Tempo di lettura: 3 minutiIl cervello umano è predisposto al contagio emotivo, come ha dimostrato la scienza. Le emozioni vengono trasmesse attraverso i cosiddetti neuroni specchio, delle cellule nervose che permettono di entrare in empatia con gli altri e di assorbirne anche i malumori, la negatività, lo stress e la paura. Una ricerca della Harvard University e dell ’Università della California afferma che stare nel campo visivo di qualcuno che sta provando ansia, porta a sentire la stessa sensazione. Esiste una sorta di stress passivo che ha effetti significativi sul sistema nervoso. Il malumore di un collega in ufficio può essere contagioso. C’è una predisposizione umana ad afferrare dei segnali sottili nelle persone vicine con conseguenze enormi. Si colgono spesso indizi non verbali, visivi, e non solo: è stato provato che i sensi dell’olfatto percepiscono l’odore di sudore indotto dalla tensione e addirittura il cervello è in grado di rilevare se si tratta di stress elevato o basso.
Viene definita ansia “di seconda mano” ed è una conseguenza della capacità umana di percepire potenziali minacce nell’ambiente. Alcuni ricercatori ritengono che le emozioni negative sono più facili da catturare, perché nel nostro passato la sintonizzazione con dolore, disgusto e paura era legata alla sopravvivenza. Negli ultimi anni, invece, studi stanno analizzando il contagio emotivo nella dimensione del mondo digitale. In quest’ambito la comunicazione non verbale è assente, ma circolano lo stesso virus emotivi e stati d’animo.
Questa conclusione apparentemente buffa è risultato di uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Plos One ed effettuato sui post divulgati, visionati e condivisi su Facebook.
Dal punto di vista del lavoro, le emozioni positive in azienda sono sono correlate con il maggior raggiungimento degli obiettivi. Le sensazioni piacevoli allargano il pensiero, formano e migliorano i rapporti. In particolare creano un “gruppo”, aumentando la fiducia e migliorano il clima. Un capo “positivo” ha un effetto energizzante, motivante e stimolante. Ma si è visto anche che è l’autenticità del leader, la capacità di esprimere veramente ciò che sente, compresi dubbi, incertezze, difficoltà, a migliorare il clima emotivo e la resa lavorativa. Creando team produttivi. La negatività, invece, ostacola la produttività. Critiche, polemiche, proteste, risposte sprezzanti e lamentele, così come chiacchiere senza finalità propositive di un collega, hanno ripercussioni negative su chi ascolta. Stress, tensioni e malumori facilmente infettano tutti, attraverso “virus emotivi” dai risvolti mentali e fisici.
Ogni individuo è emotivamente connesso agli altri, anche in ufficio, benché in molti casi si tende ad alzare muri. Ma saper cogliere gli stati d’animo degli altri non significa per forza esserne travolti, si può, infatti, imparare a gestire la negatività. Diventare coscienti dei meccanismi di contagio può ridurne l’impatto. Capire qual è il nodo critico di contagio è il primo passo per riuscire a difendersi. Si può anche provare ad invertire la spirale negativa senza farsi agganciare. Un sorriso o un commento costruttivo ad esempio può avere il potere di “cortocircuitare” uno scambio negativo, perché anche gli stati d’animo positivi sono contagiosi. Non si può decidere quali debbano essere gli stati d’animo degli altri, ma si può imparare a gestire le proprie reazioni alla negatività, intervenendo nella dinamica della relazione. Connettersi agli altri senza farsi invadere, prendere le distanze con la negatività, non con la persona e fare pause felici quando è il momento di prendersi cura di sé, perché la stanchezza, e la paura rendono più vulnerabili alla cattura delle emozioni negative circolanti.
Alcune persone sono più inclini di altre a catturare le emozioni altrui, ad orientarsi affettivamente sugli altri. Secondo alcuni studi gli introversi hanno più probabilità di essere colpiti dalle emozioni positive, mentre gli estroversi sono facilmente schiacciati da quelle negative. Ci sono inoltre persone più “contagiose”, in grado di trasmettere emozioni forti e poco permeabili invece agli stati d’animo degli altri e presenze carismatiche che quando riescono a sorridere creano positività e che se hanno uno stato d’animo negativo sono in grado di intossicare e trascinare verso il basso tutti gli altri.
