Tempo di lettura: 3 minutiUn’indagine di Eurispes si è focalizzata su giovani e adolescenti della Sardegna per capire in che modo sta prendendo forma il tabagismo tra i giovanissimi. Secondo l‘ultima stima dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2019 erano 11,6 milioni gli italiani che avevano rapporti con il consumo di tabacco. Una quota importante, pari al 22% della popolazione. All’interno di questo dato emerge la crescita del numero delle fumatrici e l’11,1% costituito da giovani tra i 14 e i 17 anni.
Dalla ricerca dell’Eurispes risulta che il 49,4% dei ragazzi ha iniziato a fumare prima di avere raggiunto 18 anni di età, e il 48,7% tra i 15 e i 18 anni. A diventare precocemente abituali consumatori sono di più i ragazzi (62,1%) anziché le ragazze (29,9%). I giovani fumatori sardi non fumano, inoltre, soltanto sigarette tradizionali, ma anche tabacco trinciato (55%) e le sigarette elettroniche (23,5%).
L’indagine Eurispes sul tabagismo
Hanno partecipato all’indagine 1.259 adolescenti di 34 diversi Istituti scolastici della Sardegna di età compresa tra i 13 e i 18 anni. Le scuole, che attraverso l’adesione dei loro studenti hanno sostenuto il progetto di ricerca, sono state individuate in diverse aree geografiche della Regione per essere ben rappresentative: 5 scuole secondarie di secondo grado nella Città Metropolitana di Sassari, 5 nel Nord-Est Sardegna, 4 a Nuoro, 3 nell’Ogliastra, 5 a Oristano, 7 nella Città Metropolitana di Cagliari, 2 nel Medio Campidano e 3, infine, nel Sulcis-Iglesiente. L’indagine è stata realizzata dall’Eurispes grazie al contributo dell’Assessorato regionale alla Programmazione e Bilancio e alla collaborazione con l’Assessorato regionale alla Pubblica Istruzione. L‘iniziativa sul tabagismo rientra in un percorso già intrapreso e al momento in corso attraverso il quale, in un periodo molto critico per tutti, si è voluto rivolgere uno sguardo più attento al mondo delle giovani generazioni e, in particolare, alle scuole.
Uno studente su quattro chiede i soldi ai genitori per acquistare le sigarette
Per comprare le sigarette gli adolescenti sardi devono sostenere una spesa settimanale da 5 a 10 euro nel 31,1% dei casi, da 11 a 20 euro nel 17,4% dei casi e più di 30 euro nel 6,2% dei casi. Utilizzano risparmi personali (33,6%) o ciò che hanno guadagnato da lavori occasionali e/o stagionali (28,1%). Uno studente su quattro chiede aiuto alla famiglia per acquistare un pacchetto di sigarette, e una sparuta quota di fuomatori si fa prestare i soldi necessari dagli amici (1,9%). Dall’indagine emerge che le famiglie sono spesso al corrente del tabagismo dei figli (51,7%). I ricercatori hanno quindi indagato quale fosse anche il rapporto degli adulti, e cioè i genitori, con il fumo. Si scopre che più della metà degli intervistati (il 56,5%) ha genitori non fumatori, mentre il 29,4% dei ragazzi afferma che a fumare in casa e con una certa regolarità è almeno uno dei due genitori.
La motivazione principale che spinge i ragazzi a fumare la prima sigaretta risulta essere la curiosità (40,3%) e, solo in misura minore, il fatto di appartenere a gruppi amicali in cui qualcuno fuma (16,4%). Il 21,7% dichiara, inoltre, di avere tentato di smettere almeno una volta nella sua giovane vita, segno della consapevolezza che il tabagismo può diventare nel tempo una dipendenza sempre più problematica. Chi ha provato a smettere – in prevalenza le ragazze (44,1%) – ammette di averlo fatto senza esservi riuscito. Quasi tutti gli intervistati hanno espresso la volontà di liberarsi dalla dipendenza, benché uno su dieci (9,9%) non sia assolutamente interessato a farlo. Tra le ragazze emerge, inoltre, una maggiore propensione a scelte da mettere in pratica nel breve termine (32,9%).
