Tempo di lettura: 2 minutiNuovi studi confermano il peso della dieta e dello stile di vita sul rischio di sviluppare tumori. In particolare, aumentando il consumo di frutta e verdura, riducendo la carne rossa e lavorata (insaccati e salumi) e migliorando lo stile di vita, il rischio di cancro del colon-retto diminuisce di quasi il 40% tra le persone con un’alta predisposizione genetica di sviluppare la malattia. Scende al 25 per cento tra le persone a basso rischio. Gli studiosi del Vanderbilt University Medical Center hanno dato ulteriore conferma di già era già stato riscontrato da altri studi su molti tipi di tumori. I risultati sono stati pubblicati sull’American Journal of Clinical Nutrition.
Carne lavorata classificata come cancerogena
L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito la carne rossa nel gruppo dei probabili cancerogeni e quella lavorata nel gruppo dei cancerogeni. Sul rischio di tumore incidono significativamente gli additivi presenti negli insaccati e il metodo di cottura della carne: la crosta scura, tipica della brace, è ricca di sostanze cancerogene, date dalla combustione. In Italia il tumore al colon-retto ha un’incidenza di 130-140 nuovi casi (90 negli uomini e circa 50 nelle donne) su 100mila abitanti. È il terzo tipo di tumore nell’uomo, dopo polmone e prostata, e il secondo nella donna, preceduto da quello alla mammella.
L’alimentazione che abbassa il rischio di cancro. Lo studio
I ricercatori hanno analizzando i dati di 346.297 partecipanti della coorte inglese Biobank. Sono stati messi a confronto due tipi di punteggi, in base allo stile di vita e al rischio poligenico. Il primo è stato costruito sulle informazioni relative a indice di massa corporea, rapporto vita-fianchi, attività fisica, tempo sedentario, assunzione di carne rossa e processata, di frutta e verdura, di alcol e uso di tabacco. Il secondo è stato determinato utilizzando varianti genetiche associate al rischio di cancro colorettale identificate in recenti studi.
Il tumore è una malattia dei geni che fa perdere alle cellule il proprio comportamento normale. Il binomio geni-stili di vita è interessante, in quanto uno stile di vita adeguato riduce l’infiammazione metabolica che, unita a un deficit di riparazione delle cellule, può favorire lo sviluppo del cancro. I fattori legati a un minore rischio sono: una dieta varia e ricca di fibre vegetali (a base di cereali, legumi, frutta e verdura) e povera di sale, zucchero, grassi e alcol, con una stile di vita attivo. Il rischio aumenta invece con il sovrappeso, il fumo (anche passivo), cibi ricchi di additivi e uno stile di vita sedentario.
Demenza: entro il 2050 destinata a triplicare nel mondo
AnzianiLa demenza potrebbe triplicare entro il 2050. Il dato emerge da uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Public Health e condotto dagli scienziati dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) che hanno valutato i possibili casi in 195 paesi e territori in varie parti del globo nei prossimi 30 anni. Oggi la demenza è la settima causa di morte in tutto il mondo e uno dei principali motivi di disabilità e dipendenza tra le persone anziane. Secondo le stime, i costi globali per il 2019 ammontavano a oltre mille miliardi di euro.
Demenza: previsioni nel mondo
Gli studiosi, guidati da Emma Nichols, hanno considerato quattro importanti fattori di rischio legati alla demenza, fumo, obesità, livelli elevati di glicemia e basso grado di istruzione. Secondo i risultati, entro il 2050 circa 153 milioni di persone potrebbero sviluppare demenza, a fronte dei 57 milioni di casi verificatisi nel 2019. Lo studio è basato su un modello previsionale. L’aumento più significativo si prevede nell’Africa subsahariana orientale, dove si calcola un aumento del 357 per cento nel numero di persone con demenza, che passeranno da circa 660 mila nel 2019 a oltre tre milioni nel 2050.
