Tempo di lettura: 3 minutiI real world data non sono un concetto nuovo. Sono nuovi, invece, i processi di digitalizzazione della sanità che hanno migliorato ed incrementato le possibilità di raccolta dei dati nella pratica clinica. Anche le tecnologie utilizzate nell’analisi dei dati sono evolute rispetto a quelle utilizzate negli studi osservazionali del secolo scorso. Al tema è stata dedicata la sessione di apertura dell’ultima giornata del XV Congresso Nazionale della Società Italiana di Health Technology Assessment.
Un percorso di collaborazione tra l’Agenzia e le società scientifiche è stato attivato in diversi ambiti dell’assistenza farmaceutica. In particolare, quella stretta con la Sihta è iniziata a maggio dello scorso anno ed ha portato a due studi che evidenziano tra l’altro l’importanza dei Real world data raccolti nell’ambito dei Registri di monitoraggio, a supporto dei processi di HTA in Italia.
“Inizia un percorso di valutazione che in Italia è all’avanguardia nel contesto europeo, avvantaggiato dalla possibilità di avere una raccolta dei dati di Real world su un ampio ventaglio di medicinali innovativi e prioritari per la tutela della salute”, commenta Francesco Saverio Mennini, presidente della Sihta. A fine settembre, l’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha rilasciato un documento in cui propone le Good practice guide nell’uso dei real-world data a sostegno del miglioramento delle evidenze utili nelle decisioni sul profilo beneficio-rischio dei farmaci.
“Il medicinale – ricorda Pierluigi Russo, direttore dell’ufficio Valutazioni Economiche e Ufficio Registri di Monitoraggio dell’Agenzia italiana del farmaco – quando viene ammesso al rimborso da parte del SSN, va incontro negli anni a procedure di rivalutazione e di rinegoziazione. Se il farmaco è sottoposto al registro di monitoraggio, i dati in essi raccolto sono utilizzati in questi processi decisionali. Lo scopo è arrivare sul tavolo delle decisioni con dati tecnicamente e scientificamente solidi nel descrivere i risultati avuti nella pratica clinica e nello specifico contesto assistenziale italiano”.
Real-world data, gli studi
Il primo studio in collaborazione con la Sihta ha analizzato i determinanti dell’impatto sulla spesa farmaceutica di medicinali per le malattie rare nei primi tre anni di commercializzazione. “In tutto – illustra Russo – sono 52 i dossier analizzati relativi a medicinali ammessi alla rimborsabilità nel periodo fra gennaio 2013 e gennaio 2019, di cui il 35% riguardava i farmaci innovativi. L’unico determinante di un disallineamento tra la spesa attesa al momento dell’autorizzazione AIFA e quella poi successivamente osservata è stato la sua innovatività, come attribuita dalla Commissione tecnico-scientifica. Sebbene, nel caso di farmaci per le malattie rare non innovativi, la spesa farmaceutica osservata nei primi tre anni di commercializzazione risulti in media in linea con le previsioni di spesa attesa al termine della negoziazione, nel caso di farmaci innovativi invece nei primi due anni la spesa osservata risulta superiore a quella attesa.
“Quando – continua Russo – non ci sono dati epidemiologici relativi al contesto assistenziale italiano, soprattutto nel caso di malattie rare, anche a causa di pazienti che magari attendono il rimborso dello specifico farmaco, le previsioni potrebbero sottostimare l’effettiva quota di pazienti”. I real-world data ecco che diventano rilevanti per calibrare le valutazioni economiche e questo è uno dei suggerimenti principali che derivano dalla “collaborazione con la Sihta nell’analisi di questi dati sui farmaci per malattie rare”.
Il secondo studio si è concentrato sull’accesso ai monoclonali e antivirali per il COVID-19 introdotti durante la pandemia. I dati dei registri di monitoraggio AIFA, in questo caso, sono stati utilizzati primariamente nelle attività di coordinamento delle Regioni, con il ministero della Salute e la struttura commissariale, finalizzata ad ottimizzare gli acquisti centralizzati e la loro distribuzione iti sul territorio in funzione dell’andamento della pandemia. “Abbiamo avuto – commenta Russo – gestito i processi di distribuzione e ridistribuzione di questi medicinali in funzione delle regioni dove la pandemia impattava maggiormente e attivato un percorso di comunicazione importante con 82 report pubblici”. Tuttavia, in virtù del fatto che tali medicinali sono stati acquistati centralmente dalla struttura commissariale, questi hanno rappresentato un caso paradigmatico che è stato oggetto di analisi nell’ambito del secondo studio.
Anche sulla scorta di uno studio condotto dall’ALTEMS dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha mappato le modalità organizzative di risposta al COVID-19 nelle diverse regioni, Russo spiega: “abbiamo verificato che le prevalenze di trattamento, a parità di casi diagnosticati di COVID-19, in funzione del modello organizzativo a cui erano associate le regioni. Lo studio evidenzia l’importanza dell’organizzazione dell’assistenza farmaceutica locale nel condizionare criticamente l’accesso per il paziente in funzione dei bisogni di cura. Abbiamo imparato dalla pandemia l’importanza di un coordinamento nazionale forte dell’assistenza farmaceutica a supporto delle regioni, che è utile a ridurre quelle disomogeneità territoriali nell’erogazione dell’assistenza che spesso si osservano”.
