Tempo di lettura: 4 minutiA San Antonio, negli Usa, si è appena concluso l’appuntamento scientifico annuale più importante per la ricerca clinica sul cancro al seno. Le notizie sui risultati aggiornati dello studio DESTINY-Breast03 sono incoraggianti. Un farmaco innovativo, trastuzumab deruxtecan, ha dimostrato di rallentare la progressione di un tumore avanzato particolarmente aggressivo (del tipo Her 2- positivo). Inoltre, anche la sopravvivenza globale è aumentata in modo statisticamente significativo. Il 77,4% delle pazienti era vivo a due anni, rispetto al 69,9% delle pazienti trattate con lo standard di cura T-DM1, con una riduzione del rischio relativo di morte del 36%. In altre parole, è quadruplicata la sopravvivenza libera da progressione di malattia rispetto allo standard di cura.
Carcinoma mammario HER2+ metastatico, un nuovo farmaco
Trastuzumab deruxtecan (T-DXd) ha prodotto una riduzione del 36% del rischio di morte. Inoltre ha migliorato la sopravvivenza libera da progressione di 22 mesi rispetto alla cura standard Trastuzumab emtansine (T-DM1), in pazienti precedentemente trattate con terapie anti-HER2. Trastuzumab deruxtecan è un anticorpo monoclonale farmaco-coniugato specificamente ingegnerizzato per essere diretto contro il recettore HER2.
Il nuovo farmaco ha inoltre dimostrato un significativo miglioramento della sopravvivenza libera da progressione e della sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia. I dati emergono dallo studio di fase 3 DESTINY-Breast02, che ha valutato trastuzumab deruxtecan come terapia di seconda linea nel setting HER2 positivo in un setting avanzato.
Il profilo di sicurezza di trastuzumab deruxtecan osservato nello studio DESTINY-Breast03 è risultato in linea con gli studi clinici precedenti, e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza. Eventi avversi correlati al trattamento (TEAE), di grado 3 o superiore, si sono verificati nel 47,1% delle pazienti che hanno ricevuto T-DXd.
Tumore al seno, Lo studio di fase 3 DESTINY-Breast03
Trastuzumab deruxtecan (T-DXd) ha portato ad un miglioramento statisticamente e clinicamente significativo della sopravvivenza globale (OS) rispetto a trastuzumab emtansine (T-DM1). Sono i risultati aggiornati dello studio di fase 3 DESTINY-Breast03. Lo studio riguarda pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo non resecabile e/o metastatico precedentemente trattate con trastuzumab o un taxano. I risultati e l’analisi primaria dello studio di fase 3 DESTINY-Breast02, presentati al San Antonio Breast Cancer Symposium (#SABCS), e i dati aggiornati di DESTINY-Breast03 sono stati pubblicati anche su The Lancet.
“Le pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2 positivo sottoposte a precedenti terapie, nella maggioranza dei casi vanno incontro a una progressione della malattia in meno di un anno”. Lo sottolinea Giuseppe Curigliano, Professore di Oncologia Medica all’Università di Milano e Direttore Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. È notevole e consistente il beneficio riscontrato in tutti gli endpoint chiave di efficacia nei pazienti che hanno ricevuto trastuzumab deruxtecan in DESTINY-Breast03″.
Lo studio ha incluso 524 pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo metastatico precedentemente trattato con trastuzumab e chemioterapia. “Trastuzumab deruxtecan ha significativamente ridotto il rischio di morte rispetto a trastuzumab emtansine (T-DM1), un altro anticorpo coniugato anti HER2 e precedente standard di cura. Questo vantaggio è stato osservato anche nelle donne con metastasi cerebrali. Non solo. La superiorità di trastuzumab deruxtecan è emersa inoltre in termini di risposte obiettive e di controllo di malattia”.
Gli studi precedenti
Con il follow-up aggiuntivo in DESTINY-Breast03, trastuzumab deruxtecan ha continuato a dimostrare un miglioramento clinicamente significativo della sopravvivenza libera da progressione (PFS). Il miglioramento della PFS mediana è di 22 mesi rispetto a T-DM1, riaffermando il risultato statisticamente significativo della precedente analisi ad interim.
