Tempo di lettura: 3 minutiL’Organizzazione mondiale della Sanità ha pubblicato per la prima volta la classificazione specifica per le neoplasie infantili. I tumori infantili sono diversi dai tumori degli adulti per tipologia, cause e approcci terapeutici. Per questo motivo acquista molta importanza la prima classificazione dei tumori pediatrici messa a punto dall’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), espressione dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). Alla pubblicazione ha partecipato la struttura di Anatomia patologica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, insieme a diverse istituzioni europee e negli Stati Uniti. Una classificazione focalizzata sull’età pediatrica è fondamentale per identificare le migliori opzioni di trattamento sulla base di una diagnosi più precisa e accurata. Cancer Discovery, la rivista dell’Associazione americana per la ricerca sul cancro, in un articolo pubblicato il 17 dicembre, ha anticipato i risultati del lavoro di classificazione durato più di un anno.
I libri blu dell’OMS
Il primo passo per trattare e, quindi, curare il cancro è identificare il tipo preciso di tumore che colpisce il paziente. Dal 1956, l’Organizzazione mondiale della sanità ha promosso la pubblicazione della Classificazione dei Tumori, più comunemente conosciuti come “libri blu”. I libri offrono la catalogazione più aggiornata dei tumori per ogni sistema di organi (p.e. tumori del tratto gastrointestinale). I tumori pediatrici, fino ad oggi, erano uniti ai tumori degli adulti nella trattazione degli specifici organi.
La prima Classificazione OMS dei tumori pediatrici, che sarà disponibile online da gennaio 2022 come parte della quinta edizione della classificazione generale, rappresenta un’eccezione, perché non è limitata a un sistema di organi, ma offre un compendio specifico di tutte le patologie tumorali che possono verificarsi nell’infanzia e nell’adolescenza.
«Una prospettiva complessiva – afferma Rita Alaggio, responsabile di Anatomia patologica del Bambino Gesù e una dei 5 esperti del Gruppo di coordinamento editoriale internazionale che ha curato la classificazione – deve considerare un tumore infantile non solo come malattia di un organo, ma come malattia di un organo nel contesto di un organismo in via di sviluppo».
Tumori pediatrici, perché necessitano di diagnosi e cure diverse
Negli adulti i tumori maligni sono il risultato di un processo di alterazione genetico progressivo. Le cellule, replicandosi, compiono degli “errori” su cui influiscono fattori ambientali, abitudini personali e, per una parte dei pazienti, la predisposizione genetica.
La maggior parte dei tumori pediatrici, invece, è causata da un singolo evento genetico, sporadico e, nella maggior parte dei casi, non ereditario, che si verifica durante lo sviluppo embrionale. Ciò provoca un arresto dello sviluppo e la proliferazione cellulare incontrollata.
Solo circa il 10% dei casi è associato a sindromi ereditarie di predisposizione al cancro. Il libro blu pediatrico contiene una classificazione delle sindromi di predisposizione al cancro e identifica le sfide associate alla diagnosi e al trattamento.
Il libro blu pediatrico riflette la transizione da un approccio diagnostico tradizionale, basato esclusivamente sull’esame istologico al microscopio, verso l’utilizzo di nuove tecnologie di diagnosi molecolare basata sulla genetica dei tumori, che hanno rivoluzionato i criteri di classificazione.
«Un approccio diagnostico integrato tra analisi istologica e analisi molecolari – spiega Alaggio – è un passo fondamentale verso le terapie personalizzate per la cura dei tumori, e rappresenta un campo in cui il Bambino Gesù si pone all’avanguardia».
Prospettive future e limiti
La nuova classificazione dell’OMS dei tumori infantili fornisce un quadro aggiornato e di grande supporto nella pratica diagnostica anatomopatologica dei tumori pediatrici a livello mondiale.
«È importante – rileva Alaggio – per il riconoscimento delle peculiarità nella diagnosi e nel trattamento dei tumori pediatrici. L’auspicio è che favorisca, tra l’altro, la formazione di anatomopatologi in ambito pediatrico, una specializzazione che oggi esiste solo in alcuni Paesi». L’avvento delle nuove tecnologie ha avuto un profondo impatto sul ruolo dell’anatomopatologo nella diagnostica oncologica. Una diagnosi che integri gli aspetti microscopici del tumore con quelli molecolari, fornendo indicatori prognostici e predittivi di risposta alla terapia, «è fondamentale per risparmiare al bambino in cura gli effetti collaterali del trattamento e aumentare la qualità della sua vita futura».
Una speciale attenzione è stata riservata nel libro blu pediatrico alla fruibilità della classificazione da parte dei paesi a basso reddito, e quindi con carenza di risorse, fornendo criteri diagnostici di base, indipendentemente dall’utilizzo di metodiche molecolari ad alto costo. Tuttavia rimane auspicabile, aggiunge Alaggio «che in futuro vengano sviluppati test molecolari a prezzi accessibili, e reti di supporto per assicurare anche a questi paesi diagnosi basate su criteri imparziali e riproducibili, con un aumento della precisione diagnostica».
Il vero limite dello studio OMS è che, come tutte le classificazioni, può fornire solo un’istantanea aggiornata che riflette le conoscenze attuali. «Per questo motivo – spiega Alaggio – l’OMS ha implementato meccanismi per aggiornare aspetti specifici delle classificazioni tra le diverse edizioni». Inoltre, l’OMS «avrà tutte le classificazioni dei tumori in un formato online dove potranno anche essere aggiornate in tempo reale».