Cibi ultraprocessati: +30% rischio tumore al colon. Quali sono
Alimentazione, PrevenzioneI “cibi ultraprocessati” spesso sono quelli più veloci da preparare e che si conservano più a lungo. Non sempre, però, la cosa più facile è quella migliore per la salute. Questi alimenti confezionati e pronti per essere riscaldati o consumati direttamente sono frutto di ripetute lavorazioni industriali. Un alto consumo può creare problemi per la salute e aumentare il rischio di tumore del colon del 30 per cento circa. La conferma arriva da nuovi dati.
I cibi ultraprocessati contengono additivi, emulsionanti, zuccheri artificiali e altre sostanze con un alto potere infiammatorio. Inoltre, nei processi di lavorazione o riscaldamento si possono generare sostanze potenzialmente cancerogene, come nitrosamine o acrilamide, che aumentano i rischi per la salute.
Cibi ultraprocessati, il nuovo studio
Negli USA il consumo di cibi ultraprocessati è in continuo aumento: mediamente il 57 per cento circa delle calorie consumate dagli adulti deriva da essi. La ricerca ha coinvolto quasi 300.000 persone negli Stati Uniti, già arruolate in tre diversi studi di popolazione e seguite per almeno due decenni. Gli esperti si sono concentrati in particolare sui cibi pronti da mangiare o da scaldare. Dai risultati è emerso che gli uomini con il più alto livello di consumo di cibi ultraprocessati hanno un rischio più alto di sviluppare un tumore del colon. Nelle donne questa associazione generale non è stata osservata. Anzi, nella popolazione femminile il consumo di alcuni cibi ultraprocessati, come lo yogurt, sembra avere un effetto protettivo contro il cancro del colon. L’aumento del rischio varia inoltre a seconda dei diversi tipi di alimenti ultraprocessati consumati. Raggiunge il valore massimo (44 per cento circa) in associazione con quelli a base di carne, pollo e pesce.
In Italia aumenta il consumo di cibo pronto
Uno studio condotto in Molise, dal gruppo diretto da Licia Iacoviello presso il Dipartimento di epidemiologia e prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli (IS), ha osservato per 12 anni oltre 22.000 persone nell’ambito del Progetto epidemiologico prospettico Moli-sani. I risultati, pubblicati sul British Medical Journal, dimostrano come le abitudini alimentari siano associate al rischio di mortalità. Sono stati presi in considerazione sia gli aspetti nutrizionali sia quelli legati al grado di trasformazione dei cibi.
“I nostri risultati” spiega Marialaura Bonaccio, prima autrice dell’articolo “confermano che il consumo di alimenti di scarsa qualità nutrizionale o di cibi ultraprocessati aumenta in modo rilevante il rischio di mortalità, in particolare per le malattie cardiovascolari ma anche per i tumori”. Più del contenuto nutrizionale della dieta, è il grado di lavorazione industriale dei suoi componenti a incidere maggiormente sul rischio di mortalità. “Oltre l’80 per cento degli alimenti – continua l’esperta – classificati come non salutari dal cosiddetto Nutri-Score è anche ultraprocessato (Nutri-Score è un’etichetta nutrizionale promossa dall’Unione europea e che non è ancora obbligatoria in Italia). I risultati ottenuti suggeriscono dunque che il rischio di mortalità aumenti non solo per la bassa qualità nutrizionale di alcuni prodotti, ma anche per la loro eccessiva elaborazione”.
Quali sono i cibi ultraprocessati
Gli esperti della Harvard Medical School hanno spiegato la differenza tra i diversi gradi di lavorazione dei cibi. Il cibo è considerato non processato o minimamente processato quando si presenta integro. In altre parole, è così come è presente in natura o con solo pochi cambiamenti rispetto al suo stato originario. Carote e mele sono solo alcuni esempi. Un grado di lavorazione comune, invece, consiste nella cottura e nell’aggiunta di sale o olio. Se ciò avviene industrialmente, come per esempio con i legumi in scatola, i cibi sono detti processati.
I cibi ultraprocessati contengono, invece, molti ingredienti aggiunti (sale, zucchero, coloranti, additivi ecc…). Spesso sono prodotti dall’elaborazione di sostanze (grassi, amidi eccetera) estratte da alimenti più semplici. Fanno parte dei cibi ultraprocessati molti piatti pronti e surgelati, le bevande zuccherate, i prodotti in vendita nei “fast-food” e molti snack confezionati (dolci o salati). In alcuni casi sono ultraprocessati anche alimenti erroneamente considerati salutari, come i cereali per la colazione, gli yogurt dolci alla frutta o i cracker.
“Questi alimenti sono in genere ricchi di zuccheri aggiunti, grassi e amido raffinato che alterano la composizione del microbiota intestinale, ovvero i microrganismi che colonizzano il nostro intestino, contribuendo tra l’altro all’aumento di peso e all’obesità” scrivono i ricercatori, autori del primo articolo, che hanno condotto la ricerca negli Stati Uniti. Riconoscere i cibi ultraprocessati non è sempre facile, ma leggere l’etichetta riportata sulla confezione può essere di grande aiuto. Più si allunga la lista degli ingredienti maggiore è la probabilità che sia stato lavorato o ultralavorato.
