Tempo di lettura: 2 minutiL’esperienza del Covid-19 ha portato all’esondazione di una marea di informazioni spesso anti-scientifiche, ponendo sotto la lente il modo in cui si comunica. Anche di fake news nell’ambito della salute si è parlato nella seconda plenaria, dal titolo “Tra deriva populista e scientificità”, all’interno del XV Congresso Nazionale della Società Italiana di Health Technology Assessment che terminerà domani a Roma. Ne hanno discusso medici, filosofi, giornalisti e sociologi che si sono occupati del rapporto fra scienza e informazione, moderati da Giandomenico Nollo, vice presidente vicario della Sihta, e Dario Sacchini, membro del direttivo.
“Nella gestione del bene salute – avverte Nollo -, c’è un elemento, sempre più evidente e preponderante di cui il decisore deve tener conto, ovvero la percezione del cittadino, il giudizio e l’accettazione che la società dà a determinati interventi, siano essi di sanità pubblica, di innovazione terapeutica, di capacità diagnostica. Si apre in particolare il tema di come comunicare le scelte, come esercitare la funzione bidirezionale del comunicare ovvero informare ed ascoltare. Non basta buona scienza serve buona politica, anzi policy, cioè politica pubblica, capace di dare soluzioni concrete ai problemi comuni rimanendo affidabile e credibile”.
Sulla necessità di curare, così come fossero affetti da una malattia clinica, chi cade nella trappola delle cosiddette “bufale”, è Giovanni Boniolo, Giovanni Boniolo, professore di Filosofia della Scienza e Medical Humanities presso l’Università di Ferrara: “siamo circondati – dice – da diffusori di fake news, ma soprattutto da individui che vi credono. Proprio questi ultimi sono affetti da carenze tali da poterli pensare come individui ‘epistemicamente o cognitivamente fragili’ che necessitano di essere curati, esattamente come necessitano di essere curati gli individui affetti da patologie cliniche”.
Secondo Giuseppe De Rita, presidente del Censis, “L’Opinione non è la verità” ed è sempre più difficile far emergere le verità oggettive. “In un mondo – spiega De Rita – segnato dal dominio della comunicazione di massa, e suoi diversi strumenti, la coscienza collettiva tende a formarsi attraverso lo scontro fra opinioni diverse, tanto che si può dire che è l’Opinione la vera regina del mondo moderno. Ma in tale scontro vale sempre più la regola che “uno vale uno” ed in esso qui non c’è dialettica reale, solo confronto continuato fra verità tutte soggettive. E non c’è dubbio che sia difficile far penetrare in esso quelle “verità oggettive” che discendono dal lavoro di ricerca e dallo sviluppo scientifico”.
Per Ottavio Davini, già direttore sanitario e di dipartimento, Città della Salute – Molinette, componente del comitato tecnico scientifico della Società, la comunicazione scientifica durante la pandemia ha commesso molti errori. “Esiste un problema “strutturale” della nostra mente, genotipicamente identica a quella dei cacciatori-raccoglitori, quando la sopravvivenza dipendeva dalla capacità di reagire velocemente ai pericoli, facendo prevalere il ragionamento istintivo su quello analitico; soprattutto da qui derivano gli innumerevoli bias cognitivi che deformano la realtà. Inoltre, la complessità globale crescente e la quantità sterminata di informazioni disponibili ci annichiliscono. L’incapacità di comprendere è terreno fertile per la nascita delle teorie del complotto, che sono sempre esistite perché spiegano in modo semplice ciò che non è istintivamente comprensibile. Infine, la scienza è spesso controintuitiva, e può sbagliare. Per questo la comunicazione dovrebbe spiegare anche l’incertezza”.