Dieta planetaria: perché prevenire i tumori protegge l’ambiente
News PresaIl 30-40 per cento dei tumori circa si potrebbe evitare con una dieta varia e uno stile di vita più sano. Le abitudini più salutari avrebbero di conseguenza delle ricadute positive sull’ambiente. Che cosa ha a che fare la prevenzione dei tumori a tavola con la salute del pianeta lo ha spiegato una ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Lancet Planetary Health.
Si tratta di un legame piuttosto forte. Negli ultimi 50 anni, le modifiche dei sistemi alimentari hanno prodotto un cambiamento nutrizionale. “Il conseguente aumento dell’obesità e delle malattie non trasmissibili (inclusi tumori, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari) ha dato il via a una vera e propria crisi globale” – spiegano gli autori. “La produzione di cibo – aggiungono – lascia inoltre una grande ‘impronta’ ambientale: aumenta le emissioni di gas serra, l’uso di acqua e di suolo e contribuisce al degrado dell’ambiente”.
Il legame tra dieta e cancro
La scienza ha ormai da tempo dimostrato il legame tra dieta e cancro. Secondo le stime, ben il 30-40 per cento circa dei tumori potrebbe essere prevenuto con un’alimentazione varia ed equilibrata e uno stile di vita più sano, evitando il fumo e la sedentarietà.
Dall’altra parte è dimostrato anche il violento impatto della filiera alimentare (dalla produzione al consumo degli alimenti) sull’ambiente che ci circonda: l’agricoltura dedicata ad alimentare il bestiame degli allevamenti, è infatti responsabile di una grande percentuale delle emissioni di gas serra (fino al 25 per cento circa), del 70 per cento circa dell’uso di acqua e si estende per oltre un terzo delle terre coltivabili.
Fino ad ora pochi studi avevano indagato insieme l’impatto del cibo e dei sistemi alimentari sulla salute umana e su quella ambientale allo stesso tempo. Oggi i ricercatori della Eat-Lancet Commission, hanno definito La Dieta per la Salute Planetaria, ovvero un regime alimentare di riferimento per arrivare a proteggere la salute sia umana sia dell’ambiente.
La ricerca fa parte dello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), iniziato negli anni Novanta del secolo scorso e in parte sostenuto anche da Fondazione AIRC. I ricercatori che collaborano a EPIC ancora oggi seguono oltre 500.000 persone in 10 paesi europei, alla ricerca di nuovi possibili legami tra nutrizione, cancro e, da oggi, anche salute del pianeta.
La dieta per la salute planetaria
La dieta per la salute planetaria si basa prevalentemente su alimenti di origine vegetale, quindi frutta, verdura, legumi e frutta secca. Possono essere presenti nel piatto anche proteine di origine animale (come i latticini) ma in proporzione molto minore rispetto a quelle vegetali. Infine, i ricercatori sottolineano l’importanza di fare attenzione alle quantità: il fabbisogno di calorie giornaliero dipende da diversi parametri, come età, genere e attività fisica praticata, ma in generale si raccomanda per gli adulti di non superare le 2.500 chilocalorie al giorno, perché mangiare troppo porta a pericolosi incrementi di peso e a produzione eccessiva di cibo, che spesso genera sprechi inutili e dannosi per l’ambiente. Queste stesse regole valgono anche per ridurre il rischio di ammalarsi di tumore e rispecchiano in modo quasi perfetto le raccomandazioni del World Cancer Research Fund (WCRF) per la prevenzione oncologica: mantenere il peso nella norma, prediligere una dieta a base vegetale, ridurre carne, insaccati, bevande zuccherate e alcol (con un invito a eliminare del tutto almeno alcuni di questi componenti dalla dieta, come gli insaccati o l’alcol).
Inoltre, c’è un altro fattore di rischio conseguente: i maggiori livelli di gas serra e di consumo di suolo sono infatti legati a tassi più elevati di tumori. Aderendo alle raccomandazioni della dieta EAT-Lancet, secondo i ricercatori sarebbe possibile prevenire dal 19 al 63 per cento dei decessi e dal 10 al 39 per cento dei tumori in un periodo di rischio di 20 anni. Per quanto riguarda, invece, l’impatto che avrebbe sull’ambente, le emissioni di gas serra legate alla produzione di cibo potrebbero dimezzarsi e il consumo di suolo potrebbe ridursi anche del 62 per cento.
In altre parole, la sfida per la salute umana è legata indissolubilmente a quella ambientale.