“Nello studio DESTINY-Breast01, trastuzumab deruxtecan aveva dimostrato un’importante e duratura attività antitumorale in pazienti HER2-positive fortemente pretrattate”. Lo sottolinea Giampaolo Bianchini, Responsabile del Gruppo mammella, Dipartimento di oncologia dell’IRCSS Ospedale San Raffaele di Milano -. Ciò supportava “il razionale dello studio DESTINY-Breast03 che includeva prevalentemente pazienti in seconda linea di terapia –.
In questo studio, la sopravvivenza libera da progressione è quadruplicata rispetto alla terapia di riferimento, arrivando a 28,8 mesi, un miglioramento di quasi 2 anni. Un vantaggio di entità mai osservata prima nel carcinoma mammario, associato anche ad un miglioramento significativo della sopravvivenza. Trastuzumab deruxtecan si candida quale nuovo standard di cura per le pazienti in seconda linea di terapia per il carcinoma mammario metastatico HER2-positivo” – conclude Bianchini.
L’altro studio, DESTINY-Breast02
Trastuzumab deruxtecan ha dimostrato una riduzione del 64% del rischio di progressione della malattia o di morte rispetto al trattamento scelto dal medico (trastuzumab più capecitabina o lapatinib più capecitabina). Sono i risultati dell’analisi primaria dello studio di fase 3 DESTINY-Breast02, nelle pazienti con tumore al seno HER2-positivo non resecabile e/o metastatico precedentemente trattato con T-DM1. La PFS mediana per le pazienti trattate con trastuzumab deruxtecan è stata di 17,8 mesi rispetto a 6,9 mesi per quelle trattate con la terapia scelta dal medico, come valutato dal BICR.
Il trattamento con trastuzumab deruxtecan ha anche mostrato una riduzione del 34% del rischio di morte rispetto alla terapia scelta dal medico, con una OS mediana di 39,2 mesi con trastuzumab deruxtecan rispetto a 26,5 mesi con la terapia scelta dal medico. “Anche lo studio DESTINY-Breast02 sottolinea il ruolo che trastuzumab deruxtecan avrà come trattamento per le donne con tumore del seno metastatico –. Lo sottolinea Valentina Guarneri, Direttore della Oncologia 2 dell’Istituto Oncologico Veneto – IRCCS di Padova e Professore Ordinario di Oncologia Medica all’Università di Padova -.
Sono state arruolate circa 600 pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo metastatico precedentemente trattato con TDM-1. Trastuzumab deruxtecan ha quasi triplicato la sopravvivenza libera da progressione, raggiungendo 17,8 mesi rispetto a 6,9 mesi nelle pazienti trattate con la terapia a scelta dello sperimentatore. Questi risultati confermano l’efficacia di questa classe di farmaci a target molecolare, che hanno già dimostrato risultati di estremo interesse clinico anche in fasi più precoci di malattia”.
I dati dello studio DESTINY-Breast02 confermano quelli dello studio di fase 2 DESTINY-Breast01. Quest’ultimo ha supportato le prime approvazioni di trastuzumab deruxtecan in pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2-positivo che hanno ricevuto due o più precedenti regimi di trattamento a base di anti-HER2. Nello studio DESTINY-Breast02 il profilo di sicurezza degli eventi avversi più comuni con trastuzumab deruxtecan è risultato in linea con gli studi clinici precedenti e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza.
Nel 2020 55mila nuovi casi di tumore al seno
“Nel 2020, in Italia, sono stati stimati circa 55mila nuovi casi di tumore della mammella, la neoplasia più frequente in tutta la popolazione – afferma Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Oggi nei casi in cui è presente l’iper-espressione del recettore HER2, è possibile utilizzare farmaci molto efficaci che colpiscono selettivamente le cellule malate risparmiando così quelle sane. È questo il caso degli anticorpi coniugati, come trastuzumab deruxtecan. I dati aggiornati degli studi DESTINY-Breast03 e DESTINY-Breast02 evidenziano il potenziale di questa terapia innovativa. Nel trattamento di seconda linea delle pazienti con carcinoma metastatico HER2 positivo è in grado di controllare la malattia, migliorare la qualità di vita e ritardare il tempo al deterioramento clinico”.