Alzheimer: multivitaminici ridurrebbero rischio declino
News PresaL’assunzione quotidiana di multivitaminici-minerali per 3 anni ha migliorato le capacità cognitive, la memoria e la funzione esecutiva negli anziani. Gli integratori a base dei flavonoidi contenuti nel cacao, invece, non hanno mostrato particolari benefici. Sono questi i risultati di un ampio studio guidato dall’Università Wake Forest, in Carolina del Nord, e pubblicato su Alzheimer’s & Dementia, rivista dell’Alzheimer ‘s Association.
Alzheimer e demenza, qualche numero
Nel mondo sono oltre 46 milioni le persone colpite da alzheimer e demenza, ma si tratta di un numero destinato a crescere. Gli autori dello studio sottolineano l’urgenza di identificare strategie efficaci per preservare la funzione cognitiva e mitigare il pesante carico sociale associato. Ad oggi, gli integratori alimentari sono pubblicizzati per la protezione cognitiva, ma le prove a sostegno sono contrastanti. Il loro lavoro dimostra che l’uso quotidiano porta un miglioramento della cognizione globale, della memoria episodica e della funzione esecutiva nei pazienti anziani.
Lo studio
Lo studio Cosmos-Mind ha preso in considerazione 2.262 partecipanti, con età media di 73 anni. Gli studiosi hanno osservato nell’arco di 3 anni il loro stato cognitivo, la capacità di ricordare parole, storie, intervalli numerici e la fluidità verbale. Dopo aver suddiviso i partecipanti in tre gruppi, al primo sono stati somministrati quotidianamente per tre anni flavonoidi estratti dal cacao. Al secondo gruppo di anziani sono stati somministrati integratori di vitamine e sali minerali, mentre un terzo ha costituito il gruppo di controllo, ricevendo placebo.
I risultati
L’estratto di cacao non ha avuto effetto positivo mentre l’integrazione giornaliera di multivitaminici, rispetto al placebo, ha determinato un beneficio statisticamente significativo sulla cognizione, la memoria e la funzione esecutiva. L’ effetto è stato ancora più evidente nei partecipanti con una storia di malattie cardiovascolari. In particolare si è stimato un rallentamento del 60% del declino cognitivo, pari a circa 1,8 anni di protezione. Si tratta del primo studio su larga scala a lungo termine che dimostra che l’integrazione di multivitamine-minerali per gli anziani può rallentare l’invecchiamento cognitivo. Sarà necessario un ulteriore studio – sottolineano gli autori – per confermare questi risultati.
Salute degli occhi: il fumo (anche elettronico) fa male
PrevenzioneIl fumo di sigaretta favorisce una patologia che sia chiama degenerazione maculare, ciò che ha spiazzato i fumatori di sigarette elettroniche è che anche “svapare” è dannoso per gli occhi, in particolare a causa degli aromi contenuti nelle sigarette elettroniche. A mettere in guardia è un documento realizzato dall’Organizzazione mondiale della Sanità, insieme all’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità e all’Università di Newcastle. «Il fumo aumenta il rischio di sviluppare gravi patologie oculari e perdita permanente della vista. Smettere di fumare e sottoporsi a controlli oculistici regolari può aiutare a migliorare la salute degli occhi e prevenire la perdita della vista evitabile», spiega Jude Stern, responsabile della gestione della conoscenza, dell’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità.
L’OMS
Se molti ritenevano di risolvere ogni problema passando alle sigarette elettroniche si sbagliavano. Per l’Oms questa non è la soluzione. Gli aromi delle sigarette elettroniche, scrive l’Oms, «possono aumentare la produzione di radicali liberi, che danneggiano il DNA e possono portare alla cataratta», di cui soffrono circa 94 persone del mondo e porta alla perdita della vista. Svapare inoltre, «può ridurre il flusso sanguigno agli occhi, alterare la funzione retinica e aumentare il rischio di sviluppare il cancro agli occhi». Elettroniche o no, la soluzione migliore per preservare la salute è certamente quella do non fumare. Anche L’Oms esorta tutti a non usare tabacco e sigarette elettroniche per proteggere la propria salute generale, compresa la salute degli occhi.
