Tempo di lettura: 3 minutiDegli 8 mila utenti con disturbi alimentari, presi in carico dal SSN (quindi non rappresenta i casi totali), il 59% degli utenti hanno tra i 13 e 25 anni di età, il 6% hanno meno di 12 anni. La diagnosi più frequente è l’anoressia nervosa che rappresenta il 42,3% dei casi, la bulimia nervosa il 18,2% e il disturbo di binge eating il 14,6%. L’utenza in carico è prevalentemente femminile 90% rispetto al 10% di maschi. I casi emergono dalla piattaforma online, interattiva e aggiornabile in tempo reale, dove sono censiti tutti i centri dedicati alla cura dei DCA, disturbi del comportamento alimentare. Si tratta di un risultato raggiunto grazie al progetto MA.NU.AL che il Ministero della Salute ha affidato al Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità. Il primo censimento in Italia dei servizi ambulatoriali, residenziali e semi-residenziali appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale, dal 2022 coinvolgerà anche le strutture del privato accreditato. I dati saranno presentati oggi 25 gennaio in occasione del webinar “La Mappatura territoriale dei centri dedicati alla cura dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione”.
Al 31 dicembre 2021 la mappatura conta 91 strutture su tutto il territorio nazionale: 48 centri al Nord (di cui 16 in Emilia Romagna), 14 al Centro Italia e 29 tra Sud e Isole. Sono 963 i professionisti che lavorano nei centri, tutti formati e aggiornati: soprattutto psicologi (24%), psichiatri o neuropsichiatri infantili (17%), infermieri (14%) e dietisti (11%). Sono inoltre presenti gli educatori professionali (8%), i medici di area internistica e pediatri (5%), i medici specialisti in nutrizione clinica e scienza dell’alimentazione (5%), i tecnici della riabilitazione psichiatrica (3%), gli assistenti sociali (2%) ed infine i fisioterapisti (1%) e gli operatori della riabilitazione motoria (1%). Il censimento in continua evoluzione è importante soprattutto per conoscere informazioni sull’utenza assistita. Risultano in carico al 65% dei Centri censiti oltre 8000 utenti. Poco meno di tremila sono in carico da più di 5 anni e soltanto nell’ultimo anno di riferimento (2020) hanno effettuato una prima visita circa 4700 pazienti.
Disturbi alimentari: con pandemia numeri in aumento
Lo strumento diagnostico più utilizzato è il DSM5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali): 87%. I percorsi offerti all’utenza vedono l’integrazione di diverse tipologie di intervento: psicoterapeutico (100%), psicoeducativo (99%), nutrizionale (99%), farmacoterapico (99%), di monitoraggio della condizione psichico-fisico-nutrizionale (99%) e di abilitazione o riabilitazione fisica e sociale (62%). Gli interventi psicoterapeutici comprendono approcci individuali (98%), familiari (78%) e di gruppo (66%), spesso co-presenti. L’accesso presso i servizi avviene solitamente in modalità diretta, su richiesta del paziente (83%). Le prestazioni vengono generalmente erogate dietro pagamento del ticket sanitario (78%) ma possono essere fornite anche gratuitamente (29%) o essere erogate in regime di intramoenia (9%). Quasi tutti i Servizi censiti rilevano l’esordio della patologia (98%), il tempo trascorso tra l’esordio e la presa in carico del paziente (97%) ed eventuali trattamenti pregressi (98%). I Centri censiti propongono percorsi terapeutici multimodali, i livelli di assistenza sono a carattere prevalentemente ambulatoriale di tipo specialistico (92%) ma anche intensivi ambulatoriali o semiresidenziali (62%), mentre la riabilitazione intensiva residenziale è offerta nel 17% delle strutture.
“Il progetto – dice Roberta Pacifici responsabile del Centro Nazionale Dipendenze e doping dell’ISS – nasce con lo scopo di offrire ai cittadini affetti da tali patologie, alle loro famiglie e agli operatori sanitari che se ne occupano una mappa delle risorse presenti sul territorio e della loro offerta assistenziale, per facilitarne conoscenza ed accesso”. L’emergenza pandemica, inoltre, ha avuto effetti pesanti sulle persone che soffrono di disturbi alimentari, amplificando la problematica nel suo insieme per una serie di concause.