I rischi del fumo di sigaretta e le nuove terapie per il tumore del polmone
Partner, Prevenzione, Stili di vitaIl fumo di sigaretta non smette di essere un problema, anzi, sono purtroppo in grande aumento i giovanissimi che hanno problemi di tabagismo. Ecco perché è fondamentale lavorare ad una cultura basata sulla prevenzione e sulla conoscenza dei rischi enormi per la salute causati dal fumo di sigaretta. Di questo, ma anche di nuove terapie e servizi a supporto dei pazienti affetti da tumore del polmone, parlerà il Professor Cesare Gridelli (direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia all’Azienda Ospedaliera Moscati di Avellino) in occasione del consueto appuntamento radiofonico del sabato che PreSa realizza in collaborazione con Radio Kiss Kiss. Grazie alla ricerca, saranno infatti disponibili a breve anche in Italia ulteriori trattamenti di immunoterapia all’avanguardia per i tumori metastatici.
Per saperne di più, tutti sintonizzati sulle frequenze di Radio Kiss Kiss, sabato 11 giugno, alle 11.35 circa. Stay Tuned!
“Contenuto realizzato da Radio Kiss Kiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Alimentazione e salute, così si previene l’infarto
AlimentazioneChi inserisce nella propria alimentazione del pesce grasso ha un minor rischio (-17%) di avere un infarto o altre malattie cardiovascolari. La scoperta, per molti versi inattesa, è dell’equipe della Diabetologia del Policlinico Federico II di Napoli, guidata dalla prof.ssa Olga Vaccaro, che ha analizzato tutti i dati disponibili in letteratura sulla relazione tra il consumo di pesce e le malattie cardiovascolari. Insomma, se numerosi studi hanno dimostrato sino ad oggi che una alimentazione a base di pesce si associa alla riduzione del rischio di malattie cardiovascolari ischemiche, come l’infarto del miocardio, ora i ricercatori hanno dimostrato che è meglio preferire il pesce azzurro, anche detto pesce grasso al pesce bianco, noto come pesce magro. «Utilizzando una metodologia basata sulla sistematicità della ricerca, grazie a procedure statistiche in grado di combinare tutti i dati disponibili – spiega la professoressa Vaccaro – abbiamo analizzato una popolazione di 1,320,509 individui, seguiti per un periodo di tempo che va dai 4 ai 40 anni. I risultati hanno mostrato, con estrema chiarezza, che il consumo di 1-2 porzioni di pesce grasso a settimana si associa ad una riduzione significativa del rischio di infarto e di altre patologie cardiache che, per i casi fatali, si colloca intorno al 17%. Al contrario, il consumo abituale di pesce magro, pur non aumentando il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, non si associa a questi benefici». Vale a dire che il consumo di pesce grasso, come sardine, sgombri ed altri pesci azzurri, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e di mortalità precoce, mentre il pesce magro, come merluzzo, spigola, crostacei, molluschi, non ha lo stesso potenziale.
OMEGA 3
«I risultati di questo studio mettono in luce, per la prima volta, che l’effetto benefico sulla salute cardiovascolare attribuito finora al consumo di pesce in generale è in realtà limitato esclusivamente al pesce grasso», sottolinea Gabriele Riccardi, già direttore della Diabetologia Federiciana. «Questo ha una sua logica: il pesce grasso contiene, infatti, quantità fino a 10 volte più elevate di grassi cosiddetti omega-3, benefici per la salute, rispetto al pesce magro, inoltre, il pesce grasso è più ricco di molte altre sostanze salutari come calcio, potassio, ferro e Vitamina D, che possono contribuire all’impatto benefico del pesce azzurro sul cuore». Le conclusioni dello studio avranno implicazioni rilevanti per le scelte alimentari della popolazione adulta e per la preservazione dell’ecosistema marino. La consapevolezza che basta una alimentazione con una o due porzioni di pesce azzurro a settimana per ridurre marcatamente il rischio di malattie cardiache facilita l’adesione alle raccomandazioni nutrizionali in confronto al generico consiglio di consumare ogni tipo di prodotto della pesca con una frequenza maggiore. Guardando agli aspetti ambientali, la scelta preferenziale di pesce azzurro di piccola taglia, e con un breve ciclo di vita come alici, sardine, sgombri, aringhe e molti altri pesci meno noti ma molto diffusi nel mar Mediterraneo, ha un impatto rilevante sull’ecosistema marino ed è molto più sostenibile dell’utilizzo di specie, ritenute più pregiate, che arrivano sulla nostra tavola grazie all’acquacultura o alla pesca intensiva. All’innovativo studio, insieme ai professori Vaccaro e Riccardi, hanno preso parte le nutrizioniste Marilena Vitale ed Ilaria Calabrese, la dottoranda di ricerca in “Nutraceuticals Functional Foods and Human Health” Annalisa Giosuè e la diabetologa Roberta Lupoli.
