Tempo di lettura: 3 minutiC’è ancora molto da definire rispetto all’impatto che la pandemia ha avuto sui bambini. Un fenomeno osservato sono i casi di pubertà precoce o anticipata in Italia. Nel semestre marzo-settembre 2020 sono più che raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2019. Tra le cause più probabili: lo stress causato dall’isolamento e la sedentarietà. I risultati arrivano da uno studio osservazionale coordinato dall’Ospedale Bambino Gesù che ha coinvolto i centri di Endocrinologia pediatrica dell’Ospedale Gaslini di Genova, del Policlinico Federico II di Napoli, dell’Ospedale Pediatrico Microcitemico di Cagliari e della Clinica Pediatrica Ospedale di Perugia.
Pubertà precoce colpisce le bambine. Lo studio
Si tratta soprattutto di bambine di età intorno ai 7 anni. Lo studio, pubblicato da Endocrine Connections, conferma i numeri della precedente ricerca del Reparto di Endocrinologia del Bambino Gesù, guidato dal prof. Marco Cappa nell’ambito dell’Unità di Ricerca di Terapie Innovative per le Endocrinopatie (Italian Journal of Pediatrics 2021). Attraverso interviste telefoniche alle famiglie dei pazienti sono stati raccolti i dati necessari per valutare anche i possibili fattori predisponenti. Nel nuovo studio multicentrico, il maggiore aumento dei casi è stato osservato nelle bambine (328 pazienti nel 2020 contro 140 nel 2019, con un incremento del 134%) e soprattutto nella seconda metà del periodo di osservazione (92 bambine tra marzo e maggio rispetto alle 236 bambine del periodo tra giugno e settembre 2020, con un incremento del 156%). Non è stato invece rilevato un aumento significativo dei casi nei maschi (10 pazienti nel 2010 contro i 12 del 2019). «La pubertà precoce – afferma Carla Bizzarri, pediatra endocrinologa del Bambino Gesù che ha coordinato lo studio – è molto meno comune nel maschio rispetto alle femmina ed è più spesso il risultato di mutazioni genetiche predisponenti o disturbi organici dell’asse ipotalamo-ipofisario. Possiamo ipotizzare che l’impatto di fattori scatenanti ambientali, quali quelli correlati alla pandemia, sia meno significativo sui tempi della pubertà maschile». L’aumento significativo riguarda soprattutto i casi di pubertà precoce a rapida evoluzione, cioè di quelli che richiedono una specifica terapia farmacologica (135 su 328 bambine osservate nel 2020 a fronte di 37 su 140 bambine osservate nel 2019, con una forbice di incremento dal 26% al 41%). La pubertà precoce è annoverata tra le malattie rare. In Italia riguarda da 1 a 6 nati ogni 1000. Il corpo del bambino inizia a trasformarsi in adulto prima del tempo, con un’accelerazione dello sviluppo dei caratteri sessuali e una rapida chiusura delle cartilagini di accrescimento osseo: per effetto di questo processo, i bambini crescono velocemente in altezza, ma poi il picco si esaurisce e da adulti hanno una statura inferiore alla media. Se la diagnosi interviene precocemente – prima degli 8 anni – è possibile usare dei farmaci per rallentare la pubertà.
Pubertà precoce e fattori di rischio
Dalle interviste è emerso un aumento significativo dell’uso dei dispositivi elettronici (PC, tablet, smartphone) nel 2020 rispetto al 2019. L’aumento è riconducibile all’introduzione della DAD (raramente usata nella scuola primaria prima del 2020), insieme alla persistenza del loro uso per lo svago nel tempo libero. Un uso maggiore dei dispositivi elettronici, d’altra parte, è stato rilevato, già nel periodo precedente la pandemia, nelle bambine a cui è stata diagnosticata una pubertà precoce a rapida evoluzione nel 2020.
Il primo lockdown del 2020 ha provocato anche una drastica riduzione dell’attività fisica. In particolare, nel sottogruppo con pubertà precoce a rapida evoluzione del 2020, è stato rilevato uno stile di vita più sedentario, già evidente prima della pandemia. Riguardo alle abitudini alimentari, a fronte di un maggior senso di fame nelle pazienti del 2020 riferito dalle famiglie, non corrisponde un aumento significativo dell’uso di carni bianche o “cibo spazzatura”. Più della metà delle famiglie delle pazienti osservate nel 2020, infine, ha riferito di cambiamenti nel comportamento (59%) e segnalato un aumento rilevante di sintomi correlabili allo stress (63%). I risultati suggeriscono che un evento stressante (come il primo lockdown del 2020) possa aver innescato una precoce attivazione puberale in soggetti predisposti a causa di uno stile di vita più sedentario già evidente prima della pandemia.
