Tempo di lettura: 3 minutiSe la violenza fisica lascia segni visibili, la violenza psicologica è più difficile da riconoscere e in molti casi crea ferite più profonde. Si tratta di un modello di comportamento protratto nel tempo e diretto a controllare un’altra persona attraverso l’uso della manipolazione, dell’inganno, delle minacce, dell’intimidazione, del ricatto emotivo, dell’abuso verbale, degli insulti, del gaslighting, della coercizione e dell’umiliazione.
Per l’Istat sono più di 8,3 milioni, in Italia, le donne vittime di violenza psicologica. Un numero che cresce insieme, ma è doppio, a quello degli abusi fisici (4,3 milioni ). La ‘violenza economica’ all’interno della coppia tocca il 4,6 per cento delle donne.
Nella letteratura moderna e contemporanea si trovano esempi di protagoniste, vittime di stupri, aggressioni e altre forme di violenza fisica. In Lolita di Nabokov, ad esempio, viene dipinto un ritratto multidimensionale della vittima, privo di moralismi, mettendo in risalto l’immagine del pedofilo senza rimorso. Se i lettori simpatizzano facilmente con i personaggi dei romanzi, è perché la violenza si manifesta in modo evidente. Quando, invece, la violenza è psicologica è più difficile identificarla e spesso le vittime restano sole.
Nel libro di Claudia Moscovici, “Relazioni Pericolose” vengono disegnati i tratti di un partner pericoloso. In alcuni casi dalla violenza psicologica si può passare facilmente a quella fisica. Spesso un partner violento si presenta al mondo, compreso il proprio partner, come una persona equilibrata, amabile e con autocontrollo. Chi subisce violenze psicologiche molte volte ha difficoltà a riconoscerlo. Il partner violento tende ad accrescere il proprio controllo sulla vittima in modo graduale, con la manipolazione e l’inganno, spesso afferma di amarla e di fare tutto per il suo bene.
Ma la relazione presto si trasforma in un perenne stato di ansietà e incertezza. Possono svilupparsi disordini psichici e alimentari, nonchè depressione. L’abuso può essere così sottile e sofisticato da non permettere di realizzare la forma di violenza psicologica in atto. La salvezza, invece, parte proprio dal riconoscimento.
L’abuso emotivo funziona come una forma di lavaggio del cervello. La vittima non è più in grado di riconoscere gli abusi come tali né di ricordare il suo valore. Eppure gli abusi sono spesso evidenti: manie di controllo, insulti, svalutazione, derisione, stalking, gelosia immotivata. Nel libro vengono descritte le modalità più comuni con cui viene esercitata la violenza.
Spesso si manifesta nelle relazioni asimmetriche, in cui una parte si sforza di andare incontro ad un’altra. Nei rapporti sani, invece, ognuno cerca di valorizzare le aspirazioni dell’altro.
Un partner violento mantiene il controllo di una relazione attraverso l’uso di minacce implicite o esplicite e la trasmissione di ansia e paura. La vittima si sente costretta ad andare incontro alle incessanti richieste del compagno, ma questo la rende ancora più debole è sottoposta a un controllo sempre maggiore.
Le aggressioni verbali sono sempre più frequenti, attraverso insulti, critiche ed imposizioni. L’abuso verbale trasforma quella che dovrebbe essere una relazione paritaria e fondata sul rispetto reciproco in una dove uno dei partner ha il pieno controllo dell’altro.
Il partner violento si pone come una guida di vita nei confronti della vittima e la aiuta a risolvere i problemi psicologici che ha causato lui stesso. Questo fa accrescere dipendenza e senso di impotenza.
Chi esercita violenza psicologica cerca di rendere più sola la vittima, scoraggiandola ad avere una vita sociale. Giocando con le emozioni dell’altra persona, riesce sempre a tenerla concentrata solo sui propri bisogni. Si tratta di un comportamento dispotico che porta l’altro a sentirsi pazzo, ansioso, depresso e impotente.
Siccome preferiscono dare di sé un’immagine positiva, i violenti possono non ricorrere all’abuso verbale in maniera sfacciata. Al contrario, possono optare per tecniche più sottili (come il sarcasmo, l’ironia e l’umiliazione) per far rimanere male le loro vittime.
Mentre umiliano quotidianamente i propri partner per minarne l’autostima, pretendono verso di sé le più alte forme di rispetto.
Alla base di tutto c’è l’inganno. Come nel romanzo di Dacia Maraini: “il futuro si apre davanti a lei come un fiore precoce che ha sentito il primo raggio di sole, ma potrebbe rimanere congelato sul ramo. Perché la primavera non è ancora arrivata e quel raggio di sole l’ha ingannata”.
Relazioni pericolose: come riconoscere la violenza psicologica
News Presa, Prevenzione, PsicologiaSe la violenza fisica lascia segni visibili, la violenza psicologica è più difficile da riconoscere e in molti casi crea ferite più profonde. Si tratta di un modello di comportamento protratto nel tempo e diretto a controllare un’altra persona attraverso l’uso della manipolazione, dell’inganno, delle minacce, dell’intimidazione, del ricatto emotivo, dell’abuso verbale, degli insulti, del gaslighting, della coercizione e dell’umiliazione.