Anguria: regina delle tavole estive
AlimentazioneL’anguria è il primo frutto da tenere in tavola d’estate. A dirlo sono gli esperti dell’American Heart Association, che hanno passato sotto la lente d’ingrandimento le proprietà benefiche di diversi frutti, arrivando a concludere che l’anguria è un po’ la “regina” dell’estate. C’è da dire che la frutta fa sempre parte di una dieta sana, tuttavia la combinazione di nutrienti che si trova nell’anguria la rende speciale. È una ricca fonte di minerali come potassio e magnesio, una buona fonte di vitamine C e A (più beta carotene, che aiuta a produrre vitamina A) e ha discrete quantità di vitamine B1, B5 e B6. Tutto questo con un apporto calorico molto basso (mangiandone il contenuto di una coppetta appena 46 calorie). È detta anche melone d’acqua, del resto ne contiene circa il 92%.
PROPRIETÀ BENEFICHE
Dove questo frutto spicca davvero è nella sua concentrazione di alcuni antiossidanti, che regolano i radicali liberi dannosi per le cellule nel corpo. Il licopene, che conferisce all’anguria il suo colore rossastro, è uno di quegli antiossidanti, insieme alle vitamine C e A. Funziona anche come antinfiammatorio ed è stato collegato a un minor rischio di ictus. È più abbondante nei prodotti a base di pomodoro cotto, ma i livelli di licopene dell’anguria sono circa il 40% superiori invece a quelli dei pomodori crudi. L’anguria contiene anche glutatione, che Tim Allerton, ricercatore del Pennington Biomedical Research Center della Louisiana State University a Baton Rouge definisce un «antiossidante globale e versatile». È inoltre ricca di un amminoacido chiamato citrullina, che è stato al centro della ricerca di Allerton. «L’anguria è piuttosto unica perché non molti alimenti ne sono ricchi» specifica lo studioso. Questo amminoacido è legato ad esempio alla produzione di ossido nitrico, importante per la salute dei vasi sanguigni. Anche se ha zucchero naturale e un alto indice glicemico, ha però un basso carico glicemico. Ciò significa che il suo reale effetto sulla glicemia è molto basso. E «riempirà» più velocemente di una ciotola di biscotti.
