Tempo di lettura: 3 minutiNel nostro Paese circa 1 adulto su 4 soffre di insonnia cronica o transitoria. Sono soprattutto le donne ad essere maggiormente colpite, circa il 60% rispetto al totale. Cifre che sono molto aumentate a causa della pandemia da COVID-19. Secondo gli esperti, un adulto dovrebbe dormire tra le 7 e le 8 ore, tuttavia alcune persone necessitano di 9–10 ore e ad altre ne bastano 5-6. In generale, una quantità di sonno adeguata è quella che consente di svegliarsi ben riposati e attivi, con un buon tono dell’umore.
Le ore di riposo notturno sono la ricarica dell’organismo umano. Nel sonno si susseguono due stati, più volte nel corso della notte: il sonno REM e il sonno non-REM. Nelle fasi REM avviene un rilassamento generale dei muscoli, rapidi movimenti degli occhi e sogni intensi, vividi è più connessi con la realtà. Nella fase non-REM i sogni sono più assimilabili a pensieri e sono più brevi. Grazie al passaggio tra questi due stati, il riposo notturno ci aiuta a consolidare i ricordi e a rinforzare le capacità cognitive. In pratica il sonno ripulisce il cervello dalle tossine prodotte dai neuroni durante il giorno oltre che da memorie inutili. Infatti, durante il sonno gli spazi fra le cellule cerebrali si dilatano del 60% e questo consente di drenare le sostanze tossiche per il cervello, fra cui la proteina beta amiloide che si accumula con l’invecchiamento ed è connessa alla demenza di Alzheimer. Gli effetti della deprivazione di sonno, impattano sul benessere psico-fisico di tutto l’organismo. Ad approfondire l’argomento è il dottor Vincenzo Tullo, neurologo e Responsabile dell’Ambulatorio sulle cefalee e sui disturbi del sonno di Humanitas. Si va infatti da sintomi come l’astenia, (una stanchezza costante durante il giorno), alla difficoltà di concentrazione, deficit di memoria, aumento degli stati depressivi e dell’irritabilità. A queste problematiche possono aggiungersene anche altre più gravi: come l’ipertensione o i problemi cardiovascolari, ma anche il diabete, perché la carenza di sonno influenza il metabolismo e i livelli di insulina.
La giornata mondiale del sonno. Sintomi e cura
Oggi, venerdì 18 marzo, è il World Sleep Day, la giornata mondiale del sonno, un’occasione per sensibilizzare il pubblico sull’importanza del riposo notturno e sui fattori che minano la qualità del sonno e quindi della vita. I disturbi del sonno provocano stanchezza cronica, cali dell’attenzione, aumento dell’irritabilità e degli stati emotivi depressivi. A lungo andare portano a problematiche di salute più gravi.
“L’insonnia, se occasionale, è un fenomeno comune e interessa, almeno una volta nella vita, il 50% circa della popolazione – spiega l’esperto – tuttavia, in presenza di determinate patologie o stati d’animo ansiosi, può cronicizzarsi, con conseguenze più gravi. Il principale fattore di rischio dell’insonnia è lo stress: la nostra mente, soverchiata da pensieri angosciosi, non riesce a rilassarsi e questo influenza fortemente la qualità del sonno. Anche fattori ambientali come la luce, il rumore o una temperatura troppo alta o troppo bassa, possono provocare degli episodi di insonnia, così come assumere molto caffè nella seconda parte della giornata, abusare con l’alcol e la nicotina, mangiare cibi pesanti a cena ed effettuare attività sportiva nelle ore precedenti al riposo. Si tratta in questo caso di insonnia “acuta”, che si manifesta quindi sporadicamente, o magari per qualche settimana per poi risolversi con la cessazione dello stimolo che la provoca. L’insonnia però, come abbiamo detto può essere anche cronica: una condizione che dipende principalmente da determinate patologie, come la depressione, le apnee ostruttive del sonno, la sindrome delle gambe senza riposo, che incidono severamente sulla qualità del riposo notturno e possono rendere necessario l’utilizzo di rimedi farmacologici o strumentali per riuscire finalmente ad addormentarsi”.
I rimedi
“Quando i disturbi del sonno sono episodici – spiega l’esperto -, il principale consiglio è quello di abituarsi a mantenere costante il ritmo sonno-veglia: svegliarsi sempre alla stessa ora e andare a dormire sempre alla medesima abitua il nostro corpo ad assecondare lo stimolo naturale del sonno. È importante cercare di dormire in un ambiente con una giusta temperatura compresa tre i 18° e i 22°C, buio e protetto dai rumori, oltre a evitare di passare troppo davanti agli schermi nelle ore serali, che siano dello smartphone, del computer, o della televisione. Anche una vita attiva, in cui si svolge un’attività fisica regolare nelle ore diurne e ci si espone alla luce solare piuttosto che a quella artificiale, aiuta il ritmo circadiano.