Covid, una nuova ondata a novembre a causa della variante BQ1
News PresaDa Marco Cavaleri, responsabile della strategia vaccinale dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema), arriva un allarme. L’esperto ha detto che «nelle prossime settimane è prevista una nuova ondata» di casi Covid «legata a nuove sottovarianti di Omicron». Insomma, un forte richiamo all’attenzione, perché «la pandemia non è ancora finita”. La domanda che molti si pongono è se l’immunità raggiunta con i vaccini e con le infezioni ci aiuterà a difenderci da questa nuova ondata. Intervenuto nei giorni scorsi ad un dibattito organizzato dall’Ordine dei Medici di Napoli, il professor Francesco Vaia (Istituto Nazionale Malattie Infettive L. Spallanzani), ha rassicurato sul fatto che affronteremo i mesi invernali con «una protezione molto performante, grazie alla campagna vaccinale e all’immunità data dai contagi. Questa immunità ibrida ci proteggerà moltissimo, dobbiamo andare avanti senza catastrofismi e con una vaccinazione di richiamo che dev’essere annuale».
MUTAZIONI
A complicare le cose potrebbero essere le nuove varianti rilevate. La scorsa settimana è stata identificata la variante di Omicron BQ1 in almeno 5 Paesi d’Europa e l’Ecdc prevede che la variante BQ1 e la sua sottovariante BQ1.1 diventeranno i ceppi dominanti da metà novembre all’inizio di dicembre. Impossibile dire al momento quanto questa variante sarà più trasmissibile o se causerà una malattia più grave rispetto alle varianti BA4 e BA5, ma quello che si sa è che ha una maggiore capacità di sfuggire all’immunità conferita dalla vaccinazione, dall’aver contratto il Covid o dagli anticorpi monoclonali disponibili.
LE VACCINAZIONI
Intanto, i medici sono concorsi sulla necessità di ricorrere al vaccino anti Covid per i soggetti fragili e quanti hanno più di 60 anni. Per quanto riguarda i vaccini per i bambini, l’Ema raccomanda di vaccinare principalmente i piccoli con malattie di base per proteggerli dal ricovero e da eventuali gravi complicazioni. Nei più piccoli il rischio è anche quello della cosiddetta sindrome infiammatoria che è legata ad una risposta iper infiammatoria scatenata a seguito del contatto con un virus, principalmente il Sars-CoV-2, in soggetti predisposti geneticamente.
Infezioni sessualmente trasmesse aumentano rischio di HIV
News PresaOgni giorno nel mondo vengono contratte più di 1 milione di infezioni a trasmissione sessuale. Sono i giovani tra 15 e i 24 anni la fascia di età molto più esposta. Le Ist (infezioni sessualmente trasmesse) includono un vasto gruppo di malattie infettive molto diffuse in tutto il mondo. Possono essere causa di sintomi acuti, infezioni croniche e gravi complicanze a lungo termine per milioni di persone ogni anno e le cure assorbono ingenti risorse economiche. Le IST sono principalmente associate all’infezione da HIV, infatti le persone con IST sono la popolazione ad alto rischio di acquisire o trasmettere l’HIV attraverso le lesioni di continuo presenti a livello genitale, tanto da indurre l’OMS a raccomandare l’offerta del test HIV a tutte le persone con una IST.
Qualche dato
L’incidenza delle IST nel mondo è in continuo aumento. Ogni anno, sono circa 376 milioni le nuove infezioni, di cui 1 su 4 è una malattia sessualmente trasmessa: clamidia, gonorrea, sifilide e tricomoniasi. Si stima che oltre 500 milioni di persone abbiano un’infezione genitale da virus herpes simplex (HSV). Più di 290 milioni di donne presentano un’infezione da papillomavirus umano (HPV). Inoltre, la maggior parte delle IST non presenta sintomi o presenta solo sintomi lievi che potrebbero non essere riconosciuti come IST. Le malattie sessualmente trasmissibili come l’HSV di tipo 2 e la sifilide possono aumentare il rischio di HIV . In alcuni casi, le malattie sessualmente trasmissibili possono avere gravi conseguenze sulla salute riproduttiva oltre l’impatto immediato dell’infezione stessa (ad es. infertilità o trasmissione da madre a figlio).