Cancro al colon-retto, le terapie combinate con la chirurgia
News Presa«Siamo nel pieno di un enorme cambiamento di scenario, che oggi ci consente di praticare una chirurgia altamente personalizzata, “sartoriale”, grazie all’uso della terapia neoadiuvante chemio-radio e della total neoadiuvant therapy, la cui efficacia consente al chirurgo interventi mirati meno demolitivi e più rispettosi della conservazione dell’organo».
Francesco Selvaggi
A parlare dei grandi passi in avanti fatti nel campo della chirurgia per il tumore del colon e del retto è Francesco Selvaggi, ordinario di Chirurgia e primario del reparto di Chirurgia colorettale alla Vanvitelli di Napoli. Selvaggi è tra coloro i quali hanno sempre creduto nel ruolo della prevenzione per intercettare precocemente la malattia. Ma come ci si può difendere da una patologia che vede sempre più diagnosi in pazienti sempre più giovani? Selvaggi spiega che oggi, come prima linea di controllo, è necessaria una visita specialistica che in caso di problemi o sospetti potrà indirizzare il paziente a sottoporsi ad esami diagnostici più specifici. Lo screening di massa prevede la ricerca del sangue occulto nelle feci, che in caso di positività deve essere seguito da una colonscopia.
SINTOMI
Uno dei problemi maggiori per i quali spesso la diagnosi non arriva precocemente è che in generale i polipi non provocano sintomi. Solo se si determinano delle perdite di sangue ci si può rendere conto di avere un problema. In generale, però, i sintomi sono molto variabili e condizionati da diversi fattori quali la sede del tumore, la sua estensione e la presenza o assenza di ostruzioni o emorragie. Questo fa sì che le manifestazioni di questo tipo di cancro siano spesso sovrapponibili a quelle di molte altre malattie addominali o intestinali. Capita non di rado che sintomi precoci, vaghi e saltuari come possono essere la stanchezza e la mancanza di appetito, ma anche sintomi più gravi come una vera e propria anemia o la perdita di peso, sono spesso trascurati dal paziente, soprattutto se si tratta di ragazzi giovani. Talora una stitichezza ostinata, alternata a diarrea, può costituire un primo campanello d’allarme da non sottovalutare.
TERAPIE E CHIRURGIA
Ci sono poi pazienti che hanno alcuni specifici marcatori molecolari, per i quali si può intervenire con la total neoadjuvant therapy, «anticipando la chemioterapia – dice Selvaggi – possiamo ridurre il volume del tumore e facilitarne l’asportazione, aprendo la strada a interventi chirurgici estremamente conservativi». Recenti dati presentati a Parigi all’European Society Medical Oncology (ESMO) confermano il beneficio della immunoterapia neoadiuvante in pazienti con una particolare predisposizione genetica, la dMMR (mismatch repair-deficient). Selvaggi precisa che per alcuni interventi è addirittura possibile accedere per via transrettale, limitando di molto le complicazioni post operatorie e abbreviando i tempi di degenza. L’approccio transrettale è certamente mininvasivo e consente di ridurre il trauma operatorio, tutelando l’organo e la sua funzione. Per quei pazienti in cui la malattia è recidiva, è possibile ottenere con metodiche chirurgiche avanzate e moderne la guarigione chirurgica, restituendo una buona qualità della vita. Dunque un panorama in continua evoluzione, che vede il reparto di Selvaggi tra i primi in Campania per la chirurgia di queste neoplasie, un vero e proprio centro d’eccellenza per tutte quelle situazioni che hanno esigenza di un approccio condiviso, attraverso i gruppi oncologici multidisciplinari (GOM) che comprendono oltre i chirurghi, oncologi, radiologi, radioterapisti, anatomopatologi, gastroenterologi e psicologi. «La direzione generale guidata dal dottor Ferdinando Russo – conclude Selvaggi – sostiene con forza un’azione di rilancio e implementazione di un’offerta assistenziale di altissimo livello. Un lavoro che ci sta mettendo in condizione di essere attrattivi anche per pazienti che vengono da altre regioni»
Come i real world data supportano le scelte di salute
News PresaI real world data non sono un concetto nuovo. Sono nuovi, invece, i processi di digitalizzazione della sanità che hanno migliorato ed incrementato le possibilità di raccolta dei dati nella pratica clinica. Anche le tecnologie utilizzate nell’analisi dei dati sono evolute rispetto a quelle utilizzate negli studi osservazionali del secolo scorso. Al tema è stata dedicata la sessione di apertura dell’ultima giornata del XV Congresso Nazionale della Società Italiana di Health Technology Assessment.
Un percorso di collaborazione tra l’Agenzia e le società scientifiche è stato attivato in diversi ambiti dell’assistenza farmaceutica. In particolare, quella stretta con la Sihta è iniziata a maggio dello scorso anno ed ha portato a due studi che evidenziano tra l’altro l’importanza dei Real world data raccolti nell’ambito dei Registri di monitoraggio, a supporto dei processi di HTA in Italia.