L’incremento più contenuto, invece, si prevede nell’Asia del Pacifico ad alto reddito, dove si calcola che il numero di casi crescerà del 53 per cento, da 4,8 milioni registrati nel 2019 a 7,4 milioni tra meno di 30 anni.
Nell’Europa occidentale, invece, gli studiosi hanno calcolato una crescita del 74 per cento per i valori associati all’insorgenza della demenza. Lo studio suggerisce incrementi relativamente contenuti in Grecia (45%), Italia (56%), Finlandia (58%). L’invecchiamento della popolazione potrebbe giocare un ruolo fondamentale in questi valori secondo i ricercatori.
Prevenzione globale
Un maggiore accesso all’istruzione potrebbe ridurre di sei milioni il numero di casi di demenza entro il 2050. Secondo gli scienziati è fondamentale intraprendere politiche di prevenzione per ridurre il rischio di insorgenza di queste patologie attraverso interventi legati allo stile di vita, l’istruzione, la dieta e l’esercizio fisico, oltre che ampliando le risorse sanitarie e di assistenza sociale necessarie. Questi nuovi dati possono essere una guida per decisioni più consapevoli in materia di prevenzione e contrasto della demenza, sottolinea la prima autrice dello studio.
Studio israeliano: vaccino riduce rischio di effetti long Covid
PrevenzioneUno studio israeliano dell’Università di Bar-Ilan dimostra un effetto protettivo del vaccino contro gli effetti del long Covid. La ricerca è stata realizzata tra marzo 2020 e giugno 2021. L’obiettivo dei ricercatori era quello di analizzare gli effetti del mancato recupero dalla malattia settimane o mesi dopo l’episodio acuto. I sintomi più frequenti proprio nel post-malattia individuati erano: l’affaticamento (22%), il mal di testa (20%), la debolezza (13%) e il dolore muscolare persistente (10%). I ricercatori hanno messo a confronto i dati delle persone completamente vaccinate (con due o più dosi) facendo emergere una minore probabilità di riportare uno di questi sintomi. La riduzione è stata del 64% per l’affaticamento, del 54% per il mal di testa, del 57% per la debolezza e del 68% per il dolore muscolare persistente. Lo studio è ora in corso di pubblicazione.
Effetti del long Covid anche dopo 6 mesi
Gli effetti a lungo termine dell’infezione da coronavirus possono manifestarsi in tutte le persone che lo hanno contratto, indipendentemente dall’età e dalla gravità della malattia. Tuttavia, sono soprattutto le donne tra i 40 e 60 anni a soffrirne.
I meccanismi alla base delle manifestazioni post-acute e croniche di COVID-19 non sono ancora del tutto compresi, ma possono essere raggruppati in due categorie: per effetto diretto dell’infezione virale e per effetto indiretto sulla salute mentale dovuto a stress post-traumatico, isolamento sociale e fattori economici, come la perdita del lavoro. Una revisione sistematica di 57 studi che hanno coinvolto più di 250.000 sopravvissuti a COVID-19, evidenzia che il 54% aveva ancora almeno un sintomo 6 mesi o più dopo la diagnosi iniziale o la dimissione dall’ospedale.
Covid-19 ben al di sopra della soglia epidemica
News PresaLa nuova variante Omicron del virus Covid-19 è stata definita dagli esperti come la più contagiosa della storia. Nonostante sia associata a sintomi più leggeri, la rapidità di diffusione aumenta i problemi. L’incidenza settimanale a livello nazionale continua ad aumentare rapidamente: 1669 ogni 100.000 abitanti (31/12/2021 -06/01/2021) vs 783
ogni 100.000 abitanti (24/12/2021 – 30/12/2021), dati flusso ministero della
Salute.
Covid-19, ben al di sopra della soglia epidemica
Secondo i dati del Ministero della Salute, nel periodo 15 dicembre – 28 dicembre 2021, l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 1,43 (range 1,23 – 2), in forte aumento rispetto alla settimana precedente e ben al di sopra della soglia epidemica. É in forte aumento anche l’indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero (Rt = 1,3 (1,27-1,32) al 28/12/2021 vs Rt = 1,11 (1,08-1,13) al 20/12/2021.