Esempi di vita, ecco chi sono i premiati di quest’anno
News PresaAnche quest’anno, come di consueto, il network editoriale PreSa Prevenzione e Salute, ha assegnato dei riconoscimenti a istituzioni, associazioni, ricercatori, operatori sanitari o singoli cittadini che con la loro attività si sono distinti in favore del superamento delle disabilità. Eccoli allora i premiati di quest’anno: si parte da Stefania Vallone, presidente di WALCE (Women Against Lung Cancer in Europe), associazione che rappresenta un punto di riferimento per le persone affette da tumore del polmone e mesotelioma e per le loro famiglie e si impegna per il miglioramento di tutti gli aspetti dell’assistenza per migliorare la loro qualità di vita”. A seguire: Gianni La Piana e Vito Lentini – I Trekker del Golfo, che “hanno deciso di fare il giro d’Italia a cavallo – da Trieste a Castellammare del Golfo (TP), con l’obiettivo di raccogliere fondi per bambini disabili che hanno bisogno di ippoterapia. Terminato il viaggio, parte del ricavato andrà all’associazione nazionale ANIRE che donerà a bambini disabili di famiglie indigenti le sessioni di ippoterapia di cui hanno bisogno. Doneranno poi parte del ricavato anche ai bambini di Castellammare del Golfo (TP) bisognosi di ippoterapia. Ancora, Vincenzo Russo, “per aver promosso ricerche cliniche e sperimentali sulla stratificazione del rischio aritmico e sulla prevenzione della morte cardiaca improvvisa nei pazienti affetti da distrofia muscolare e per aver contribuito alla stesura delle linee guida internazionali sulla gestione cardiologica dei pazienti affetti da malattie neuromuscolari”; Marcella Marletta presidente Associazione A.I.Stom (Associazione Italiana Stomizzati Onlus). L’associazione che presiede “è la più antica e importante Associazione di stomizzati d’Italia e sin dagli anni novanta ha costituito Gruppi di Lavoro grazie ai quali la ricerca e la qualità di vita dei pazienti stomizzati è notevolmente migliorata, rendendo la stomia più accettabile e socialmente gestibile”. Ultima, ma non certo per importanza, Cristiana Di Pietrantonio. La super maratoneta, a Ravenna ha tagliato il suo centocinquantesimo traguardo in sei ore, venti minuti e diciannove secondi. A 56 anni e con una diagnosi di adenocarcinoma polmonare che ha ricevuto a pochi giorni del primo lockdown del 2020. E anche se i suoi polmoni non sono come quelli degli altri atleti ha deciso che la malattia – quella malattia che allontana dagli altri – non la poteva tenere troppo alla larga da quello che sa fare bene, correre. «Per dare un esempio a tutti e in particolare ai malati come me», ha detto. Alla maratona di Ravenna, Cristiana Di Pietrantonio ha corso con due amici runners, Liliana Farronato e Marco Mannucci, che l’hanno accompagnata e sostenuta nei momenti di difficoltà rispettando un’andatura che le ha permesso di guadagnarsi la medaglia e percorrere i 42,195 km della gara entro i limiti imposti a tutti i partecipanti. Lei che correva con la pettorina dello Ior – l’Istituto oncologico romagnolo.
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Colon irritabile: i consigli dell’esperto per ridurre i sintomi
News PresaLa sindrome del colon irritabile (Irritable Bowel Syndrome, IBS o intestino irritabile, SII)) è la patologia funzionale gastroenterica più diffusa al mondo: ne soffre dal 10 al 20% della popolazione, con un’incidenza stimata intorno all’1,5%. Nelle donne è più frequente rispetto agli uomini, in un rapporto pari a 3/1 . L’età di esordio è attorno ai 20-30 anni e può impattare pesantemente sulla qualità di vita, con una perdita di giornate di lavoro, seconda solo alla sindrome influenzale.
Colon irritabile: sintomi e cause
Il colon irritabile è caratterizzato da dolore addominale ricorrente, presente almeno un giorno alla settimana da almeno due mesi, associato anche a modificazioni nella frequenza delle evacuazioni e della consistenza delle feci, con disturbi in concomitanza delle evacuazioni. Mentre la presenza di gonfiore e meteorismo, che caratterizza questa sindrome, sono indice di una eccesiva fermentazione con relativa produzione di gas da parte della flora batterica, cioè la popolazione di batteri, miceti e virus che abitano e colonizzano nell’intestino, oggi chiamata microbiota intestinale. A parlarne è il Dott. Marco Dal Fante, Responsabile di Gastroenterologia ed Endoscopia, Humanitas San Pio X, Milano, in un forum della Fondazione Umberto Veronesi
“Sino a qualche anno fa si riteneva che il colon irritabile fosse dovuto prevalentemente all’alterazione della motilità intestinale – spiega lo specialista – oggi le nuove conoscenze fanno ipotizzare che ci sia anche una implicazione dell’asse intestino-cervello, per il legame ormai comprovato che unisce l’attività di questi due organi, e della dieta. Proprio la componente vegetale, corretta e necessaria in uno stile alimentare sano di tipo mediterraneo, potrebbe essere tra le responsabili del gonfiore addominale: il nostro organismo, infatti, non è in grado di assimilare tutte le fibre contenute negli alimenti di origine vegetale, dando luogo non solo a fenomeni di aerofagia, ma anche ad un aumento della massa fecale”.
I consigli dell’esperto
Per contenere dolore e gonfiore addominale, “la prima indicazione – spiega lo specialista – è ridurre l’apporto di alimenti ricchi di FODMAPs, cioè cibi ad alto contenuto di oligosaccaridi fermentati (FO), disaccaridi (D), monosaccardi (M), e polioli, (P). Quali sono? Ad esempio mela, pera, miele, succhi di frutta, carciofi, cavoli, cavolfiori, broccoli, lenticchie, fagioli, fave, legumi in genere, latte vaccino fresco e formaggi freschi a favore di cibi che ne contengono in basse quantità. Tra di essi ci sono banana, mirtilli, pompelmo, melone, kiwi, limone, arancia, mandarino, frutti di bosco (lamponi e fragole), sedano, peperoni, melanzane, fagiolini, lattuga, pomodoro, latte di soia o di riso, formaggi stagionati, farro e tra gli zuccheri il saccarosio. Dopo 4-6 settimane di una dieta a basso contenuto di FODMAPs non solo si possono reintrodurre lentamente anche i cibi che ne contengono in maggiori quantità ma si dovrebbero osservare anche sensibili benefici dei sintomi con una riduzione di meteorismo, flatulenza e dolore addominale di circa 50-80%”. Un ruolo importante contro il colon irritabile lo assume anche l’attività fisica, praticata con regolarità, di media intensità e di tipo aerobico che può includere sessioni in palestra, ma anche camminate a passo sostenuto per almeno 30 minuti per 3-4 volte a settimana o sport quali il nuoto. La pratica fisica ha anche il vantaggio di aiutare a contrastare l’aumento di peso. Contenere/ridurre l’apporto calorico giornaliero associato all’alimentazione, scegliere i cibi giusti, anche funzionali al benessere del colon e fare movimento sono i punti chiave per contenere i disagi e i sintomi di questo disturbo.