L’incredibile mix tra influenza e Covid.
Anziani, BambiniÈ un cocktail pericoloso quello che sta mettendo sotto pressione gli ospedali di tutta Italia. Da un lato l’Australiana, influenza di stagione mai aggressiva come quest’anno; dall’altro la variante Cerberus del Covid. Assieme hanno creato una mappa delle emergenze che non risparmia le regioni “virtuose”, con accessi in pronto soccorso che si sono intensificati del 50% rispetto a quanto si vedeva a settembre. E le previsioni che arrivano dalla Società italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza (Simeu) non sono rosee per le prossime settimane.
IL PICCO
Gli esperti si aspettano che il picco di questa epidemia influenzale arrivi nel pieno delle feste, quando il numero dei pazienti anziani sarà ai massimi e saranno diversi anche i medici ammalati. Da Sud a Nord del paese ci si attende, dunque, una situazione critica. E a gravare su questo tsunami è anche il fatto che l’influenza è arrivata quest’anno in anticipo, con un’ondata iniziata circa 3 settimane fa. Rispetto al normale andamento delle epidemie da virus influenzali, quest’anno si ha un anticipo di circa un mese. I medici vedono numeri che pre pandemia si raggiungevano solo a metà gennaio. I primi ad ammalarsi sono stati i bambini, ma ora l’età si sta alzando.
I VACCINI
Ecco perché sale forte l’appello dei medici alla vaccinazione anti Covid, ma anche a quella anti influenzale. Il vaccino non evita di contrarre il virus, ma lo rende molto meno pericoloso e consente ai più di evitare conseguenze serie. Per i pazienti fragili e anziani la vaccinazione può fare la differenza tra qualche linea di febbre e la necessità di correre in pronto soccorso. Il consiglio, per chi non lo avesse già fatto, è di consultare il proprio medico e prenotare al più presto l’iniezione.
Tumore al seno, nuovo farmaco quadruplica sopravvivenza
News Presa, Ricerca innovazioneA San Antonio, negli Usa, si è appena concluso l’appuntamento scientifico annuale più importante per la ricerca clinica sul cancro al seno. Le notizie sui risultati aggiornati dello studio DESTINY-Breast03 sono incoraggianti. Un farmaco innovativo, trastuzumab deruxtecan, ha dimostrato di rallentare la progressione di un tumore avanzato particolarmente aggressivo (del tipo Her 2- positivo). Inoltre, anche la sopravvivenza globale è aumentata in modo statisticamente significativo. Il 77,4% delle pazienti era vivo a due anni, rispetto al 69,9% delle pazienti trattate con lo standard di cura T-DM1, con una riduzione del rischio relativo di morte del 36%. In altre parole, è quadruplicata la sopravvivenza libera da progressione di malattia rispetto allo standard di cura.
Carcinoma mammario HER2+ metastatico, un nuovo farmaco
Trastuzumab deruxtecan (T-DXd) ha prodotto una riduzione del 36% del rischio di morte. Inoltre ha migliorato la sopravvivenza libera da progressione di 22 mesi rispetto alla cura standard Trastuzumab emtansine (T-DM1), in pazienti precedentemente trattate con terapie anti-HER2. Trastuzumab deruxtecan è un anticorpo monoclonale farmaco-coniugato specificamente ingegnerizzato per essere diretto contro il recettore HER2.
Il nuovo farmaco ha inoltre dimostrato un significativo miglioramento della sopravvivenza libera da progressione e della sopravvivenza globale rispetto alla chemioterapia. I dati emergono dallo studio di fase 3 DESTINY-Breast02, che ha valutato trastuzumab deruxtecan come terapia di seconda linea nel setting HER2 positivo in un setting avanzato.