Gli intervistati sono a conoscenza del fatto che il tabagismo comporta rischi per la salute, anche quando si tratta del cosiddetto fumo passivo subìto da chi non è fumatore (45%), ma non è così per tutti. Hanno cognizione dei divieti e delle sanzioni che normano l’uso della sigaretta il 67% degli intervistati. Sono anche consapevoli che a scuola non si può fumare, ma il 71,7% ritiene giusto che lo si faccia negli spazi esterni come giardini, piazzole o cortili. Eppure, c’è chi fuma anche nei locali della scuola (58,2%). Un ragazzo su cinque dichiara di farlo in modo abituale, e uno su due dichiara di avere ricevuto almeno un reclamo dal personale scolastico per avere infranto il divieto. I ragazzi dichiarano di riconoscere l’impegno della scuola per informarli sui rischi del tabagismo, ma uno su dieci dichiara di non avere ricevuto informazioni in merito e il 32,8% sostiene che la scuola non avrebbe mai provveduto a informarli sui rischi del tabagismo.
Mieloma, nuovi scenari terapeutici per una migliore qualità di vita
News Presa, Partner«Il mieloma può essere considerato come la seconda patologia neoplastica ematologica dopo il linfoma. Molto importante è far capire cos’è e come si comporta questa malattia che colpisce il midollo osseo, normalmente deputato alla produzione di piastrine, globuli bianchi e globuli rossi. Purtroppo la produzione di plasmacellule a causa del mieloma determina anche delle lesioni anche a livello osseo». Nel mese dedicato al mieloma, la dottoressa Maria Teresa Petrucci (dirigente medico di Ematologia presso l’Azienda Policlinico Umberto I di Roma) fa il punto sulla malattia e soprattutto sulle possibilità di cura. Ai microfoni di Radio Kiss Kiss, per il consueto appuntamento con le pillole di Salute del network editoriale PreSa, la dottoressa Petrucci ha spiegato che i sintomi del mieloma sono vari.
Ma i principali campanelli d’allarme sono la stanchezza e l’astenia, proprio a casa di una minore produzione di globuli rossi. Anche dolori ossei importanti, che aumentano quando ci si muove, possono mettere in luce un problema. «In questi casi – ha detto – è sempre bene rivolgersi ad uno specialista. La malattia interessa sopratutto le persone più anziane, l’età media è di 70 anni, anche se vediamo sempre più anche persone al di sotto dei 50 anni». La buona notizia è quella che riguarda le nuove terapie e quelle che a breve saranno disponibili. «Questa malattia al momento può essere cronicizzata. Abbiamo a disposizione moltissime opzioni terapeutiche e servirà ancora qualche anno per poter sperare di arrivare ad una vera e propria cura. Va comunque detto che abbiamo pazienti trapiantati ormai da 20 o 30 anni che speriamo possano essere del tutto guariti, ma la serietà al momento ci impone cautela». Negli ultimi anni, come detto, sono state prodotte molte nuove molecole. «Parliamo di cronicizzazione proprio grazie a queste nuove molecole, che sono disponibili in tutta Italia. Non c’è bisogno di sottoporsi a lunghi viaggi della speranza. Gli ultimi arrivati sono anticorpi monoclonali che riescono a colpire sempre più e sempre meglio le cellule malate risparmiando quelle sane. La malattia è impegnativa e deve essere trattata in centri specialistici, ma l’ottimismo è d’obbligo visto lo stato dell’arte».
Tabagismo e giovani: si inizia prima dei 18 anni per curiosità o per il gruppo
PrevenzioneUn’indagine di Eurispes si è focalizzata su giovani e adolescenti della Sardegna per capire in che modo sta prendendo forma il tabagismo tra i giovanissimi. Secondo l‘ultima stima dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2019 erano 11,6 milioni gli italiani che avevano rapporti con il consumo di tabacco. Una quota importante, pari al 22% della popolazione. All’interno di questo dato emerge la crescita del numero delle fumatrici e l’11,1% costituito da giovani tra i 14 e i 17 anni.