“Il contesto emergenziale COVID-19 non ha, però, fermato la lotta ai DCA – continua la dott.ssa Pacifici -. Un simile scenario ha sollecitato un forte ed efficace impegno comune per indirizzare le strategie politiche e di intervento pubblico verso nuove forme di governance. Per questo motivo, consapevoli degli ulteriori disagi che tale emergenza sanitaria ha causato ai pazienti e ai loro familiari, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità hanno ritenuto più che mai di fondamentale importanza la disponibilità di un “primo riferimento” e, a tal fine, hanno fortemente sostenuto la mappatura territoriale dei Centri dedicati alla cura dei DNA al fine di garantire ai cittadini affetti da tali patologie e alle loro famiglie i migliori livelli di accesso e appropriatezza dell’intervento”.
Sindrome di Brugada, studio fa luce sulle aritmie fatali nei bambini
News PresaLa sindrome di Brugada è una patologia cardiaca ereditaria con rischio di morte improvvisa, in assenza di difetti strutturali del cuore. Ad essere colpiti da eventi avversi sono soprattutto giovani tra i 30 e i 40 anni, ma, in presenza di alcuni fattori di rischio, non sono esclusi i bambini. Uno studio del Bambino Gesù pubblicato sulla rivista Heart Rhythm, una delle più autorevoli nel campo dell’aritmologia, per la prima volta descrive in maniera specifica gli effetti della sindrome di Brugada in soggetti di età inferiore ai 12 anni.
Sindrome di Brugada: una falla nel sistema elettrico del cuore
Sono stati i fratelli Pedro e Josep Brugada, nel 1992, ad identificare una patologia genetica (BrS) che coinvolge il sistema elettrico del cuore con una prevalenza di 1/2000 – 1/5000 individui. Colpisce alcune strutture poste sulla superficie delle cellule del cuore (i canali ionici) attraverso cui gli ioni (sodio, potassio, magnesio e calcio) escono ed entrano dalla cellula. Il malfunzionamento di queste strutture crea degli squilibri nell’attività elettrica che aumentano il rischio di aritmie potenzialmente fatali. Si tratta di una patologia che si manifesta soprattutto nei giovani adulti: il testosterone, infatti, sembra potenziarla. La diagnosi è basata sulla positività all’elettrocardiogramma (ECG) di specifiche caratteristiche cardiache, un pattern tipico che può essere fisso, intermittente o scatenato da farmaci o febbre superiore a 38°. Una mutazione genetica peculiare viene identificata solo nel 40 % dei casi, perché ad oggi solo alcuni geni sono stati identificati come responsabili della sindrome. Il gene più comunemente coinvolto è l’SCN5A, abilitato a codificare per la proteina che costituisce il canale ionico del sodio.
Il rischio di morte improvvisa
La sindrome di Brugada è responsabile di circa il 5% di tutte le morti improvvise in età adulta (sopra i 18 anni) e avviene durante il sonno o il riposo. Pazienti con pregresso arresto cardiaco, familiarità per morte improvvisa, esperienza precedente di episodi sincopali (brevi perdite di conoscenza che provocano la caduta del soggetto se questi è in piedi) ed evidenza di aritmie maligne, sono identificabili come pazienti ad alto rischio di morte improvvisa cardiaca, inclusi i bambini. Pochissimi lavori scientifici in letteratura riportano dati su pazienti pediatrici affetti da questa sindrome e sono relativi a popolazioni tra 0 e 19 anni. Estrapolando i dati da queste pubblicazioni, si può ad oggi ipotizzare un’incidenza di morte improvvisa nella popolazione pediatrica affetta dalla sindrome di Brugada pari al 4% nei bambini al di sotto dei 12 anni e al 10% in quelli al di sotto dei 19 anni.