Infezioni sessualmente trasmesse: non solo dai rapporti sessuali
Le IST si trasmettono attraverso qualsiasi tipo di rapporto sessuale (vaginale, anale, orale) per contatto con i liquidi organici infetti (sperma, secrezioni vaginali, sangue, saliva). Inoltre, si possono trasmettere attraverso il sangue (es. trasfusioni, contatto con ferite, scambio di siringhe, tatuaggi, piercing) o con i trapianti di tessuto o di organi (HIV, HBV, HCV, Sifilide), e infine, per passaggio diretto dalla madre al feto o al neonato durante la gravidanza, il parto, o l’allattamento (es. HIV, virus dell’epatite B, herpes genitale, sifilide, gonorrea, clamidia).
Dall’ISS un nuovo modello di prevenzione e controllo
“Le Infezioni Sessualmente Trasmesse sono patologie diffuse ma, purtroppo, troppo spesso sono diagnosticate e curate tardivamente e questo favorisce la loro diffusione. Inoltre, toccano una sfera molto privata e intima della vita delle persone e questo merita particolare attenzione – ha sottolineato Anna Teresa Palamara, che dirige il Dipartimento Malattie Infettive dell’Iss -. È fondamentale quindi mettere in campo una serie di iniziative che facilitino l’accesso alla diagnosi e alla cura potenziando o creando Centri a cui possano rivolgersi i pazienti ai primi sintomi in maniera rapida e anonima”. Una rete con centri periferici territoriali (centri spoke) e centri di riferimento con elevate competenze multidisciplinari (centri hub), un accesso facilitato per i pazienti, in tempi brevi e con costo ridotto e una diffusione capillare degli strumenti di prevenzione. È il modello organizzativo per la lotta alle Infezioni sessualmente trasmesse (Ist) che emerge dal progetto coordinato dal Dipartimento di Malattie Infettive-Iss “Sperimentazione di nuovi modelli organizzativi integrati ospedale-territorio per la prevenzione e il controllo delle IST: percorsi diagnostico-assistenziali agevolati ed offerta di screening gratuiti mirati”, i cui risultati sono stati presentati durante un convegno che si è tenuto nella sede dell’Istituto. Il progetto, realizzato in accordo e con il supporto tecnico e finanziario del Ministero della Salute – CCM, ha coinvolto otto unità operative che hanno adottato una pianificazione e una sperimentazione di percorsi diagnostico-assistenziali agevolati per le IST sul territorio nazionale. Ne è scaturito un modello assistenziale innovativo, e una serie di azioni da mettere in campo per contrastare meglio queste patologie, che secondo l’Oms contano un milione di casi ogni anno nel mondo e che sono segnalate in crescita anche nel nostro paese. “È il momento di elaborare un piano strategico nazionale IST – ha affermato Barbara Suligoi, responsabile del progetto, e l’esperienza di questo progetto può fornire utili indicazioni in questo senso per un modello che contrasti la dispersione dei soggetti con IST in ambiti sanitari diversi e la mancanza di uniformità e appropriatezza nei percorsi diagnostico-assistenziali”.
Stanchezza e cefalee, i rischi inaspettati del sonno
News PresaRiposare male di notte ed essere stanchi al risveglio, avere di frequente il mal di testa, sono solo alcuni dei sintomi della sindrome delle apnee ostruttive del sonno (Osa). Una condizione che non è rara quanto si potrebbe invece pensare. Basti pensare che a livello globale interessa quasi un 1 miliardo di persone, addirittura 7 milioni in Italia, dove poco più di 250mila risultano in trattamento. In altre parole, ogni medico di famiglia ha almeno 200 pazienti con questo tipo di patologia e circa 100 hanno la forma conclamata.