“Inizia un percorso di valutazione che in Italia è all’avanguardia nel contesto europeo, avvantaggiato dalla possibilità di avere una raccolta dei dati di Real world su un ampio ventaglio di medicinali innovativi e prioritari per la tutela della salute”, commenta Francesco Saverio Mennini, presidente della Sihta. A fine settembre, l’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha rilasciato un documento in cui propone le Good practice guide nell’uso dei real-world data a sostegno del miglioramento delle evidenze utili nelle decisioni sul profilo beneficio-rischio dei farmaci.
“Il medicinale – ricorda Pierluigi Russo, direttore dell’ufficio Valutazioni Economiche e Ufficio Registri di Monitoraggio dell’Agenzia italiana del farmaco – quando viene ammesso al rimborso da parte del SSN, va incontro negli anni a procedure di rivalutazione e di rinegoziazione. Se il farmaco è sottoposto al registro di monitoraggio, i dati in essi raccolto sono utilizzati in questi processi decisionali. Lo scopo è arrivare sul tavolo delle decisioni con dati tecnicamente e scientificamente solidi nel descrivere i risultati avuti nella pratica clinica e nello specifico contesto assistenziale italiano”.
Real-world data, gli studi
Il primo studio in collaborazione con la Sihta ha analizzato i determinanti dell’impatto sulla spesa farmaceutica di medicinali per le malattie rare nei primi tre anni di commercializzazione. “In tutto – illustra Russo – sono 52 i dossier analizzati relativi a medicinali ammessi alla rimborsabilità nel periodo fra gennaio 2013 e gennaio 2019, di cui il 35% riguardava i farmaci innovativi. L’unico determinante di un disallineamento tra la spesa attesa al momento dell’autorizzazione AIFA e quella poi successivamente osservata è stato la sua innovatività, come attribuita dalla Commissione tecnico-scientifica. Sebbene, nel caso di farmaci per le malattie rare non innovativi, la spesa farmaceutica osservata nei primi tre anni di commercializzazione risulti in media in linea con le previsioni di spesa attesa al termine della negoziazione, nel caso di farmaci innovativi invece nei primi due anni la spesa osservata risulta superiore a quella attesa.
“Quando – continua Russo – non ci sono dati epidemiologici relativi al contesto assistenziale italiano, soprattutto nel caso di malattie rare, anche a causa di pazienti che magari attendono il rimborso dello specifico farmaco, le previsioni potrebbero sottostimare l’effettiva quota di pazienti”. I real-world data ecco che diventano rilevanti per calibrare le valutazioni economiche e questo è uno dei suggerimenti principali che derivano dalla “collaborazione con la Sihta nell’analisi di questi dati sui farmaci per malattie rare”.
Il secondo studio si è concentrato sull’accesso ai monoclonali e antivirali per il COVID-19 introdotti durante la pandemia. I dati dei registri di monitoraggio AIFA, in questo caso, sono stati utilizzati primariamente nelle attività di coordinamento delle Regioni, con il ministero della Salute e la struttura commissariale, finalizzata ad ottimizzare gli acquisti centralizzati e la loro distribuzione iti sul territorio in funzione dell’andamento della pandemia. “Abbiamo avuto – commenta Russo – gestito i processi di distribuzione e ridistribuzione di questi medicinali in funzione delle regioni dove la pandemia impattava maggiormente e attivato un percorso di comunicazione importante con 82 report pubblici”. Tuttavia, in virtù del fatto che tali medicinali sono stati acquistati centralmente dalla struttura commissariale, questi hanno rappresentato un caso paradigmatico che è stato oggetto di analisi nell’ambito del secondo studio.
Anche sulla scorta di uno studio condotto dall’ALTEMS dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha mappato le modalità organizzative di risposta al COVID-19 nelle diverse regioni, Russo spiega: “abbiamo verificato che le prevalenze di trattamento, a parità di casi diagnosticati di COVID-19, in funzione del modello organizzativo a cui erano associate le regioni. Lo studio evidenzia l’importanza dell’organizzazione dell’assistenza farmaceutica locale nel condizionare criticamente l’accesso per il paziente in funzione dei bisogni di cura. Abbiamo imparato dalla pandemia l’importanza di un coordinamento nazionale forte dell’assistenza farmaceutica a supporto delle regioni, che è utile a ridurre quelle disomogeneità territoriali nell’erogazione dell’assistenza che spesso si osservano”.
Niemann-Pick tutta colpa di un enzima
News PresaAd ottobre è stata celebrata la giornata dedicata alla Niemann Pick, malattia rara da “accumulo lisosomiale”. Di questa malattia oggi si conosce più che in passato e, anche se purtroppo non esiste ancora una terapia risolutiva, molto presto nuovi farmaci cambieranno le prospettive di vita di chi è affetto dal “tipo B”. Ma andiamo con ordine. «Quella che sino a qualche tempo fa era descritta come malattia Niemann – Pick (dal nome dei medici che inizialmente l’avevano descritta, ndr), oggi viene chiamata ASMD, (da “acid sphingomyelinase deficiency”) e viene distinta in due sottotipi, A e B, entrambi dovuti al deficit dello stesso enzima, la sfingomielinasi acida lisosomiale a sua volta causato da mutazioni del gene che lo codifica» spiega il dott. Antonio Barbato, specialista in medicina interna presso il Dipartimento di Medicina Interna dell’A.O.U. Federico II di Napoli.