Per l’Istat sono più di 8,3 milioni, in Italia, le donne vittime di violenza psicologica. Un numero che cresce insieme, ma è doppio, a quello degli abusi fisici (4,3 milioni ). La ‘violenza economica’ all’interno della coppia tocca il 4,6 per cento delle donne.
Nella letteratura moderna e contemporanea si trovano esempi di protagoniste, vittime di stupri, aggressioni e altre forme di violenza fisica. In Lolita di Nabokov, ad esempio, viene dipinto un ritratto multidimensionale della vittima, privo di moralismi, mettendo in risalto l’immagine del pedofilo senza rimorso. Se i lettori simpatizzano facilmente con i personaggi dei romanzi, è perché la violenza si manifesta in modo evidente. Quando, invece, la violenza è psicologica è più difficile identificarla e spesso le vittime restano sole.
Nel libro di Claudia Moscovici, “Relazioni Pericolose” vengono disegnati i tratti di un partner pericoloso. In alcuni casi dalla violenza psicologica si può passare facilmente a quella fisica. Spesso un partner violento si presenta al mondo, compreso il proprio partner, come una persona equilibrata, amabile e con autocontrollo. Chi subisce violenze psicologiche molte volte ha difficoltà a riconoscerlo. Il partner violento tende ad accrescere il proprio controllo sulla vittima in modo graduale, con la manipolazione e l’inganno, spesso afferma di amarla e di fare tutto per il suo bene.
Ma la relazione presto si trasforma in un perenne stato di ansietà e incertezza. Possono svilupparsi disordini psichici e alimentari, nonchè depressione. L’abuso può essere così sottile e sofisticato da non permettere di realizzare la forma di violenza psicologica in atto. La salvezza, invece, parte proprio dal riconoscimento.
L’abuso emotivo funziona come una forma di lavaggio del cervello. La vittima non è più in grado di riconoscere gli abusi come tali né di ricordare il suo valore. Eppure gli abusi sono spesso evidenti: manie di controllo, insulti, svalutazione, derisione, stalking, gelosia immotivata. Nel libro vengono descritte le modalità più comuni con cui viene esercitata la violenza.
Spesso si manifesta nelle relazioni asimmetriche, in cui una parte si sforza di andare incontro ad un’altra. Nei rapporti sani, invece, ognuno cerca di valorizzare le aspirazioni dell’altro.
Un partner violento mantiene il controllo di una relazione attraverso l’uso di minacce implicite o esplicite e la trasmissione di ansia e paura. La vittima si sente costretta ad andare incontro alle incessanti richieste del compagno, ma questo la rende ancora più debole è sottoposta a un controllo sempre maggiore.
Le aggressioni verbali sono sempre più frequenti, attraverso insulti, critiche ed imposizioni. L’abuso verbale trasforma quella che dovrebbe essere una relazione paritaria e fondata sul rispetto reciproco in una dove uno dei partner ha il pieno controllo dell’altro.
Il partner violento si pone come una guida di vita nei confronti della vittima e la aiuta a risolvere i problemi psicologici che ha causato lui stesso. Questo fa accrescere dipendenza e senso di impotenza.
Chi esercita violenza psicologica cerca di rendere più sola la vittima, scoraggiandola ad avere una vita sociale. Giocando con le emozioni dell’altra persona, riesce sempre a tenerla concentrata solo sui propri bisogni. Si tratta di un comportamento dispotico che porta l’altro a sentirsi pazzo, ansioso, depresso e impotente.
Siccome preferiscono dare di sé un’immagine positiva, i violenti possono non ricorrere all’abuso verbale in maniera sfacciata. Al contrario, possono optare per tecniche più sottili (come il sarcasmo, l’ironia e l’umiliazione) per far rimanere male le loro vittime.
Mentre umiliano quotidianamente i propri partner per minarne l’autostima, pretendono verso di sé le più alte forme di rispetto.
Alla base di tutto c’è l’inganno. Come nel romanzo di Dacia Maraini: “il futuro si apre davanti a lei come un fiore precoce che ha sentito il primo raggio di sole, ma potrebbe rimanere congelato sul ramo. Perché la primavera non è ancora arrivata e quel raggio di sole l’ha ingannata”.
COVID -19: un farmaco previene l’infezione
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazioneMentre le temperature si abbassano, torna ad alzarsi la curva dei contagi da Covid -19. La ricerca italiana non si è mai fermata. Dagli ultimi studi emerge il ruolo del lisato batterico Lantigen B, capace di inibire l’espressione del recettore ACE2 sulle cellule del cavo oro faringeo, riducendo di fatto le porte di accesso al virus SARS-COV-2. La ricerca in vitro è stata guidata dal professor Giovanni Melioli, partendo da uno studio dell’Arizona University. “Mentre il vaccino attenua di molto la gravità dei sintomi e degli effetti sistemici una volta che si è contratto il virus – spiega Melioli – siamo confidenti che il Lantingen B possa ridurre all’origine la possibilità di infettarsi”.