SINTOMI
La sindrome da apnee notturne ha dei campanelli d’allarme ben definiti, sintomi sia notturni che diurni. Chi ne soffre, durante la notte russa, suda, ha continui risvegli e spesso ha la necessità di alzarsi più volte per urinare. Al risveglio la sonnolenza è tanta e per circa 15 minuti si può avere cefalea al risveglio. Inoltre, vista la carenza di riposo, si ha la tendenza a dimenticare le cose e difficoltà a concentrarsi. Possono anche essere sintomi di questa sindrome i disturbi dell’umore e le disfunzioni nella sfera sessuale.
RIMEDI
Ma come si può intervenire per curare le apnee notturne? Il trattamento prevede una terapia primaria tramite Cpap (Continous positive airway pressure), ovvero con la pressione continua positiva delle vie aeree. Ci sono anche altri rimedi come la terapia posizionale, i dispositivi di avanzamento mandibolare (Mad, Mandibular advancement device) o addirittura interventi chirurgici. Tuttavia in alcuni casi la sonnolenza diurna può persistere. In questi casi c’è, ed è un’ottima notizia, una nuova terapia. Il consiglio è quello di rivolgersi al proprio medico di famiglia per affrontare e risolvere un problema che può rovinarci la vita.
Diabete, obesità e nutrizione: cresce consapevolezza. Al via congresso SID
News PresaCresce in modo esponenziale la consapevolezza nei confronti di diabete, obesità e nutrizione. Un dato presentato ieri durante il 29° Congresso della Società Italiana di Diabetologia (SID), inaugurato al PalaCongressi di Rimini. «Il nostro auspicio è che, grazie alla sensibilità del neoministro della salute Orazio Schillaci, malattie sociali dai costi enormi come il diabete e l’obesità diventino delle priorità sanitarie». Così il Presidente SID, Agostino Consoli, nel corso del suo intervento alla tavola rotonda introduttiva.
L’attenzione dei media
Dal 26 al 29 ottobre, 170 professori e 1.300 diabetologi si riuniscono e trattano in 20 sessioni e 78 studi presentati i risultati più recenti della ricerca medica in questo settore. Consoli, Presidente della Società Italiana di Diabetologia e Professore ordinario di Endocrinologia all’Università di Chieti, nella sua lettura ha illustrato una panoramica sullo stato della ricerca e dei relativi investimenti, della formazione, della divulgazione e della advocacy, in cui spiccano i risultati delle Linee guida sulla terapia dell’Istituto Superiore di Sanità , la Lettera aperta sul Patto Parlamentare per il diabete e la Nota 100 dell’Agenzia Italiana del Farmaco, che estende ai medici di Medicina Generale la possibilità di prescrivere un trattamento con tre diverse categorie di farmaci. Nel corso della apertura dei lavori, il Presidente Consoli si è soffermato sulla esplosione dell’interesse e della consapevolezza, anche nei media, nel rapporto tra obesità , diabete e nutrizione. Il rapporto con obesità e complicanze statisticamente è “esploso” negli ultimi anni in Italia, al punto da nascere un neologismo, quello della “diabesità”.
«Questo è un congresso di ripartenza dopo le difficoltà della pandemia – ha detto ancora Consoli – in cui ci si appassiona non solo al mondo del diabete, ma anche al mondo e il diabete, quindi a come la malattia impatta sulla società, e al diabete nel mondo, ossia a quali processi si devono attuare per una cura adeguata della malattia. Negli ultimi tempi è cresciuta notevolmente l’attenzione nei confronti di malattie metaboliche come il diabete, così come nei confronti della nutrizione e di come il cibo sia figlio del nostro modello culturale: cosa mangiamo, quanto mangiamo, come e quando mangiamo derivano tutti da usi e tradizioni che stanno cambiando. Quanto questo mutamento possa portare alla malattia è uno dei punti nodali che affronteremo in questi giorni di lavoro insieme ai nostri partner scientifici».