Salute di ferro: le donne vivono meglio degli uomini e sono più longeve
Associazioni pazienti, Economia sanitaria, News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneAltro che “sesso debole”, le donne sono più sane degli uomini secondo i dati. A fare il punto sulla salute della donna è il Libro bianco di Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna, grazie alla collaborazione di Farmindustria. Le italiane hanno un’aspettativa di vita di 85 anni, contro gli 80,3 degli uomini; quelle che un tempo erano ritenute malattie a prevalenza maschile come malattie cardiovascolari, obesita’, carcinoma polmonare, sono ora fra le principali cause di morte per le donne. Rispetto agli uomini consumano piu’ farmaci, con una prevalenza d’uso del 67,5% contro il 58,9% negli uomini, fumano di meno – il 14,8% di donne dichiara di fumare sigarette rispetto al 24,5% di uomini – e fanno meno uso di alcol – le consumatrici a rischio sono l’8,2% rispetto al 22,7% dei consumatori. Nonostante le donne in sovrappeso siano meno degli uomini (28,2% contro 44,8%), sono loro a praticare meno sport e a essere piu’ sedentarie: solo il 10,3% fa attivita’ sportiva con continuita’ e il 44,1% è sedentaria, contro, rispettivamente il 27,1% e il 35,5% degli uomini. Giunto alla quinta edizione, il Libro bianco sulla salute della donna, che fotografa lo stato di salute delle donne italiane, viene quest’anno realizzato in concomitanza del decennale di Onda, Osservatorio costituito nel 2006 con l’intento di promuovere in Italia la medicina di genere e richiamare l’attenzione delle Istituzioni, del mondo scientifico-accademico e sanitario-assistenziale nonche’ della popolazione, sulla salute della donna. In particolare, quest’anno è stato inserito nel volume uno spazio dedicato al welfare femminile che affronta temi quali le politiche di conciliazione, il welfare contrattuale, le pensioni e i loro riflessi sulla salute femminile, nonché un’analisi del welfare aziendale in particolare nel settore farmaceutico, dove vi sono molte donne in posizioni apicali e dove vige una grande attenzione alle lavoratrici. “Tutti aspetti che offrono importanti spunti di interesse e riflessioni e che Onda vuole impegnarsi ad approfondire, con l’obiettivo di offrire una sempre maggiore attenzione alla salute della donna”, chiarisce Francesca Merzagora, Presidente di Onda. Emerge ad esempio quanto le donne italiane siano sottoposte a peggiori condizioni lavorative rispetto agli uomini, fattore questo che le espone a maggiori rischi di stress con ripercussioni sulla salute. Migliori condizioni si riscontrano nelle aziende farmaceutiche, dove il gender gap è molto inferiore alla media, perche’ le mansioni delle donne sono di primo livello e sono molte le iniziative per rendere il luogo e il tempo di lavoro piu’ compatibili con le esigenze di vita privata. “Dieci anni di Onda ed edizione numero cinque del libro bianco sulla salute della donna: traguardi importanti”, afferma il Presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, “per continuare a camminare insieme e mettere in evidenza il legame strettissimo tra donne e imprese del farmaco. In Italia infatti l’occupazione femminile e’ del 43%, una quota che supera addirittura il 50% nella R&S. E per le donne molte imprese hanno da tempo sviluppato un welfare che favorisce il bilanciamento tra carriera, famiglia e vita privata. Senza dimenticare di prendersi cura della loro salute: nel mondo sono 850 i farmaci in sviluppo per le malattie tipiche dell’universo rosa. Le imprese del farmaco hanno puntato sulle donne perche’ il loro successo e’ parte del successo dell’industria farmaceutica nel cambiare in meglio la vita di milioni di persone”.
Tumore alla vescica: niente fumo e vita sana
Alimentazione, Associazioni pazienti, News Presa, PrevenzioneIl tumore della vescica si può prevenire seguendo alcune semplici regole di prevenzione.
Per evitare questa forma tumorale è necessario – spiega Aiom – condurre fin da giovani stili di vita sani ed equilibrati. A cominciare da uno dei vizi più pericolosi per tutto l’organismo: il fumo. Le sigarette, infatti, non provocano danni solo ai polmoni, ma aumentano fino a cinque volte il rischio di insorgenza di tumore della vescica. Le oltre 4.000 sostanze nocive contenute nelle “bionde” e prodotte con la combustione entrano nel circolo sanguineo e raggiungono tutti i tessuti.
I dati mostrano che il 25-30% di tutti i tumori è correlato al fumo. E’ un fattore di rischio oncologico importante che solo nel nostro Paese causa 100mila nuove neoplasie ogni anno. Provoca inoltre patologie cardio-vascolari e malattie respiratorie molto gravi. Si calcola che un tabagista muoia mediamente otto anni prima. Il vizio è determinato dalla nicotina, una sostanza contenuta all’interno delle sigarette che porta ad una fortissima dipendenza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha classificato il tabagismo tra le malattie da dipendenza farmacologica, nella stessa lista in cui si trovano l’abuso di alcol e l’assunzione di eroina. Non è mai troppo tardi per smettere di fumare, anche se non si è più giovanissimi. Dire addio per sempre alle “bionde” non è facile ma nemmeno impossibile.