Come stanno evolvendo le nuove varianti di Covid -19?
Secondo le osservazioni degli scienziati, sembra che al momento non ci sia nessuna variante di Covid-19 che stia prendendo il sopravvento su un’altra, come in passato, ma che stiano piuttosto circolando diverse sottovarianti che accumulano mutazioni molto simili, tutte associate a una maggiore immunoresistenza del virus. Si tratta di un meccanismo che gli scienziati hanno definito convergenza evolutiva. Tutte le nuove varianti di Sars-CoV-2 convivono e sembrano contenere più o meno le stesse mutazioni.
Lisati batterici vecchi alleati
I Lisati batterici sono vecchi alleati dei polmoni. Sviluppati negli anni ’60 del secolo scorso, sono una categoria di farmaci che racchiudono parti inattivate di batteri, permettendo al sistema immunitario di prepararsi per tempo a reagire alle infezioni. Moltissimi studi negli ultimi 50 anni hanno provato scientificamente che i Lisati stimolano la produzione di anticorpi, riducono le infezioni frequenti delle vie respiratorie e migliorano la salute della mucosa, rivelandosi benefici sia per gli anziani che per i bambini, categorie particolarmente sensibili ai mali di stagione. Con l’avvento del COVID-19, però, questi farmaci – e uno in particolare, il Lantigen B – potrebbero avere un ruolo completamente nuovo: ridurre le infezioni da SARS-COV-2.
Covid -19: il ruolo del farmaco Lantigen B nel ridurre le infezioni
Un’equipe italiana condotta dal Professor Giovanni Melioli ha dimostrato in uno studio in vitro che le cellule della mucosa faringea, trattate con una quantità di Lantigen B – equivalente al normale dosaggio previsto per l’assunzione del farmaco – riducono l’espressione dei recettori ACE2 che fungono da porte di accesso del virus sulla superficie cellulare. Lo studio “The bacterial lysate Lantigen B reduces the expression of ACE2 on primary oropharyngeal cells” è già stato rilasciato in versione pre-print e attende la pubblicazione in una rivista internazionale peer-reviewed.
Le origini dello studio contro il Covid -19
“Siamo partiti – racconta Melioli – da un importante studio statunitense condotto da una brillante scienziata italiana, Donata Vercelli che, impiegando gli importanti mezzi messi a disposizione della ricerca universitaria negli Stati Uniti, ha dimostrato come un Lisato affine al Lantigen B riducesse sia l’espressione di ACE2 – il recettore che accoglie la proteina Spike del COVID -19 – sia, conseguentemente, la possibilità di infezione del COVID-19 su cellule monoclonali in laboratorio”.
Cosa ha aggiunto lo studio italiano
“Da questo punto di partenza, abbiamo costruito uno studio che mettesse alla prova i risultati ottenuti applicando la ricerca a cellule della mucosa faringea prelevate con un semplice tampone da 15 volontari. Le cellule sono rimaste in coltura per 24 ore con 1-2mmgg di Lantigen B e, poi, analizzate. Abbiamo scoperto due cose importanti: la prima è che i quattro quinti delle cellule riducevano in maniera drastica l’espressione del recettore ACE2 e che questo risultato avveniva in cellule vive del corpo, le stesse che sono bersaglio del SARS-COV-2 durante l’infezione; la seconda è che il dosaggio al quale questo effetto si ottiene è lo stesso previsto per la somministrazione orale del Lantigen B. Stiamo avviando un nuovo studio al fine di dimostrare che l’effetto registrato in vitro sulle cellule prelevate dalla faringe avvenga anche in situ, ovvero nella laringe stessa dopo assunzione di Lantigen B per bocca. Ritengo, però, che, data la semplicità del modello e la chiarezza dei risultati, lo studio in vitro verrà confermato da quello in vivo”.
Le implicazioni
“Esistono, al momento, tre modi per proteggersi dal COVID-19: non infettarsi; il vaccino; i farmaci antivirali. Sono confidente che queste nuove linee di ricerca abbiano svelato l’esistenza di una quarta difesa: i lisati batterici che riducono la possibilità di rimanere contagiati. Questa nuova risorsa contro il COVID-19 non è un’alternativa al vaccino. Il vaccino è provato essere lo strumento che riduce di molto gli effetti sistemici (come la polmonite interstiziale) e i sintomi più gravi quando ci siamo infettati; il Lantigen B promette a sua volta di essere il farmaco che ci aiuta a non infettarci. Un risultato importante – anche considerando gli altri benefici sulle vie respiratorie del Lisato – per tante delle categorie a rischio e, soprattutto, per coloro che non sono coperti, per varie ragioni, dalla protezione vaccinale”.