Dalla ricerca dell’Eurispes risulta che il 49,4% dei ragazzi ha iniziato a fumare prima di avere raggiunto 18 anni di età, e il 48,7% tra i 15 e i 18 anni. A diventare precocemente abituali consumatori sono di più i ragazzi (62,1%) anziché le ragazze (29,9%). I giovani fumatori sardi non fumano, inoltre, soltanto sigarette tradizionali, ma anche tabacco trinciato (55%) e le sigarette elettroniche (23,5%).
L’indagine Eurispes sul tabagismo
Hanno partecipato all’indagine 1.259 adolescenti di 34 diversi Istituti scolastici della Sardegna di età compresa tra i 13 e i 18 anni. Le scuole, che attraverso l’adesione dei loro studenti hanno sostenuto il progetto di ricerca, sono state individuate in diverse aree geografiche della Regione per essere ben rappresentative: 5 scuole secondarie di secondo grado nella Città Metropolitana di Sassari, 5 nel Nord-Est Sardegna, 4 a Nuoro, 3 nell’Ogliastra, 5 a Oristano, 7 nella Città Metropolitana di Cagliari, 2 nel Medio Campidano e 3, infine, nel Sulcis-Iglesiente. L’indagine è stata realizzata dall’Eurispes grazie al contributo dell’Assessorato regionale alla Programmazione e Bilancio e alla collaborazione con l’Assessorato regionale alla Pubblica Istruzione. L‘iniziativa sul tabagismo rientra in un percorso già intrapreso e al momento in corso attraverso il quale, in un periodo molto critico per tutti, si è voluto rivolgere uno sguardo più attento al mondo delle giovani generazioni e, in particolare, alle scuole.
Uno studente su quattro chiede i soldi ai genitori per acquistare le sigarette
Per comprare le sigarette gli adolescenti sardi devono sostenere una spesa settimanale da 5 a 10 euro nel 31,1% dei casi, da 11 a 20 euro nel 17,4% dei casi e più di 30 euro nel 6,2% dei casi. Utilizzano risparmi personali (33,6%) o ciò che hanno guadagnato da lavori occasionali e/o stagionali (28,1%). Uno studente su quattro chiede aiuto alla famiglia per acquistare un pacchetto di sigarette, e una sparuta quota di fuomatori si fa prestare i soldi necessari dagli amici (1,9%). Dall’indagine emerge che le famiglie sono spesso al corrente del tabagismo dei figli (51,7%). I ricercatori hanno quindi indagato quale fosse anche il rapporto degli adulti, e cioè i genitori, con il fumo. Si scopre che più della metà degli intervistati (il 56,5%) ha genitori non fumatori, mentre il 29,4% dei ragazzi afferma che a fumare in casa e con una certa regolarità è almeno uno dei due genitori.
La motivazione principale che spinge i ragazzi a fumare la prima sigaretta risulta essere la curiosità (40,3%) e, solo in misura minore, il fatto di appartenere a gruppi amicali in cui qualcuno fuma (16,4%). Il 21,7% dichiara, inoltre, di avere tentato di smettere almeno una volta nella sua giovane vita, segno della consapevolezza che il tabagismo può diventare nel tempo una dipendenza sempre più problematica. Chi ha provato a smettere – in prevalenza le ragazze (44,1%) – ammette di averlo fatto senza esservi riuscito. Quasi tutti gli intervistati hanno espresso la volontà di liberarsi dalla dipendenza, benché uno su dieci (9,9%) non sia assolutamente interessato a farlo. Tra le ragazze emerge, inoltre, una maggiore propensione a scelte da mettere in pratica nel breve termine (32,9%).