Un altro alleato del sonno sono i nutrienti che assumiamo tramite l’alimentazione, che possono favorire la produzione di sostanze che conciliano il riposo, come la melatonina, il magnesio, il potassio o la vitamina B6. Tra questi segnaliamo i carboidrati complessi, dalla pasta, al pane, al riso, il pesce, le carni bianche, il latte e i suoi derivati, la lattuga e alcuni tipi di frutta, come la frutta secca, le banane e le albicocche. Favorisce il rilassamento anche l’assunzione di tisane calde nelle ore precedenti al sonno, molte, infatti, sono composte da erbe e piante con proprietà distensive”.
Omicron 2, cosa sappiamo di questa “subvariante”
News PresaIn molte regioni d’Italia i casi di Covid stanno aumentando a causa di quella che molti medici definiscono Omicron 2, una variante (o meglio una subvariante) ancor più infettiva di Omicron. Nonostante l’aumento dei casi, fortunatamente, non stanno aumentando i ricoveri in terapia intensiva; segno che i vaccini stanno facendo bene il loro lavoro. Ma cosa sappiamo di questa Omicron 2? Il primo dato è la sua contagiosità, perché questa subvariante ha un potere infettivo mai sperimentato prima: la stima è che abbia un 30% in più di capacità di infettare nuovi ospiti. Ancora non ci sono dati ufficiali della sua diffusione in Italia, ma i laboratori che si occupano del sequenziamento osservano un rapido aumento dei casi. A Omicron 2 appartengono ormai tra il 20 per cento e il 30 per cento dei casi positivi oggi in Italia, con punte del 60 per cento come in Umbria, dove l’indice Rt è risalito: da 0,86 a 1,04 in una settimana. Tutto questo porta gli scienziati alla convinzione di un fatto: Omicron 2 soppianterà presto Omicron e lo farà in tempi ben più brevi di quanto la stessa Omicron abbia scalzato la pericolosissima variante Delta.
NUOVI SINTOMI
Un po’ tutti eravamo ormai abituati a considerare sintomi tipici del Covid la predita di gusto e olfatto. Omicron 2 causa solo raramente questo problema. I sintomi sono generalmente più lievi rispetto al passato. La subvariante porta invece ad un raffreddore con naso che cola e molti starnuti, spesso un mal di testa forte e un senso di spossatezza. Chi l’ha sperimentata riferisce di dolori muscolari con relativa stanchezza e mal di gola. Verificati anche casi di nausea e diarrea. La durata media della malattia va dai 5 ai 7 giorni con un periodo di incubazione di 3 giorni in media. Se la sintomatologia più blanda è di per se una cosa molto buona, il rischio che nessuno considera (nella convinzione che ormai la pandemia sia finita) è che Omicron 2 venga confusa con un banale raffreddore e che con l’aumento della circolazione del virus si possa avere una nuova variante più pericolosa. Di qui l’invito, per chi non lo avesse ancora fatto, a sottoporsi alla vaccinazione.
Clima e salute: crediti di carbonio per ridurre le emissioni
PrevenzioneGran parte della battaglia contro i cambiamenti climatici si gioca sulla riduzione della presenza di anidride carbonica nell’atmosfera. La sua concentrazione, infatti, è arrivata a 400 ppm, un livello mai raggiunto almeno negli ultimi 800.000 anni. Dati che fanno emergere un rischio sempre maggiore per la salute umana e del pianeta. Pertanto, generare crediti di carbonio, ossia stoccare il carbonio, è importante perché la CO2 è il principale gas responsabile dell’effetto serra, che produce il riscaldamento globale e quindi il cambiamento del clima. Lo stoccaggio del Carbonio consiste nell’assorbimento del carbonio atmosferico che può essere effettuato dalle foreste o dagli oceani. Le foreste, in particolare, lo assorbono grazie alla fotosintesi e lo stoccano sia nell’atmosfera che nel suolo. Sebbene, per arrestare il cambiamento climatico il solo stoccaggio non sia sufficiente, incoraggiarne l’assorbimento permette ai governi di accelerare la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio. Un credito di carbonio corrisponde a una tonnellata di CO2 equivalente assorbita dall’atmosfera (carbon sink) o non emessa. Per CO2 equivalente si intende una unità di misura che permette di calcolare l’impatto sul riscaldamento globale di diversi Gas serra, ad esempio una tonnellata di Metano (CH4) è pari a 24 t di CO2 equivalenti mentre una tonnellata di N2O equivale a 298 t di CO2 equivalenti.
Clima: un mercato volontario di crediti di carbonio
Per accelerare la transizione ecologica è nato un mercato volontario di crediti di carbonio, che consente ai proprietari e gestori forestali di essere remunerati per le attività di gestione che favoriscono l’assorbimento del carbonio e alle imprese che acquistano i crediti di contribuire alla lotta al cambiamento climatico e potenzialmente diventare aziende ad emissioni zero.
Dal 2010 per analizzare e monitorare il mercato volontario nonché per definire e aggiornare le Linee Guida, è stato costituito Il Nucleo Monitoraggio Carbonio, un gruppo di lavoro finanziato dal programma Rete Rurale Nazionale 2014-2020 e coordinato dal CREA Politiche e Bioeconomia, al quale partecipano l’Università di Padova, Etifor srl, la Compagnia delle Foreste, CMCCI e IPLA, enti e società impegnati nella ricerca del settore forestale e dei cambiamenti del clima.