Il profilo di sicurezza di trastuzumab deruxtecan osservato nello studio DESTINY-Breast03 è risultato in linea con gli studi clinici precedenti, e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza. Eventi avversi correlati al trattamento (TEAE), di grado 3 o superiore, si sono verificati nel 47,1% delle pazienti che hanno ricevuto T-DXd.
Tumore al seno, Lo studio di fase 3 DESTINY-Breast03
Trastuzumab deruxtecan (T-DXd) ha portato ad un miglioramento statisticamente e clinicamente significativo della sopravvivenza globale (OS) rispetto a trastuzumab emtansine (T-DM1). Sono i risultati aggiornati dello studio di fase 3 DESTINY-Breast03. Lo studio riguarda pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo non resecabile e/o metastatico precedentemente trattate con trastuzumab o un taxano. I risultati e l’analisi primaria dello studio di fase 3 DESTINY-Breast02, presentati al San Antonio Breast Cancer Symposium (#SABCS), e i dati aggiornati di DESTINY-Breast03 sono stati pubblicati anche su The Lancet.
“Le pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2 positivo sottoposte a precedenti terapie, nella maggioranza dei casi vanno incontro a una progressione della malattia in meno di un anno”. Lo sottolinea Giuseppe Curigliano, Professore di Oncologia Medica all’Università di Milano e Direttore Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. È notevole e consistente il beneficio riscontrato in tutti gli endpoint chiave di efficacia nei pazienti che hanno ricevuto trastuzumab deruxtecan in DESTINY-Breast03″.
Lo studio ha incluso 524 pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo metastatico precedentemente trattato con trastuzumab e chemioterapia. “Trastuzumab deruxtecan ha significativamente ridotto il rischio di morte rispetto a trastuzumab emtansine (T-DM1), un altro anticorpo coniugato anti HER2 e precedente standard di cura. Questo vantaggio è stato osservato anche nelle donne con metastasi cerebrali. Non solo. La superiorità di trastuzumab deruxtecan è emersa inoltre in termini di risposte obiettive e di controllo di malattia”.
Gli studi precedenti
Con il follow-up aggiuntivo in DESTINY-Breast03, trastuzumab deruxtecan ha continuato a dimostrare un miglioramento clinicamente significativo della sopravvivenza libera da progressione (PFS). Il miglioramento della PFS mediana è di 22 mesi rispetto a T-DM1, riaffermando il risultato statisticamente significativo della precedente analisi ad interim.
“Nello studio DESTINY-Breast01, trastuzumab deruxtecan aveva dimostrato un’importante e duratura attività antitumorale in pazienti HER2-positive fortemente pretrattate”. Lo sottolinea Giampaolo Bianchini, Responsabile del Gruppo mammella, Dipartimento di oncologia dell’IRCSS Ospedale San Raffaele di Milano -. Ciò supportava “il razionale dello studio DESTINY-Breast03 che includeva prevalentemente pazienti in seconda linea di terapia –.
In questo studio, la sopravvivenza libera da progressione è quadruplicata rispetto alla terapia di riferimento, arrivando a 28,8 mesi, un miglioramento di quasi 2 anni. Un vantaggio di entità mai osservata prima nel carcinoma mammario, associato anche ad un miglioramento significativo della sopravvivenza. Trastuzumab deruxtecan si candida quale nuovo standard di cura per le pazienti in seconda linea di terapia per il carcinoma mammario metastatico HER2-positivo” – conclude Bianchini.
L’altro studio, DESTINY-Breast02
Trastuzumab deruxtecan ha dimostrato una riduzione del 64% del rischio di progressione della malattia o di morte rispetto al trattamento scelto dal medico (trastuzumab più capecitabina o lapatinib più capecitabina). Sono i risultati dell’analisi primaria dello studio di fase 3 DESTINY-Breast02, nelle pazienti con tumore al seno HER2-positivo non resecabile e/o metastatico precedentemente trattato con T-DM1. La PFS mediana per le pazienti trattate con trastuzumab deruxtecan è stata di 17,8 mesi rispetto a 6,9 mesi per quelle trattate con la terapia scelta dal medico, come valutato dal BICR.