Gli intervistati sono a conoscenza del fatto che il tabagismo comporta rischi per la salute, anche quando si tratta del cosiddetto fumo passivo subìto da chi non è fumatore (45%), ma non è così per tutti. Hanno cognizione dei divieti e delle sanzioni che normano l’uso della sigaretta il 67% degli intervistati. Sono anche consapevoli che a scuola non si può fumare, ma il 71,7% ritiene giusto che lo si faccia negli spazi esterni come giardini, piazzole o cortili. Eppure, c’è chi fuma anche nei locali della scuola (58,2%). Un ragazzo su cinque dichiara di farlo in modo abituale, e uno su due dichiara di avere ricevuto almeno un reclamo dal personale scolastico per avere infranto il divieto. I ragazzi dichiarano di riconoscere l’impegno della scuola per informarli sui rischi del tabagismo, ma uno su dieci dichiara di non avere ricevuto informazioni in merito e il 32,8% sostiene che la scuola non avrebbe mai provveduto a informarli sui rischi del tabagismo.
Mieloma: intervista alla Dott.ssa Petrucci
Podcast“Contenuto realizzato da Radio Kiss Kiss in collaborazione con PreSa con il supporto di Sanofi”
Long Covid: una camminata al giorno riduce il rischio
CovidAd oggi non esistono cure mediche ufficiali per il Long Covid, ma uno studio dimostra che si può ridurre il rischio con il movimento quotidiano. In pratica l’attività fisica può interrompere il circolo vizioso dell’infiammazione che può portare a sviluppare diabete e depressione mesi dopo che una persona è guarita dal virus. Lo studio è stato realizzato dal Pennington Biomedical Research Center e dalla Scuola di Medicina dell’Università di Pittsburgh. I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Exercise and sport sciences reviews.
Sono tanti i sintomi di quello che viene oggi identificato come Long-COVID, una condizione, dal quadro clinico assai variabile, che si presenta in persone che sono guarite dal COVID-19 ma che manifestano conseguenze a lungo termine della malattia. I più comuni sono: stanchezza, difficoltà cardio-respiratorie, cefalea, ma il Long Covid porta anche depressione e aumenta i livelli di glucosio nel sangue “al punto in cui le persone sviluppano una chetoacidosi diabetica, condizione potenzialmente pericolosa per la vita delle persone con diabete di tipo 1”, ha sottolineato Candida Rebello, ricercatrice del Pennington Biomedical Research Center. Lo studio ha dimostrato che anche una lenta camminata quotidiana di 30 minuti riduce il rischio. “Se si può camminare solo 15 minuti una volta al giorno, va fatto. L’importante è provare. Non importa da dove si inizi. È possibile aumentare gradualmente fino a raggiungere il livello consigliato di esercizio”, conclude la ricercatrice.
Torna l’ora legale, «pericolosa per la salute»
News PresaIn questi giorni, più precisamente tra sabato 26 e domenica 27 marzo, saremo chiamati come di consento a spostare le lancette dell’orologio di un’ora in avanti. L’ora legale farà sembrare ancor più lunghe le giornate regalandoci un’ora in più di luce, ma i medici avverano che questi cambiamenti non sono privi di conseguenze sulla salute. Stando ad alcuni dei più autorevoli studiosi, lo spostamento in avanti delle lancette può provocare diversi problemi a giovani e meno giovani. Addirittura, stando a quanto affermato da una professoressa di neurologia e pediatria al Vanderbilt University Medical Center di Nashville, nel Tennessee, «la transizione annuale all’ora legale porta a un aumento di ictus, attacchi di cuore e privazione del sonno degli adolescenti». Ovviamente non c’è da allarmarsi, perché affetti tanto gravi sono comunque molto limitati sotto il profilo statistico, ma il problema non andrebbe ignorato. C’è anche da chiarire che il passaggio all’ora legale è diverso da quello all’ora solare. Sempre secondo gli esperti, per il nostro corpo è più semplice affrontare il passaggio ad “un’ora indietro” anziché quello ad “un’ora avanti”. “Questo perché l’ora dell’orologio viene spostata un’ora dopo; in altre parole, sembra che siano le 7 del mattino anche se i nostri orologi dicono che sono le 8. «Quindi è un passaggio permanente alla luce del mattino ritardata per quasi otto mesi, non solo per il giorno del cambiamento o poche settimane dopo. Ciò è particolarmente degno di nota perché la luce del mattino – dicono gli esperti del Vanderbilt University Medical Center di Nashville – è preziosa per aiutare a stabilire i ritmi naturali del corpo: ci sveglia e migliora la vigilanza». Avere luce sino a tarda sera creerebbe inoltre un interferenza nel ritmo sonno veglia anche di lunga durata.