DIFETTO ENZIMATICO
Al di là di termini complessi e della descrizione dei meccanismi fisiopatologici che richiederebbero conoscenze specialistiche per essere compresi a fondo, il dottor Barbato chiarisce che l’ASMD (per la quale ci sono circa 30 diagnosi certificate in tutta Italia) è causata da un difetto enzimatico. «Semplificando – dice lo specialista – si deve immaginare l’enzima in questione come uno strumento che dovrebbe degradare delle sostanze che hanno esaurito il loro ciclo vitale, così da scomporle in elementi più piccoli che possono essere riutilizzati dall’organismo. Un meccanismo che in questo caso non funziona, o non funziona bene». Si deve insomma immaginare un sistema di “riciclo” che, per un difetto (nella fattispecie enzimatico), non riesce più a funzionare correttamente. L’ASMD tipo B può insorgere sia durante l’infanzia che nell’età adulta, colpendo più organi ed apparati e determinando un aumento degli organi ipocondriaci, ha un decorso più lento del tipo A che invece manifesta un interessamento precoce ed aggressivo soprattutto del cervello e del sistema nervoso. «Il grado di coinvolgimento clinico del paziente dipende dal tipo di mutazioni ereditate e dall’effetto di queste mutazioni sull’attività enzimatica: maggiore è il difetto enzimatico, più severa sarà la malattia».
SINTOMI
Facile comprendere da questo esempio per quale ragione questi gruppi di malattie rare si definiscano da “accumulo lisosomiale”. Il problema è determinato proprio dall’accumulo di questa sostanza, che non viene degrada, all’interno del lisosoma, prima, e della cellula, poi. Il dottor Barbato spiega che i campanelli d’allarme sono principalmente rilevabili a carico di alcuni organi che si possono considerare “bersaglio”. Nell’ASMD di tipo A l’organo più colpito è il cervello. Nel sottotipo B gli organi colpiti sono quelli addominali, in particolare la milza. «Si ha solitamente un aumento della milza e del fegato – dice lo specialista -. A volte vengono colpiti anche cuore e polmone, con gravi conseguenze per il paziente. Il sottotipo B può insorgere nell’adolescenza, ma anche nell’età adulta». Questo rende molto complessa una diagnosi già difficile, perché di solito si tende a pensare che queste patologie si manifestino solo in età infantile. Determinante è il ruolo dei medici chiamati a sospettare questo tipo di diagnosi come i medici di famiglia o i pediatri di libera scelta. «Un tema delicato, perché i casi sono molto rari e i sintomi possono essere aspecifici. Campanelli d’allarme possono essere l’anemia, l’astenia, dolori alle ossa, diarrea, solo per citarne alcuni, ma che se abbinati a segni clinici suggestivi come una splenomegalia senza diagnosi, devono far pensare anche alle malattie d’accumulo lisosomiale”.
TERAPIE
Oggi fortunatamente esiste una maggiore sensibilità su questi temi». In tutta Italia esistono centri di riferimento ai quali si può accedere per una presa in carico globale. Alla Federico II, ad esempio, è attivo il Centro diretto dal professor Giancarlo Parenti che si occupa di malattie metaboliche. Così come a livello europeo esiste il network MetaBern che consente un confronto costante tra esperti a livello internazionale. La buona notizia riguarda le nuove terapie disponibili. Il Centro della Federico II di Napoli è uno dei due in Italia (assieme a quello di Udine) ad aver sperimentato l’efficacia di un nuovo farmaco nell’adulto. «I risultati sono incoraggianti – conclude Barbato – anche se ancora non possiamo correggere il difetto enzimatico dell’enzima nativo, ne possiamo somministrare uno funzionate dall’esterno. Grazie a questa nuova terapia si può avere una vita decisamente migliore. Si spera che il farmaco possa entrare in commercio al più presto, forse già nei primi mesi del 2023».
Analisi e test di laboratorio, un algoritmo può indirizzarci
Ricerca innovazioneUn sito web capace di aiutarci a scegliere il laboratorio di analisi o la farmacia più adatta in base alle nostre esigenze o alla nostra patologia. Si chiama “faiuntestevai” uno dei portali che sulla base di un algoritmo sta facendo molto parlare di sé. Il sito è nato nel bel mezzo della pandemia, a marzo 2021, con l’obiettivo di aiutare cittadini e turisti a trovare il posto più adatto dove fare un tampone. Oggi ha ampliato il suo campo di ricerca estendendolo dai test contro il virus a tutti gli altri, dagli esami delle urine a quelli del sangue.
L’ALGORITMO
A rendere molto utile il portale, e di conseguenza a creare un tran tran che si sta rapidamente diffondendo sul web, è l’algoritmo creato dai programmatori, che consente di scrivere la propria condizione e ottenere un consiglio utile su che esame fare e dove farlo. Il motore di ricerca, infatti, elabora e “traduce” nell’esame clinico più adatto da svolgere, suggerendo in base alla propria posizione le strutture idonee. «Il sito è nato in piena emergenza Covid – ha spiegato all’AGI Lorenzo Pirrami, cofondatore – e ha aiutato milioni di cittadini e turisti a trovare dove effettuare un tampone. Di recente sono state aggiunte oltre 300 patologie e oltre 30 tipologie di analisi e test, come per esempio i test sulle intolleranze alimentari, Pap test, HIV test, e i check-up di salute».