Ecco le altre norme di Aiom per vivere sempre nel segno del benessere e tenere alla larga i tumori, incluso quello alla vescica:
1. Segui la dieta mediterranea
È dimostrato che il maggior apporto di frutta e verdura, specie se crude, ha un forte effetto protettivo sul rischio di numerose forme tumorali. L’azione positiva è legata in particolare all’alto contenuto di fibre (che favorisce la maggior motilità intestinale, impedendo l’assorbimento di eventuali sostanze cancerogene) e all’elevata presenza di agenti antitumorali quali le vitamine antiossidanti. Via libera dunque al consumo regolare di pane, pasta, riso ed altri cereali e al consumo giornaliero di ortaggi, legumi e frutta fresca
2. Pratica regolarmente attività fisica
Lo sport riduce in modo notevole le possibilità di sviluppare un cancro. I sedentari hanno una probabilità del 20-40% superiore di ammalarsi. L’effetto protettivo dell’attività fisica praticata in giovane età dura nel tempo ma è buona norma restare in movimento a tutte le età
3. Modera il consumo di alcol
L’eccesso aumenta tra l’altro il rischio di cancro del cavo orale, della faringe, dell’esofago e della laringe. È inoltre fortemente correlato anche all’insorgenza di tumore del fegato e dell’intestino (in entrambi i sessi) e della mammella nelle donne
4. Tieni controllato il peso
L’obesità e l’elevata assunzione di grassi costituiscono importanti fattori di rischio da evitare. È dimostrato che persone con un sovrappeso uguale o superiore al 40% presentano tassi più elevati di mortalità per cancro del colon-retto, della prostata, dell’utero, della cistifellea e della mammella
Malattia reumatica, il dolore porta ansia e depressione
Associazioni pazientiIl 65% delle donne e il 59% degli uomini che convivono con una malattia reumatica devono fare i conti anche con ansia e depressione. Spesso sono le conseguenze del dolore quotidiano che comporta la patologia. Sono solo alcuni dei dati che emergono dall’indagine “Vivere con una malattia reumatica” realizzata da APMAR e WeResearch. In due casi su tre a soffrire di malattie reumatiche sono le donne: il 30 per cento dichiara di aver avuto un peggioramento della propria salute negli ultimi 12 mesi, rispetto al 23% degli uomini.
In generale, le malattie reumatiche hanno un impatto negativo sulla vita sociale e lavorativa di coloro che ne soffrono, ma a farne le spese maggiori sono le donne. Infatti, nel campione utilizzato nella ricerca (composto da oltre mille persone con malattie reumatiche) il dolore quotidiano, l’ansia, la depressione e le difficoltà nello svolgimento delle attività abituali sono maggiori nelle donne rispetto agli uomini che fanno rilevare dati comunque preoccupanti.
Se dalla vita sociale si passa a quella lavorativa, ad affrontare maggiori difficoltà sono, invece, gli uomini. Sul luogo di lavoro, 1 persona su 2 non parla dei propri diritti previsti per legge per paura di perdere la propria occupazione o diventare vittima di mobbing. Questo timore è più accentuato negli uomini rispetto alle donne con ben 16 punti percentuali di distacco (63% del sesso maschile contro il 47% di quello femminile). Una situazione allarmante che si traduce in diritti previsti per legge, ma troppo spesso negati perché “non reclamati”, come sottolinea l’associazione.
L’indagine, quali-quantitativa, è stata realizzata su tutto il territorio italiano, con metodologia CAWI on-line (Computer Aided Web Interview), su un campione di oltre 1020 persone con patologie reumatiche e si è focalizzata sulla qualità della vita delle persone che convivono con una malattia reumatica e sulla loro relazione col mondo del lavoro.