LA DISCUSSIONE
Il tema dell’ora legale è dibattuto anche in Europa e presto tutto potrebbe cambiare. Il Parlamento europeo, prima della Pandemia, aveva approvato la risoluzione legislativa sull’abolizione dell’ora legale con 410 voti a favore, 192 contrari e 51 astensione. Iniziativa promossa dai Paesi del Nord Europa (Finlandia, Lituania, Svezia ed Estonia) che a causa della maggiore vicinanza al Polo Nord non hanno mai beneficiato della luce naturale grazie al cambio dell’ora. il processo di cambiamento è stati poi bloccato in larga parte dalla pandemia, che ha spostato l’attenzione su temi ben più urgenti. Ma non è escluso che nei prossimi anni la questione possa tornare centrale e che il cambio di lancette diventi definitivo.
Ucraina. Oms: attaccati 64 centri sanitari, milioni di pazienti senza cure
News PresaIl sistema sanitario ucraino, dopo 28 giorni di conflitto, è lacerato e milioni di persone sono senza cure. Secondo l’ufficio europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono 64 gli attacchi accertati ai danni di strutture sanitarie, che hanno provocato 15 morti e 37 feriti; sono più di 1000 le strutture vicine alle linee di conflitto. La metà delle farmacie ucraine potrebbero ormai essere chiuse e la vaccinazione contro il Covid-19 e quelle di routine sono ferme. Inoltre molti operatori sanitari sono sfollati oppure non hanno le condizioni per poter lavorare.
Nel Paese si contano quasi 7 milioni di sfollati, a cui si aggiungono i 4 milioni di profughi fuggiti nei paesi vicini. “Un ucraino su 4 è stato sfollato con la forza, situazione che aggraverà la salute di coloro che soffrono di malattie croniche”, dichiara l’Oms. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha, inoltre, sottolineato che uno sfollato su 3 soffre di una patologia cronica. In Ucraina alcuni ospedali sono stati necessariamente riadattati per le cure ai feriti di guerra per far fronte all’emergenza ma che, fa notare l’Oms, “va a scapito dei servizi essenziali e dell’assistenza sanitaria di base”.
“Ho visto con i miei occhi l’eccezionale risposta umanitaria nei Paesi vicini, ma questa emergenza è tutt’altro che finita”, afferma Hans Henri P. Kluge, direttore Oms Europa. “Ci aspettiamo che più persone – principalmente donne, bambini e anziani – con esigenze sanitarie ancora maggiori vengano sfollate nelle prossime settimane”, spiega.
Intanto, l’Oms ha attivato un hub operativo a Rzeszów, in Polonia, per dare assistenza sanitaria agli ucraini e distribuire forniture per ferite da trauma nella maggior parte delle città ucraine. Più di 100 tonnellate di apparecchiature mediche sono già state inviate alle strutture sanitarie del Paese, circa 36 tonnellate sono in viaggio verso Leopoli ed è in programma l’invio di altre 108 tonnellate di materiale per la cura dei traumi, farmaci per malattie croniche e pediatrici e forniture per trasfusioni di sangue. Più di 20 équipe mediche di emergenza sono partite per l’Ucraina, Polonia e Moldavia, per dare formazione e assistenza medica specializzata.
