono alla base delle disfunzioni metaboliche precoci nella Sla”, spiega Alberto Ferri, ricercatore del Cnr-Ift e responsabile del Laboratorio di neurochimica della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma dove si è svolto lo studio. “L’obiettivo che ci siamo posti è identificare nuovi potenziali approcci terapeutici promuovendo sia lo sviluppo di nuovi farmaci che l’utilizzo di farmaci già approvati, come la Trimetazidina, oggetto di questo studio. L’utilizzo di questo farmaco, che agisce come modulatore metabolico e già utilizzato nella terapia delle disfunzioni coronariche, ha permesso di normalizzare la spesa energetica in un modello preclinico, migliorando le performance motorie e prolungando in modo significativo la sopravvivenza degli animali. Siamo soddisfatti di questi risultati, che hanno contribuito a disegnare uno studio clinico pilota condotto dal gruppo di ricerca australiano dell’Università di Queensland, con cui abbiamo collaborato, per verificare innanzitutto la sicurezza di questo farmaco in pazienti fragili come quelli affetti da Sla”.
“Siamo molto felici di aver sostenuto questo studio preclinico”, commenta il presidente di Fondazione AriSLA, Mario Melazzini, “che ha prodotto risultati così importanti su aspetti rilevanti nell’identificare sul modello animale potenziali bersagli terapeutici e consentire l’avvio di uno studio clinico nello stesso ambito di ricerca. Siamo consapevoli dell’urgente bisogno di terapia per le persone che combattono contro la malattia, ma è necessario rispettare i tempi della ricerca, affinché si valuti la sicurezza e l’efficacia di ogni nuovo approccio terapeutico. Il nostro impegno come Fondazione è di continuare ad investire nell’eccellenza della ricerca con l’obiettivo di poter ottenere ulteriori risultati utili alla sconfitta della malattia”.
Covid, aumentano i contagi e i ricoveri
News PresaI ricoveri per Covid non accennano a diminuire, anzi, sono in aumento. A rivelarlo sono i dati che provengono dagli ospedali sentinella della Federazione italiana della aziende sanitarie e ospedaliere (FIASO), network che rivela un incremento complessivo delle ospedalizzazioni per Covid pari al 10,1%. Si passa insomma dagli 810 pazienti del 30 novembre agli 892 degenti del 7 dicembre. Altro dato che preoccupa è quello dell’età media di chi finisce in ospedale: 75 anni tra i vaccinati e addirittura 64 anni per i non vaccinati, con uno scarto di ben 11 anni. Come sempre, i numeri più significativi e indicativi dell’evoluzione della pandemia sono quelli dei reparti di Terapia intensiva dove finiscono i pazienti in gravi condizioni. E in questo caso le forme gravi di Covid riguardano sempre più i non vaccinati.
FOCUS TERAPIE INTENSIVE
Stando ai dati Fiaso, crescono ancora i pazienti no vax in Terapia intensiva, mentre continuano a diminuire quelli vaccinati. E, tra i ricoverati in gravi condizioni, non ci sono soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale da meno di 4 mesi. L’ultimo report del 7 dicembre degli ospedali sentinella conferma e consolida il trend, già evidenziato nella rilevazione del 30 novembre, delle ospedalizzazioni Covid nei reparti di Rianimazione: in una settimana sono aumentati del 15% i pazienti ospedalizzati non vaccinati e sono diminuiti del 22% i ricoverati vaccinati. Dall’analisi della tendenza degli ultimi 15 giorni, dunque, emerge come i no vax in Terapia intensiva abbiano avuto un rapido incremento del 32% e, di contro, i vaccinati in Terapia intensiva si siano ridotti del 33%. Complessivamente sono 97 i ricoverati nelle Terapie intensive dei 16 ospedali sentinella con un incremento del 2% rispetto a una settimana fa quando erano 95. I pazienti non vaccinati sono 77 mentre quelli vaccinati risultano 20. Da sottolineare come i vaccinati siano tutte persone che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 4 mesi. Si tratta, inoltre, per il 75% dei casi di soggetti affetti da gravi comorbidità e con un’età media di 69 anni. Ben diversi i numeri che riguardano i no vax. I soggetti finiti in Rianimazione senza aver mai avuto una dose di vaccino sono in media più giovani, 62 anni, e nel 42% dei casi sono persone sane che non soffrono di altre patologie. Interessante anche la differenza del range di età che fra i vaccinati è fra 47 e 85 anni e fra i non vaccinati fra 21 e 83 anni.
PAZIENTI PEDIATRICI
Il totale dei pazienti di età inferiore ai 18 anni ricoverati negli ospedali sentinella Fiaso è di 19 di cui 1 in terapia intensiva. In una settimana le ospedalizzazioni sono state complessivamente stabili. La metà dei ricoverati ha più di 5 anni. Il 50% dei bambini ricoverati per Covid rientra nella fascia di età che potrà accedere alla vaccinazione. L’avvio della campagna vaccinale per i pazienti tra 5 e 11 anni, a partire dalla prossima settimana, dunque, consentirà di proteggere anche i più piccoli. È bello sottolineare come in tutte le Regioni le Aziende sanitarie stiano organizzando sedute vaccinali a misura di bambino con clown, supereroi e babbi Natale, perché il momento della vaccinazione si trasformi in festa.