Colesterolo alto: con pasti veloci rischio raddoppia
AlimentazioneStare seduti a tavola almeno 20 minuti è il minimo indispensabile per dimezzare il rischio di colesterolo alto, come dimostra uno studio italiano. La ricerca è stata realizzata dall’Università Federico II di Napoli ed è in corso di pubblicazione sul Journal of Translational Medicine. I ricercatori hanno confermato i benefici di masticare lentamente e di dedicare tempo ai pasti. Consumare cibo troppo in fretta, infatti, raddoppia il rischio di colesterolo alto. Basta pranzare e cenare restando seduti a tavola almeno 20 minuti per aiutare il metabolismo e tenere sotto controllo l’introito calorico e quindi il peso.
Colesterolo alto e abitudini a tavola: i risultati dello studio
Lo studio ha indagato le abitudini a tavola di 187 persone con obesità, mostrando che tra chi consuma i pasti in meno di 20 minuti le probabilità di avere il colesterolo alto raddoppiano. “Il colesterolo è un fattore di rischio noto per malattie cardiovascolari come infarto e ictus, ma non è il solo elemento metabolico che peggiora con un pasto troppo frettoloso”, spiega in una nota Annamaria Colao, presidente della Società Italiana di Endocrinologia (SIE), che ha coordinato la ricerca. “Studi precedenti hanno mostrato che mangiare troppo rapidamente si associa a un aumento del consumo di cibo e il nostro lavoro lo conferma”. Colao evidenzia come “fra i cibi che possono essere mangiati più velocemente ci sono quelli ultra-processati (come alcuni insaccati) che, oltre a essere molto calorici e poco sani, ci rendono anche meno capaci di controllare l’introito calorico”.
“Mangiare in modo diverso, rispettando ritmi più lenti e acquisendo consapevolezza di quello che stiamo mangiando, ci aiuterebbe molto a prevenire le malattie del metabolismo” conclude Colao.
Green pass e vaccini, c’è una regia dietro le proteste social
News PresaC’è uno schema, anzi una regia, dietro molte proteste No Vax e No Green Pass che prendono vita su social e chat di messaggistica. A rivelarlo è il secondo rapporto su Fake News e Vaccinazione Covid -19 realizzato dalla Fondazione Mesit – Medicina Sociale ed Innovazione Tecnologica, un report che offre una nuova chiave di lettura sulle contestazioni e il dissenso sempre più acceso sui social. Lo studio realizzato in collaborazione con l’Eehta del Ceis di Tor Vergata, il Crispel – Università di Roma Tre e da Reputation Manager è stato presentato durante l’annuale convegno del network PreSa dal titolo “Disinformazione pandemica. Le nuove sfide per l’informazione globale” e svela ciò che si nasconde dietro il mondo dei social, analizzando per la prima volta anche la presenza di utenti No Green Pass su Facebook e Telegram. Emerge così che dietro l’infodemia legata al Covid-19 si nasconde spesso una regia attenta e specializzata, che sta manipolando le opinioni di migliaia di utenti.
GREEN PASS
A dir poco inquietante è lo scenario che si nasconde dietro il tema Green Pass, con 877 mila utenti attivi in pagine, gruppi o canali a tema certificazione verde, il 97% dei quali segue canali con orientamento contrario al Green Pass (850 mila). Lo studio mette in luce come la principale piattaforma di comunicazione dei No Green Pass si conferma essere Telegram, che in Italia ospita 660 mila utenti contrari al certificato, mentre sono 190 mila su Facebook. Sono 49 i canali o gruppi Telegram contrari al Green Pass e quasi uno su due (45%) si occupa di vendere certificati falsi. Un canale/gruppo su 3, invece, si occupa di organizzare manifestazioni e proteste (29%). Non mancano un 8% di canali che segnalano locali, ristoranti o esercizi commerciali che non chiedono il Green Pass. Un restante 6% di questi canali è invece gestito da studenti. Come sempre i dati sono molto eloquenti, tanto che Carlo Colapietro, Direttore del Crispel Università di Roma 3 fa notare come le reti portino oltre ai tanti benefici anche grandi rischi. «Troppa informazione – dice – potrebbe portare alla disinformazione, mediante la diffusione di fake news e l’incitamento all’odio. Bisogna quindi riflettere e cercare delle soluzioni al fine di preservare il free speech senza incorrere in violazione di altri diritti. Davvero meritoria l’iniziativa promossa dalla Fondazione Mesit di portare l’attenzione sul tema della disinformazione e sarebbe auspicabile la costituzione di un tavolo di lavoro che si occupi di avanzare proposte per la mitigazione del fenomeno delle fake news».