Il tasso di occupazione in terapia intensiva è al 15,4% (al 06 gennaio) vs il 12,9% (al 30 dicembre). Il tasso di occupazione in aree mediche a livello nazionale sale al 21,6% (al 06 gennaio) vs il 17,1% (al 30 dicembre).
Dieci Regioni/PPAA sono classificate a rischio alto, di cui 3 a causa dell’impossibilità di valutazione, 11 Regioni/PPAA risultano classificate a rischio moderato secondo il DM del 30 aprile 2020. Tra queste, sei Regioni/PPAA sono ad alta probabilità di progressione a rischio alto secondo il DM del 30 aprile 2020.
Quasi tutte le Regioni/PPAA riportano almeno una singola allerta di resilienza. Dieci Regioni/PPAA riportano molteplici allerte di resilienza. In forte aumento il numero di nuovi casi non associati a catene di trasmissione (309.903 vs 124.707 della settimana precedente). È in
aumento la percentuale dei casi rilevati attraverso la comparsa dei sintomi
(50% vs 48%) e aumenta anche la percentuale di casi diagnosticati
attraverso attività di screening (34% vs 31%).
Ginecologia, interventi mininvasivi senza cicatrici visibili
News PresaUn intervento di chirurgia ginecologica mininvasiva che non lascia cicatrici visibili perché il taglio viene effettuato sul fondo della vagina; è questa la procedura innovativa che realizza l’equipe di Ginecologia ed Ostetricia del Santa Maria delle Grazie di Pozzuoli guidata dal primario Luigi Stradella. Questa procedura, denominata vNOTES è stata messa a punto in Belgio e si pratica in pochissime strutture italiane, garantendo l’intervento senza dover effettuare incisioni sull’addome. Questa tecnica coniuga i benefici della chirurgia vaginale con quelli della moderna laparoscopia, permettendo un intervento che – oltre a non lasciare tracce visibili – permette degenze più brevi e un recupero più veloce. Questa tecnica si può utilizzare per intervenire su ovaio e tube in presenza di cisti o di gravidanze tubariche o anche per interventi di isterectomia. Questo tipo di intervento riduce il dolore post-operatorio e l’ospedalizzazione, analogamente a ciò che accade nell’utilizzo della chirurgia robotica. «Nonostante le difficoltà dovute alla pandemia – dice il primario Luigi Stradella – stiamo lavorando intensamente per migliorare l’assistenza in ogni suo aspetto. La tecnica vNotes è un esempio di questo genere così come lo è la chirurgia robotica o i servizi per la procreazione assistita o il percorso di fast track per le urgenze ginecologiche. Tanto impegno ha trovato una certificazione nelle scorse settimane nel doppio bollino rosa che la Fondazione Onda ha attribuito al nostro reparto a seguito di un’indagine sui servizi e sulle modalità di assistenza».
RESTYLING
Il reparto di Ginecologia ed Ostetricia di Pozzuoli è stato profondamento rinnovato sia negli ambienti che nelle professionalità che nelle dotazioni tecnologiche. Nel corso degli ultimi anni, infatti, si è totalmente rinnovato acquisendo nuovo personale: 9 nuovi medici 4 infermieri, 4 ostetriche, 3 oss. Nelle prossime settimane partiranno nuovamente anche le attività del centro di Procreazione Medicalmente Assistita. Nel corso del 2021 presso il reparto di Ginecologia ed Ostetrica di Pozzuoli sono stati effettuati diversi interventi chirurgici di cui 72 con il Robot Chirurgico. «Ringrazio il personale del reparto di Ginecologia ed Ostetricia e il dottore Stradella per essere riusciti a mettere in atto interventi sostanziali, diretti a migliorare l’assistenza anche in questo momento di emergenza pandemica. L’ospedale di Pozzuoli è sempre più un riferimento non solo in Campania per la qualità dell’assistenza anche su bisogni di salute complessi. Il doppio bollino rosa ricevuto dalla Fondazione Onda è un riconoscimento che certifica sia la qualità delle cure, che l’attenzione nell’accoglienza e nella presa in carico delle pazienti. Quanto più saremo in grado di farci carico delle persone, tanto più riusciremo a trasformare la nostra sanità». Il riconoscimento del doppio bollino rosa sarà comunicato dalla Fondazione Onda sul proprio sito web a partire dal prossimo 10 gennaio. L’ospedale di Pozzuoli rientra tra le 354 realtà italiane che hanno ricevuto tale riconoscimento, a fronte di oltre 800 ospedali che ne avevano fatto domanda.