RICHIESTE IN AUMENTO
Se durante la pandemia il portale ha registrato numeri importanti, diversi milioni di utilizzatori, ora che l’emergenza è scemata l’interesse non è calato, anzi: «Di recente c’è stato un vero e proprio boom per i test che aiutano a migliorare la propria salute e il proprio benessere. Per esempio, abbiamo rilevato un aumento del 200% di interesse di soluzioni di nutrizione personalizzata in cui vengono monitorati i nutrimenti nel sangue e lo stato del mirobiota intestinale per adattare la propria dieta e stili di vita».
AFFIDABILITA’
Semplice e gratuito, Faiuntestevai aiuta a trovare dove effettuare analisi non solo in laboratori e farmacie “ma anche a confrontare le offerte dei servizi a domicilio – aggiunge Pirrami – e quelli dei test fai-da-te con un particolare riguardo a mettere in rilievo l’affidabilità”. Per questo gli ideatori del sito hanno aderito alla fondazione HON, una organizzazione internazionale no-profit che si propone di fornire agli utenti non muniti di cultura medica informazioni mediche e sanitarie utili ed affidabili.
MAI UNA DIAGNSOI
Quello che il portale non può e non si propone di fare è la diagnosi. Nessun algoritmo si può infatti sostituire alla valutazione di un medico. L’indicazione sul dove effettuare un esame o un test non è un invito a sottovalutare il lavoro di uno specialista. In caso di problemi o dubbi sulla propria salute, la prima cosa da fare è sempre consultare un medico, che sulla base della vista potrà consigliare al meglio e prescrivere gli esami necessari.
Editoria: Speciale Salute e Prevenzione di Ottobre
News Presa, Prevenzione, Ricerca innovazione, SpecialiAncora una volta il network editoriale PreSa ha scelto di dedicare un ricco approfondimento ai temi della salute e della prevenzione. In edicola con Il Mattino, uno speciale che dedica ampio spazio alla salute dell’uomo, ma anche alla chirurgia per affrontare i tumori del colon. Ad aprire le pagine dedicate alla salute un focus sulla Asmd, malattia rara da accumulo lisosomiale per la quale la ricerca sta facendo importanti passi avanti. Tutto questo, e molto altro ancora, nello speciale che il network PreSa realizza in partnership con Il Mattino.
Clicca qui per leggere lo speciale.
Con ovociti congelati e donati 14 anni fa incinta dopo il tumore
News PresaSono stati donati, crio-congelati e vitrificati 14 anni fa. Gli ovociti oggi hanno permesso a una donna, ex paziente oncologica, di realizzare il suo desiderio di maternità. Giovanna ha 41 anni ed è in attesa di due gemelli. Dopo aver combattuto per anni e vinto la sfida con un tumore al seno all’IRCCS Policlinico di Sant’Orsola, si è sottoposta all’impianto di ovociti di una donatrice. Si tratta del primo caso al mondo di cui si documenta la fertilità di ovociti crio-conservati e vitrificati così a lungo, spiega l’Irccs Policlinico Sant’Orsola di Bologna che ha seguito la donna con la struttura ‘Infertilità e procreazione medicalmente assistita’ diretta dalla professoressa Eleonora Porcu.
Prima gravidanza con ovociti donati 14 anni fa
L’esperta ha sottolineato che per la prima volta viene dimostrato che gli ovociti vitrificati e crio-conservati hanno un elevato potenziale riproduttivo. Questo dimostra l’efficacia della procedura che utilizza azoto liquido a una temperatura di -196 gradi per mantenerli intatti e fertili al lungo. Significa soprattutto che le pazienti oncologiche che affrontano cure difficili e spesso molto lunghe, possono contare su una banca di ovociti forti e tenaci e su un protocollo efficace. Le donne con tumore hanno speranza di rimanere incinta al termine delle cure, a prescindere dall’età.
Il 65% delle persone con diabete vive nelle città
News PresaDal 2010, per la prima volta nella storia, oltre la metà della popolazione mondiale vive nelle città. Un dato destinato ad aumentare nei prossimi decenni fino ad arrivare al 75% di urbanizzati nel 2050. Studi internazionali hanno evidenziato il collegamento tra aumento di diabete di tipo 2, obesità e urbanizzazione. “Vivere in un’area urbana – ha dichiarato Agostino Consoli Presidente della Società Italiana di Diabetologia – accompagna a cambiamenti sostanziali degli stili di vita rispetto al passato. Cambiano le abitudini alimentari e il modo di vivere. I lavori diventano sempre più sedentari e l’attività fisica diminuisce. Ciò inevitabilmente comporta un drastico aumento della prevalenza del diabete di tipo 2 nelle città”.