Il ruolo dello stress
Diversi studi scientifici hanno analizzato l’impatto del COVID-19 e dell’isolamento sociale sulla salute mentale di bambini e adolescenti, segnalando un aumento significativo dei disturbi comportamentali ed emotivi a seguito della chiusura delle scuole. In particolare, un recente lavoro dell’Unità di Neuropsichiatria Infantile del Bambino Gesù ha descritto un disturbo da stress post-traumatico a causa della quarantena o dell’isolamento sociale nel 30% dei bambini osservati.
«Al di là dell’esercizio fisico in sé – afferma la dott.ssa Bizzarri -, diversi studi hanno dimostrato un’associazione positiva tra attività fisica e benessere psicologico nei bambini e negli adolescenti. Lo stile di vita sedentario, invece, è stato correlato sia all’aumento della depressione che alla percezione di una qualità di vita meno soddisfacente”. Inoltre, l’ansia e la tendenza all’isolamento sociale nelle ragazze in età prepuberale è stata associata a un esordio puberale precoce.
«Sappiamo oggi – prosegue la dott.ssa Bizzarri – che la secrezione dell’ormone ipotalamico che dà inizio allo sviluppo puberale (GnRH) è regolata a livello del cervello, ma i meccanismi responsabili non sono ancora completamente noti. Potremmo presumere che una disregolazione dei neurotrasmettitori cerebrali indotta dallo stress sia alla base dell’aumento di nuovi casi di pubertà precoce osservati durante la pandemia. Lo stress potrebbe agire come un fattore scatenante più potente sui neuroni che secernono GnRH nelle ragazze con ulteriori fattori di rischio, come uno stile di vita sedentario e un eccessivo uso di dispositivi elettronici già evidenti prima della pandemia”.
Reti di assistenza per la Sclerosi Multipla. Il documento
Ricerca innovazioneUn Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) specificamente dedicato alle persone affette da Sclerosi Multipla (SM). Il documento, promosso da AGENAS e redatto da un gruppo di esperti di alta qualificazione, nasce con l’obiettivo di mettere la persona con SM al centro delle attività assistenziali, delineando un percorso che preveda, grazie a un preciso assetto organizzativo, l’accesso alle migliori competenze possibili e ai più avanzati servizi in campo diagnostico, terapeutico e riabilitativo.
Il PDTA appena pubblicato ha lo scopo di sostenere la progettazione e soprattutto l’implementazione omogenea di analoghi documenti regionali – al momento ne risultano 14 – offrendo indicazioni e suggerimenti per rendere i servizi per la Sclerosi Multipla più equi, nelle condizioni di accesso e di qualità. La patologia è caratterizzata da una reazione anomala delle difese immunitarie che attaccano alcuni componenti del sistema nervoso centrale scambiandoli per agenti estranei, per questo rientra tra le patologie autoimmuni. La sclerosi multipla può manifestarsi con sintomi anche molto diversi tra loro, che dipendono dall’entità e dalla sede della lesione nel sistema nervoso centrale. Si tratta di una malattia cronica: al momento non esiste una cura definitiva, ma sono disponibili numerose terapie che modificano il suo andamento, rallentandone la progressione.
In Italia si stimano circa 130.000 persone affette da SM, con un’incidenza di circa 3.400 casi/anno. Il nostro Paese è quindi un’area geografica ad alto rischio per la SM (Il Barometro per la SM, 2019). La patologia richiede un elevato impegno assistenziale e sanitario, con frequenti ricoveri in diversi setting organizzativi (ordinari, day hospital, day service, RSA), controlli neurologici, esami clinici e strumentali, trattamenti farmacologici specifici e sintomatici, nonché trattamenti riabilitativi precoci e a lungo termine.
Il PDTA promosso da Agenas può fornire utili indicazioni alle singole Regioni per ottimizzare le risorse umane, strutturali ed economiche. Allo stesso modo, considerando gli sviluppi delle tecnologie informatiche applicate alla medicina, il percorso vuole stimolare esperienze concrete di Telemedicina, in tutte le sue possibili modalità (televisita, teleconsulto, telecontrollo, telemonitoraggio, teleassistenza e telecooperazione), per la gestione del paziente SM nelle varie fasi di evoluzione della malattia.