Perché il Covid è ancora un pericolo
News PresaIl 31 marzo finirà in Italia lo stato d’emergenza, l’errore più grave che potremmo commettere è quello di considerare finita anche la pandemia. Su questo gli esperti sono concordi, perché il Covid, al di là della sua mutazione “omicron” o “omicron 2” può riservare ancora brutti scherzi. Le ragioni che dovrebbero indurci alla prudenza sono proprio nelle caratteristiche uniche di questo virus, capace di mutare come nessun altro agente patogeno. Ma cosa potrebbe mai accadere? In che modo potremmo trovarci nuovamente nei guai ora che abbiamo i vaccini? Due domande alle quali molti esperti rispondono in maniera netta: il pericolo è il Covid mantenga la contagiosità impressionante di omicron ma che riesca a “bucare” i vaccini. Se questo accadesse ci troveremmo con una mutazione capace di riempire nuovamente le terapie intensive e, purtroppo, di procurare un numero impressionante di decessi. Questo è chiaramente uno scenario tra i peggiori ipotizzabili, ma neanche tanti improbabile se si pensa ai bacini di contagio che ancora esistono in tutto il mondo, paesi dove le vaccinazioni non sono partite in maniera convincente e nei quali il virus è libero di prendere forza e mutare. Volendo azzardare un esempio, è come spegnere un incendio senza mai estinguere i focolai che riaccendono le fiamme.
I DATI
A rendere molto attuale queste preoccupazioni ci si mettono anche i dati, che parlano di contagi in risalita. Situazione che rischia di essere sottostimata per il fatto che sui vaccinati, per ora, omicron non ha effetti di rilievo. Nella maggior parte dei casi ce la si cava con una settimana di isolamento, mal di gola, raffreddore e un forte senso di spossatezza. Il report settimanale sul Coronavirus evidenzia un’aumenta l’incidenza a livello nazionale: 848 ogni 100.000 abitanti rispetto ai 725 della scorsa settimana. Tra il 2-15 marzo l’Rt medio calcolato sui casi sintomatici è pari a 1.12 (range 0.87-1.44), in aumento rispetto alla settimana prima (0.94). Lo stesso andamento si registra per l’indice di trasmissibilità basato sui casi con ricovero ospedaliero (Rt 1.08). Il tasso di occupazione in terapia intensiva è 4,5% (era 4,8%). Il tasso di occupazione in aree mediche sale al 13,9% contro il 12,9% della settimana precedente. Come detto, a questo aumento dei casi non segue un aumento dei ricoveri in terapia intensiva né dei decessi, per fortuna. Ma il consiglio è sempre quello di mantenere alta la guardia, di proteggersi con l’uso della mascherina e lavare sempre bene le mani. Trattare il Covid, insomma, come un pericolo ancora oggi, perché la pandemia non è finita e le mutazioni del virus potrebbero farci scoprire a cario prezzo che abbiamo abbassato la guardia troppo presto.
Amianto: il punto a 30 anni dalla legge
PrevenzioneEra il 27 marzo 1992 quando l’Italia, con la legge 257/92, vietò l’utilizzo dell’amianto e la produzione di manufatti contenenti amianto, anticipando di 13 anni il divieto emanato dall’Unione Europea.
Oggi, a trent’anni dal bando, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) hanno organizzato un incontro per discutere e definire le iniziative realizzate e quelle ancora da intraprendere. I temi sono quelli di sanità pubblica connessi al tema dell’amianto.
Le vittime dell’amianto
Secondo le stime, il carico sanitario in Italia ammonta a circa 4.400 decessi annui dovuti all’esposizione ad amianto nel periodo 2010-2016: 3.860 uomini e 550 donne. Di questi, 1.515 sono persone decedute per mesotelioma maligno (più dell’80% dei mesoteliomi è causata dall’amianto), 58 per asbestosi (malattia polmonare causata da inalazione di fibre di amianto), 2.830 per tumore polmonare e 16 per tumore ovarico.
L’ISS ha anche analizzato i dati sulla mortalità precoce (prima dei 50 anni) per mesotelioma: nel periodo 2003-2016 in Italia sono stati registrati circa 500 decessi. Si tratta verosimilmente di persone che da bambini hanno vissuto in aree italiane contaminate da amianto e/o che sono stati esposti indirettamente a fibre di amianto in ambito domestico a causa delle attività professionali dei genitori o connessa ad attività ricreative. Questi casi rappresentano il 2,5% del totale dei decessi per mesotelioma nello stesso periodo.
Il monitoraggio attivo
Dai primi anni ’90, l’ISS fa un’attività di sorveglianza epidemiologica della mortalità per mesotelioma a livello comunale sull’intero territorio nazionale.