Tumore al seno, gli effetti delle terapie sulle protesi
News PresaDopo un tumore al seno è meglio ricostruire subito la mammella o aspettare la fine delle terapie? La radioterapia è rischiosa per le protesi eventualmente impiantate? Sono solo alcune delle domande alle quali hanno dato risposta alcune donne medico dell’associazione “Donna X Donna”. L’associazione è nata per condividere l’esperienza di operate di tumore al seno e rendersi utili ad altre donne con la stessa patologia. Quest’anno, in vista del Bra Day (che si celebra domani, 19 ottobre) senologhe, chirurghe plastiche e psico-oncologhe di Donna X Donna hanno preparato un manifesto che cerca proprio di rispondere alle domande più frequenti delle pazienti sui possibili effetti delle terapie sul seno ricostruito. La brochure propone risposte chiare, utili a tranquillizzare chi vive questa difficile esperienza. Per ogni caso esistono le soluzioni più indicate, che vanno dal lipofilling /uso di grasso autologo per ammorbidire la mammella ricostruita con protesi e indurita dalla radio, ai massaggi per ridurre l’irrigidimento dei tessuti ricostruiti senza uso di protesi, dalle creme schiarenti ai laser depigmentanti per diminuire l’iper-pigmentazione della pelle indotta dalla radioterapia fino alle diverse tecniche operatorie necessarie nei casi di reazione alla radio di entità più severa. A rendere ancor più speciale il progetto è la copertina della brochure, che mostra un’immagine di Eva, la partner di Diabolik. Il disegno di Giuseppe Palumbo che correda la brochure (visionabile su www.beautifulafterbreastcancer.it) arricchisce un progetto che di per se è già straordinario.
LE TERAPIE
«Nei casi di mastectomie ricostruite nello stesso intervento, con o senza l’uso di protesi- sottolinea la professoressa Marzia Salgarello, coordinatrice del comitato promotore Donna X Donna – la radioterapia può indurre problemi di lieve e media entità, i più frequenti e trattabili sia chirurgicamente che con terapie di supporto, come il lipofilling e i massaggi. Ci sono poi complicanze più severe, seppure più rare, difficilmente risolvibili se non operando nuovamente la paziente. La collaborazione tra chirurghi e oncologi radioterapisti delle Breast Unit permette la scelta della metodica più indicata». Le complicanze dovute alla radioterapia sul seno ricostruito sono minori quando si sceglie la ricostruzione immediata con protesi eseguita insieme alla mastectomia. Mettere l’espansore e attendere di fare la ricostruzione in un altro periodo invece pare aumentare il rischio. Rimandare la ricostruzione in un momento successivo alla radioterapia aumenta il rischio di complicanze, dal 30 al 50% secondo studi recenti. La nuova radioterapia, a intensità modulata o volumetrica ad arco, riduce i rischi.
Retinopatia diabetica, cos’è e come prevenirla
Associazioni pazienti, PrevenzioneUna persona con diabete su tre soffre di retinopatia diabetica: una grave complicanza del diabete che colpisce l’occhio. Questa condizione è la principale causa di cecità nelle persone in età lavorativa (16-65 anni). Un rischio che può essere evitato con un semplice screening di prevenzione. Durata del diabete, valori elevati di emoglobina glicata e di pressione arteriosa sono i principali fattori di rischio per la comparsa della malattia, sia nelle persone con diabete tipo 1 che di tipo 2.
Retinopatia diabetica, come prevenire
Sono oltre 1 milione le persone con diabete che soffrono di retinopatia diabetica, la principale complicanza oculare del diabete e prima causa di cecità tra i soggetti in età lavorativa. In altre parole può colpire la popolazione diabetica, stimata a raggiungere le 700 milioni di persone a livello globale entro il 2045. Si tratta di una malattia ampiamente sotto-diagnosticata, che può restare a lungo asintomatica. Per questo assumono un ruolo cruciale gli screening periodici nelle persone con diabete (al momento della diagnosi e a intervalli prestabiliti a seconda del quadro clinico del paziente), al fine di identificare il problema e realizzare una presa in carico tempestiva.
La retinopatia diabetica è causata da un danno ai vasi sanguigni del tessuto della retina e può svilupparsi in tutte le persone che convivono con il diabete di tipo 1 e di diabete di tipo 2. Una lunga durata del diabete, soprattutto se non controllato, con alti livelli di emoglobina glicata e l’ipertensione, sono i principali fattori di rischio da tenere sotto controllo per valutare l’urgenza per la realizzazione dello screening oculare.
Lo screening del fondo dell’occhio è un esame semplice, non invasivo e indolore, eseguito dal diabetologo in collaborazione con l’oculista. Consente di intervenire precocemente e scongiurare gravi esiti di salute quali l’edema maculare diabetico e, nei casi più gravi, la perdita della vista. La malattia può manifestarsi anche in forma asintomatica e può essere la spia di complicanze cardiovascolari del diabete, come la coronaropatia, che richiedono ulteriori approfondimenti e screening cardiovascolare di secondo livello.
La campagna “DIAmoci Un Occhio”:
Per richiamare l’attenzione sulla patologia, le sue complicanze e sull’importanza di realizzare screening mirati e diffusi, l’Associazione Medici Diabetologi (AMD) e la Società Italiana di Diabetologia (SID), promuovono la campagna “DIAmoci Un Occhio”: realizzata con il contributo incondizionato di Abbvie.