Diabete 1, un passo avanti verso una cura
Ricerca innovazioneIl diabete di tipo 1 potrebbe, in un futuro ormai prossimo, essere curato e risolto. Questa sensazionale notizia è il frutto di uno studio clinico multicentrico guidato dall’Università della British Columbia e pubblicato sulle riviste Cell Stem Cell e Cell Reports Medicine. Il risultato al quale i ricercatori sono arrivati è quello di far secernere insulina a cellule trapiantate in pazienti con diabete di tipo 1, ed è la prima volta che questo avviene. Com’è facile capire si tratta di un risultato che apre la strada a scoperte che possono cambiare la storia di questa malattia. A riportare le parole di un importante genetista, Giuseppe Novelli, è l’agenzia ANSA: «Per la prima volta – dice Novelli – si riesce a fare un trapianto di cellule staminali su pazienti affetti da diabete di tipo 1». La grande novità non è nell’aver tentato questa via, o almeno non solo. Perché per la prima volta si è riusciti a fare in modo che le cellule rigenerate producessero insulina. Esperimenti simili erano già stati fatti in passato, ma solo su animali e con risultati di scarso rilievo clinico. Lo studio è stato condotto su 26 pazienti per testare sia la sicurezza che la tollerabilità e l’efficacia degli impianti.
NUOVE TERAPIE
Così come riportato dall’ANSA, Novelli sottolinea come «questo studio, che rimarrà nella storia della medicina, apre forse la via definitiva all’utilizzo di cellule staminali in grado di funzionare». Proseguendo su questa strada sarà forse possibile “riparare” il danno che è alla base del diabete di tipo 1, ovvero la distruzione delle cellule beta che producono insulina nelle isole di Langerhans del pancreas, che poi è quella che porta ad alti livelli di glucosio nel sangue. Come sempre, anche in questo caso è bene però restare con i piedi ben ancorati alla realtà; il risultato ottenuto è straordinario ma ci sono ancora molte domande che attendono una risposta. Ad esempio, i ricercatori devono determinare lo stadio di differenziazione in cui le cellule sono più idonee al trapianto e il miglior sito di trapianto. Inoltre, non è chiaro se l’efficacia e la sicurezza delle cellule possano essere mantenute nel tempo e se sia possibile eliminare la necessità di una terapia immunosoppressiva. Sono queste le prossime sfide che dovranno essere superate, per arrivare finalmente a trovare una cura definitiva ad una malattia che ad oggi può essere solo tenuta a bada.
Farmaci contro il covid pericolosi, 30 siti oscurati dai Nas
News PresaFarmaci contro il covid-19 pubblicizzati e venduti online, anche in lingua italiana, ma pericolosi per la salute. Sono trenta i siti, collocati su server esteri, oscurati dal Comando Carabinieri per la Tutela della Salute. Tra i farmaci venduti anche l’ivermectina, antiparassitario utilizzato in campo veterinario per cui l’Ema, nel marzo 2021, ha raccomandato di non utilizzare il principio attivo per la prevenzione o il trattamento del covid. L’operazione di oggi si va ad aggiungere ai 312 provvedimenti sinora eseguiti nel 2021 dai Nas, 274 dei quali correlati all’emergenza Covid-19.
La rete internet è diventata un importante canale per il commercio e l’approvvigionamento di farmaci. Da qui le raccomandazioni dei Nas che invitano i cittadini a diffidare delle offerte in rete di medicinali e prodotti non autorizzati o di dubbia provenienza. Infatti, la vendita on-line di farmaci soggetti a obbligo di prescrizione è vietata e per quella dei “medicinali senza obbligo di prescrizione”è necessario verificare sempre la presenza del logo identificativo nazionale cliccando il quale si viene rimandati alla pagina web del Ministero della Salute contenente i dati relativi all’autorizzazione.
Oltre all’dell’ivermectina, tra gli altri farmaci offerti on-line l’antibiotico azitromicina, rispetto al quale l’AIFA ha fornito ai clinici elementi utili a orientare la prescrizione e a definire un rapporto fra i benefici e i rischi sul singolo paziente, l’antinfiammatorio colchicina, utilizzato per alleviare il dolore da attacchi acuti di gotta, per il quale sempre l’AIFA, nell’aprile 2020, ha autorizzato uno studio per la sola sperimentazione clinica nel trattamento del COVID-19, gli antivirali lopinavir/ritonavir e dell’antimalarico idrossiclorochina, in merito ai quali l’Agenzia regolatoria ha emanato puntuali restrizioni e raccomandazioni circa l’utilizzo off label e infine l’indometacina, antinfiammatorio non steroideo impiegato nel trattamento delle malattie articolari degenerative, e la ranitidina, utilizzata per la cura dell’ulcera gastrica o del reflusso gastroesofageo.