Lo studio del Bambini Gesù
Il gruppo del dott. Fabrizio Drago, responsabile dell’Unità di ricerca Cardiopatie nell’ambito dell’Area di ricerca Malattie Multifattoriali dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, ha promosso dapprima la stesura delle prime Linee guida sul corretto comportamento da adottare con i bambini minori di 12 anni affetti da Sindrome di Brugada (pubblicate sulla Rivista Minerva Pediatrica nel 2019). In seguito ha realizzato uno studio osservazionale su un gruppo di pazienti del Bambino Gesù che hanno presentato la sindrome in questo range d’età. L’obiettivo dello studio, che vede come primo autore la dott.ssa Daniela Righi, è stato quello di identificare le caratteristiche, i risultati a distanza di tempo e i fattori di rischio associati con gli eventi aritmici e cardiovascolari. Nello studio sono stati coinvolti 43 pazienti (25 femmine e 18 maschi) selezionati in base allo screening elettrocardiografico o in base all’invio da altri Centri. Di questi 13 presentavano un pattern ECG spontaneo e 30 indotto (in 24 casi da febbre). In 14 pazienti era presente una mutazione del gene SCN5A. Il follow-up mediano è stato di 4 anni. Nessun paziente è deceduto durante i 4 anni del periodo di follow-up. Dai dati raccolti emerge che l’incidenza di aritmie maligne, e quindi a rischio di morte improvvisa, è stata significativamente maggiore nei pazienti con pregressa sincope oppure con mutazione del gene SCN5A e nei pazienti ad alto rischio che erano risultati positivi allo studio elettrofisiologico del cuore. Un altro dato rilevante emerso dallo studio è che il pattern ECG Brugada di tipo 1 spontaneo, non sembra essere associato a un’incidenza maggiore di aritmie maligne e non maligne o episodi di sincope rispetto a quello indotto da farmaci o febbre. Questo dato sconfessa alcuni precedenti studi che, includendo pazienti con ampio arco di età pediatrica, affermavano il contrario. Nel campione di pazienti minori di 12 anni, inoltre, è stata notata una frequenza di eventi aritmici maligni maggiore nelle femmine, in modo opposto a quanto avviene nell’età postpuberale, caratterizzata nei maschi dall’aumento della produzione di testosterone. «Il nostro studio – afferma Drago – rivela che è utilissimo uno screening elettrocardiografico per identificare il più precocemente possibile tale patologia e che i bambini con sindrome di Brugada, facendo attenzione ai fattori di rischio per morte improvvisa individuati per questa età specifica, possono avere un futuro più sicuro rispetto a quello che abbiamo riscontrato finora».
Regole di viaggio, niente tampone per entrare dall’Ue
News PresaAggiornate le regole di viaggio, basta tamponi per entrare (o rientrare) in Italia dai paesi dell’Unione Europea. Da febbraio basterà il Green pass. A stabilirlo è l’ultima ordinanza firmata dal Ministro della Salute Roberto Speranza. La varante Omicron sta infatti confermando quanto supposto dagli esperti in un primo momento, portando la pandemia verso una fase endemica, con molti contagi che tuttavia si stanno rivelando molto meno severi quanto non fossero quelli causati dalla variante Delta. Con la stessa ordinanza il Ministro Speranza ha inteso prorogare ed estendere le misure di viaggio relative ai corridoi turistici che riguarderanno anche ulteriori destinazioni. Tanto per essere chiari, i corridoi turistici Covid free, così come spiegato dal Ministero della Salute, sono “tutti gli itinerari in partenza e in arrivo sul territorio nazionale, finalizzati a consentire la realizzazione di viaggi turistici controllati, compresa la permanenza presso strutture ricettive selezionate, secondo specifiche misure di sicurezza sanitaria” stabilite dal Ministero stesso. Le nuove destinazioni sono Cuba, Singapore, Turchia, Thailandia (limitatamente all’isola di Phuket), Oman e Polinesia francese.
LE NORME
Ecco come funzionano le attuali norme per i corridoi turistici, già previsti per chi è in viaggio da o verso Aruba, Maldive, Mauritius, Seychelles, Repubblica Dominicana, Egitto (limitatamente alle zone turistiche di Sharm El Sheikh e Marsa Alam), a cui si sono aggiunte le ulteriori sei destinazioni dell’ordinanza odierna. Il viaggiatore dotato di certificato vaccinale o di guarigione, in partenza dal territorio nazionale per un soggiorno all’estero nell’ambito di un corridoio turistico Covid-free, deve: sottoporsi a un test molecolare o antigenico condotto con tampone e risultato negativo, nelle quarantotto ore precedenti la partenza; se la permanenza all’estero supera i sette giorni, sottoporsi a ulteriore test molecolare o antigenico in loco; prima di rientrare in Italia, nelle quarantotto ore precedenti l’imbarco, è necessario sottoporsi a un test molecolare o antigenico, condotto con tampone e risultato negativo; all’arrivo in aeroporto in Italia, è necessario sottoporsi a ulteriore test molecolare o antigenico, con risultato negativo. Se tutti i passaggi su elencati sono rispettati, i viaggiatori sono esentati dal rispetto degli obblighi di sorveglianza sanitaria e di isolamento fiduciario.