Niemann Pick, diagnosi precoce per una migliore qualità di vita
Associazioni pazienti, BambiniQuella di Niemann Pick è una rara malattia di natura ereditaria che riguarda il modo con cui le cellule metabolizzano e trasportano alcuni tipi di lipidi. L’attuale classificazione distingue la malattia di Niemann Pick nel tipo A, nel tipo B (entrambi condividono lo stesso difetto) e nel tipo C. Chi è affetto dalla malattia, nel corso del tempo, accumulerà quantità dannose di lipidi nel fegato, la milza, il cervello e nel midollo osseo. Una malattia insidiosa che può esordire in età differenti. Si tratta di una malattia genetica ereditaria, questo significa che ogni genitore è portatore sano, ovvero trasporta una copia del gene difettoso, senza avere alcun segno della malattia. Quando entrambi i genitori sono portatori, si ha una probabilità su quattro di che il bambino avrà la malattia, due probabilità su quattro che il bambino sarà portatore e una su quattro che il bambino non avrà la malattia e non sarà portatore. Come accade per tante malattie rare, la malattia di Niemann Pick spesso non viene riconosciuta. A seconda dell’età diversi medici specialisti: neonatologi, pediatri, neuropsichiatri infantili, potranno essere consultati. La malattia di Niemann Pick per essere diagnosticata necessita della massima attenzione per ogni dettaglio: storia clinica, sintomo e segno clinico; recentemente si sono resi disponibili nuovi strumenti per facilitare il percorso diagnostico. Un dosaggio della ASM (sfingomielinasi acida) nel sangue permette di diagnosticare i tipi A e B. Anche il tipo C, attraverso la misurazione di diversi marcatori, mediante un semplice prelievo di sangue o goccia di sangue secco può essere individuato tempestivamente. Le successive analisi genetiche (anche in questo caso, sono ora a disposizione procedure più rapide e raffinate) consentiranno una compiuta definizione diagnostica. Anche se ad oggi non esiste una cura per la Niemann Pick, prima si riconosce la malattia, meglio è: una diagnosi precoce non può (ancora) salvare chi ne è colpito, ma può migliorargli la vita. Senza dimenticare che la ricerca continua e altre malattie genetiche rare hanno già trovato una cura in questi ultimi anni. Il riconoscimento precoce della malattia è di fondamentale importanza. Sono attualmente in corso studi clinici per il trattamento di alcune forme di Niemann Pick, sia per i pazienti adulti che pediatrici, che attualmente non hanno a disposizione opzioni terapeutiche approvate.
Infelicità fa rima con creatività. Lo dicono gli studi
PsicologiaFrida Kahlo ha iniziato a dipingere per dimenticare i suoi problemi di salute, iniziati quando aveva appena sei anni e fu colpita da polmonite. Edvard Munch, tormentato da un’infanzia triste in cui aveva perso madre e sorella, nel celebre “L’urlo” esprime tutta la sua angoscia. Tra i grandi musicisti, in molti soffrivano di depressione, tra cui anche Beethoven, Mozart, Rossini, Berlioz, Paganini, Ciajkovskij e Shostakovic. La storia dell’arte, della letteratura e della musica pullulano di esempi di capolavori realizzati da artisti angosciati, depressi, preda della malinconia o della tristezza. Se l’infelicità sia una fonte di ispirazione e di creatività se lo sono chiesto anche gli studiosi.
Infelicità fonte di ispirazione. Gli studi
“Secondo molti autorevoli esponenti della psicoanalisi – Sigmund Freud e Carl Gustav Jung in primis – il legame tra creatività e dolore è dovuto all’instabilità emotiva, che costituisce un tratto di personalità caratteristico dei nevrotici. Il nevroticismo fungerebbe da substrato per un’instabilità motoria e ideativa che spingerebbe la persona a trovare strategie per superare i momenti di angoscia attraverso attività come dipingere, scrivere o suonare”, spiega Antonio Cerasa, neuroscienziato dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica (Irib) del Cnr. “Quindi, maggiori sono i tratti di nevroticismo (ansia, depressione, vulnerabilità allo stress) maggiore sarà la propensione a compiere atti in grado di mitigare le emozioni negative. Al contrario, quando il corpo è investito da emozioni positive, l’essere umano tende ad amplificare il piacere stando insieme agli altri, evitando l’isolamento e cercando di condividere il piacere per prolungarlo”.