I VACCINI
Preoccupanti sono anche i dati che il rapporto svela su ciò che la gente (in rete) pensa sui vaccini anti Covid. Lo studio certifica una crescita dell’interesse degli utenti, e come sempre i più attivi on line sono gli utenti contrari alle inoculazioni. Basti pensare che a fine novembre 2021 (solo su Facebook e Telegram) lo studio ha rilevato oltre 1,2 milioni di utenti che seguono pagine, canali o gruppi a tema vaccini. Di questi, il 58% – ovvero 703 mila utenti – segue canali di diffusione di teorie dichiaratamente NoVax. Tra maggio e novembre 2021, il numero di utenti con orientamento NoVax nei confronti dei vaccini contro il Covid-19 è più che raddoppiato, crescendo del 130% in sei mesi: a fine novembre sono 358 mila. L’analisi ha inoltre rilevato 194 pagine e gruppi su Facebook dedicati ai vaccini, per un totale di 830 mila iscritti (+17% da maggio a novembre 2021). Nel periodo in esame, crescono gli utenti che seguono pagine o gruppi con orientamento NoVax: l’aggiornamento ne ha rilevati 471 mila, +13% da maggio a novembre. In crescita (+8%) anche gli utenti Facebook follower di pagine NoVax nei confronti dei vaccini contro il Covid-19 (126 mila). «I movimenti NoVax e No Green Pass stanno acquisendo maggiore consapevolezza degli strumenti messi a disposizione della rete», spiega Andrea Barchiesi, fondatore e amministratore delegato di Reputation Manager. «I dati mostrano che sempre più utenti si spostano su Telegram, perché qui si sentono meno controllati rispetto ad altre piattaforme come Facebook. Inoltre, qui trovano più facilmente la risposta a una loro esigenza contingente: acquistare certificati falsi, un’attività letteralmente esplosa negli ultimi mesi».
I RISCHI DI TELEGRAM
A sorprendere è anche e soprattutto il monitoraggio fatto su Telegram. Su questa piattaforma, gli utenti che seguono canali o gruppi NoVax Covid-19 sono cresciuti del 480% negli ultimi cinque mesi: ora sono 232 mila. Quasi raddoppiati (+98%), inoltre, anche gli utenti totali che seguono canali o gruppi a tema vaccini, non necessariamente contrari: ora sono 377 mila. Tra maggio e novembre, un gruppo Telegram dedicato agli eventi avversi legati ai vaccini anti Covid-19 è cresciuto di oltre 50 mila utenti. Dallo studio emerge poi un fenomeno ancor più preoccupante: la nascita di canali o pagine con nomi come “Dittatura sanitaria” o “Guerrieri”. Analizzando uno dei gruppi più seguiti su Telegram è stata addirittura identificata una caratteristica struttura a “scatole cinesi”: la strategia di comunicazione e community building del movimento NoVax – osserva l’analisi della Fondazione Mesit – si ramifica in diversi canali nazionali (ad esempio tramite canali italiani, francesi, tedeschi e così via) o tematici (con una differenziazione di canali in base all’argomento: interviste ai leader, proteste di piazza e altro). «L’aumento vertiginoso delle fake news negli ultimi anni ha generato incertezza e preoccupazione nelle famiglie contribuendo alla riduzione dell’efficacia delle strategie preventive attuate dal Ministero della Salute – dice Francesco Saverio Mennini direttore del EEHTA del Ceis Tor Vergata. I risultati della ricerca indicano che la disinformazione è una delle principali cause che ha prodotto e produce una “ritrosia” da parte di una porzione della popolazione a sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid19. Non solo, però, con riferimento al Covid19. La disinformazione, negli ultimi anni, ha anche contribuito ad una riduzione di adesione ad alcuni programmi di vaccinazione e screening (influenza, HPV e mammella) con conseguenti effetti negativi per quanto attiene la diagnosi ed il conseguente trattamento precoce. Tali effetti, non incrementano solo i rischi di diagnosi ritardata di patologie ad alta letalità, ma generano anche un maggior numero di patologie croniche e acute con un aumento vertiginoso dei costi, tanto diretti (a carico del sistema sanitario) che indiretti e sociali (spesa previdenziale, spesa a carico dei cittadini e spesa sociale)».