Covid-19: 80 anni l’età media dei decessi, più alta per i vaccinati
News PresaL’età media dei morti con SARS-CoV-2 in Italia è di 80 anni. Tra i decessi, i vaccinati hanno un’età media più alta e più patologie preesistenti rispetto a quelli non vaccinati. I dati emergono dall’aggiornamento del report decessi, basato sui numeri della Sorveglianza Integrata e su un campione di cartelle cliniche di pazienti deceduti con positività al SARS-CoV-2, appena pubblicato dall’Iss. Sono 138.099 i pazienti deceduti e positivi in Italia dall’inizio della sorveglianza al 10 gennaio 2022 riportati dalla Sorveglianza Integrata COVID-19 coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Covid-19: età media decessi 80 anni
L’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è 80 anni. Le donne decedute sono 60.201 (43,6%). L’età mediana dei pazienti deceduti positivi a SARS-CoV-2 è più alta di circa 40 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione. Dei deceduti positivi a SARS-CoV-2 in Italia, il 23,8% risulta essere stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 58,5% è stato ricoverato in ospedale ma non in terapia intensiva ed il 17,7% non era ricoverato in ospedale. Nella popolazione di deceduti con età maggiore di 80 anni, il 44,0% è stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 42,3% è stato ricoverato in ospedale ma non in terapia intensiva ed il 13,7% non risulta essere ricoverato né in terapia intensiva, né in altro reparto ospedaliero. Di contro, nella popolazione di età minore o uguale a 80 anni, l’8,2% è stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 71,1% è stato ricoverato in ospedale ma non in terapia intensiva ed il 20,7% non risulta essere ricoverato né in terapia intensiva, né in altro reparto ospedaliero.
Dati da un campione di cartelle cliniche
I dati presentati sono stati ottenuti da 8.436 deceduti per i quali è stato possibile analizzare le cartelle cliniche. Le cartelle cliniche sono inviate all’ISS dagli ospedali secondo tempistiche diverse, compatibilmente con le priorità delle attività svolte negli ospedali stessi. Il numero medio di patologie osservate in questa popolazione è di 3,7. Complessivamente, 246 pazienti (2,9% del campione) non presentavano patologie, 955 (11,3%) presentavano 1 patologia, 1.512 (17,9%) presentavano 2 patologie e 5.723 (67,8%) presentavano 3 o più patologie preesistenti. Nei pazienti deceduti trasferiti in terapia intensiva il numero medio di patologie osservate è di 3,0. Nelle persone che non sono state ricoverate in terapia intensiva il numero medio di patologie osservate è di 3,9. Rispetto ai deceduti ‘non vaccinati’, sia quelli con ‘ciclo incompleto di vaccinazione’ che i decessi con ‘ciclo completo di vaccinazione’ (N.B. non sono presi in considerazione pazienti con ‘booster’) avevano un’età media notevolmente superiore (rispettivamente 82,6 e 84,7 vs 78,6). Anche il numero medio di patologie osservate è significativamente più alto nei gruppi di vaccinati con ‘ciclo incompleto di vaccinazione’ e ‘ciclo completo di vaccinazione’ rispetto ai ‘non vaccinati’ (rispettivamente 5,0 e 4,9 vs 3,9 patologie preesistenti).
Cronicità, a Caserta un patto per i cittadini
News PresaL’ASL di Caserta avvia un percorso straordinario per la gestione dei pazienti cronici. Il nuovo piano di gestione realizzato nei “Chronic Care Center” dell’ASL di Caserta è una risposta forte alle difficoltà determinate dal perdurare della pandemia e ha come obiettivo la presa in carico multidisciplinare e la creazione di piani di cura individualizzati volti ad ottimizzare il governo della patologia cronica e l’aderenza diagnostico-terapeutica con un significativo miglioramento della qualità di vita del paziente. Grazie a questo piano, l’Azienda Sanitaria Locale di Caserta realizza di fatto una nuova alleanza e collaborazione con i medici di medicina generale, ma anche una collaborazione senza precedenti con farmacisti di comunità, team specialistico multidisciplinare e personale infermieristico qualificato. «Il paziente, a seguito di un percorso di valutazione globale, – spiega il direttore generale Ferdinando Russo – condivide e sottoscrive il proprio Patto di Cura e il Piano di Cura Personalizzato all’interno del quale è contenuta la programmazione cadenzata delle attività diagnostiche, terapeutiche a valenza annuale e la farmacoterapia (medicinali cronici e posologia)».