Ogni anno il NMC pubblica il report che analizza il mercato dei crediti di carbonio in Italia e negli ultimi due rapporti, per seguire le tendenze del mercato, sono stati analizzati anche i progetti forestali che erogano altri servizi ecosistemici oltre all’assorbimento del carbonio.
Trend e scenari futuri
Nel 2021 i crediti di carbonio generati dal settore agro-forestale venduti nel mercato volontario internazionale hanno addirittura superato quelli generati complessivamente, segno che la domanda è in forte ascesa (Forest trend 2021).
Il Network for Greening the Financial System (NGFS 2021) stima che la domanda di crediti di carbonio aumenterà di ben 15 volte nel 2030 e di 30 volte nel 2050 rispetto ai crediti venduti attualmente e i prezzi arriveranno a toccare i 160 $/tCO2 nel 2050.
Italia ferma
Al contrario, in Italia negli ultimi anni il mercato risulta stazionario a causa della mancanza di uno standard o linea guida nazionale, come avviene in altri Paesi, tuttavia dall’ultimo Report del Nucleo Monitoraggio Carbonio “Progetti forestali di Sostenibilità 2020” – Presentazione del Report “Progetti forestali di sostenibilità in Italia 2020” (nucleomonitoraggiocarbonio.it) – emerge come il mercato italiano abbia tutte le potenzialità per incrementare i propri volumi. Lo testimoniano non solo l’aumento del numero di progetti realizzati e di attori partecipanti al mercato e la tendenza verso iniziative che difficilmente possono essere ridotte alla sola metrica della CO2 assorbita, ma anche la quantificazione e valorizzazione degli altri servizi ecosistemici generati dai progetti.
Sonno: effetti del mancato riposo e come prevenire
News PresaNel nostro Paese circa 1 adulto su 4 soffre di insonnia cronica o transitoria. Sono soprattutto le donne ad essere maggiormente colpite, circa il 60% rispetto al totale. Cifre che sono molto aumentate a causa della pandemia da COVID-19. Secondo gli esperti, un adulto dovrebbe dormire tra le 7 e le 8 ore, tuttavia alcune persone necessitano di 9–10 ore e ad altre ne bastano 5-6. In generale, una quantità di sonno adeguata è quella che consente di svegliarsi ben riposati e attivi, con un buon tono dell’umore.
Le ore di riposo notturno sono la ricarica dell’organismo umano. Nel sonno si susseguono due stati, più volte nel corso della notte: il sonno REM e il sonno non-REM. Nelle fasi REM avviene un rilassamento generale dei muscoli, rapidi movimenti degli occhi e sogni intensi, vividi è più connessi con la realtà. Nella fase non-REM i sogni sono più assimilabili a pensieri e sono più brevi. Grazie al passaggio tra questi due stati, il riposo notturno ci aiuta a consolidare i ricordi e a rinforzare le capacità cognitive. In pratica il sonno ripulisce il cervello dalle tossine prodotte dai neuroni durante il giorno oltre che da memorie inutili. Infatti, durante il sonno gli spazi fra le cellule cerebrali si dilatano del 60% e questo consente di drenare le sostanze tossiche per il cervello, fra cui la proteina beta amiloide che si accumula con l’invecchiamento ed è connessa alla demenza di Alzheimer. Gli effetti della deprivazione di sonno, impattano sul benessere psico-fisico di tutto l’organismo. Ad approfondire l’argomento è il dottor Vincenzo Tullo, neurologo e Responsabile dell’Ambulatorio sulle cefalee e sui disturbi del sonno di Humanitas. Si va infatti da sintomi come l’astenia, (una stanchezza costante durante il giorno), alla difficoltà di concentrazione, deficit di memoria, aumento degli stati depressivi e dell’irritabilità. A queste problematiche possono aggiungersene anche altre più gravi: come l’ipertensione o i problemi cardiovascolari, ma anche il diabete, perché la carenza di sonno influenza il metabolismo e i livelli di insulina.
La giornata mondiale del sonno. Sintomi e cura
Oggi, venerdì 18 marzo, è il World Sleep Day, la giornata mondiale del sonno, un’occasione per sensibilizzare il pubblico sull’importanza del riposo notturno e sui fattori che minano la qualità del sonno e quindi della vita. I disturbi del sonno provocano stanchezza cronica, cali dell’attenzione, aumento dell’irritabilità e degli stati emotivi depressivi. A lungo andare portano a problematiche di salute più gravi.
“L’insonnia, se occasionale, è un fenomeno comune e interessa, almeno una volta nella vita, il 50% circa della popolazione – spiega l’esperto – tuttavia, in presenza di determinate patologie o stati d’animo ansiosi, può cronicizzarsi, con conseguenze più gravi. Il principale fattore di rischio dell’insonnia è lo stress: la nostra mente, soverchiata da pensieri angosciosi, non riesce a rilassarsi e questo influenza fortemente la qualità del sonno. Anche fattori ambientali come la luce, il rumore o una temperatura troppo alta o troppo bassa, possono provocare degli episodi di insonnia, così come assumere molto caffè nella seconda parte della giornata, abusare con l’alcol e la nicotina, mangiare cibi pesanti a cena ed effettuare attività sportiva nelle ore precedenti al riposo. Si tratta in questo caso di insonnia “acuta”, che si manifesta quindi sporadicamente, o magari per qualche settimana per poi risolversi con la cessazione dello stimolo che la provoca. L’insonnia però, come abbiamo detto può essere anche cronica: una condizione che dipende principalmente da determinate patologie, come la depressione, le apnee ostruttive del sonno, la sindrome delle gambe senza riposo, che incidono severamente sulla qualità del riposo notturno e possono rendere necessario l’utilizzo di rimedi farmacologici o strumentali per riuscire finalmente ad addormentarsi”.