Dal 2002 è attivo presso l’INAIL il Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) che, attraverso i Centri Operativi Regionali, fa una costante attività di registrazione, monitoraggio e sorveglianza epidemiologica dei soggetti con mesotelioma.
Nel 2016 è stato istituito un Tavolo inter-istituzionale presso la Presidenza del Consiglio, nell’ambito del quale il Ministero della Salute ha coordinato il Nucleo Tecnico Amianto – Gruppo “Salute”. Durante i lavori del Gruppo è emersa l’esigenza di una condivisione di dati epidemiologici delle diverse fonti informative accreditate e la necessità di una corretta informazione sull’attuale carico di malattie amianto-correlate nel nostro Paese.
Al fine di rispondere a tali quesiti e fornire una stima del carico di malattie amianto-correlate in Italia è stato istituito un Gruppo di lavoro inter-istituzionale ad hoc, coordinato dall’ISS, che ha operato negli ultimi anni attraverso l’integrazione delle banche dati disponibili a livello nazionale (mortalità causa-specifica dell’ISS e incidenza mesoteliomi del ReNaM) e il loro utilizzo sulla base delle conoscenze epidemiologiche sviluppate nell’ambito di studi sulla popolazione generale e sui lavoratori ex-esposti ad amianto.
“Molto è stato dunque fatto – sottolinea il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro – tuttavia, dai dati epidemiologici emerge il perdurare di un carico di malattie attribuibili ad esposizioni ad amianto nel nostro Paese, evidenziando che le esposizioni passate e l’amianto residuo rimangono un problema di sanità pubblica sul quale è urgente intervenire. L’esperienza e la cultura dell’amianto maturate in Italia possono inoltre essere certamente d’esempio per i numerosi paesi dove l’amianto è ancora in uso”.
Oltre a fornire un aggiornamento sulle attività intraprese, pertanto, la giornata consente di riaprire il dibattito su quanto rimane ancora da fare.
Dal 1 luglio 2025 tutti gli Stati membri dell’Unione Europea dovranno aver provveduto all’eliminazione dei “prodotti” di amianto (Regolamento UE 2016/1005) e l’eradicazione delle malattie amianto-correlate rientra tra le priorità “ambiente e salute” dell’OMS per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
La maggior parte dei casi di mesotelioma è causata da esposizione ad amianto in ambito lavorativo, ma gli effetti di esposizioni ambientali sono riconosciuti, con una stima a livello globale dei casi di mesotelioma «ambientali» tra il 5 e il 20% di quelli totali.
Per questo dovrebbe, inoltre, essere riaperto il dibattito, promosso dal Parlamento Europeo con la risoluzione dell’ottobre 2021 “per la protezione dei lavoratori dell’amianto”, nella quale si sollecitano gli Stati membri ad intraprendere tutte le azioni volte all’eliminazione degli effetti sulla salute delle potenziali esposizioni ad amianto professionali ed ambientali.
La giornata è quindi un’occasione per riprendere la programmazione delle attività che ha subito un rallentamento per l’emergenza COVID-19, consolidando i rapporti collaborativi e operativi inter-istituzionali, rispondendo alle istanze propositive ed acquisendo i contributi di tutte le parti interessate.
Luce durante il sonno: possibile rischio per la salute
PrevenzioneDormire con troppa luce in stanza può essere un rischio per la salute, meglio scegliere il buio per il riposo o al massimo la penombra. A rivelarlo sono gli esiti di uno studio condotto alla Northwestern University, nell’Illinois negli Stati Uniti e pubblicato sulla rivista PNAS. Stando a questa ricerca, l’esposizione a un’illuminazione ambientale anche moderata durante il sonno notturno, rispetto al dormire in una stanza poco illuminata, danneggia la funzione cardiovascolare durante il sonno e aumenta la resistenza all’insulina la mattina seguente. Il motivo di queste due reazioni negative del corpo alla luce durante il sonno è abbastanza semplice e molto chiaro. In primis, il cuore: di solito, la frequenza cardiaca insieme ad altri parametri cardiovascolari è più bassa di notte e più alta durante il giorno. L’interruzione del normale schema cardiovascolare, che normalmente vede la frequenza cardiaca rallentare di notte mentre il corpo dorme, danneggia la salute del cuore poiché l’organo non ottiene la pausa riparativa che normalmente farebbe. Quanto al problema della resistenza all’insulina, si verifica quando le cellule dei muscoli, del grasso e del fegato non rispondono bene all’ormone di regolazione dello zucchero e non possono utilizzare il glucosio nel sangue per produrre energia. In risposta a questa resistenza, il pancreas produce più insulina, che può portare a un aumento dei livelli di zucchero nel sangue, un fattore di rischio per lo sviluppo del diabete.