Diabete: la solitudine del paziente e del medico
Sempre in ambito di altre correlazioni si è soffermato anche Angelo Avogaro, Presidente eletto di SID, che riflette sull’interazione tra il diabete e un altro “trinomio” sviluppatosi negli ultimi due anni di pandemia, quello composto da solitudine (non solo del paziente ma anche del medico), ansia e depressione.
«Per il futuro della nostra disciplina – ha detto Angelo Avogaro – è cruciale aumentare i posti a disposizione per le specializzazioni in diabetologia. Se da un lato è un bene aver pensato con il PNRR una potente macchina per la prevenzione e la cura della malattia con i centri per il diabete, dall’altro non la si può lasciare senza equipaggio. È fondamentale inoltre rendere più attrattivo, anche dal punto di vista economico, il ruolo del medico nel servizio sanitario nazionale, per non perdere i tanti professionisti che escono dalle nostre facoltà. Nello specifico, ai diabetologi vanno anche riconosciuti i risultati della prevenzione, fatta di cure e terapie che possono evitare eventi fatali».
Dai giocattoli alle bottiglie, le microplastiche aumentano il rischio di obesità e non solo
News PresaGli inquinanti agiscono come interferenti endocrini: aumentano il rischio di malattie metaboliche e non solo. Aumentano il rischio di obesità e producono effetti a livello dell’intestino. Lo ha ribadito Amalia Gastaldelli, Direttore di Ricerca Unità di Rischio Cardiometabolico, Istituto di Fisiologia Clinica, CNR di Pisa, durante il suo intervento nella prima giornata del Congresso Nazionale della Società Italiana di Diabetologia in corso a Rimini. Ci sono ormai dati evidenti – ha sottolineato la prof.ssa. Gli inquinanti interferiscono sulle funzioni del fegato. Quest’ultimo é un organo importantissimo. Se fino ad oggi la maggior parte degli studi si sono concentrati sugli inquinanti persistenti, come ad esempio le diossine, esistono anche gli inquinanti non persistenti, presenti nelle plastiche, quindi nei giocattoli, nei cosmetici, nelle bottiglie dell’acqua. Possono sembrare apparentemente oggetti innocui, ma le microplastiche sono legate a un maggiore rischio di malattie anche cardiovascolari.
Dalle bottiglie ai giocattoli: i rischi delle microplastiche
“Le microplastiche più piccole di 20 µm – ha spiegato l’esperta – aumentano il rischio di sviluppare malattie endocrine e cardiometaboliche come obesità, steatosi epatica non alcolica, diabete, ipertensione, aterosclerosi, malattia coronarica, malattia renale cronica e disfunzione tiroidea. Più lunga è l’esposizione (ad esempio prenatale o durante l’infanzia) maggiore è il rischio”. Oggi sappiamo con certezza che l’esposizione umana all’inquinamento da microplastica ha conseguenze significative e potenziali danni per l’uomo.
“La Società Italiana di Diabetologia – ha osservato il prof. Massimo Federici introducendo il dibattito – si occupa della crescita culturale di chi si dovrà occupare della persona che vive con il diabete nei prossimi anni. Al contempo è impegnata nel contesto sociale e politico per far comprendere quali siano i problemi della persona che vive con il diabete e come poterla aiutare. Interessanti a questo proposito sono i risultati del simposio dedicato all’ambiente come minaccia per il diabete e del diabete come minaccia per l’ambiente che ha aperto il congresso, in cui grande rilievo hanno avuto i problemi che legano l’inquinamento al decorso della malattia, sia dal punto di vista patologico, sia dal punto di vista dei costi sociali della malattia. Importante anche il rapporto tra psiche e diabete, in particolare riguardo la depressione, che può essere una complicanza della malattia. Parleremo nei prossimi giorni anche di aspetti clinici, riguardanti sia la chirurgia, sia i nuovi farmaci a disposizione”.