Diabete e urbanizzazione
Se nel 2025 il 65% delle persone con diabete vivrà nelle aree urbane. Un numero destinato a crescere fino al 74% nel 2040. Per l’International Diabetes Federation e l’OMS, pertanto, le città sono e saranno sempre di più un punto determinante per contrastare la crescita del diabete. “Un architetto, un sindaco e un medico – ha detto Andrea Lenzi, Presidente dell’Health City Insitute – hanno molte cose in comune. Innanzitutto la città in cui vivono: l’architetto ne pensa gli spazi, il sindaco li riempie e il medico esperto si prende cura anche dell’ambiente urbano per il benessere dei cittadini. Il diabete urbano si sta sviluppando sempre di più, motivo per cui con il progetto Urban Diabetes ci mettiamo a disposizione di diverse città italiane, con 21 milioni di cittadini coinvolti di cui 1,5 milioni con diabete, con l’obiettivo di mappare le città, conoscere i numeri della patologia e condividerli con le amministrazioni per creare azioni comuni per ridurre la prevalenza del diabete”.
Il progetto Urban Diabetes
Il Presidente della SID, Agostino Consoli, il Presidente dell’Associazione Medici Diabetologi, Graziano di Cianni, e il Presidente dell’HCI, Andrea Lenzi, hanno siglato ieri la Carta Italiana sull’Urban Diabetes, durante il Convegno Nazionale della Società Italiana di Diabetologia che termina oggi. Alla carta hanno aderito amministratori e cittadini, tra cui il Vice Sindaco di Pescara Giovanni Santilli. La Carta, sulla scia del Manifesto della Salute nelle città promosso da ANCI, Ministero della Salute, ISS, Health City Institute e C14+, delinea i punti chiave che possono guidare Regioni e città, insieme a istituzioni scientifiche e accademiche, nello studiare l’impatto del diabete di tipo 2 nei contesti urbani per promuovere strategie di informazione, assistenza, prevenzione, cura e trattamenti precoci capaci di migliorare la qualità della vita della persona con diabete di tipo 2 ed evitare i costi sociali dovuti dalle complicanze e dalla mortalità.
Psichiatra Zanalda sul caso Assago: no a stigma e generalizzazioni
News PresaUn fatto drammatico quello consumato ieri sera che sta suscitando paure e allarmi. Sul caso è intervenuto Enrico ZANALDA, psichiatra e Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense (SIPF). “Siamo veramente costernati per quanto accaduto ieri ad Assago, ma non vorrei che questa tragedia aumentasse a dismisura l’incremento dello stigma e della paura nei confronti della psichiatria. Non generalizziamo quindi – raccomanda lo psichiatra – né la condizione di paziente psichiatrico né quella di depresso con un collegamento semplicistico e stigmatizzante che determina allarme sociale e paura dei nostri pazienti. Sarà la perizia psichiatrica ad attribuire la responsabilità della persona. Lo stigma verso la salute mentale è dannoso quanto lo scarso finanziamento dei servizi di salute mentale a distanza di oltre 40 anni dalla legge Basaglia. Al fine di attuare completamente la riforma psichiatrica del superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), sarebbe opportuno che la Società Italiana di Psichiatria Forense partecipasse anche nell’ottica della prevenzione, all’attuazione pratica della riforma determinata dalla L 81/2014 superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari”.
Psichiatra: riduttivo etichettarlo in automatico come psichiatrico
“Senza dubbio appare doveroso sottolineare la probabile mancanza di equilibrio psichico dell’autore dei gravissimi fatti di ieri – continua ZANALDA – ma etichettarlo come malato psichiatrico o attribuire alla depressione la causa del comportamento, è riduttivo e stigmatizzante. Questa enfasi non può che aumentare la paura della gente nei confronti delle numerosissime persone che soffrono di depressione o sono ricoverate in ambiente psichiatrico”.
Non sottovalutiamo chi sta seguendo percorsi di riabilitazione
“Il soggetto pare fosse anche disoccupato e chissà quali altre caratteristiche emergeranno nei prossimi giorni dalla sua biografia. I comportamenti delle persone sono sempre pluri-determinati e dipendono da molteplici fattori: cultura, personalità, educazione, circostanze ambientali, stato di equilibrio mentale dell’autore del reato e vanno soppesati nell’ottica psichiatrico-forense. Etichettarlo come malato psichiatrico in automatico– ribadisce ZANALDA – è ingeneroso verso tutte quelle persone che si curano e lottano per il proprio equilibrio psichico e che, dopo questo episodio se etichettato non correttamente, troveranno maggiori difficoltà nei percorsi di riabilitazione e reinserimento sociale che tutti i giorni i dipartimenti di salute mentale si impegnano a realizzare”.
Il timore di emulazione
“Nell’immediato il ritiro dei coltelli dai supermercati come sta succedendo in queste ore, può rassicurare i clienti come operazione di marketing più che di incremento reale della sicurezza del pubblico. L’emulazione – conclude ZANALDA – è un fenomeno molto evidente e noto soprattutto in ambito suicidario. Lo è meno nei casi di omicidi di massa, definitivi “mass murder”, anche se il clamore mediatico attira personalità predisposte ad agire scatenando la rabbia incontenibile che provano nei confronti di particolari comunità o della società”.