I rimedi
“Quando i disturbi del sonno sono episodici – spiega l’esperto -, il principale consiglio è quello di abituarsi a mantenere costante il ritmo sonno-veglia: svegliarsi sempre alla stessa ora e andare a dormire sempre alla medesima abitua il nostro corpo ad assecondare lo stimolo naturale del sonno. È importante cercare di dormire in un ambiente con una giusta temperatura compresa tre i 18° e i 22°C, buio e protetto dai rumori, oltre a evitare di passare troppo davanti agli schermi nelle ore serali, che siano dello smartphone, del computer, o della televisione. Anche una vita attiva, in cui si svolge un’attività fisica regolare nelle ore diurne e ci si espone alla luce solare piuttosto che a quella artificiale, aiuta il ritmo circadiano.
Un altro alleato del sonno sono i nutrienti che assumiamo tramite l’alimentazione, che possono favorire la produzione di sostanze che conciliano il riposo, come la melatonina, il magnesio, il potassio o la vitamina B6. Tra questi segnaliamo i carboidrati complessi, dalla pasta, al pane, al riso, il pesce, le carni bianche, il latte e i suoi derivati, la lattuga e alcuni tipi di frutta, come la frutta secca, le banane e le albicocche. Favorisce il rilassamento anche l’assunzione di tisane calde nelle ore precedenti al sonno, molte, infatti, sono composte da erbe e piante con proprietà distensive”.
La medicina integrata non può curare il Covid
News PresaLa medicina integrata (quella che tra le altre vede discipline come l’agopuntura e l’omeopatia) non può curare il Covid 19. Un’affermazione semplice e per molti ovvia, ma di grandissimo valore se a pronunciarla sono il presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli e proprio alcuni dei rappresentanti di queste discipline. Il passo indietro, per comprendere al meglio il fenomeno è essenziale. In piena pandemia, molte e ripetute sono stati gli accostamenti proposti dai media di No Vax a medici di discipline integrate. In altre parole, la polemica ricorrente era quella che voleva l’esistenza di un folto gruppo di No Vax convinti che si potesse rinunciare alla vaccinazione anti Covid e risolvere il problema con agopuntura o vitamine varie. Ora un messaggio chiaro arriva proprio dai medici della medicina integrata, che chiamano all’appello i cittadini per la vaccinazione. Da Napoli, come detto, il messaggio arriva dal presidente dei Medici Bruno Zuccarelli, il consigliere Andrea Montella, il dottor Saverio Annunziata e proprio da alcuni rappresentanti della medicina integrata quali i dottori Gennaro Crispo, Dario Di Criscio Ottavio Iommelli e Giuseppe Iovane. Parole che mettono in chiaro la posizione dei medici sul ruolo della medicina “tradizionale” e di quella integrata nella lotta al Covid. Un punto di vista condiviso e non contrapposto, che cancella ogni zona d’ombra.
PERCORSO CONDIVISO
L’equivoco rilanciato da più parti sui social e sui mezzi di informazione voleva attribuire alla medicina integrata una connotazione No Vax. La medicina integrata è invece un approccio alla medicina e alla formazione medica con radici molto antiche. La medicina integrata riconosce la medicina tradizionale o convenzionale come fulcro della cura, ma affianca ai moderni esami diagnostici e trattamenti convenzionali, un’attenta selezione di terapie complementari, come l’omeopatia, l’agopuntura, la medicina ildegardiana, l’osteopatia, la terapia cranio sacrale, la psicologia per equilibrare mente e corpo, e raggiungere il benessere psicofisico totale della persona. Di qui il percorso condiviso definito nell’incontro tenutosi all’Ordine dei Medici di Napoli, nell’unico interesse della salute dei cittadini. «Non bisogna assolutamente abbassare la guardia, perché i contagi stanno nuovamente aumentando – dice Bruno Zuccarelli -, il processo di vaccinazione deve continuare al fine di ritornare nel più breve tempo possibile alla vita normale»
Riabilitazione assistita da un robot. Le linee guida
News PresaCrescono in modo esponenziale le tecnologie robotiche usate in ambito riabilitativo. Oggi i trattamenti sono integrati attraverso l’interazione tra professionista, paziente e robot. Una modalità che rientra, a tutti gli effetti, nell’intervento riabilitativo. Tuttavia non esistono ancora linee guida che possano ridurre discrepanze nei criteri di utilizzo. Da qui nasce l’esigenza di redigere un documento che faccia da guida a tutela del paziente e del professionista della riabilitazione. Il report contiene tutti i protocolli da seguire nelle varie situazioni e anche altre raccomandazioni, come nei casi di disabilità neurologiche in età pediatrica. Le tecnologie robotiche oggi sono un’opportunità terapeutica fattibile e sicura: promettono risultati sempre più efficaci, ma devono essere eseguite secondo determinati standard.