Perché i tatuaggi possono mettere a rischio la salute
News Presa, Stili di vitaQuella dei tatuaggi non è certo una moda passeggera, oggi più che mai i giovanissimi sono attratti da disegni e scritte che possano in qualche modo esprimere un modo di essere o un sentire. Tuttavia, dopo sono anche in aumento le persone, spesso gli adulti, che il tatuaggio vogliono rimuoverlo. Il motivo è in parte legato ad una maturazione e ad una maggiore consapevolezza, ma esiste anche una ragione di salute. In particolare, dopo che l’Unione Europea ha emanato norme più restrittive proprio a tutela della salute, molti pentiti del tatuaggio cercano il modo di cancellare nomi, simboli, ma anche trucco permanente o microblading (vale a dire tatuaggi cosmetici che ridisegnano sopracciglia, labbra e occhi). Ma quali sono i rischi nascosti del tatuaggio? A quanto pare i pigmenti colorati, con l’andar del tempo, possono staccarsi dai disegni sottopelle e depositarsi nei linfonodi, sentinelle che si attivano in caso di virus, attacchi batterici e tumori. Il rischio in questo caso è che questi pigmenti, una volta assorbiti dai linfonodi, possano in qualche modo influenzarne il comportamento. Provocare insomma delle risposte anomale, siano a creare vere e proprie infezioni o infiammazioni.
NORMATIVE
Proprio per garantire la salute degli appassionati di tatuaggi, dal 4 gennaio scorso una nuova normativa europea mette al bando alcune tipologie di pigmenti usati per produrre gli inchiostri colorati per i tatuaggi e trucco permanente. Sono vietati quelli che contengono isopropanolo, sostanza presente nella maggior parte degli inchiostri per tatuaggi, aggiunta per renderli sterili. L’isopropanolo è classificato tra le sostanze potenzialmente cancerogene e le lesioni cutanee provocate durante i tatuaggi possono provocare l’assorbimento di questa sostanza nell’organismo, con conseguenze anche gravi. Il rischio, seppur basso, esiste. Per questo bisogna ricordare che le attività di rimozione di tatuaggi o microblading sono considerate mediche e in quanto tali devono essere eseguite da un medico. C’è anche da dire che i tatuaggi non lasciano mai la pelle senza lasciare almeno un segno del proprio passaggio, e questa dovrebbe essere una ragione in più per evitare di fare scelte avventate.
LA RIMOZIONE
Per rimuovere un tatuaggio non più gradito, oggi è possibile usare diverse tecniche. Una di queste è il Laser al neodimio. Una tecnica molto usata che sfrutta un impulso laser di brevissima durata per colpire il pigmento. Frammentandosi in parti minuscole, l’inchiostro viene ingerito quindi dai globuli bianchi (macrofagi). Possono servire dalle 3-5 sedute alle 8-12 nei casi più difficili, a distanza di 4-8 settimane l’una dall’altra. La pelle potrebbe arrossarsi e sulla parte interessata potrebbero comparire vesciche, croste o desquamazione. Altro metodo è quello della dermoabrasione. Una tecnica abbastanza datata, ma comunque efficace. La cute viene escoriata per il primo strato cutaneo. Diverso l’approccio con il pico laser, che emette energia ad alta potenza e impulsi brevissimi. Questo permette di agire su colori differenti di pigmento tramite un puro effetto fotoacustico. Il laser lavora quindi in modo combinato eliminando diversi tipi di pigmenti colorati, a differenti profondità, con risultati eccezionali su tutti i tipi di tatuaggi multicolore e trucchi cosmetici. Ultimo metodo per eliminare un tatuaggio non più gradito è quello dell’escissione diretta. In altre parole, un’eliminazione diretta e chirurgica. Un metodo molto efficace per tatuaggi piccoli e ben nascosti.
Pubertà precoce: con pandemia più che raddoppiati casi nelle bambine
BambiniC’è ancora molto da definire rispetto all’impatto che la pandemia ha avuto sui bambini. Un fenomeno osservato sono i casi di pubertà precoce o anticipata in Italia. Nel semestre marzo-settembre 2020 sono più che raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2019. Tra le cause più probabili: lo stress causato dall’isolamento e la sedentarietà. I risultati arrivano da uno studio osservazionale coordinato dall’Ospedale Bambino Gesù che ha coinvolto i centri di Endocrinologia pediatrica dell’Ospedale Gaslini di Genova, del Policlinico Federico II di Napoli, dell’Ospedale Pediatrico Microcitemico di Cagliari e della Clinica Pediatrica Ospedale di Perugia.