TERAPIE
Il piano di cura esclusivo così generato consente di agevolare ulteriormente il paziente e favorirne l’aderenza a terapie croniche spesso complesse. Infatti, grazie al coinvolgimento attivo dei farmacisti di comunità, i pazienti presi in carico nei Chronic Care Centers potranno ricevere tutta la fornitura prescritta dal medico di medicina generale a copertura del periodo intercorrente tra l’accesso al Chronic Care Center e il successivo controllo, come previsto dal Piano di cura Individualizzato, utilizzando un’unica prescrizione/promemoria. Queste prescrizioni potranno fornire la terapia per almeno 4 mesi e fino ad un massimo 6 e saranno associate al numero identificativo del Piano di Cura Individuale condiviso dal paziente. Un passo in avanti non da poco in un territorio, Caserta, che ha un’ampia fetta di popolazione fragile e che punta a riqualificare e potenziare l’assistenza in modo strutturale.
Emicrania, lo smart working ha cambiato tutto
News PresaPer molti pazienti con emicrania, sembra strano a dirsi, il Covid è stato un toccasana. A rivelarlo è uno studio pubblicato su Cephalalgia nel quale viene messo in evidenza come lo smart working abbia ridotto la pressione del lavoro, dando la possibilità di gestire meglio la giornata e mettendoli in condizione di fare ricorso anche alla telemedicina. Per un aspetto positivo, però, ce ne sono diversi negativi. La pandemia Covid ha infatti colpito in maniera importante le persone con emicrania. Secondo i dati degli esperti poco meno di un emicranico su tre, il 30%, che aveva bisogno di un’assistenza più assidua e controlli stretti, ha avuto problemi in questi due anni di pandemia. Con i centri che hanno avuto difficoltà a ricevere i pazienti, i medici dirottati ad altri reparti e lo stato di depressione e ansia cresciuto in tutta la popolazione, il disagio si è accentuato in coloro che hanno forma di emicrania cronica e già ne soffrono in una percentuale del 30-40 per cento. Chi tra gli emicranici si è infettato poi, specie con la variante Delta, ha avuto più mal di testa di prima e più persistente e simile o in parte diversa da quella di cui già soffriva.
NUOVE PROSPETTIVE
Cristina Tassorelli, presidente dell’International Headache Society, spiega che la variante Omicron ha portato in Paesi uno stop delle visite, mentre in Italia a seguito di quarantene e isolamenti i consulti sono “a singhiozzo” nei centri, prendendo come esempio quello di Pavia diretto proprio dall’esperta, con molte più disdette di qualche mese fa. «Fino ad ora l’abbiamo usata poco – dice Tassorelli – perché non è riconosciuta e non è remunerata: con remunerata intendo dire che c’è un contratto che mi assicura che ciò che sto facendo posso farlo perché è negli ambiti normativi. Non solo in Italia ma in generale, nell’ambito delle cefalee, la telemedicina l’abbiamo usata troppo poco. La prima diagnosi, certo, va fatta in persona, ma da lì in poi il paziente potrebbe essere gestito in buona parte a distanza. Credo che questo troverà sempre maggiore impulso». Su futuro delle cure, dalla presidente dell’International Headache Society arrivano prospettive positive: nonostante le difficoltà sperimentate dai pazienti, la ricerca non si è mai fermata, anzi in questo periodo è molto attiva e diversi farmaci saranno in futuro a disposizione dei pazienti per ampliare il ventaglio di opzioni a disposizione. Per quanto riguarda i nuovi farmaci, specifica l’esperta, «non sono in arrivo nell’immediato, ma ci sono vari studi in fase avanzata. Vi sono ad esempio delle molecole che sono simili come meccanismo di azione agli anticorpi monoclonali e possono essere prese per bocca, per la prevenzione degli attacchi – conclude – e anche delle novità per il trattamento sintomatico, cioè quando l’attacco è ormai in atto. Per questo ci sono due-tre molecole nuove. Alcuni di questi farmaci sono già disponibili negli Usa e gli studi che ne dimostrano l’efficacia sono già conclusi, per cui arriveranno».