La riabilitazione assistita da robot
La riabilitazione assistita da robot è delineata nel Documento finale della Conferenza Nazionale di Consenso. “La riabilitazione assistita da robot e dispositivi elettromeccanici per le persone con disabilità di origine neurologica”, a cui hanno contribuito sei gruppi di lavoro composti da esperti provenienti da diversi enti e università. Si tratta di un punto di riferimento per i professionisti che operano in questo ambito. Il lavoro è promosso dal Centro Nazionale per le Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica dell’ISS, dalla Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER) e dalla Società Italiana di Riabilitazione (SIRN).
Dalla definizione alla descrizione e classificazione dei dispositivi (con tutti i sottosistemi che ne fanno parte, compresi i sistemi di controllo adattivi che permettono di individualizzare l’intervento riabilitativo a seconda delle necessità e abilità residue di ciascun paziente), fino ai fondamenti teorici per il loro utilizzo; dalle raccomandazioni nelle disabilità neurologiche in età pediatrica, passando per le singole riabilitazioni (degli arti superiori e di quelli inferiori, della deambulazione), alle raccomandazioni per l’età adulta (in caso di ictus, di mielolesioni, di sclerosi multipla di Malattia di Parkinson e di altre patologie). Il Documento tratta anche, nella seconda parte, gli aspetti normativi, giuridici, organizzativi, formativi, senza tralasciare quelli etici e sociali. Le prospettive future di sviluppo e le indicazioni per la ricerca e la riabilitazione sono trattate nella terza e ultima parte.
La Conferenza di Consenso ha visto la partecipazione di quasi 200 persone tra medici, ingegneri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, bioeticisti, rappresentanti delle associazioni dei disabili e del mondo dell’industria che hanno costituito un vasto gruppo di lavoro multidisciplinare e multiprofessionale.
Il Documento si è reso necessario visto l’incremento negli ultimi anni dell’utilizzo delle tecnologie robotiche in ambito riabilitativo e dal momento che se ne prevede un’ulteriore rilevante espansione nel prossimo futuro. Inoltre, come si legge nel Documento stesso, “la crescente disponibilità di dispositivi robotici di impiego relativamente semplice, utilizzabili in ambito clinico, ha fatto sì che essi non siano più solo appannaggio di strutture di ricerca o di alta specializzazione e abbiano da tempo iniziato a diffondersi in molti settori dell’offerta riabilitativa, seppure in modo ancora disomogeneo”. Nasce, dunque, proprio da qui, il Documento definitivo: dal tentativo di dare un’inziale risposta ai problemi posti dalle disomogeneità e discrepanze nei criteri di utilizzo e nei contesti organizzativi, dalla mancanza, insomma, di un quadro complessivo e condiviso di riferimento.
Lo sport e l’importanza di tenersi in forma ad ogni età
SportOgni età ha la sua ginnastica, l’importante è non smettere mai di praticare la giusta attività fisica. Un po’ di sport, anche moderato, è infatti essenziale per migliorare la qualità della vita e lo stato di salute, perché rafforza il sistema immunitario, aiuta le ossa e i muscoli e influisce positivamente sull’umore (contribuendo a sviluppare dei rapporti sociali e aiutando il benessere psichico). Tra i tanti vantaggi del perticare un po’ di sport c’è prima di tutto l’aspetto clinico. Lo sport, infatti, riduce la pressione arteriosa, controlla il livello di glicemia, modula positivamente il colesterolo nel sangue, aiuta a prevenire le malattie metaboliche, cardiovascolari, neoplastiche, le artrosi e riduce il tessuto adiposo in eccesso. Inoltre, riduce i sintomi di ansia, stress, depressione e solitudine e comporta benefici evidenti per l’apparato muscolare e scheletrico. I medici sono concordi nel raccomandare prevalentemente un esercizio di tipo aerobico, non necessariamente intenso: per essere fisicamente attivi sono sufficienti semplici movimenti che fanno parte della vita quotidiana, come il camminare, ballare, andare in bicicletta e fare i lavori domestici. Infatti, l’attività fisica è definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) come “qualsiasi movimento corporeo prodotto dai muscoli scheletrici che richiede un dispendio energetico”.
AD OGNI ETÀ
Anche se l’intensità e le diverse forme di esercizio fisico possono variare tra le single persone, l’Oms ha pubblicato le “Global recommendations on Physical activity for Health”, in cui definisce i livelli di attività fisica raccomandata per la salute, distinguendo tre gruppi di età:
Intelligenza artificiale per la cura delle malattie ematologiche. Un progetto italiano all’EXPO Dubai
Ricerca innovazioneSi chiama GenoMed4All, il progetto che sfrutta l’intelligenza artificiale per migliorare la diagnosi e la cura delle malattie ematologiche, anche attraverso una piattaforma che raggruppa tutte le infrastrutture già presenti in Europa con dati clinici e genomici. Si tratta di uno dei tre progetti di European AI Excellence selezionati dalla Commissione Europea e presentati ieri a EXPO Dubai. GenoMed4All (Genomics and Personalized Medicine for All through Artificial Intelligence in Haematological Diseases), inserito nel programma Horizon 2020 Research & Innovation della Commissione Europea, è coordinato da Humanitas: guidato dal professor Matteo Della Porta, Responsabile Leucemie e Mielodisplasie e gestito in collaborazione con l’AI Center, diretto dal dottor Victor Savevski.