Pubertà precoce colpisce le bambine. Lo studio
Si tratta soprattutto di bambine di età intorno ai 7 anni. Lo studio, pubblicato da Endocrine Connections, conferma i numeri della precedente ricerca del Reparto di Endocrinologia del Bambino Gesù, guidato dal prof. Marco Cappa nell’ambito dell’Unità di Ricerca di Terapie Innovative per le Endocrinopatie (Italian Journal of Pediatrics 2021). Attraverso interviste telefoniche alle famiglie dei pazienti sono stati raccolti i dati necessari per valutare anche i possibili fattori predisponenti. Nel nuovo studio multicentrico, il maggiore aumento dei casi è stato osservato nelle bambine (328 pazienti nel 2020 contro 140 nel 2019, con un incremento del 134%) e soprattutto nella seconda metà del periodo di osservazione (92 bambine tra marzo e maggio rispetto alle 236 bambine del periodo tra giugno e settembre 2020, con un incremento del 156%). Non è stato invece rilevato un aumento significativo dei casi nei maschi (10 pazienti nel 2010 contro i 12 del 2019). «La pubertà precoce – afferma Carla Bizzarri, pediatra endocrinologa del Bambino Gesù che ha coordinato lo studio – è molto meno comune nel maschio rispetto alle femmina ed è più spesso il risultato di mutazioni genetiche predisponenti o disturbi organici dell’asse ipotalamo-ipofisario. Possiamo ipotizzare che l’impatto di fattori scatenanti ambientali, quali quelli correlati alla pandemia, sia meno significativo sui tempi della pubertà maschile». L’aumento significativo riguarda soprattutto i casi di pubertà precoce a rapida evoluzione, cioè di quelli che richiedono una specifica terapia farmacologica (135 su 328 bambine osservate nel 2020 a fronte di 37 su 140 bambine osservate nel 2019, con una forbice di incremento dal 26% al 41%). La pubertà precoce è annoverata tra le malattie rare. In Italia riguarda da 1 a 6 nati ogni 1000. Il corpo del bambino inizia a trasformarsi in adulto prima del tempo, con un’accelerazione dello sviluppo dei caratteri sessuali e una rapida chiusura delle cartilagini di accrescimento osseo: per effetto di questo processo, i bambini crescono velocemente in altezza, ma poi il picco si esaurisce e da adulti hanno una statura inferiore alla media. Se la diagnosi interviene precocemente – prima degli 8 anni – è possibile usare dei farmaci per rallentare la pubertà.
Pubertà precoce e fattori di rischio
Dalle interviste è emerso un aumento significativo dell’uso dei dispositivi elettronici (PC, tablet, smartphone) nel 2020 rispetto al 2019. L’aumento è riconducibile all’introduzione della DAD (raramente usata nella scuola primaria prima del 2020), insieme alla persistenza del loro uso per lo svago nel tempo libero. Un uso maggiore dei dispositivi elettronici, d’altra parte, è stato rilevato, già nel periodo precedente la pandemia, nelle bambine a cui è stata diagnosticata una pubertà precoce a rapida evoluzione nel 2020.
Il primo lockdown del 2020 ha provocato anche una drastica riduzione dell’attività fisica. In particolare, nel sottogruppo con pubertà precoce a rapida evoluzione del 2020, è stato rilevato uno stile di vita più sedentario, già evidente prima della pandemia. Riguardo alle abitudini alimentari, a fronte di un maggior senso di fame nelle pazienti del 2020 riferito dalle famiglie, non corrisponde un aumento significativo dell’uso di carni bianche o “cibo spazzatura”. Più della metà delle famiglie delle pazienti osservate nel 2020, infine, ha riferito di cambiamenti nel comportamento (59%) e segnalato un aumento rilevante di sintomi correlabili allo stress (63%). I risultati suggeriscono che un evento stressante (come il primo lockdown del 2020) possa aver innescato una precoce attivazione puberale in soggetti predisposti a causa di uno stile di vita più sedentario già evidente prima della pandemia.
Il ruolo dello stress
Diversi studi scientifici hanno analizzato l’impatto del COVID-19 e dell’isolamento sociale sulla salute mentale di bambini e adolescenti, segnalando un aumento significativo dei disturbi comportamentali ed emotivi a seguito della chiusura delle scuole. In particolare, un recente lavoro dell’Unità di Neuropsichiatria Infantile del Bambino Gesù ha descritto un disturbo da stress post-traumatico a causa della quarantena o dell’isolamento sociale nel 30% dei bambini osservati.
«Al di là dell’esercizio fisico in sé – afferma la dott.ssa Bizzarri -, diversi studi hanno dimostrato un’associazione positiva tra attività fisica e benessere psicologico nei bambini e negli adolescenti. Lo stile di vita sedentario, invece, è stato correlato sia all’aumento della depressione che alla percezione di una qualità di vita meno soddisfacente”. Inoltre, l’ansia e la tendenza all’isolamento sociale nelle ragazze in età prepuberale è stata associata a un esordio puberale precoce.