Covid: un metro non protegge dal virus mentre si parla
News Presa, PrevenzioneUno studio dimostra che il virus Covid-19 può essere trasmesso per via aerea in ambienti chiusi ben oltre le distanze ritenute “di sicurezza” fino ad oggi. In altre parole, non ci si contagia solo tramite le goccioline respiratorie di più grandi dimensioni. Lo studio è stato realizzato dal Centro regionale di Biologia molecolare dell’Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale) Piemonte, in collaborazione con il Laboratorio di Virologia Molecolare e Ricerca Antivirale diretto dal professor David Lembo del Polo Universitario San Luigi Gonzaga di Orbassano dell’Università di Torino, che ha sviluppato, sperimentato e validato un metodo per il campionamento e l’analisi del Sars-CoV-2 nell’aria.
Covid: un metro non basta a fermare il virus
Con questo metodo, l’Arpa ha fornito dimostrazione diretta del collegamento tra emissione di una carica virale nota di un soggetto infetto e le relative concentrazioni di Sars-CoV-2 nell’aria in condizioni controllate, dimostrazione non ancora presente in letteratura scientifica. Gli esperti che hanno condotto gli esperimenti, oltre a dimostrare che il virus Sars-CoV-2 si trasmette tramite aerosol ben oltre 1-1.5 metri, hanno confermato anche l’influenza esercitata dalla tipologia di attività respiratoria rispetto all’emissione di aerosol virale e alla conseguente diffusione nell’ambiente. I risultati confermano altri studi precedenti: le emissioni durante la fonazione (cioè la produzione di suoni o rumori per mezzo degli organi vocali) risultano essere di un ordine di grandezza superiori rispetto alla semplice attività di respirazione. In questi giorni, viene pubblicato dal prestigioso Journal of Hazardous Materials, editore Elsevier, lo studio dal titolo Link Between Sars-CoV-2 Emissions and Airborne Concentrations: Closing the Gap in Understanding, risultato della collaborazione tra l’Arpa Piemonte e l’Università di Torino da una parte e l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e la Queensland University of Technology di Brisbane, Australia, dall’altra, rappresentate dal Prof. Giorgio Buonanno e dalla professoressa Lidia Morawska, ricercatori leader nella scienza dell’aerosol e nella gestione dei rischi di infezione. Dai dati si può concludere quanto sia rilevante l’uso della mascherina come forma di prevenzione dal contagio.
Omicron: Pfizer avvia test clinici per nuovo vaccino
FarmaceuticaPfizer e BioNTech fizer-BioNTech hanno annunciato di avere avviato l’arruolamento per un trial clinico allo scopo di testare la sicurezza e la risposta immunitaria del loro vaccino contro la variante Omicron. I volontari sono adulti fino a 55 anni, divisi in tre gruppi: il primo comprende chi ha ricevuto due dosi di vaccino Pfizer-BioNTech da 90 a 180 giorni prima e che riceveranno una o due inoculazioni del nuovo vaccino. Nel secondo gruppo rientra chi ha ricevuto la terza dose, nello stesso periodo previsto, e a cui sarà somministrata sia una nuova dose del vaccino iniziale sia una dose del vaccino creato contro Omicron. Il terzo gruppo sarà composto da persone che non hanno ricevuto alcun vaccino contro il Covid e a cui saranno inoculate tre dosi di quello specifico contro Omicron. Il vaccino iniziale sviluppato da Pfizer-BioNTech è stato il primo ad essere autorizzato nei Paesi occidentali nel dicembre 2020. Essendo basato sulla tecnologia dell’mRna messaggero, consente di essere modificato facilmente e aggiornato in base all’evoluzione delle mutazioni del virus. Intanto, anche se in totale i casi dovuti all’ondata di Omicron, siano comunque in crescita, in molti Paesi si inizia a intravedere un calo dei contagi. La nuova variante è stata definita dagli esperti come la più contagiosa della storia, per via della sua velocità di trasmissione.
COVID: bambini con ansia, depressione e difficoltà nell’apprendimento. I dati
BambiniPiù di 635 milioni di studenti restano colpiti dalla chiusura totale o parziale delle scuole. Nella Giornata Internazionale dell’Istruzione che si è celebrata ieri e mentre la pandemia da COVID-19 si avvicina alla soglia dei due anni, l’UNICEF ha condiviso i dati sull’impatto della pandemia sull’apprendimento dei bambini. “A marzo, segneremo due anni di interruzioni dell’istruzione globale legate al COVID-19. Semplicemente, stiamo assistendo a una perdita di scala quasi insormontabile per la scolarizzazione dei bambini”, ha dichiarato Robert Jenkins, Responsabile UNICEF per l’istruzione. “La semplice riapertura delle scuole non è sufficiente. Gli studenti hanno bisogno di un supporto intensivo per recuperare l’istruzione persa. Le scuole devono anche andare oltre i luoghi di apprendimento e ricostruire la salute mentale e fisica dei bambini, lo sviluppo sociale e la nutrizione“.