Cosa sono le malattie ematologiche
Le malattie ematologiche sono un insieme di 450 disturbi oncologici (circa il 5% di tutti i tumori) e non oncologici che dipendono da una serie di anomalie del sistema linfoide, delle cellule ematiche e dei fattori della coagulazione. La maggior parte dei pazienti presentano anomalie del DNA sia ereditarie sia sviluppate nel corso della vita. Le malattie ematologiche provocano gravi disturbi e impattano sull’aspettativa di vita dei pazienti. La Ricerca ematologica negli ultimi anni ha sviluppato trattamenti farmacologici e cellulari innovativi, concentrandosi sulla medicina di precisione, per dare trattamenti personalizzati su ciascun paziente.
GenoMed4All: Intelligenza Artificiale per cure personalizzate
L’obiettivo di GenoMed4All è quello di implementare una piattaforma di analisi dati genomici e clinici dei pazienti interessati da malattie ematologiche. L’Intelligenza Artificiale, infatti, consente di sviluppare nuovi tool che associano i parametri clinico-patologici già usati nel processo clinico decisionale con il profilo genomico avanzato della malattia. L’obiettivo è aiutare gli specialisti nella diagnosi e nella valutazione del trattamento.
Il progetto GenoMed4All prende avvio dal censimento degli archivi e registri di dati già esistenti, con l’idea di unirli in un’unica piattaforma e agevolare la condivisione di dati tra i Paesi dell’Unione Europea e, grazie all’Intelligenza Artificiale, migliorare le valutazioni cliniche per una medicina tagliata sulle singole necessità del paziente.
“Al termine del progetto, attraverso lo sviluppo di sistemi di supporto alle decisioni cliniche basate sull’intelligenza artificiale, ci aspettiamo di poter mettere a disposizione di ciascun ematologo una grandissima mole di dati, che integrandosi con la conoscenza e l’esperienza clinica dei medici, ci aiuterà a prendere decisioni più accurate nei confronti dei bisogni specifici dei nostri pazienti” conclude il professor Della Porta.
Microplastiche nelle acque potabili, ‘call to action’ per azioni europee
News PresaLa Commissione Europea vuole individuare entro il 2024 un sistema per monitorare le microplastiche nelle acque potabili. Lo scopo è inserire quest’ultime nella “Watch List”, un Elenco di Controllo in cui vengono riportate sostanze emergenti, potenzialmente rischiose per il consumatore, se presenti nelle acque destinate al consumo umano.
La Direttiva (UE) 2020/2184 sulla qualità delle acque potabili, infatti, stabilisce la necessità di strategie di monitoraggio e prevenzione basate sull’analisi di rischio sito-specifica, al fine di garantire la salubrità delle risorse idriche e prevenire o controllare un eventuale inquinamento dato da contaminanti emergenti, come le microplastiche, ad oggi non regolamentati.
Su mandato della CE, il Joint Research Center (JRC) sta raccogliendo dai diversi Stati Membri informazioni sulle metodologie analitiche e sull’esistenza di azioni di monitoraggio pianificate o in corso per la ricerca delle microplastiche in acqua potabile. L’obiettivo è individuare una metodologia armonizzata e condivisa. In Italia, per definire un quadro nazionale di attività, è stata valutata la necessità di un gruppo di lavoro nazionale, istituito presso il Ministero della Salute con coordinamento dell’ISS, nell’ambito del Dipartimento Ambiente e Salute, che coinvolga anche esperti in materia di ricerca e sorveglianza sulle microplastiche nelle acque potabili.
Cosa sono le microplastiche
La diffusione di plastiche nell’ambiente ha effetti devastanti, soprattutto negli ambienti acquatici. A causa della loro persistenza incidono sulla salute degli organismi che vivono negli ecosistemi. Preoccupa soprattutto l’inquinamento ambientale dovuto alle microplastiche, contaminanti emergenti del tutto ubiquitari, con un profilo tossicologico ancora poco chiaro.
Pur non esistendo una definizione scientificamente condivisa, le microplastiche sono classificate come particelle di dimensioni inferiori a 5 mm e generalmente di grandezza compresa tra 1 µm e 5 mm. Ne fanno parte materiali con composizioni chimiche, forme, colori e dimensioni diverse, ai quali vengono spesso aggiunti additivi e plastificanti. Possono derivare dalla frammentazione o degradazione di rifiuti plastici più grandi o essere prodotte ex-novo nello stesso range dimensionale con il quale si ritrovano nell’ambiente. In entrambi i casi impattano sulla salute in maniera grave, per via dell’interazione della plastica con gli organi e i tessuti degli animali e per l’azione indiretta, legata alla loro possibilità di agire come vettori di altri inquinanti e/o patogeni.