«Sappiamo oggi – prosegue la dott.ssa Bizzarri – che la secrezione dell’ormone ipotalamico che dà inizio allo sviluppo puberale (GnRH) è regolata a livello del cervello, ma i meccanismi responsabili non sono ancora completamente noti. Potremmo presumere che una disregolazione dei neurotrasmettitori cerebrali indotta dallo stress sia alla base dell’aumento di nuovi casi di pubertà precoce osservati durante la pandemia. Lo stress potrebbe agire come un fattore scatenante più potente sui neuroni che secernono GnRH nelle ragazze con ulteriori fattori di rischio, come uno stile di vita sedentario e un eccessivo uso di dispositivi elettronici già evidenti prima della pandemia”.
Pillola Pfizer arriva in Italia: – 88% rischio ricovero e morte
News PresaDalla prima settimana febbraio sarà disponibile in Italia la pillola Pfizer per curare il Covid-19. Il parere favorevole della Commissione Tecnico Scientifica (CTS) per la distribuzione in emergenza era già arrivato a dicembre. La CTS di AIFA, nella seduta del 28 gennaio 2022, ha anche definito i criteri di utilizzo del medicinale Paxlovid (nome del farmaco antivirale orale per la cura del COVID-19).
Pillola Pfizer: chi avrà accesso e come
Non è una pillola per tutti. “Paxlovid – si legge nella note – che nello studio registrativo si è dimostrato efficace nel ridurre dell’88% il rischio di ospedalizzazione e morte, è indicato per il trattamento di pazienti adulti con infezione recente da SARS-CoV-2 con malattia lieve-moderata che non necessitano ossigenoterapia e con condizioni cliniche concomitanti che rappresentino specifici fattori di rischio per lo sviluppo di COVID-19 severo. Il trattamento con Paxlovid deve essere iniziato entro 5 giorni dall’insorgenza dei sintomi e ha una durata di 5 giorni. Le modalità per la selezione dei pazienti e per la prescrivibilità e distribuzione del farmaco saranno le stesse già stabilite per l’altro antivirale orale (molnupiravir)”. “È previsto – conclude l’AIFA –l’utilizzo di un Registro di monitoraggio, che sarà accessibile sul sito dell’Agenzia”. I primi 11.200 trattamenti arriveranno nella prima settimana di febbraio e sarà distribuita alle varie regioni.
Un videogame che migliora le capacità di lettura
BambiniUn videogame potrà aiutare i bambini a migliorare le proprie capacità di lettura. Un bel sollievo per tante mamme e papà che proprio non riescono a far staccare i ragazzini dagli schermi di Pc e consolle di gioco. La ricerca portata a termine da un team dell’Università di Ginevra (Unige) e da collegi dell’Università di Trento (Unitn) ha avuto come obiettivo il test di un videogame d’azione per bambini che riesce a migliorare le capacità di lettura. E i risultati di questi test, pubblicati sulla rivista Nature Human Behaviour, sono molto incoraggianti, visto che attestano capacità di lettura migliorate dopo appena dodici ore di allenamento. Altrettanto interessante è il fatto che questi miglioramenti persistono nel tempo, al punto che i voti delle scuole di lingua migliorano a più di un anno dopo la fine della formazione.
AZIONE
Secondo gli esperti la lettura fa appello a molti meccanismi essenziali a cui non necessariamente pensiamo, come sapere come muovere gli occhi sulla pagina o come usare la nostra memoria per collegare le parole insieme in una frase coerente. I videogame d’azione migliorano la visione, l’attenzione, la memoria e la flessibilità cognitiva. Priori in quest’ottica è stato progettato il videogame che combina videogiochi d’azione con minigiochi che allenano diverse funzioni esecutive, come la memoria e la flessibilità cognitiva, funzioni che entrano in gioco durante la lettura. IL videogioco che aiuta i mancini a migliorare nella lettura è cerato come mondo alternativo in cui il bambino, accompagnato dal suo “Raku” (una creatura volante) deve svolgere diverse missioni per salvare pianeti e progredire nel gioco.