I più piccoli hanno perso le competenze di base di calcolo e di alfabetizzazione. A livello globale, l’interruzione dell’istruzione ha fatto sì che milioni di bambini abbiano perso in modo significativo l’apprendimento accademico che avrebbero acquisito se fossero stati in aula, con i bimbi più piccoli ed emarginati che affrontano la perdita maggiore.
Disturbi alimentari: 59% hanno tra i 13 e 25 anni, il 6% meno di 12 anni
News PresaDegli 8 mila utenti con disturbi alimentari, presi in carico dal SSN (quindi non rappresenta i casi totali), il 59% degli utenti hanno tra i 13 e 25 anni di età, il 6% hanno meno di 12 anni. La diagnosi più frequente è l’anoressia nervosa che rappresenta il 42,3% dei casi, la bulimia nervosa il 18,2% e il disturbo di binge eating il 14,6%. L’utenza in carico è prevalentemente femminile 90% rispetto al 10% di maschi. I casi emergono dalla piattaforma online, interattiva e aggiornabile in tempo reale, dove sono censiti tutti i centri dedicati alla cura dei DCA, disturbi del comportamento alimentare. Si tratta di un risultato raggiunto grazie al progetto MA.NU.AL che il Ministero della Salute ha affidato al Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità. Il primo censimento in Italia dei servizi ambulatoriali, residenziali e semi-residenziali appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale, dal 2022 coinvolgerà anche le strutture del privato accreditato. I dati saranno presentati oggi 25 gennaio in occasione del webinar “La Mappatura territoriale dei centri dedicati alla cura dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione”.
Al 31 dicembre 2021 la mappatura conta 91 strutture su tutto il territorio nazionale: 48 centri al Nord (di cui 16 in Emilia Romagna), 14 al Centro Italia e 29 tra Sud e Isole. Sono 963 i professionisti che lavorano nei centri, tutti formati e aggiornati: soprattutto psicologi (24%), psichiatri o neuropsichiatri infantili (17%), infermieri (14%) e dietisti (11%). Sono inoltre presenti gli educatori professionali (8%), i medici di area internistica e pediatri (5%), i medici specialisti in nutrizione clinica e scienza dell’alimentazione (5%), i tecnici della riabilitazione psichiatrica (3%), gli assistenti sociali (2%) ed infine i fisioterapisti (1%) e gli operatori della riabilitazione motoria (1%). Il censimento in continua evoluzione è importante soprattutto per conoscere informazioni sull’utenza assistita. Risultano in carico al 65% dei Centri censiti oltre 8000 utenti. Poco meno di tremila sono in carico da più di 5 anni e soltanto nell’ultimo anno di riferimento (2020) hanno effettuato una prima visita circa 4700 pazienti.
Disturbi alimentari: con pandemia numeri in aumento
Lo strumento diagnostico più utilizzato è il DSM5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali): 87%. I percorsi offerti all’utenza vedono l’integrazione di diverse tipologie di intervento: psicoterapeutico (100%), psicoeducativo (99%), nutrizionale (99%), farmacoterapico (99%), di monitoraggio della condizione psichico-fisico-nutrizionale (99%) e di abilitazione o riabilitazione fisica e sociale (62%). Gli interventi psicoterapeutici comprendono approcci individuali (98%), familiari (78%) e di gruppo (66%), spesso co-presenti. L’accesso presso i servizi avviene solitamente in modalità diretta, su richiesta del paziente (83%). Le prestazioni vengono generalmente erogate dietro pagamento del ticket sanitario (78%) ma possono essere fornite anche gratuitamente (29%) o essere erogate in regime di intramoenia (9%). Quasi tutti i Servizi censiti rilevano l’esordio della patologia (98%), il tempo trascorso tra l’esordio e la presa in carico del paziente (97%) ed eventuali trattamenti pregressi (98%). I Centri censiti propongono percorsi terapeutici multimodali, i livelli di assistenza sono a carattere prevalentemente ambulatoriale di tipo specialistico (92%) ma anche intensivi ambulatoriali o semiresidenziali (62%), mentre la riabilitazione intensiva residenziale è offerta nel 17% delle strutture.