Omicron corre veloce. Medici di Napoli: rischio codice nero
News PresaOmicron corre veloce e molte regioni iniziano a trovarsi in difficoltà. Tra queste la Campania, dalla quale si leva l’allarme del presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli Bruno Zuccarelli che parla di «situazione è critica, molto peggiore di quanto possa apparire». Il leader dei camici bianchi non usa mezzi termini nel dire che «abbiamo bisogno di aiuto e ne abbiamo bisogno ora. Roma decida per una misura drastica».
Il presidente Bruno Zuccarelli
L’appello arriva al termine di un approfondito, e per molti aspetti drammatico, confronto con i colleghi in servizio nelle principali strutture ospedaliere di Napoli e provincia. Medici universitari, medici di medicina generale, specialisti ambulatoriali, medici del 118 e medici impegnati in ogni altro ambito sono ormai sottoposti ad uno stress non più gestibile e rischiano il burnout. «Né all’indomani del primo lockdown, né nel corso della seconda e terza ondata – sottolinea il leader dei camici bianchi – la nostra situazione è stata tanto grave, e ora rischiamo di perderne il controllo. Il dilagare della variante Omicron ha messo in ginocchio ospedali, ambulatori studi medici e rete dell’emergenza, e ciò che emerge oggi è solo la punta dell’iceberg. Entro una settimana o due al massimo, se non si interviene adesso, rischiamo di vedere a Napoli ciò che purtroppo abbiamo visto in Lombardia due anni fa». Omicron
TROPPI CASI
A fronte di un Covid-19 apparentemente più bando, l’enorme capacità infettiva del virus sta facendo ricadere sui pronto soccorso e sulle terapie intensive un numero enorme di accessi; una quantità di pazienti che il sistema sanitario regionale molto presto non sarà in grado di gestire. Non a caso ASL e Aziende Ospedaliere hanno già avviato la riconversione di reparti e hanno interrotto molte attività ambulatoriali e chirurgiche di elezione. Dopo mesi nei quali si è lavorato al recupero delle liste d’attesa, spendendo soldi dei contribuenti, dicono i medici di Napoli, ora si torna a rinviare controlli e cure. Nella maggior parte dei casi, le direzioni strategiche hanno già provveduto a revocare ferie e permessi. «Una misura di estrema gravità che dovrebbe far comprendere quanto sia drammatico lo scenario», commenta Zuccarelli, che poi affronta anche il tema delle aggressioni nei pronto soccorso. «A causa del prolungarsi dei tempi d’attesa e dell’impossibilità di prendere in carico le situazioni meno gravi la tensione è alle stelle. I colleghi che lavorano in emergenza – dice – hanno paura. Gli insulti e le aggressioni sono all’ordine del giorno e spesso le guardie giurate non sono in condizione di impedire che dalle parole si passi alle vie di fatto». Una situazione potenzialmente esplosiva che, per la prima volta dall’inizio della Pandemia, spinge l’Ordine dei Medici di Napoli a chiedere un intervento deciso del Governo affinché vengano adottate decisioni drastiche. «Ciò che si decide oggi – ricorda Zuccarelli – avrà effetto a distanza di 10 o 15 giorni. Se vogliamo evitare il peggio è bene che si intervenga subito. Vi prego, non metteteci in condizione di dover applicare il codice nero».