I TEST
Gli scienziati hanno lavorato con 150 scolari italiani dagli 8 ai 12 anni, divisi in due gruppi: il primo ha giocato al videogioco sviluppato dal team, e il secondo ha giocato a Scratch, un gioco che insegna ai bambini a programmare. «Abbiamo riscontrato un miglioramento di 7 volte nel controllo dell’attenzione nei bambini che hanno giocato al videogioco d’azione rispetto al gruppo di controllo», dicono gli esperti. Ancora più notevole, il gruppo di ricerca ha osservato un chiaro miglioramento nella lettura, non solo in termini di velocità di lettura, ma anche in accuratezza, mentre nessun miglioramento è stato notato per il gruppo di controllo.Questo miglioramento dell’alfabetizzazione si verifica anche se il videogioco d’azione non richiede alcuna attività di lettura. Gli scienziati hanno effettuato tre ulteriori test di valutazione a 6 mesi, 12 mesi e 18 mesi dopo l’allenamento. In ogni occasione, i bambini addestrati si sono comportati meglio del gruppo di controllo, il che dimostra che questi miglioramenti sono stati sostenuti. Inoltre, i voti in italiano dei bambini formati sono migliorati notevolmente nel tempo, mostrando un virtuoso miglioramento della capacità di apprendimento.Il videogioco sarà fruibile interamente da casa, da remoto, così come la somministrazione dei test di lettura e di attenzione, in modo da integrare le lezioni scolastiche, anziché sottrarre tempo all’orario scolastico
Adolescenti e la crescente propensione al “salutismo”. Lo studio
Adolescenti, News Presa, PediatriaLa pandemia ha avuto un impatto anche sulle abitudini alimentari. Un’indagine italiana fa il punto sulle nuove abitudini alimentari degli adolescenti dopo il covid-19. “I nostri studi stanno via via sempre più confermando che la pandemia ha portato una maggiore attenzione del consumatore al tema della sana alimentazione. Tuttavia, l’aderenza alla dieta mediterranea resta bassa, con il 60% della popolazione che non la segue, soprattutto nelle regioni del sud Italia e la conoscenza nutrizionale è un fattore determinante per le buone scelte alimentari, ossia chi sa di nutrizione mangia anche meglio. Un altro dato estremamente importante è la stretta correlazione tra aderenza alle raccomandazioni nutrizionali e atteggiamenti di prevenzione dello spreco alimentare. Tutti elementi importantissimi per l’attuazione di adeguati programmi di politica alimentare”. Così Laura Rossi, ricercatrice del CREA Alimenti e Nutrizione, intervenuta all’evento di presentazione in anteprima nazionale dei risultati di “Food Mood, il monitoraggio sui nuovi atteggiamenti degli adolescenti nei confronti del cibo, nell’era del Covid-19”, che si è svolto su iniziativa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione anche con l’ANBI e il Consorzio di Bonifica di Piacenza.
Hiv, in Italia ancora troppe diagnosi tardive
News PresaNell’immaginario collettivo l’Hiv non è più una malattia dalla quale guardarsi, è più un incubo ormai superato, legato soprattutto agli anni ’80 e 90. Le cose non stanno così. In Italia, dai dati del Rapporto del Centro operativo AIDS (COA), si ricava un’elevata percentuale di diagnosi tardive dell’infezione e che la maggioranza dei nuovi casi si registra soprattutto nei giovani.La malattia oggi può essere diagnosticata tempestivamente con il test e, sebbene non esista una cura che consenta la guarigione dall’infezione, ci sono terapie efficaci in grado di tenerla sotto controllo. Infatti, le persone con HIV che aderiscono scrupolosamente alla terapia possono vivere una vita normale. Il Ministero della salute ha così realizzato una campagna di comunicazione che vuole trasmettere messaggi di sensibilizzazione, sopratutto per i giovani, affinché in presenza di comportamenti a rischio facciano il test.
Il test dell’Hiv è infatti in grado di identificare la presenza di anticorpi specifici che l’organismo produce nel caso in cui entra in contatto con questo virus. Per la diagnosi sono anche disponibili test rapidi che possono essere effettuati su sangue (basta una goccia) o saliva. Il risultato è disponibile in pochi minuti, ma è necessaria una conferma con prelievo ematico in caso di risultato dubbio o reattivo (positivo).
PROTEZIONE E TERAPIA
Il modo migliore per ridurre il rischio di trasmissione sessuale dell’Hiv è quello di usare il preservativo nei rapporti a rischio. Per rapporti orali più sicuri, non tutti lo sanno, esiste il dental dam (fazzolettino in lattice, letteralmente che può ridurre il rischio, anche se non lo si elimina del tutto. La pillola, la spirale e il diaframma sono metodi utili a prevenire gravidanze indesiderate, ma non hanno nessuna efficacia contro l’Hiv e altre infezioni sessualmente trasmesse. L’uso di siringhe o di altri oggetti taglienti in comune con altre persone costituisce un potenziale rischio di contagio, pertanto, è necessario utilizzare siringhe sterili monouso, così come in caso di agopuntura, mesoterapia, tatuaggi e piercing vanno utilizzati aghi monouso e sterili. Quanto alla terapia, oggi esistono pillole antiretrovirali che bloccano la riproduzione del virus nelle cellule, riducendo, di consiguenza, la quantità di virus che circola nell’organismo. Esistono diverse classi di farmaci che, combinate tra loro, controllano il virus e consentono alle persone con Hiv di avere una buona qualità di vita, grazie anche al minor impatto sull’organismo e ai minori effetti collaterali.