A dare impulso alla determinazione del legame tra infelicità e creatività è però stata la ricerca in ambito neuro-scientifico. “Contrariamente a quello che si pensa, il dolore – nella sua accezione più globale – produce plasticità neurale, mentre la felicità si associa con la sensazione di piacere, che nasce dall’attivazione del circuito del reward, ossia della ricompensa, che ci spinge a ripetere i comportamenti piacevoli, innescando nelle forme patologiche il meccanismo della dipendenza”, prosegue il ricercatore. “Il dolore ha invece un effetto biologico più complesso, che stimola la neurogenesi anche in età adulta e si manifesta come nuovo apprendimento. Il dolore, per il nostro cervello, altro non è che un segnale di pericolo del quale fare tesoro per stabilire se un evento sia o meno da evitare. Questo si traduce in una nuova memoria (nocicettiva) che si innesta a livello dell’ippocampo e rimane con noi per il resto della vita. Dall’ippocampo la nuova memoria si dirama, creando una rete di legami con altre popolazioni neurali che servono a rendere il ricordo sempre più complesso, associandolo a una miriade di sensazioni e/o di simboli verbali e non. La complessità dell’arborizzazione dendritica su cui si basa il ricordo nocivo, cioè delle ramificazioni dei prolungamenti delle cellule nervose, è direttamente proporzionale all’intensità delle emozioni: maggiore sarà la rete neurale creata e minore sarà l’impatto negativo del ricordo. È probabilmente per questo che il dolore si associa spesso con la creatività: scrivere, dipingere, suonare rappresentano la manifestazione di nuove abilità che servono a rendere meno nocivo il peso del ricordo”.
La merenda integrale rischia di cancellare quella “della nonna”.
AlimentazioneLa merenda? Oggi dev’essere healthy, o nulla. Intendiamoci, il fatto che si guardi alla salute è un bene, ma siamo proprio sicuri che in fatto di merenda tutta questa attenzione non sia alla fine un modo per proporre sul mercato colazioni sempre più costose? Probabilmente la risposta è nel mezzo, da un lato c’è una maggiore attenzione verso prodotti sani, dall’altro la capacità delle multinazionali di “cavalcare” le richieste e intercettare i trend. Sta di fatto che nella maggior parte delle merende di oggi compaiono alimenti integrali, frutta secca, fibre e così via.
RICH-IN
Una tendenza in netta crescita, che ha portato all’esplosione dei prodotti “rich-in”, aumentati del 107% in dieci anni, secondo dati di Unione Italiana Food. Quello del “rich-in”, prodotti alimentari ricchi di ingredienti o nutrienti benefici, è una delle principali tendenze che stanno riguardando il mercato alimentare italiano. Secondo l’Osservatorio Immagino di Nielsen 2020, gli alimenti che evidenziano nel pack la dicitura “integrale” nel 2019 sono cresciuti del +4,3%, mentre quelli che segnalano il contenuto di fibre sono aumentati del +6,3%. Sulle tavole degli italiani sono arrivati in poco tempo biscotti e cornetti integrali con frutta secca o a base cereali, semi di girasole e di chia, e merendine di pasta frolla integrale in grado di trainare l’intero settore dei prodotti alimentari “rich-in” in Italia. I dati dell’Osservatorio Immagino 2020 di Nielsen evidenziano, in Italia, nel 2019, una crescita del +4,3% delle vendite a valore dei prodotti alimentari riportanti la dicitura “integrale” e del +6,3% per i prodotti che risaltano in etichetta il contenuto di fibre. Con i risultati migliori messi a segno proprio dalle merendine italiane.
TRADIZIONE
Senza nulla voler togliere alle merende integrali, c’è chi ricorda con un po’ di nostalgia le colazioni di un tempo, a base di latte, fette biscottare o pane, e tanta marmellata fatta in casa. Merende probabilmente anche un po’ sbilanciate sotto il profilo nutrizionale, ma buone, nutrienti e inerite in un contesto alimentare che nel complesso era decisamente più sano di oggi. Insomma, tutto questa gloria per le merende rich-in sta anche muovendo i sentimenti dei nostalgici. Ma, tant’è, il mondo cambia e si evolve. Forse la cosa migliore sarebbe quella di riuscire a trovare un equilibrio tra le proposte alimentari di oggi e le tradizioni dei nostri nonni.