Super green pass e obbligo vaccinale over 50. Le sanzioni
News PresaÈ in vigore l’obbligo di green pass rafforzato per gli over 50, in base al decreto legge appena varato dal governo. Il super green pass sarà richiesto anche sul luogo di lavoro a tutta la popolazione dal 15 febbraio. Chi ad oggi non è vaccinato dovrà effettuare la prima dose del vaccino entro il 31 gennaio per ottenere un green pass rafforzato valido a partire dal 15 febbraio. Invece dal 20 gennaio al 31 marzo 2022 per l’accesso in uffici, banche e servizi alla persona servirà almeno il green pass semplice.
Obbligo di green pass rafforzato per over 50
Il decreto introduce da subito l’obbligo di vaccinazione per tutti i cittadini italiani e stranieri, dai 50 anni in su, residenti in Italia o soggiornanti nel nostro Paese iscritti o meno al Servizio sanitario nazionale. Le uniche esclusioni riguardano condizioni cliniche che rendano “non indicata”la vaccinazione e che devono essere attestate dal medico di medicina generale e poi valutate dall’azienda sanitaria territorialmente competente che, nel caso in cui concordi con la valutazione del medico di medicina generale, rilascerà una certificazione di esenzione alla vaccinazione anti SARS-CoV-2. Chi ha già avuto il Covid posticiperà la vaccinazione fino alla prima data utile.
Le sanzioni
A partire dal 1° febbraio 2022, il decreto prevede, per tutti gli over 50 non vaccinati e senza esenzioni dall’obbligo (lavoratori e non) una sanzione di 100 euro una tantum. La sanzione sarà irrogata dall’Agenzia delle entrate, attraverso l’incrocio dei dati della popolazione residente con quelli risultanti nelle anagrafi vaccinali regionali o provinciali. Per i lavoratori pubblici e privati e i liberi professionisti non vaccinati, soggetti all’obbligo di possedere un Green Pass rafforzato dal 15 febbraio 2022, è prevista una sanzione da 600 a 1.500 euro nel caso di accesso ai luoghi di lavoro in violazione dell’obbligo. Tutti i lavoratori sprovvisti di Green Pass rafforzato che non possono accedere al luogo di lavoro saranno considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro ma senza diritto alla retribuzione né altro compenso o emolumento. Per le persone che accedono senza Green Pass ai servizi e alle attività in cui è obbligatorio averlo, è prevista una sanzione da 400 a 1.000 euro. La stessa sanzione si applica a chi non ha effettuato il controllo.
Tamponi rapidi, contro Omicron alto rischio di errore
News PresaA migliaia in tutta Italia si sono dedicati alla caccia al tampone rapido in vista delle festività, e ora che Omicron corre veloce le cose sembrano essere cambiate. Continua infatti l’assalto ai centri privati e pubblici, così come alle farmacie, per ottenere un risultato veloce che attesti la negatività e che, nel peggiore dei casi, confermi un sospetto. Ora però a smontare le certezze di quanti con un tampone rapido si sono sentiti al sicuro è arrivata la brutta notizia lanciata da Guido Rasi, consulente del commissario per l’emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo: «Con la variante Omicron destinata a diventare predominante – dice – i tamponi antigenici rapidi rischiano di diventare inutili. La nuova versione del virus Sars-CoV-2 sembra in grado di sfuggire con maggior frequenza ai test diagnostici oggi più utilizzati». Statistiche alla mano, quasi una negatività su due è falsa e stando ai dati preliminari circa il 40% delle persone positive alla variante Omicron può risultare negativo ai test rapidi; del resto a lanciare dubbi sull’affidabilità dei test era stata per prima la Food and drug administration (Fda).