FAKE NEWS
Fondamentale resta il capitolo delle Fake news sui vaccini contro il Covid-19. Grazie a questo studio è stato possibile monitorare le conversazioni online (siti news, testate online, social, blog, forum) riferite ai vaccini da maggio a fine novembre 2021 tramite un modello di analisi a 8 categorie: i 209 mila contenuti analizzati, in crescita del 42% rispetto al rilevamento precedente (dicembre 2020-maggio 2021) sono stati così categorizzati in 8 aree tematiche. I contenuti potenzialmente fake relativi ai vaccini Covid-19 riguardanti la pericolosità degli effetti avversi sono in netta crescita (+49%) e ora rappresentano oltre il 73% del totale analizzato. Emerge che oltre 7 false informazioni su 10 sono relative, ad esempio, a reazioni gravi e decessi post vaccinazione mai documentati, a finti occultamenti di morti da parte di Ema e Aifa, oppure alla diffusione di reazioni allergiche e irregolarità mestruali in seguito alla vaccinazione. La natura sperimentale del vaccino (12,1% delle conversazioni potenzialmente fake) è la seconda categoria più popolata. «Questi dati ci ricordano una volta di più quanto sia diventata ardua la sfida alle fake news – dice Marco Trabucco Aurilio – Presidente della Fondazione Mesit e professore di medicina del lavoro dell’ Università del Molise. Oramai una vera e propria pandemia virtuale che purtroppo sta provocando quotidianamente vittime nella vita reale. C’è bisogno dell’impegno di tutti dalle istituzioni, che devono mettere in campo strumenti legislativi ed operativi efficaci, ma anche e soprattutto di chi si occupa di comunicazione che mai come in questo momento storico ha una grande responsabilità nei confronti della salute dei cittadini. Da sempre la convention del network PreSa vuole essere un momento di incontro fra gli stakeholder, una giornata di confronto e dialogo che ci aiuta a capire dove siamo e come possiamo migliorare il sistema salute nel suo complesso». Anche quest’anno, insomma, l’annuale convention organizzata dal network editoriale PreSa è stata l’occasione di un acceso confronto, di scambio di idee tra gli attori principali a vario titolo coinvolti e protagonisti del grande mondo della salute e della prevenzione. Alla sala degli specchi della Casina Valadier a Roma, che ha ospitato l’evento, sono stati presenti, tra gli altri, Angelo Canale (Procuratore generale della Corte dei Conti, Ivano Gabrielli (Direttore del Centro nazionale Anticrimine Informatico per la protezione delle infrastrutture critiche, Polizia Postale), Orazio Schillaci, Rettore dell’Università di Tor Vergata, Vito Ferrara, Vice Ispettore Generale della Sanità Militare, Guido Carpani, Direttore Generale della Federazione Ordine Farmacisti Italiani (FOFI).
Tumori pediatrici: il primo libro blu dell’OMS
News PresaL’Organizzazione mondiale della Sanità ha pubblicato per la prima volta la classificazione specifica per le neoplasie infantili. I tumori infantili sono diversi dai tumori degli adulti per tipologia, cause e approcci terapeutici. Per questo motivo acquista molta importanza la prima classificazione dei tumori pediatrici messa a punto dall’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), espressione dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS). Alla pubblicazione ha partecipato la struttura di Anatomia patologica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, insieme a diverse istituzioni europee e negli Stati Uniti. Una classificazione focalizzata sull’età pediatrica è fondamentale per identificare le migliori opzioni di trattamento sulla base di una diagnosi più precisa e accurata. Cancer Discovery, la rivista dell’Associazione americana per la ricerca sul cancro, in un articolo pubblicato il 17 dicembre, ha anticipato i risultati del lavoro di classificazione durato più di un anno.
I libri blu dell’OMS
Il primo passo per trattare e, quindi, curare il cancro è identificare il tipo preciso di tumore che colpisce il paziente. Dal 1956, l’Organizzazione mondiale della sanità ha promosso la pubblicazione della Classificazione dei Tumori, più comunemente conosciuti come “libri blu”. I libri offrono la catalogazione più aggiornata dei tumori per ogni sistema di organi (p.e. tumori del tratto gastrointestinale). I tumori pediatrici, fino ad oggi, erano uniti ai tumori degli adulti nella trattazione degli specifici organi.
La prima Classificazione OMS dei tumori pediatrici, che sarà disponibile online da gennaio 2022 come parte della quinta edizione della classificazione generale, rappresenta un’eccezione, perché non è limitata a un sistema di organi, ma offre un compendio specifico di tutte le patologie tumorali che possono verificarsi nell’infanzia e nell’adolescenza.
«Una prospettiva complessiva – afferma Rita Alaggio, responsabile di Anatomia patologica del Bambino Gesù e una dei 5 esperti del Gruppo di coordinamento editoriale internazionale che ha curato la classificazione – deve considerare un tumore infantile non solo come malattia di un organo, ma come malattia di un organo nel contesto di un organismo in via di sviluppo».
Tumori pediatrici, perché necessitano di diagnosi e cure diverse
Negli adulti i tumori maligni sono il risultato di un processo di alterazione genetico progressivo. Le cellule, replicandosi, compiono degli “errori” su cui influiscono fattori ambientali, abitudini personali e, per una parte dei pazienti, la predisposizione genetica.
La maggior parte dei tumori pediatrici, invece, è causata da un singolo evento genetico, sporadico e, nella maggior parte dei casi, non ereditario, che si verifica durante lo sviluppo embrionale. Ciò provoca un arresto dello sviluppo e la proliferazione cellulare incontrollata.
Solo circa il 10% dei casi è associato a sindromi ereditarie di predisposizione al cancro. Il libro blu pediatrico contiene una classificazione delle sindromi di predisposizione al cancro e identifica le sfide associate alla diagnosi e al trattamento.
Il libro blu pediatrico riflette la transizione da un approccio diagnostico tradizionale, basato esclusivamente sull’esame istologico al microscopio, verso l’utilizzo di nuove tecnologie di diagnosi molecolare basata sulla genetica dei tumori, che hanno rivoluzionato i criteri di classificazione.
«Un approccio diagnostico integrato tra analisi istologica e analisi molecolari – spiega Alaggio – è un passo fondamentale verso le terapie personalizzate per la cura dei tumori, e rappresenta un campo in cui il Bambino Gesù si pone all’avanguardia».