Il web e la salute, ecco le ricerche degli italiani
News PresaA volte guardare alle ricerche fatte sul web aiuta a comprendere meglio la società nella quale si vive. Inutile dire che nell’anno appena terminato la maggior parte delle ricerche on line ha riguardato il tema della salute, ma quali sono state le malattie che hanno catalizzato maggiormente l’attenzione degli utenti italiani nel 2021? La piattaforma MioDottore, ha prodotto un report molto interessante sulle patologie più cercate online dagli italiani durante gli scorsi 12 mesi. Nello specifico, MioDottore ha indagato i propri dati, analizzando le ricerche effettuate sulla sua piattaforma lo scorso anno, delineando ciò che maggiormente ha generato dubbi, necessità di chiarimenti o anche semplicemente curiosità tra i pazienti quando si parla di salute, evidenziando analogie e differenze rispetto agli anni passati.
ENDOMETRIOSI
Analizzando i dati di MioDottore, in cima alla lista delle 30 malattie più cercate spicca l’endometriosi (per il secondo anno consecutivo), subito seguita dalla fibromialgia (che scala tre gradini rispetto all’anno precedente quando era in 5° posizione) e dall’acne al terzo posto (mentre nel 2020 era al 6°). Rispetto agli anni scorsi, il podio presenta alcune novità, in primis l’assenza della menopausa – dal 2017 in prima posizione e nel 2020 al secondo posto – nel 2021 scende a occupare la quarta posizione. Inoltre, nella top 3 scompare la presenza di almeno una patologia riconducibile all’area ortopedica, sempre presente invece dal 2018.
GINECOLOGIA
Ampliando l’analisi all’intera lista delle 30 malattie più cercate online lo scorso anno, emerge che le problematiche legate all’ambito ginecologico sono state quelle che hanno preoccupato maggiormente gli abitanti del Bel Paese (raggiungendo il 9% delle ricerche totali). Tra queste spiccano endometriosi (1°posto), menopausa (4° posizione), sindrome dell’ovaio policistico (12° posto) e cistite (al 28°). Seguono le patologie relative all’area ortopedica (8% delle ricerche totali) con alluce valgo (10° posizione), ernia del disco (13°), mal di schiena (15°), scoliosi (18°), sindrome del tunnel carpale (22°) e sciatalgia (27°). Prendono spazio per l’edizione 2021 anche i fastidi di tipo dermatologico (con il 7% di ricerche complessive) e tra le problematiche più indagate si annoverano acne (3° posto), alopecia (7°), lipoma (21°), verruche (25°) e psoriasi (26°). Infine, anche l’ambito psicologico ha generato dubbi, registrando il 5% del numero totale di ricerche sulla salute, tra le più cercate si registrano disturbi alimentari (11° posizione), depressione (16°), ansia (24°) e disturbi del sonno (30°). Inoltre, compaiono in questa speciale classifica 4 new entry tra i timori legati alla salute, quali alopecia (7° posto), disturbi alimentari (11°), psoriasi (26°) e disturbi del sonno (30°). Diversamente, sono usciti dalla top 30 alcuni disturbi che avevano catalizzato l’attenzione degli italiani nel 2020, ovvero disturbo bipolare, disfunzione erettile, glaucoma e sciatalgia.
SIMILITUDINI E DIFFERENZE
Guardando nel dettaglio i dati e mettendo a confronto le ricerche di uomini e donne, emergono alcune interessanti evidenze. Benché con una posizione di scarto, sul podio di questo speciale ranking l’endometriosi preoccupa sia le donne (per loro al primo posto) che gli uomini (al 2° posto), a testimonianza che sempre più signore desiderano approfondire la problematica e che gli uomini non vogliono farsi trovare impreparati. Diversamente, alcune patologie impensieriscono solo gli uomini e altre solo le donne. Ad esempio, sono i signori a cercare informazioni su acufeni, sindrome del tunnel carpale, emorroidi, degenerazione maculare, artrosi e mal di schiena. Mentre le donne, oltre ai problemi ginecologici, sono interessate ad approfondire tematiche relative a ernia del disco, alluce valgo e disturbi alimentari.