MOLECOLARE
Al momento, e in attesa che arrivino in commercio tamponi rapidi più efficaci nel rilevare Omicron, l’unico modo per avere una certezza sulla positività è il tampone molecolare. Questo non significa che il test rapido non serva a nulla, comunque in caso rilevi una positività può essere molto utile, ma non può escludere la presenza del Covid senza una conferma. A fare chiarezza sulla questione dei tamponi è il Ministero della Salute, che riporta che il tampone molecolare è attualmente il gold standard internazionale per la diagnosi di Covid-19 in termini di sensibilità e specificità. Si basa sul prelievo di un campione tramite un tampone naso-faringeo, che viene poi esaminato con metodi molecolari real-time Rt-Pcr (Reverse Transcription-Polymerase Chain Reaction) per l’amplificazione dei geni virali maggiormente espressi durante l’infezione. Alla luce dell’emergenza di mutazioni del gene che codifica per la proteina spike, si sconsiglia l’utilizzo di test basati esclusivamente sul gene S per il rilevamento dell’infezione da Sars-Cov-2 mediante Rt-Pcr.
Vaccini proteggono da Omicron grazie ai linfociti T
News PresaIl vaccino contro il Covid-19 protegge dalla variante Omicron grazie alle cellule T del sistema immunitario che rimangono di guardia, anche se gli anticorpi calano con il tempo e non riconoscono bene le nuove varianti. A dimostrarlo è uno studio dell’Istituto di ricerca e ospedale di neuroriabilitazione Santa Lucia IRCCS di Roma, da cui emerge la capacità delle cellule T del sistema immunitario di riconoscere la nuova variante e quindi di proteggere dalla malattia grave e dall’ospedalizzazione. I ricercatori hanno analizzato i campioni di sangue di 61 donatori che avevano effettuato diverse tipologie di vaccinazione. I linfociti T dei donatori sono stati esposti alla proteina Spike del ceppo originale di SARS-CoV-2, contro cui sono stati preparati i vaccini attualmente in uso. Il 100% dei donatori ha risposto con l’attivazione dei linfociti T specifici per il coronavirus. I linfociti T sono stati poi esposti ai frammenti mutati della proteina Spike della variante Omicron generando una risposta cellulare in circa il 70% degli individui. Tuttavia, la risposta era ridotta di quasi il 50%, ossia era minore il numero di cellule che riconosceva la proteina Spike mutata. Gli studiosi hanno stimato che l’efficacia residua dei vaccini ad mRNA è di circa l’80% rispetto a quella contro la variante originale. Gli anticorpi sono solo una parte degli strumenti che il sistema immunitario mette in campo per combattere le infezioni. I linfociti T hanno, chimicamente, una visione più ampia del virus rispetto agli anticorpi.
Omicron, uno spillback tra uomini e topi
News PresaOmicron, o meglio l’attuale versione di Omicron, potrebbe essere il risultato di quello che in gergo viene definito spillback, vale a dire un passaggio del virus dall’uomo a un animale e dall’animale nuovamente all’uomo. In particolare, l’ipotesi allo studio degli scienziati è che la variante Omicron abbia ad un certo punto infettato dei topi e che poi, dopo varie mutazioni, sia tornata all’uomo. A lavorare sui questa teoria, a dir poco inquietante, sono i ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze. Sono proprio gli studiosi a spiegare che i risultati ottenuti sino a questo momento suggeriscono questo spillback tra il progenitore di Omicron e l’attuale mutazione. Il virus, dicono, «è passato dall’uomo ai topi, ha accumulato rapidamente mutazioni favorevoli all’infezione di quell’ospite, quindi è tornato negli esseri umani, indicando una traiettoria evolutiva interspecie per l’epidemia di Omicron». Sono addirittura 45 le mutazioni di Omicron rilevate alla divergenza dal lignaggio B.1.1. e descritte in un lavoro pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Genetics and Genomics. proprio in queste mutazioni i ricercatori cinesi hanno scoperto che la sequenza della proteina spike di Omicron è stata sottoposta a una selezione più forte rispetto a quella di qualsiasi variante SarsCov2. Questo, secondo gli studiosi, potrebbe suggerire la possibilità di un nuovo “salto” dall’uomo agli animali e poi da questi ancora all’uomo. Lo spettro molecolare delle mutazioni acquisito dal progenitore di Omicron è risultato “significativamente diverso” dallo spettro dei virus che si sono evoluti nei pazienti umani, ma somigliava agli spettri associati all’evoluzione del virus dell’ambiente cellulare dei ratti. Inoltre, le mutazioni nella proteina spike di Omicron si sono sovrapposte in modo significativo alle mutazioni SarsCov2 note per promuovere l’adattamento nei topi.