Si tratta di una campagna informativa per sensibilizzare lo specialista diabetologo e promuovere l’importanza dello screening. Oltre al medico, la campagna si rivolge anche ai pazienti e ai loro caregiver per coinvolgerli attivamente nel percorso di prevenzione e cura. Sui profili delle due Società Scientifiche AMD e SID verrà realizzata una campagna social con contenuti informativi sulla patologia, le sue complicanze, l’importanza di sottoporsi agli screening, la facilità di esecuzione degli stessi e sugli strumenti di prevenzione a disposizione.
“La prevenzione è l’arma più importante a nostra disposizione”
“La retinopatia diabetica resta ampiamente sotto-diagnosticata, generando un impatto negativo sugli outcome di salute delle persone con diabete e sui costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale per la gestione di casi più complessi” – commenta Graziano Di Cianni, Presidente AMD. “La responsabilità di coordinare lo screening per l’identificazione della patologia è dei medici e delle strutture che seguono quotidianamente le persone con diabete. Tuttavia – è essenziale che il paziente e i familiari conoscano la patologia, siano consapevoli dei fattori di rischio e dell’importanza della prevenzione, che rimane sempre l’arma più importante a nostra disposizione”.
“Lo screening della retinopatia diabetica deve sempre più diventare una delle attività routinarie svolte presso i centri di diabetologia e dovrebbe comunque avvenire in concomitanza con la visita diabetologica” afferma Agostino Consoli, Presidente SID. “Abbiamo oggi la possibilità di utilizzare i retinografi – strumenti che possono essere utilizzati anche da un ortottista o da un infermiere esperto – con refertazione delle immagini a distanza da parte di un oculista o addirittura con interpretazione dell’immagine da parte di sistemi di intelligenza artificiale. Queste tecnologie vanno diffuse su tutto il territorio nazionale e diventare lo standard per lo screening della retinopatia diabetica”.
La depressione grave oggi si cura con uno spray in tempi rapidi
News Presa, Psicologia, Ricerca innovazioneL’Organizzazione mondiale della sanità ha definito la depressione la malattia del secolo. Secondo i dati della rivista scientifica The Lancet si stima che globalmente 1 persona su 8 conviva con un problema di salute mentale e che la pandemia abbia contribuito ad aumentare del 25% i casi di ansia e depressione in tutto il mondo. Guardando i dati dell’Italia, sono 3,5 milioni le persone con depressione ma, secondo un’indagine Istat, si calcola che meno della metà sia diagnosticata e che solo 1 paziente su 3 ottenga cure adeguate. Lo stigma che ancora permane nei confronti del disagio mentale e il difficile accesso alle cure mettono ancora più a rischio chi ne soffre.
Il nuovo spray nasale che cura la depressione grave
Nei casi in cui la depressione viene curata, esistono alcune forme gravi che resistono ai farmaci. Oggi la ricerca apre la strada a una nuova possibilità: uno spray nasale. Si tratta di un medicinale, a base di un derivato della ketamina che rappresenterebbe una svolta nel trattamento della patologia resistente ai farmaci. A suggerire la nuova possibilità di trattamento ad azione rapida, è uno studio clinico italiano, pubblicato sulla rivista Journal of Affective Disorders e coordinato dall’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti e dall’Università di Brescia. I risultati del lavoro sono stati presentati all’ultimo congresso nazionale della Società italiana di psichiatria, a Genova.
Se la depressione è resistente al trattamento persistono i sintomi depressivi nonostante le cure convenzionali. Questa forma grave presenta un alto rischio di suicidio e costi sanitari molto alti. Da qualche anno, diversi studi mostrano il potenziale della ketamina, farmaco anestetico – ma anche droga pesante – che, se utilizzato a basse dosi, agisce sul sistema nervoso centrale colpendo alcuni recettori – quelli del neurotrasmettitore glutammato – che sembrano essere associati all’insorgenza dei sintomi depressivi.
I risultati dello studio
Secondo il nuovo studio, la molecola derivante dalla ketamina, l’esketamina, si rivela ancora più efficace nel trattare i sintomi depressivi resistenti ai trattamenti, se somministrata in aggiunta ai farmaci tradizionali. Il farmaco a base di esketamina, principio attivo derivante dalla ketamina era già stato approvato dall’Agenzia italiana del farmaco lo scorso aprile. Per valutarne l’efficacia nei casi più complessi, i ricercatori lo hanno somministrato come spray nasale in 24 centri di cura in tutta Italia. I pazienti trattati con Spravato (nome commerciale del farmaco disponibile solo per uso ospedaliero) hanno mostrato miglioramenti significativi molto più veloci rispetto ai trattamenti standard. Più del 64% dei pazienti ha ottenuto un miglioramento significativo nei sintomi e, di questi, il 40% ha avuto una remissione completa della malattia. Non sono state riscontrate differenze di efficacia tra i pazienti solo affetti da depressione e quelli con anche altri disturbi psichiatrici. Inoltre si tratta di un’azione rapida: i primi sintomi migliorano già nell’arco delle prime 24 ore da una singola dose.