Covid-19: diminuisce incidenza settimanale in Italia
News PresaQuesta settimana sono in discesa i valori dell’incidenza dei casi Covid-19 a livello nazionale: 1823 ogni 100.000 abitanti (21-27 gennaio) vs 2011 ogni 100.000 abitanti della settimana precedente. I dati emergono dal monitoraggio settimanale Iss-ministero della Salute sull’andamento dell’epidemia di Covid-19. Nel periodo 5 – 18 gennaio 2022, l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è stato pari a 0,97 (range 0,86 – 1,18), in diminuzione rispetto alla settimana precedente e al di sotto della soglia epidemica. Lo stesso andamento si registra per l’indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero (Rt=0,96 (0,94-0,99) al 18/01/2022 vs Rt=1,01 (0,99-1,02) all’11/01/2022. Tuttavia, sottolinea l’ISS, diverse Regioni/PPAA hanno segnalato ritardi nell’inserimento dei dati del flusso individuale e quindi non si esclude che i valori possano essere sottostimati.
Covid-19. Ricoveri e terapie intensive
Diminuisce il numero dei posti letto occupati per Covid nei reparti di terapia intensiva ed in quelli ordinari. Il tasso di occupazione in terapia intensiva è al 16,7% (al 27 gennaio) vs 17,3% (al 20 gennaio). Il tasso di occupazione in aree mediche a livello nazionale è al 30,4% (al 27 gennaio) vs 31,6% (al 20 gennaio). Quattro Regioni/PPAA sono classificate a rischio Alto secondo il DM del 30 aprile 2020, di cui 3 a causa dell’impossibilità di valutazione per incompletezza dei dati inviati; 9 Regioni/PPAA risultano classificate a rischio Moderato. Tra queste, tre Regioni/PPAA sono ad alta probabilità di progressione a rischio Alto secondo il DM del 30 aprile 2020. 8 Regioni/PPAA sono classificate a rischio basso.
Quindici Regioni/PPAA riportano almeno una singola allerta di resilienza. Quattro Regioni/PPAA riportano molteplici allerte di resilienza. Rimane stabile il numero di nuovi casi non associati a catene di trasmissione (652.401 vs 658.168 della settimana precedente). La percentuale dei casi rilevati attraverso l’attività di tracciamento dei contatti è in leggero aumento (18% vs 15% la scorsa settimana). È in diminuzione la percentuale dei casi rilevati attraverso la comparsa dei sintomi (38% vs 41%) mentre aumenta la percentuale di casi diagnosticati attraverso attività di screening (45% vs 44%).
Olio d’oliva: il migliore tra i grassi buoni, riduce rischio di malattie
AlimentazioneIl consumo di uno o due cucchiai di olio d’oliva al giorno (più di 7 grammi) è associato a una riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, tumori, malattie neurodegenerative e polmonari. Lo rivela un nuovo studio condotto all’Harvard T.H. Chan School of Public Health e recentemente pubblicato sul Journal Of The American College of Cardiology.
Olio d’oliva: il miglior condimento per la salute
Un gruppo di ricercatori, guidato dalla dottoressa Marta Guasch-Ferré, ha osservato per 28 anni più di 60.000 donne e 30.000 uomini che si presentavano sani all’inizio dello studio. A cadenza periodica i partecipanti venivano sottoposti a un questionario che chiedeva loro con quanta regolarità consumassero determinati tipi di alimenti, in particolare i grassi e gli olii che usavano in cucina e le relative marche. Al termine dello studio i ricercatori hanno potuto osservare come coloro che consumavano una più alta quantità di olio avessero il 19% in meno di possibilità di morire in seguito a malattie cardiovascolari, il 17% in meno di possibilità di sviluppare malattie oncologiche, il 20% in meno di andare incontro a disturbi neurologici e infine il 18% di rischio in meno di morire a causa di problemi respiratori. Lo studio ha inoltre mostrato come la sostituzione di grassi quali margarina, burro, maionese e derivati del latte con l’olio d’oliva fosse associata con una riduzione importante (meno 34%) del rischio di mortalità.
Meglio a crudo ed extravergine
Che l’olio d’oliva sia un alleato per la salute era già stato osservato da altri studi, ma ci sono ancora molti punti da approfondire ulteriormente. Per questo motivo, un gruppo di ricerca italiano dell I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (Isernia), nell’ambito del progetto Moli-sani, sta portando avanti uno studio, partito nel marzo 2005, che ha coinvolto circa 25.000 cittadini residenti in Molise, per conoscere i fattori ambientali e genetici alla base delle malattie cardiovascolari, dei tumori e delle patologie neurodegenerative. Lo studio ha permesso negli anni di raccogliere molte informazioni, di creare una biobanca di campioni di sangue e urine e di pubblicare numerosi lavori incentrati sul ruolo della dieta mediterranea e delle sue componenti nella prevenzione. Un nuovo focus sul consumo di olio extravergine di oliva farà ulteriore luce sui fattori di protezione.