IMMUNITÀ CELLULARE
Intanto, una delle maggiori preoccupazioni legate proprio alla variante Omicron pare essere smentita dai dati che stanno emergendo: anche se gli anticorpi calano nel tempo e in più non riconoscono bene le nuove varianti, le cellule T del sistema immunitario rimangono di guardia. Semplificando, si può dire che l’immunità cellulare è costituita da un esercito di cellule del sangue addestrate a riconoscere il virus, dotate anche di memoria e longevità: le cellule o linfociti T. Ora è certo che queste cellule riconoscono anche la variante Omicron, seppur in misura ridotta rispetto al virus originale di Wuhan contro cui siamo stati vaccinati. Questi linfociti T hanno, chimicamente, una visione più ampia del virus rispetto agli anticorpi, e riescono a sorvolare su piccoli cambiamenti nella sua struttura, rimanendo sempre sul bersaglio.
Carne rossa e cibi lavorati aumentano rischio di cancro al colon, verdure lo abbassano
PrevenzioneNuovi studi confermano il peso della dieta e dello stile di vita sul rischio di sviluppare tumori. In particolare, aumentando il consumo di frutta e verdura, riducendo la carne rossa e lavorata (insaccati e salumi) e migliorando lo stile di vita, il rischio di cancro del colon-retto diminuisce di quasi il 40% tra le persone con un’alta predisposizione genetica di sviluppare la malattia. Scende al 25 per cento tra le persone a basso rischio. Gli studiosi del Vanderbilt University Medical Center hanno dato ulteriore conferma di già era già stato riscontrato da altri studi su molti tipi di tumori. I risultati sono stati pubblicati sull’American Journal of Clinical Nutrition.
Carne lavorata classificata come cancerogena
L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito la carne rossa nel gruppo dei probabili cancerogeni e quella lavorata nel gruppo dei cancerogeni. Sul rischio di tumore incidono significativamente gli additivi presenti negli insaccati e il metodo di cottura della carne: la crosta scura, tipica della brace, è ricca di sostanze cancerogene, date dalla combustione. In Italia il tumore al colon-retto ha un’incidenza di 130-140 nuovi casi (90 negli uomini e circa 50 nelle donne) su 100mila abitanti. È il terzo tipo di tumore nell’uomo, dopo polmone e prostata, e il secondo nella donna, preceduto da quello alla mammella.
L’alimentazione che abbassa il rischio di cancro. Lo studio
I ricercatori hanno analizzando i dati di 346.297 partecipanti della coorte inglese Biobank. Sono stati messi a confronto due tipi di punteggi, in base allo stile di vita e al rischio poligenico. Il primo è stato costruito sulle informazioni relative a indice di massa corporea, rapporto vita-fianchi, attività fisica, tempo sedentario, assunzione di carne rossa e processata, di frutta e verdura, di alcol e uso di tabacco. Il secondo è stato determinato utilizzando varianti genetiche associate al rischio di cancro colorettale identificate in recenti studi.
Il tumore è una malattia dei geni che fa perdere alle cellule il proprio comportamento normale. Il binomio geni-stili di vita è interessante, in quanto uno stile di vita adeguato riduce l’infiammazione metabolica che, unita a un deficit di riparazione delle cellule, può favorire lo sviluppo del cancro. I fattori legati a un minore rischio sono: una dieta varia e ricca di fibre vegetali (a base di cereali, legumi, frutta e verdura) e povera di sale, zucchero, grassi e alcol, con una stile di vita attivo. Il rischio aumenta invece con il sovrappeso, il fumo (anche passivo), cibi ricchi di additivi e uno stile di vita sedentario.