Prospettive future e limiti
La nuova classificazione dell’OMS dei tumori infantili fornisce un quadro aggiornato e di grande supporto nella pratica diagnostica anatomopatologica dei tumori pediatrici a livello mondiale.
«È importante – rileva Alaggio – per il riconoscimento delle peculiarità nella diagnosi e nel trattamento dei tumori pediatrici. L’auspicio è che favorisca, tra l’altro, la formazione di anatomopatologi in ambito pediatrico, una specializzazione che oggi esiste solo in alcuni Paesi». L’avvento delle nuove tecnologie ha avuto un profondo impatto sul ruolo dell’anatomopatologo nella diagnostica oncologica. Una diagnosi che integri gli aspetti microscopici del tumore con quelli molecolari, fornendo indicatori prognostici e predittivi di risposta alla terapia, «è fondamentale per risparmiare al bambino in cura gli effetti collaterali del trattamento e aumentare la qualità della sua vita futura».
Una speciale attenzione è stata riservata nel libro blu pediatrico alla fruibilità della classificazione da parte dei paesi a basso reddito, e quindi con carenza di risorse, fornendo criteri diagnostici di base, indipendentemente dall’utilizzo di metodiche molecolari ad alto costo. Tuttavia rimane auspicabile, aggiunge Alaggio «che in futuro vengano sviluppati test molecolari a prezzi accessibili, e reti di supporto per assicurare anche a questi paesi diagnosi basate su criteri imparziali e riproducibili, con un aumento della precisione diagnostica».
Il vero limite dello studio OMS è che, come tutte le classificazioni, può fornire solo un’istantanea aggiornata che riflette le conoscenze attuali. «Per questo motivo – spiega Alaggio – l’OMS ha implementato meccanismi per aggiornare aspetti specifici delle classificazioni tra le diverse edizioni». Inoltre, l’OMS «avrà tutte le classificazioni dei tumori in un formato online dove potranno anche essere aggiornate in tempo reale».
Smart working, rischiano un forte stress
News PresaLo smart working è un forte stress per chi ha un lavoro precario. Come al solito, piove sul bagnato. E a stabilirlo è uno studio sui costi psicologici del lockdown nei lavoratori, frutto della collaborazione fra l’università La Sapienza di Roma e le università di Trento, Bologna, Mannheim e la Pontificia Salesiana. «Chi possedeva un contratto di lavoro a tempo indeterminato, o possedeva comunque una percezione solida della propria posizione lavorativa, ha accolto positivamente la possibilità dello smart working», spiega Guido Alessandri, docente della Sapienza, tra gli autori dell’indagine. «Al contrario – aggiunge – per chi avvertiva un forte senso di precarietà e insicurezza lavorativa, è risultata invece molto stressante». Lo studio, pubblicato su “Current Psychology”, è stato realizzato basandosi su un campione di circa 600 lavoratori, intervistati nella prima fase di lockdown (dal 22 marzo al 6 aprile 2020) a cui è stato chiesto di rispondere a dei questionari per rilevare le loro caratteristiche psicologiche e il livello di adattamento personale e lavorativo.
VULERABILITA’
Grazie a questa indagine è stato possibile indagare in un disagio profondo, ma poco noto. Tra le vulnerabilità emerse con maggior chiarezza, proprio «la percezione di insicurezza lavorativa e di precarietà appaiono associate – si rileva nella ricerca – a un peggiore adattamento emotivo, soprattutto per chi possedeva un contratto a tempo determinato». Tra le singole vulnerabilità e risorse – sottolinea lo studio – sono state inoltre evidenziate interessanti interazioni: la positività, ad esempio, è risultato un fattore di protezione chiave, in grado di diminuire la percezione dello stress causato dalle vulnerabilità». Anche la capacità di guardare con positività al futuro è emerso come elemento chiave. Sentimenti di frustrazione, rabbia o paura determinati dall’avvento del lockdown sono risultati “attenuati” in chi possedeva aspettative più positive sul domani.
IL PREZZO DA PAGARE
Infine, gli effetti negativi dello stress economico dovuto alla pandemia sono risultati ridotti grazie ad alcune caratteristiche personali come la dedizione, o dalla natura del rapporto di lavoro come il tipo di contratto in essere o la centralità riconosciuta al lavoro svolto. I risultati ottenuti «consentono di definire con chiarezza la rete di risorse e di vulnerabilità più rilevanti per le diverse tipologie di lavoratori, anche nell’ottica di ideare e realizzare interventi a supporto dei lavoratori nelle fasi successive a questo complicato periodo. Letti nel loro insieme, i fattori determinanti permettono infatti – si conclude nell’indagine – di desumere il profilo dei lavoratori più vulnerabili allo stress indotto dal lockdown, che rischiano di pagare alla lunga un costo maggiore degli altri, perché privi delle risorse necessarie per farvi fronte».
Malattie croniche nasali: verso riconoscimento e prescrivibilità cure
Associazioni pazienti, Economia sanitariaUna vera e propria coalizione tra clinici e associazioni pazienti per ottenere dalle Istituzioni il riconoscimento e la prescrivibilità dei trattamenti delle patologie croniche nasali.
L ’Associazione Respiriamo Insieme-APS – in collaborazione con un gruppo di Associazioni di Pazienti tra le più rappresentative in Italia, da Cittadinanattiva e dalle principali Società Scientifiche che si occupano di queste patologie – ha presentato alle Istituzioni la richiesta di promuovere la “Giornata Nazionale della poliposi nasale e malattie croniche nasali” per sostenere i diritti dei pazienti affetti da questa cronicità invalidante.