Un farmaco innovativo per dire addio al colesterolo
Ricerca innovazioneChi ha il colesterolo sa bene quale sia la schiavitù di dover ricorrere ogni sera alle statine. Pillole molto efficaci, ma alla lunga anche con effetti collaterali. Ora però contro il colesterolo c’è un farmaco che potrebbe cambiare la vita di moltissimi pazienti. Entrato in Gazzetta Ufficiale il 3 ottobre e approvata la sua rimborsabilità da AIFA, questa nuova arma può essere prescritta negli adulti con ipercolesterolemia primaria (eterozigote familiare e non familiare) o dislipidemia mista (condizioni caratterizzate da alti livelli di grassi nel sangue, incluso il colesterolo). Prescritto da uno specialista, il viene iniettato due volte l’anno.
COLESTEROLO CATTIVO
La prima e la seconda “dose” vengono iniettate a distanza di 3 mesi l’una dall’altra, poi ogni sei mesi. Il farmaco riesce ad interferire con l’RNA messaggero e così a dimezzare i livelli di colesterolo a bassa densità (LDL-C, più comunemente, “colesterolo cattivo”). In questo modo si può “aggredire” la principale causa dell’aterosclerosi, patologia vascolare più diffusa al mondo e responsabile di eventi coronarici e cerebrovascolari acuti (come l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale). «Un’innovazione terapeutica che riteniamo abbia il potenziale per superare le attuali sfide all’aderenza e persistenza alla terapia» ha spiegato all’AGI Furio Colivicchi, presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). «Il nuovo farmaco offre anche un vantaggio in termini di posologia rispetto ai farmaci già disponibili, grazie alla somministrazione sottocutanea su base semestrale».
MALATTIE CARDIOVASCOLARI
Ma quali sono le patologie legate all’eccesso di colesterolo. In generale sono quelle a carico del cuore o dei vasi sanguigni e sono malattie che si accompagnano all’arteriosclerosi. Il restringimento, l’ostruzione o l’eccessivo allargamento (aneurisma) dei vasi sanguigni che possono accompagnare questa malattia, sono infatti responsabili di malattie molto diffuse, come l’angina pectoris e l’infarto, l’ictus e altre malattie vascolari periferiche. Le malattie cardiovascolari sono molto pericolose e a livello mondiale rappresentano la principale causa di morte. Contribuiscono a questo triste primato soprattutto le malattie che insorgono per uno stile di vita sempre più caratterizzato dall’abuso di fumo, alcol e droghe, dalla sedentarietà e da una dieta poco salutare.
Fake news: incapacità di comprendere terreno fertile delle teorie del complotto
News PresaL’esperienza del Covid-19 ha portato all’esondazione di una marea di informazioni spesso anti-scientifiche, ponendo sotto la lente il modo in cui si comunica. Anche di fake news nell’ambito della salute si è parlato nella seconda plenaria, dal titolo “Tra deriva populista e scientificità”, all’interno del XV Congresso Nazionale della Società Italiana di Health Technology Assessment che terminerà domani a Roma. Ne hanno discusso medici, filosofi, giornalisti e sociologi che si sono occupati del rapporto fra scienza e informazione, moderati da Giandomenico Nollo, vice presidente vicario della Sihta, e Dario Sacchini, membro del direttivo.
“Nella gestione del bene salute – avverte Nollo -, c’è un elemento, sempre più evidente e preponderante di cui il decisore deve tener conto, ovvero la percezione del cittadino, il giudizio e l’accettazione che la società dà a determinati interventi, siano essi di sanità pubblica, di innovazione terapeutica, di capacità diagnostica. Si apre in particolare il tema di come comunicare le scelte, come esercitare la funzione bidirezionale del comunicare ovvero informare ed ascoltare. Non basta buona scienza serve buona politica, anzi policy, cioè politica pubblica, capace di dare soluzioni concrete ai problemi comuni rimanendo affidabile e credibile”.