“Il progetto – dice Roberta Pacifici responsabile del Centro Nazionale Dipendenze e doping dell’ISS – nasce con lo scopo di offrire ai cittadini affetti da tali patologie, alle loro famiglie e agli operatori sanitari che se ne occupano una mappa delle risorse presenti sul territorio e della loro offerta assistenziale, per facilitarne conoscenza ed accesso”. L’emergenza pandemica, inoltre, ha avuto effetti pesanti sulle persone che soffrono di disturbi alimentari, amplificando la problematica nel suo insieme per una serie di concause.
“Il contesto emergenziale COVID-19 non ha, però, fermato la lotta ai DCA – continua la dott.ssa Pacifici -. Un simile scenario ha sollecitato un forte ed efficace impegno comune per indirizzare le strategie politiche e di intervento pubblico verso nuove forme di governance. Per questo motivo, consapevoli degli ulteriori disagi che tale emergenza sanitaria ha causato ai pazienti e ai loro familiari, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità hanno ritenuto più che mai di fondamentale importanza la disponibilità di un “primo riferimento” e, a tal fine, hanno fortemente sostenuto la mappatura territoriale dei Centri dedicati alla cura dei DNA al fine di garantire ai cittadini affetti da tali patologie e alle loro famiglie i migliori livelli di accesso e appropriatezza dell’intervento”.
Depressione e stress, gli psicologi lanciano un allarme
PsicologiaDopo il disastro di un virus che ha causato centinaia di migliaia di vittime, resta il danno psicologico che probabilmente perdurerà ben oltre la fine della pandemia. Depressione, ansia e stress sono il nuovo male emergente. Ecco perché ben 21 società scientifiche hanno indirizzato al Governo un documento nel quale chiedono che ci sia un bonus per lo psicologo da utilizzare nell’immediato, ma anche misure strutturali per affrontare il disagio mentale cresciuto insieme alla pandemia. La pandemia da Covid, dicono gli psicologi, ha «amplificato problematiche psicologiche e psichiatriche», come la depressione «facendo diventare il problema del malessere psicologico e dei disturbi psichici e comportamentali un problema sociale». Utilizzando al meglio le misure del PNRR, si legge, «nel contesto dei servizi sanitari è necessario adottare un quadro integrato di misure imperniato sull’attivazione di strutture pubbliche e innovative di prossimità per rispondere al bisogno di ascolto e sostegno psicologico, come il Consultorio psicologico, con la funzione di intercettare precocemente i bisogni di salute e benessere psicologico dei cittadini».
IL TERRITORIO
Secondo gli addetti ai lavori è anche necessario «il potenziamento dei servizi di salute mentale, di neuropsichiatria infantile e delle dipendenze, dei Consultori familiari, del Piano Nazionale delle Cronicità, di psicologia ospedaliera, assistenza domiciliare, riabilitazione, neuropsicologia». Nell’immediato, però, proseguono le società scientifiche, occorre garantire «l’accesso alle consulenze e trattamenti a tutti quei cittadini e quelle famiglie che non riescono ad avere risposte nel pubblico e non possono accedere nel privato per mancanza di risorse economiche, mediante l’erogazione diretta del bonus o voucher. Si tratta di una misura straordinaria, richiesta a gran voce da un numero crescete di cittadini, che può agire nell’immediato e accompagnare la concretizzazione degli obiettivi di revisione del sistema sopra indicati».
I BAMBINI
Intanto, tra i più colpiti di questa nuova ondata ci sono i bambini. A quanto pare, infatti, sono proprio i più piccoli ad essere oggi più esposti. Ma il danno maggiore, i bambini, lo stanno avendo a causa delle restrizioni e della privazione di una normale vita sociale. Anche per i più piccoli il rischio depressione o ansia eccessiva è molto presente. «Il benessere dei più piccoli – dicono gli esperti del Gaslini – appare assediato allo stesso modo degli adulti per ciò che concerne la qualità di vita e l’equilibrio emotivo, a prescindere dallo stato psico-sociale di partenza, per effetto diretto del confinamento stesso e per il riflesso delle condizioni familiari contingenti (assenza o perdita dei nonni, genitori disoccupati o senza lavoro, scarsa socializzazione). Infatti, i bambini respirano e hanno respirato come non mai l’aria di casa in questo periodo, con tutti i possibili aspetti positivi e negativi legati alla situazione familiare». Proprio sul benessere psicologico dei bambini bisognerà lavorare per fare in modo che la pandemia non lasci cicatrici troppo profonde.