Una giornata da ricordare a novembre
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Novavax, contro il Covid un vaccino tradizionale
Ricerca innovazioneC’è una ragione più che valida se l’ultimo arrivato dei vaccini anti Covid si è conquistato da subito le simpatie anche degli scettici dei vaccini. O almeno non ha scatenato le immediate proteste dei sostenitori del complotto e della cospirazione targata “Big Pharma”. La tecnologia impiegata per “NVX-CoV2373”, questa la sigla del vaccino che prende il nome di Novavax, è di stampo tradizionale. Si tratta infatti di un vaccino che non usa la tecnologia mRNA, perché è un vaccino proteico. In altre parole. contiene frammenti prodotti in laboratorio della proteina Spike, che si trova sulla superficie del virus Sars-CoV-2, e un adiuvante, la saponina. Diversamente dai vaccini Pfizer, Moderna, Astrazeneca, Johnson&Johnson, Sputnik, che usano tecnologie a mRNA e vettore virale, quello prodotto dalla casa farmaceutica statunitense Novavax non è un vaccino genico ed è stato creato attraverso la tecnica delle proteine ricombinanti. Una tecnologia già ampiamente sperimentata fin dagli anni ’80 per esempio contro l’epatite B. Il nuovo immunizzante autorizzato da EMA, come qualsiasi altro vaccino, ha l’obiettivo di stimolare il sistema immunitario e fargli produrre una risposta contro l’aggressione di un agente esterno.
DOPPIA DOSE A 21 GIORNI
È composto da frammenti proteici del virus partendo dall’immissione in un ‘baculovirus’ (virus svuotato del suo contenuto genetico) di una porzione di Dna con le informazioni utili a produrre la proteina Spike. In una fase successiva, alcune cellule vengono infettate dal virus e quando il materiale è all’interno, il baculovirus libera il materiale genetico utile alla produzione della Spike. Proteina che, dopo essere stata prodotta, viene rilasciata al di fuori delle cellule. Le nanoparticelle virali contengono fino a 14 proteine Spike, a cui si aggiunge un adiuvante che stimola il sistema immunitario. Un’ingegneria, quella di Novavax, completamente differente dalla tecnologia a mRna (Moderna e Pfizer), che consiste invece nell’iniezione di un frammento di Rna che serve a far produrre soltanto la proteina Spike. Il protocollo del nuovo vaccino prevede la somministrazione di due dosi a distanza di 21 giorni, l’immunizzante resta stabile tra i due e gli otto gradi. Quando viene inoculato, il sistema immunitario si attiva e legge le particelle proteiche come estranee: a questo punto comincia a produrre difese naturali attivando anticorpi e linfociti T e B.
Sindrome di Cornelia de Lange: luce sui processi molecolari
BambiniUn team di studiosi dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Cnr ha descritto il ruolo chiave del gene c-MYC in un gruppo di pazienti affetti dalla sindrome di Cornelia de Lange e da patologie correlate, facendo passi avanti nella comprensione della malattia. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Human Molecular Genetics.
La sindrome di Cornelia de Lange
La sindrome di Cornelia de Lange (CdLS) prende il nome dalla pediatra olandese che nel 1933 descrisse per la prima volta alcuni bambini che ne erano affetti, ed è una patologia malformativa, che si esprime in un insieme di sintomi, tra cui predominano alterazione della simmetria facciale, ritardo cognitivo e anomalie degli arti. La frequenza è di circa un caso su 10.000 nati e la sua base è genetica. Il quadro clinico è complicato dall’osservazione che pazienti affetti da CdLS con fenotipo lieve hanno caratteristiche morfologiche e funzionali che si sovrappongono a quelle di altre patologie, come le sindromi KBG e di Rubinstein-Taybi (RSTS), anch’esse caratterizzate da disabilità intellettiva e microcefalia, rendendo difficile una diagnosi corretta. A conferma di ciò, sono stati pubblicati lavori in cui soggetti con diagnosi di CdLS, in realtà, presentavano mutazioni in geni responsabili di altre patologie. I meccanismi molecolari alla base di questa sovrapposizione non sono noti.
Lo studio
Uno studio dell’Istituto di ricerca genetica e biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irgb), sostenuto dalla Fondazione Pisa e pubblicato su Human Molecular Genetics, ha analizzato i profili di espressione genica di 14 pazienti con diagnosi di CdLS, KBG e RSTS. “Abbiamo dimostrato che tutte le cellule sono caratterizzate dall’alterata espressione di centinaia di geni, alcuni sono espressi di più, altri di meno”, spiega Antonio Musio, ricercatore Cnr-Irgb. “Inoltre, condividono vie biochimiche alterate, come la regolazione della trascrizione genica e la sintesi proteica. È interessante notare che il gene c-MYC è espresso di meno in tutte le cellule e rappresenta un hub convergente posto al centro delle vie biochimiche alterate. Infatti, c-MYC regola direttamente o indirettamente molti dei geni deregolati”. I risultati suggeriscono quindi che c-MYC sia responsabile della deregolazione dell’espressione genica osservata nelle sindromi CdLS, KBG e RSTS. “Probabilmente la sovrapposizione dei fenotipi dipende dall’alterata espressione di c-MYC che sembra essere un regolatore centrale della crescita e dello sviluppo mediante il controllo trascrizionale di numerose vie biochimiche”, conclude Musio.