Stress, ansia e paura: per il cervello sono malattie contagiose
News Presa, Prevenzione, Psicologia, Ricerca innovazioneIl cervello umano è predisposto al contagio emotivo, come ha dimostrato la scienza. Le emozioni vengono trasmesse attraverso i cosiddetti neuroni specchio, delle cellule nervose che permettono di entrare in empatia con gli altri e di assorbirne anche i malumori, la negatività, lo stress e la paura. Una ricerca della Harvard University e dell ’Università della California afferma che stare nel campo visivo di qualcuno che sta provando ansia, porta a sentire la stessa sensazione. Esiste una sorta di stress passivo che ha effetti significativi sul sistema nervoso. Il malumore di un collega in ufficio può essere contagioso. C’è una predisposizione umana ad afferrare dei segnali sottili nelle persone vicine con conseguenze enormi. Si colgono spesso indizi non verbali, visivi, e non solo: è stato provato che i sensi dell’olfatto percepiscono l’odore di sudore indotto dalla tensione e addirittura il cervello è in grado di rilevare se si tratta di stress elevato o basso.
Viene definita ansia “di seconda mano” ed è una conseguenza della capacità umana di percepire potenziali minacce nell’ambiente. Alcuni ricercatori ritengono che le emozioni negative sono più facili da catturare, perché nel nostro passato la sintonizzazione con dolore, disgusto e paura era legata alla sopravvivenza. Negli ultimi anni, invece, studi stanno analizzando il contagio emotivo nella dimensione del mondo digitale. In quest’ambito la comunicazione non verbale è assente, ma circolano lo stesso virus emotivi e stati d’animo.
Questa conclusione apparentemente buffa è risultato di uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Plos One ed effettuato sui post divulgati, visionati e condivisi su Facebook.
Dal punto di vista del lavoro, le emozioni positive in azienda sono sono correlate con il maggior raggiungimento degli obiettivi. Le sensazioni piacevoli allargano il pensiero, formano e migliorano i rapporti. In particolare creano un “gruppo”, aumentando la fiducia e migliorano il clima. Un capo “positivo” ha un effetto energizzante, motivante e stimolante. Ma si è visto anche che è l’autenticità del leader, la capacità di esprimere veramente ciò che sente, compresi dubbi, incertezze, difficoltà, a migliorare il clima emotivo e la resa lavorativa. Creando team produttivi. La negatività, invece, ostacola la produttività. Critiche, polemiche, proteste, risposte sprezzanti e lamentele, così come chiacchiere senza finalità propositive di un collega, hanno ripercussioni negative su chi ascolta. Stress, tensioni e malumori facilmente infettano tutti, attraverso “virus emotivi” dai risvolti mentali e fisici.
Ogni individuo è emotivamente connesso agli altri, anche in ufficio, benché in molti casi si tende ad alzare muri. Ma saper cogliere gli stati d’animo degli altri non significa per forza esserne travolti, si può, infatti, imparare a gestire la negatività. Diventare coscienti dei meccanismi di contagio può ridurne l’impatto. Capire qual è il nodo critico di contagio è il primo passo per riuscire a difendersi. Si può anche provare ad invertire la spirale negativa senza farsi agganciare. Un sorriso o un commento costruttivo ad esempio può avere il potere di “cortocircuitare” uno scambio negativo, perché anche gli stati d’animo positivi sono contagiosi. Non si può decidere quali debbano essere gli stati d’animo degli altri, ma si può imparare a gestire le proprie reazioni alla negatività, intervenendo nella dinamica della relazione. Connettersi agli altri senza farsi invadere, prendere le distanze con la negatività, non con la persona e fare pause felici quando è il momento di prendersi cura di sé, perché la stanchezza, e la paura rendono più vulnerabili alla cattura delle emozioni negative circolanti.
Alcune persone sono più inclini di altre a catturare le emozioni altrui, ad orientarsi affettivamente sugli altri. Secondo alcuni studi gli introversi hanno più probabilità di essere colpiti dalle emozioni positive, mentre gli estroversi sono facilmente schiacciati da quelle negative. Ci sono inoltre persone più “contagiose”, in grado di trasmettere emozioni forti e poco permeabili invece agli stati d’animo degli altri e presenze carismatiche che quando riescono a sorridere creano positività e che se hanno uno stato d’animo negativo sono in grado di intossicare e trascinare verso il basso tutti gli altri.