Lo spray è stato approvato prima negli Stati Uniti dalla Food and drugs administration (Fda) e poi in Europa dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema) per il trattamento degli adulti con disturbo depressivo maggiore resistente. In Italia il farmaco è stato approvato da Aifa nell’aprile 2022, con le stesse indicazioni. Il medicinale, ricordano gli psichiatri, è indicato per le sole forme di depressione resistente al trattamento e a rischio di suicidio e va somministrato dietro stretto controllo medico.
Smombie, il rischio che i cellulari ci “spengano” il cervello
News PresaAmmalarsi a causa dello smartphone è possibile e purtroppo sempre più spesso succede ai giovani e ai meno giovani. Uno dei rischi più temibili è che il mondo virtuale, che vede negli smartphone una porta d’accesso costantemente nelle nostre mani, ci trasformi in smombie. Vale a dire zombie dello smartphone. Sembra solo un gioco di parole, un neologismo ideato per attirare l’attenzione, ma non è così. Quanto sia concreto il pericolo di ammalarsi e diventare degli smombie lo possiamo capire guardando appunto ad altre popolazioni. In Corea del Sud intere corsie di ospedali sono state dedicate alla cura di persone gravemente dipendenti dagli smartphone, e addirittura già nel 2018 il Garante per le telecomunicazioni era stato spinto a mettere a punto un servizio per bloccare lo smartphone quando il suo proprietario muoveva più di 5 passi fissando lo schermo. Più di recente è stata avviata una sperimentazione per allertare tramite una app gli smombie che si trovano in prossimità di un incrocio.
RISCHIO INCIDENTI
La dipendenza dallo schermo e dai contenuti disponibili sui nostri smartphone in qualunque momento della giornata è tale da mettere a rischio la vita degli smombie, che si muovono in città senza curarsi di cosa li circonda. Incroci e attraversamenti pedonali rischiano di diventare delle trappole mortali. E sono in pericolo anche pedoni o automobilisti che non stanno usando il cellulare. Ad interferire con la nostra capacità di muoverci in sicurezza è il meccanismo di astrazione che il cervello mette in atto per seguire i contenuti sui quali siamo concentrati. Essere concentrati su un video o una lettura ci proietta in una dimensione che è del tutto scollegata dal contesto nel quale ci muoviamo. A chi di noi non è mai capitato di svolgere dei compiti elementari o di guidare pensando intensamente a qualcosa che ci preoccupa o ad una questione di lavoro, rendendoci poi conto di non ricordare nulla del tragitto fatto? È un meccanismo simile a quello, drammatico, per il quale molti genitori dimenticano i figli piccoli in auto. L’intrattenimento da smartphone ci consente di evadere da una realtà spesso considerata opprimente o nella quale non riusciamo più ad orientarci, e ci spinge verso questa pericolosissima anestesia della mente.
NEL DIZIONARIO
Questa parola si è talmente diffusa da essere ufficialmente registrata come neologismo nel vocabolario online Treccani. La definizione del lemma, derivato dall’unione di “zombie” e “smartphone”, è accompagnata e certificata da diversi esempi di utilizzo e testimonianze di circolazione nei media. Quindi, cercando alla voce smombie sul vocabolario si troverà questa definizione: Smombie – s. f. e m. inv. Chi cammina per strada senza alzare lo sguardo dallo smartphone, rischiando di inciampare, scontrarsi con altre persone, attraversare la strada in modo pericoloso”. Quello che non troveremo è il numero degli incidenti, anche mortali, causati da questa malattia del nuovo millennio.
Dermatite atopica, a chi rivolgersi?
Partner, PrevenzionePiù diffusa di quanto si possa credere, ma ancora poco conosciuta da chi ne soffre e non sempre diagnosticata correttamente. La dermatite atopica colpisce 35mila persone in Italia, di cui circa 8mila affette da una forma da moderata a grave, dal forte impatto sulla qualità di vita. Spesso erroneamente indicata come una condizione puramente cutanea, in realtà è una patologia infiammatoria cronica, sistemica e multidimensionale che colpisce persone di tutte le età. Se ne parlerà durante il consueto appuntamento radiofonico organizzato dal Network Editoriale PreSa Prevenzione & Salute, sabato 22 ottobre ai microfoni di Radio Kiss Kiss, ci sarà la professoressa Gabriella Fabbrocini, sarà proprio lei a spiegare quali sono le maggiori problematiche ma anche le principali soluzioni contro la dermatite atopica.
Appuntamento alle 11:35 circa, stay tuned!
“Contenuto realizzato da Radio Kiss Kiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Sindrome del colon irritabile: quali sono i sintomi e come si cura
PrevenzioneLa sindrome del colon irritabile o IBS (Irritable Bowel Syndrome) è un disturbo cronico e ricorrente delle funzioni dell’apparato gastrointestinale che interessa il 10-15% della popolazione mondiale.
La sindrome dell’intestino irritabile, pur non essendo causa di malattie gravi, è associata a un aumento del carico sanitario: è dimostrato, infatti, che i pazienti con tale sindrome ricorrono più frequentemente a visite mediche e a esami diagnostici. Colpisce prevalentemente il sesso femminile e soprattutto nella fascia d’età tra i 20 e i 50 anni.