Diabete: aumenta in Italia la percentuale di chi utilizza i device
News PresaQuante persone in Italia utilizzano sistemi di monitoraggio in continuo della glicemia? A questa domanda ha cercato di rispondere un gruppo di diabetologi italiani analizzando oltre 500mila pazienti. In occasione del 29° Congresso Nazionale SID (Società Italiana Diabetologi) in corso a Rimini fino al 29 ottobre, l’autore ha presentato i risultati dell’analisi condotta con il gruppo di studio diabete e Tecnologia SID/AMD/SIEDP. “I risultati sono incoraggianti se ripenso a una decina di anni fa e a quanto fosse meno diffusa la tecnologia per la gestione del diabete. La fotografia scattata attraverso il campione di pazienti da noi analizzato pre-pandemia – interviene Dario PITOCCO, autore dello studio e Direttore UOSA (Unità Operative Semplici Autonome) Diabetologia, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma – conferma la trasformazione in corso, ma avverte anche la necessità di promuovere una scelta tecnologica che aiuta la migliore gestione del diabete, come ben descritto nel corso delle ultime Linee Guida promulgate delle più importanti Società Scientifiche diabetologiche italiane In collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità”.
Diabete e device: 500mila pazienti sotto la lente
Sono stati coinvolti più di 300 centri di diabetologia italiani e inclusi oltre 500 mila pazienti con diabete. Emerge che il 40% dei pazienti con diabete di tipo 1 (oltre 13mila) utilizza sistemi di monitoraggio in continuo, mentre il 23% utilizza microinfusori per la gestione della terapia insulinica. Una percentuale che aumenta quando vengono analizzati i pazienti under 18, che per più di un terzo indossano il sensore (35%). Più della metà (57%) ha invece deciso di abbandonare l’uso degli aghi per la misurazione della glicemia per passare alla modalità tecnologica del CGM. Sempre dallo studio emerge anche che tra i centri diabetologici coinvolti, il 60% può vantare un team composto da diabetologi, infermieri e psicologi. “Un incremento notevole se pensiamo a quanti soffrono di diabete di tipo 1 ma che, soprattutto tra le nuove generazioni, si stanno dimostrando predisposti ad accogliere soluzioni che aiutino a migliorare la qualità di vita. Questi risultati possono essere interpretati in modo eterogeneo: in primis sono dati raccolti tra il 2018 e il 2019, in un’epoca pre-pandemia, e sappiamo anche quanto la tecnologia per il diabete abbia avuto un ulteriore impulso in questi ultimi 2/3 anni. L’utilizzo sembra essere maggiore – commenta PITOCCO – nelle fasce di età più giovani, forse più pronte ad accogliere le novità tecnologiche. Nonostante l’incremento dei numeri dei pazienti, è ancora troppo scarno il personale sanitario dedicato alla cura del diabete, soprattutto per la maggioranza della popolazione con diabete di tipo 2”.
Le raccomandazioni delle ultime linee guida per l’uso della tecnologia
Risalgono a pochi mesi fa le raccomandazioni in termini di gestione del diabete sviluppate dall’Associazione dei Medici Diabetologi (AMD), dalla Società Italiana di Diabetologia (SID) e dalla Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP) e in collaborazione con l’ISS (Istituto di Sanità Superiore). “Nelle Linee Guida per il diabete tipo1 la tecnologia ha assunto un ruolo sempre più centrale ed essenziale. La possibilità di avere a disposizione dei software che forniscono dati riguardanti le metriche dell’andamento della glicemia ha modificato la modalità di conduzione della visita diabetologica. Percepisco una netta evoluzione – precisa PITOCCO – tra la crescente richiesta dei pazienti che non si accontentano della loro qualità di vita e la risposta dei colleghi preparati che vogliono soddisfare questo bisogno fisiologico, psicologico e anche estetico Si intuisce una netta evoluzione nel campo della diabetologia caratterizzata da una parte dall’esigenza del paziente di migliorare la propria qualità di vita e dall’altra dalla necessità del diabetologo di possedere una preparazione sempre più tecnologica”.
Aspettando il g7, il prossimo sistema di cgm di ultima generazione
La certezza della misurazione della glicemia e la sicurezza di precisi interventi terapeutici hanno reso il misuratore in continuo della glicemia (CGM) e l’infusore di insulina due successi tecnologici fondamentali per migliorare lo stile di vita di tutti i giorni. “Grazie all’evolversi della tecnologia del monitoraggio in continuo della glicemia, possiamo conoscere il Time in Range, cioè la percentuale di tempo trascorso all’interno dell’intervallo glicemico definito come ottimale. Avere queste informazioni in tempo reale – conclude PITOCCO – significa avere la costante consapevolezza sui propri livelli glicemici e sapere in presa diretta se sono stati influenzati da dieta, da esercizio fisico o da farmaci. Questo permette al medico e al paziente stesso di intervenire nel migliore modo possibile sulla gestione della terapia, grazie a un livello di predittività utile per intervenire in anticipo, cioè nei 20 minuti a disposizione predisposto da conseguenti allarmi. Numerosi i benefici sugli aspetti fisiologici e psicologici del paziente. Quello che ci auguriamo è la diffusione sempre maggiore del sistema di monitoraggio continuo e soprattutto il continuo sviluppo di questa tecnologia potente e innovativa”.