LO STUDIO
Le ricerche hanno coinvolto un campione di 20 adulti e hanno rivelato che basta una notte di “moderata esposizione alla luce” affinché il corpo sperimenti gli effetti dannosi. Ad esempio, per gli effetti sul pancreas i test hanno mostrato che coloro che dormivano in condizioni di luce moderata hanno avuto un aumento del 15% della resistenza all’insulina la mattina successiva, rispetto a una diminuzione del 4% in coloro che dormivano in condizioni di scarsa illuminazione. I risultati di questo studio dimostrano che una sola notte di esposizione a un’illuminazione moderata della stanza durante il sonno può compromettere il glucosio e la regolazione cardiovascolare, che sono fattori di rischio per malattie cardiache, diabete e sindrome metabolica. Ecco perché è essenziale che le persone evitino o riducano al minimo la quantità di esposizione alla luce durante il sonno, scegliendo al massimo una luce fioca ad alluminare il pavimento se proprio è necessario.
Genitori e figli, ecco le regole della salute
Bambini, Genitorialità, PediatriaNon è mai facile essere buoni genitori. Mille dubbi, tante difficoltà e il timore costante di fare scelte sbagliate, in particolare sulle abitudini alimentari e gli stili di vita c’è da stare attenti. Noi di PreSa Prevenzione Salute, con l’obiettivo di trasferire qualche buon consiglio, abbiamo provato a stilare una lista di domande e di suggerimenti che possono essere un primo passo verso un’infanzia in salute. La prima domanda che ci siamo posti è: quanto pesano i bambini? «Incredibile ma vero più di 3 alunni di scuola primaria su 10 sono in eccesso di peso. Tra gli alunni della scuola primaria 3 bambini su 10 sono in eccesso di peso. Chiaramente questo può dipendere da molti fattori, anche di costituzione, ma un punto critico per moltissime famiglie è la colazione. Secondo gli esperti, il pasto del mattino è il più importante della giornata. Ecco allora la nostra ricetta per renderlo equilibrato: basta una tazza di latte con 4 biscotti (meglio se ai cereali) e un buon frutto di stagione. Solo 3 bambini su 5 fanno una colazione sana e 2 su 5 fanno una merenda leggera a metà mattina. Il consiglio è di consumare uno yogurt a metà mattina, o un frutto o ancora una premuta d’arancia. Uno dei grandi problemi è che i genitori stessi, il più delle volte, non percepiscono la condizione nutrizionale dei propri figli, minimizzando problemi di sovrappeso o addirittura obesità. Per questo bisogna affidarsi alla valutazione del pediatra fi famiglia, che potrà impostare anche una corretta alimentazione dove necessario. La seconda domanda è quella che riguarda lo sport, i bambini si muovono abbastanza? La risposta è: quasi mai!. È fondamentale che i bambini facciano attivano attività fisica quasi ogni giorno. Vanno bene tutte le attività motorie e il gioco in movimento, meglio ancora se all’aria aperta. Poi il capitolo Tv e videogiochi. Toglierli del tutto non sarebbe né giusto né produttivo. I genitori riferiscono che 2 bambini su 5 trascorrono più di 2 ore al giorno davanti alla TV, videogiochi, tablet o cellulare. In realtà quello delle due ore dovrebbe essere il limite massimo oltre il quale non andare mai. E, cosa che spesso si sottovaluta, la Tv in camera andrebbe sempre evitata.