L’acqua superficiale è uno dei principali veicoli di diffusione delle microplastiche nell’ambiente, perché in essa vengono convogliate plastiche da più fonti. Le acque superficiali possono diventare, a loro volta, un sito di ingresso delle microplastiche nella catena idropotabile con potenziale contaminazione delle acque destinate al consumo umano.
La presenza di microplastiche nelle acque potabili è stata riportata in diversi studi, anche se i risultati sono difficilmente confrontabili, per differenze di campionamento e tecnica analitica utilizzata.
Sebbene i primi dati sull’efficacia di rimozione delle microplastiche dagli impianti di potabilizzazione abbiano dimostrato la capacità delle tecnologie di trattamento, vi è maggiore incertezza sul destino di fibre e particelle di dimensioni minori.
Disordini alimentari, una vera epidemia tra i giovanissimi
News PresaI disordini alimentari, tra cui l’anoressia e la bulimia nervosa, sono sempre più frequenti. Per capirne il motivo servirebbe forse un’analisi molto lunga e approfondita, ma la cosa certa è che questi problemi sono diventati nell’ultimo ventennio una vera e propria emergenza di salute mentale per gli effetti devastanti che hanno sulla salute e sulla vita di adolescenti e giovani adulti. In tempo di Covid il termine “epidemia” è abusato, ma negli Stati Uniti le associazioni mediche che di disordini alimentari si occupano non esitano a parlare di una vera e propria epidemia che attraversa tutti gli strati sociali e le diverse etnie. Forse il messaggio più importante da lanciare e trasmettere è quello di intervenire sinché si è in tempo, perché se non trattati in tempi e con metodi adeguati, i disordini alimentari possono diventare una condizione permanente e nei casi gravi portare alla morte, che solitamente avviene per suicidio o per arresto cardiaco. E l’occhio deve essere rivolto ai giovani, che sono le prime vittime in tutto il mondo.
LE CAUSE
I disordini alimentari sono malattie molto complesse, influenzate dall’interazione di molti fattori biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici. Ma c’è sempre una componente di sofferenza psicologica, un’ossessiva sopravvalutazione dell’importanza della propria forma fisica, del proprio peso e corpo e una necessità di stabilire un controllo su di esso. Il ché nella nostra società, che sull’immagine basa il successo o il fallimento della persona, è un rischio enorme. Tra le ragioni che portano allo sviluppo di comportamenti anoressici e bulimici c’è di norma l’influenza negativa da parte di altri componenti familiari e sociali. Quindi attenzione a non mettere i giovani sotto pressione più di quanto possano sopportare, o al contrario a trascurarli. Un rischio è anche quello di sentirsi oggetto di derisione per la propria forma fisica o di non poter raggiungere i risultati che si vorrebbero raggiungere per problemi di peso e apparenza. L’anoressia e la bulimia però possono anche dipendere poi da situazioni traumatiche, come ad esempio violenze sessuali, drammi familiari, comportamenti abusivi da parte di familiari o di persone esterne, difficoltà ad essere accettati socialmente e nella propria famiglia. Uno dei motivi per cui una ragazza inizia a sottoporsi a una dieta eccessiva è la necessità di corrispondere a un canone estetico che premia la magrezza, anche nei suoi eccessi. Secondo molti psichiatri, infatti, l’attuale propensione a prediligere un modello di bellezza femminile che esalta la magrezza ha conseguenze devastanti sui comportamenti alimentari di molte adolescenti.
EFFETTI PSICOLOGICI
Gli effetti dei disordini alimentari sono molto pesanti, sia sotto il profilo fisico che quello psicologico. Dal punto di vista fisico, gli effetti della malnutrizione comportano ulcere intestinali e danni permanenti ai tessuti dell’apparato digerente, disidratazione, danneggiamento di gengive e denti, seri danni cardiaci, al fegato e ai reni, problemi al sistema nervoso, con difficoltà di concentrazione e di memorizzazione, danni al sistema osseo, con accresciuta probabilità di fratture e di osteoporosi, blocco della crescita, emorragie interne, ipotermia e ghiandole ingrossate. Le ripercussioni psicologiche, invece, comportano depressione, basso livello di autostima, senso di vergogna e colpa, difficoltà a mantenere relazioni sociali e familiari, sbalzi di umore, tendenza a comportamenti manichei e maniacali, propensione al perfezionismo. Ma come si può riconoscere un problema alimentare? Ovviamente una grave perdita di peso, ma anche abitudini troppo drastiche sono campanelli d’allarme. L’evitare tutti i cibi ritenuti grassi e il concentrarsi su alimenti ‘sani’ e poco calorici, con una attenzione ossessiva al contenuto calorico e alla composizione dei cibi e alla bilancia è un segnale di allerta. Un altro segnale è un consumo dei pasti estremamente lento, rimuginando a lungo su ogni boccone ingerito. Mangiare piano va bene, anzi fa bene, ma c’è chiaramente un limite che segna il confine tra una buona abitudine e un problema. È evidente che non bisogna mai colpevolizzare chi soffre di un disordine alimentare, ma anzi aiutarlo e (con l’ausilio di esperti) cercare di superare il problema affrontandolo alla radice.