Sintomi della sindrome del colon irritabile
È un disturbo che interessa il colon e l’intestino tenue con alterazioni delle funzioni motorie, della sensibilità dolorosa e della secrezione di liquidi.
La sindrome del colon irritabile è caratterizzata dalla presenza di fastidio o dolore addominale (che migliora dopo l’evacuazione), gonfiore dell’addome, alterazione del numero di evacuazioni e/o della consistenza delle feci (diarrea o stipsi). La malattia ha decorso cronico e l’insorgenza dei sintomi generalmente coincide con eventi stressanti di carattere psicologico (disturbi d’ansia, traumi) o di tipo fisico (infezioni, interventi chirurgici).
La sindrome del colon irritabile si presenta con sintomi che possono variare (da lievi a gravi) e durare per alcuni giorni, settimane o mesi. Tali sintomi si manifestano a fasi alterne, con alcuni periodi di miglioramento e altri che vedono una riacutizzazione.
Altri sintomi possono essere l’urgenza improvvisa di evacuare, la presenza di muco nelle feci e la fastidiosa sensazione di non aver svuotato completamente il retto.
Il medico competente è in grado di riconoscere facilmente i sintomi tipici dell’IBS, esaminando l’addome del paziente.
I sintomi più caratteristici sono:
– Gonfiore e/o distensione addominale
– Alterazione della consistenza delle feci
– Dolore o fastidio addominale
– Alterazione nella frequenza di evacuazione
– Flatulenza
– Presenza di muco nelle feci
Come si cura la sindrome del colon irritabile
La cura della sindrome del colon irritabile è basata sul trattamento dei sintomi. Hanno un ruolo fondamentale l’alimentazione, uno stile di vita corretto e l’utilizzo di alcuni farmaci.
L’alimentazione
Alcuni alimenti contribuiscono a peggiorare i sintomi, perché non vengono digeriti in maniera appropriata, richiamando acqua e creando gonfiore e tensione addominale.
Questi alimenti vengono indicati con l’acronimo F.O.D. M.A.P.:
· Fermentabili;
· Oligosaccaridi (zuccheri presenti nei cereali che contengono glutine e legumi);
· Disaccaridi (nel latte e nei derivati);
· Monosaccaridi (zuccheri semplici contenuti nella frutta, nei succhi di frutta e miele);
· Polialcoli (nei funghi, cavolfiori e nei dolcificanti artificiali).
Tra gli alimenti da evitare ci sono la caffeina, gli alcolici e le bevande eccitanti che tendono a irritare la mucosa intestinale e intensificare ansia e stress.
Fondamentale per evitare che i sintomi peggiorino è ripristinare la flora intestinale, assumendo probiotici. E’ quindi consigliabile consumare regolarmente lo yogurt (meglio se al naturale).
Lo stile di vita
È molto importante imparare a tenere sotto controllo le situazioni che causano stress, oltre a fare attività fisica regolarmente e cercare di avere una buona qualità del sonno.
I farmaci
Poiché i sintomi sono molto variabili, è compito dello specialista valutarli attentamente e scegliere, sulla base della sintomatologia specifica, la terapia più adeguata. Il trattamento farmacologico per la sindrome dell’intestino irritabile prevede l’utilizzo di farmaci antispastici e antidepressivi: lassativi in caso di stipsi, anti-diarroici in caso di diarrea, anti-spastici, anti-infiammatori intestinali, antidolorifici, probiotici. Possono essere utili anche farmaci antidepressivi e ansiolitici in caso di disturbi d’ansia e depressione.
Osteoporosi, visite gratuite per la giornata mondiale
PrevenzioneCon l’età, anche a causa della menopausa, l’osteoporosi può diventare un serio problema per molte donne. E non sempre è facile accorgersi del problema, almeno non prima di ritrovarsi con una brutta frattura. L’osteoporosi è infatti una una condizione silente e priva di qualsiasi sintomo. Le ossa si impoveriscono, perdono la loro massa minerale, e di conseguenza diventano fragili. In Italia, stando ai dati del Report 2021 “The Scorecard for Osteoporosis in Europe” (SCOPE) dell’International Osteoporosis Foundation, si stima che siano quasi 4 milioni e 500 mila le persone colpite da osteoporosi, di cui il 79,8 per cento sono donne. Nello specifico, il 23,4 per cento delle donne e il 6,9 per cento degli uomini con più di 50 anni soffrono di questa patologia.