Sulla necessità di curare, così come fossero affetti da una malattia clinica, chi cade nella trappola delle cosiddette “bufale”, è Giovanni Boniolo, Giovanni Boniolo, professore di Filosofia della Scienza e Medical Humanities presso l’Università di Ferrara: “siamo circondati – dice – da diffusori di fake news, ma soprattutto da individui che vi credono. Proprio questi ultimi sono affetti da carenze tali da poterli pensare come individui ‘epistemicamente o cognitivamente fragili’ che necessitano di essere curati, esattamente come necessitano di essere curati gli individui affetti da patologie cliniche”.
Secondo Giuseppe De Rita, presidente del Censis, “L’Opinione non è la verità” ed è sempre più difficile far emergere le verità oggettive. “In un mondo – spiega De Rita – segnato dal dominio della comunicazione di massa, e suoi diversi strumenti, la coscienza collettiva tende a formarsi attraverso lo scontro fra opinioni diverse, tanto che si può dire che è l’Opinione la vera regina del mondo moderno. Ma in tale scontro vale sempre più la regola che “uno vale uno” ed in esso qui non c’è dialettica reale, solo confronto continuato fra verità tutte soggettive. E non c’è dubbio che sia difficile far penetrare in esso quelle “verità oggettive” che discendono dal lavoro di ricerca e dallo sviluppo scientifico”.
Per Ottavio Davini, già direttore sanitario e di dipartimento, Città della Salute – Molinette, componente del comitato tecnico scientifico della Società, la comunicazione scientifica durante la pandemia ha commesso molti errori. “Esiste un problema “strutturale” della nostra mente, genotipicamente identica a quella dei cacciatori-raccoglitori, quando la sopravvivenza dipendeva dalla capacità di reagire velocemente ai pericoli, facendo prevalere il ragionamento istintivo su quello analitico; soprattutto da qui derivano gli innumerevoli bias cognitivi che deformano la realtà. Inoltre, la complessità globale crescente e la quantità sterminata di informazioni disponibili ci annichiliscono. L’incapacità di comprendere è terreno fertile per la nascita delle teorie del complotto, che sono sempre esistite perché spiegano in modo semplice ciò che non è istintivamente comprensibile. Infine, la scienza è spesso controintuitiva, e può sbagliare. Per questo la comunicazione dovrebbe spiegare anche l’incertezza”.
Chi ha una vita sedentaria ha cellule più vecchie di 8 anni
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione, SportChi è troppo sedentario, soprattutto dopo una certa età, rischia di invecchiare più in fretta. Le donne che stanno su una sedia o in poltrona per più di 10 ore, facendo al tempo stesso poco esercizio, hanno cellule biologicamente più vecchie di otto anni rispetto a coloro che sono invece meno sedentarie. Lo rivela una ricerca della University of California San Diego School of Medicine, pubblicato sulla rivista American Journal of Epidemiology, che ha preso in esame 1481 donne, tra i 64 e i 95 anni, che allo stesso tempo conferma le tesi secondo cui il movimento aiuta a stare in forma, in buona salute ed è un valido alleato della longevità. Le partecipanti allo studio, parte di un più ampio campione della Women’s Health Initiative, – un’analisi nazionale sulle malattie croniche e la menopausa – , hanno completato dei questionari e indossato un accelerometro sul fianco destro per sette giorni consecutivi durante le ore di veglia e di sonno per monitorare i movimenti. La ricerca ha inoltre confermato che le donne anziane che facevano meno di 40 minuti al giorno di attività fisica da moderata a intensa avevano dei telomeri più corti. I telomeri sono le ‘estremità’ dei cromosomi, che li proteggono dal deterioramento e progressivamente si accorciano con l’età.
“La nostra ricerca ha dimostrato – spiega il primo autore dello studio Aladdin Shadyab, Department of Family Medicine and Public Health presso la UC San Diego School of Medicine – che le cellule invecchiano precocemente se si conduce una vita sedentaria ed è noto da tempo che l’età anagrafica non sempre va di pari passo con quella biologica”.