Disturbi alimentari: boom in pandemia. La mappa dei centri
News PresaIn Italia il numero di casi di disturbi alimentari è aumentato del 40% solo nei primi 6 mesi di pandemia. I numeri rilevati nel primo semestre del 2020 sono stati 230.458 nuovi casi contro i 163.547 del primo semestre 2019. I dati, raccolti dal Consorzio interuniversitario Cineca, sono stati presentati ieri durante una tavola rotonda al Museo dell’Istituto Superiore di Sanità. Nel 2020 sono stati rilevati 2 milioni e 398.749 pazienti in trattamento, ma è un dato sottostimato perché “esiste una grande quota di pazienti che non arriva alle cure”. In base all’ultima rilevazione ci sono quasi 3 milioni di persone ammalate. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, anoressia e bulimia sono la prima causa di morte per malattia tra i 12 e i 25 anni. In Italia, i numeri mostrano un’abbassamento dell’età di esordio e un aumento della percentuale di maschi ammalati.
Disturbi alimentari, la mappa dei centri sanitari
Oggi sono 108 le strutture accreditate (erano 91 poche settimane fa) su tutto il territorio nazionale (101 del SSN e 7 del privato accreditato): 55 centri al Nord (di cui 19 in Emilia Romagna), 18 al Centro Italia e 35 tra Sud e Isole. La mappa dell’ISS dedicata ai servizi sui disturbi alimentari è in continua evoluzione.
Anche i dati rilevati dall’Iss sono stati sono stati presentati ieri in occasione della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla, durante la tavola rotonda al Museo dedicata sia agli aspetti epidemiologici, sia alle storie di disagio raccontate nel libro “Affamati d’amore” di Fiorenza Sarzanini.
“Facilitare la richiesta di aiuto e informare sull’assistenza sono gli obiettivi della mappatura dei centri – spiega Roberta Pacifici, responsabile del Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’ISS – dopo aver censito le strutture del SSN, infatti, l’Istituto ha iniziato a mappare anche i centri del privato accreditato, notando un forte impatto e coinvolgimento su questi disturbi del comportamento alimentare, purtroppo in crescita durante il periodo pandemico”.
Disturbi alimentari, si abbassa ancora l’età di esordio
Il censimento rivela informazioni sull’utenza assistita. Risultano in carico al 65% dei Centri censiti quasi 9.000 utenti (8.947), prevalentemente di genere femminile 90% rispetto al 10% di maschi. Il 58% degli utenti ha tra i 13 e i 25 anni, il 7% meno di 12 anni. Rispetto alle più frequenti diagnosi l’anoressia nervosa è rappresentata nel 36,2% dei casi, la bulimia nervosa nel 17,9% e il disturbo di binge eating nel 12,4%. Sono 1.099 inoltre i professionisti che lavorano nei centri, tutti formati e aggiornati: soprattutto psicologi (21%), psichiatri o neuropsichiatri infantili (17%), infermieri (14%) e dietisti (11%).
“Durante la pandemia – dice Laura Dalla Ragione Responsabile Rete Disturbi Comportamento Alimentare Usl 1 dell’Umbria – le persone che soffrivano di un disturbo alimentare si sono aggravate. Magari hanno impiegato mesi per trovare il coraggio di chiedere aiuto o hanno aspettato mesi per un ricovero, aumentando il rischio di cronicizzazione o ricaduta nel disturbo”.
I dati più recenti, infatti, relativi a una survey conclusasi a febbraio 2021, basata sull’incrocio di diversi flussi informativi analizzati dal Consorzio interuniversitario CINECA, ci confermano un aumento della patologia di quasi il 40% rispetto al 2019: nel primo semestre 2020 sono stati rilevati nei diversi flussi informativi 230.458 nuovi casi contro i 163.547 del primo semestre 2019. Il carico assistenziale globale dei nuovi casi e casi in trattamento è stato rilevato nel 2020 nel numero di 2.398.749 pazienti, un dato sottostimato poiché esiste in questa patologia una grande quota di pazienti che non arriva alle cure.
I dati della survey rivelano anche un ulteriore abbassamento dell’età di esordio: il 30% della popolazione ammalata è sotto i 14 anni e una maggiore diffusione nella popolazione maschile (nella fascia tra i 12 e 17 anni comprende il 10%).
Si tratta di persone sempre più giovani che fanno fatica a far affiorare il disagio. Un aspetto affrontato nel libro “Affamati d’amore” di Fiorenza Sarzanini, presentato nel corso della tavola rotonda dal vice direttore del Corriere della Sera, che nel suo libro di storie di disordini alimentari, include anche la sua per dimostrare che questa patologia si può vincere e per dire che se ne può e se ne deve parlare perché “un’alleanza tra chi fa informazione e chi disegna strategie sanitarie è necessaria. Di questi temi bisogna parlarne, devono diventare un’istanza di salute – dice la Sarzanini – questo è il primo passo perché si possa creare una rete sanitaria e sociale, per i ragazzi e per le loro famiglie, che non lasci solo nessuno e che possa accogliere un percorso di rinascita”