CONTROLLI
L’unico modo per mettersi al sicuro dall’osteoporosi, o meglio per capire in tempo se c’è un problema di osteoporosi, è quello di sottoporsi a controlli ripetuti nel tempo. Il prossimo 20 ottobre si potrà approfittare della Giornata mondiale dell’osteoporosi per fare le prime visite ed entrare in un vero e proprio percorso di presa in carico. A Napoli, tra le diverse aziende che aderiranno al percorso di visite gratuite per la prevenzione e la cura dell’osteoporosi, c’è l’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Il Policlinico aderisce infatti all’open day promosso da Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, con tante visite gratuite (da prenotare fino ad esaurimento dei posti disponibili). Tutte le informazioni sono disponibili sul sito aziendale www.policlinico.unina.it «La nostra Azienda è molto attenta alla medicina di genere – ricorda Giuseppe Longo, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II- per questo motivo esiste già un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per i pazienti ad alto rischio di fratture da fragilità che si avvale di un team multidisciplinare che prevede la presenza di fisiatri, reumatologi, ortopedici, geriatri, ginecologi, endocrinologi, neurochirurghi, dermatologi, radiologi, nefrologi. L’obiettivo è porre al centro i bisogni assistenziali dei pazienti nella loro complessità e fare in modo che possa essere realizzata una presa in carico globale».
LE VISITE
L’offerta dell’Azienda Ospedaliera Universitaria prevede visite ginecologiche dedicate alle donne in menopausa o prossime alla menopausa, visite dermatologiche e incontri di educazione sanitaria sulla corretta esposizione al sole per la produzione di vitamina D e la riduzione del rischio di tumori cutanei, colloqui con esperti sul tema dell’osteoporosi, esami di diagnostica per immagini, visite con il medico internista “bone-specialist” per le donne in menopausa con frattura pregressa, e visite neurochirurgiche. L’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II dal 2014 fa parte del network Bollini Rosa ed anche per il biennio 2022-2023 ha ottenuto il massimo riconoscimento, pari a tre bollini, come ospedale a misura di donna. È, inoltre, tra le 94 strutture sanitarie italiane e tra le 6 aziende campane premiate dalla Fondazione Onda nell’ambito della prima edizione del Bollino Azzurro (2022-2023), il primo riconoscimento, tra quelli promossi da Onda, dedicato alla salute dell’uomo, che individua i centri che garantiscono un approccio multiprofessionale e interdisciplinare dei percorsi diagnostici e terapeutici per le persone con tumore alla prostata. Per conoscere l’offerta dei servizi proposta dalle strutture del network bollini rosa su tutto il territorio nazionale, in occasione dell’open day dedicato all’osteoporosi, è possibile consultare il sito www.bollinirosa.it.
Prostata, oggi per la diagnosi di tumori c’è la Fusion Biopsy
PrevenzioneUna nuova tecnica diagnostica consente oggi di combattere il tumore della prostata in maniera più efficace, con minori fastidi per al momento dell’esecuzione della biopsia. Questa metodica si chiama Fusion Biopsy e si basa sulla combinazione delle immagini della Risonanza Magnetica (RM) con quelle ecografiche. Grazie ad un software “intelligente” i medici possono simulare il tragitto della biopsia, modificandolo – se serve – e registrando ogni singolo passaggio. Nella ricostruzione in 3D il software mette inoltre in evidenza delle aeree bersaglio, individuate sommando le immagini della Risonanza Magnetica e quelle ecografie. Una sorta allert che punta a catturare l’attenzione dei medici sui punti sospetti. In questo modo la biopsia può essere realizzata evitando di colpire altre zone.
VANTAGGI
Grazie all’impiego di queste tecnologie, sia hardware che software, la Fusion Biopsy consente insomma di aumentare la precisione evitando di pungere più volte la stessa zona e consente di mirare le zone risultate sospette alla Risonanza Magnetica. Il software crea una vera e propria mappa tridimensionale delle biopsie eseguite in modo tale che, abbinando i risultati dell’esameistologico, si possa ricostruire con discreta approssimazione la localizzazione ed il volume del tumore. Tutte queste informazioni, sommate al risultato dell’esame istologico, consentono di stabilire la categoria di rischio di quel particolare tumore e quindi di impostare la migliore terapia possibile. Per alcuni tumori prostatici, piccoli o a bassa malignità, lo specialista potrà proporre come opzione anche la semplice sorveglianza attiva, mentre di fronte ad un tumore di 1-2 cm., a malignità anche solo intermedia, un trattamento chirurgico o radioterapico sarà probabilmente la migliore soluzione.
CAMPANELLI D’ALLARME
Uno degli elementi da tenere in considerazione quando si cerca di capire quali siano i principali fattori di rischio è la “familiarità”. Se in famiglia, in linea diretta, ci sono casi di neoplasie della prostata sarà bene essere molto attenti negli screening. Nelle fasi iniziali il tumore della prostata è asintomatico. Viene diagnosticato in seguito alla visita urologica, che comporta esplorazione rettale o controllo del PSA, con un prelievo del sangue. Detto ciò, ci sono diversi sintomi ai quali prestare attenzione: difficoltà a urinare (in particolare a iniziare) o bisogno di urinare spesso, dolore quando si urina, sangue nelle urine o nello sperma, sensazione di non riuscire a urinare in modo completo. Spesso i sintomi urinari possono essere legati a problemi prostatici di tipo benigno come l’ipertrofia: in ogni caso è utile rivolgersi al proprio medico o allo specialista urologo che sarà in grado di decidere se sono necessari ulteriori esami di approfondimento.