Il trattamento con trastuzumab deruxtecan ha anche mostrato una riduzione del 34% del rischio di morte rispetto alla terapia scelta dal medico, con una OS mediana di 39,2 mesi con trastuzumab deruxtecan rispetto a 26,5 mesi con la terapia scelta dal medico. “Anche lo studio DESTINY-Breast02 sottolinea il ruolo che trastuzumab deruxtecan avrà come trattamento per le donne con tumore del seno metastatico –. Lo sottolinea Valentina Guarneri, Direttore della Oncologia 2 dell’Istituto Oncologico Veneto – IRCCS di Padova e Professore Ordinario di Oncologia Medica all’Università di Padova -.
Sono state arruolate circa 600 pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo metastatico precedentemente trattato con TDM-1. Trastuzumab deruxtecan ha quasi triplicato la sopravvivenza libera da progressione, raggiungendo 17,8 mesi rispetto a 6,9 mesi nelle pazienti trattate con la terapia a scelta dello sperimentatore. Questi risultati confermano l’efficacia di questa classe di farmaci a target molecolare, che hanno già dimostrato risultati di estremo interesse clinico anche in fasi più precoci di malattia”.
I dati dello studio DESTINY-Breast02 confermano quelli dello studio di fase 2 DESTINY-Breast01. Quest’ultimo ha supportato le prime approvazioni di trastuzumab deruxtecan in pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2-positivo che hanno ricevuto due o più precedenti regimi di trattamento a base di anti-HER2. Nello studio DESTINY-Breast02 il profilo di sicurezza degli eventi avversi più comuni con trastuzumab deruxtecan è risultato in linea con gli studi clinici precedenti e non sono stati identificati nuovi segnali di sicurezza.
Nel 2020 55mila nuovi casi di tumore al seno
“Nel 2020, in Italia, sono stati stimati circa 55mila nuovi casi di tumore della mammella, la neoplasia più frequente in tutta la popolazione – afferma Saverio Cinieri, Presidente AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) -. Oggi nei casi in cui è presente l’iper-espressione del recettore HER2, è possibile utilizzare farmaci molto efficaci che colpiscono selettivamente le cellule malate risparmiando così quelle sane. È questo il caso degli anticorpi coniugati, come trastuzumab deruxtecan. I dati aggiornati degli studi DESTINY-Breast03 e DESTINY-Breast02 evidenziano il potenziale di questa terapia innovativa. Nel trattamento di seconda linea delle pazienti con carcinoma metastatico HER2 positivo è in grado di controllare la malattia, migliorare la qualità di vita e ritardare il tempo al deterioramento clinico”.
Diabete: c’è un legame con l’inquinamento
News PresaL’esposizione a inquinamento, agli effetti del cambio climatico e a fenomeni antropici o naturali altera lo stato di salute degli individui. Ma cosa c’entra l’inquinamento con il diabete mellito?
Il legame tra inquinamento e diabete mellito
L’associazione tra inquinamento atmosferico e diabete mellito è consolidata. In gran parte viene mediata dall’adiposità e dall’infiammazione di basso grado. Questo uno dei dati illustrato nel simposio “L’ambiente come minaccia per il diabete, il diabete come minaccia per l’ambiente” al 29º Convegno Nazionale della Società Italiana di Diabetologia, moderato da Massimo Federici e Lorenzo Piemonte con gli interventi di Samuele Marcora, Amalia Castaldelli, Vincenzo Atella e Alberto Mantovani.
Ogni esposizione a eventi o fatti traumatici influenza la salute delle persone, come evidenzia uno studio del professor Atella. L’economista dell’Università di Roma Tor Vergata ha compiuto un’analisi statistica su ampie coorti di pazienti. I risultati dimostrano come durante il ciclo di vita gli esseri umani sono esposti a una lunga serie di fenomeni che possono alterare in modo consistente il loro stato di salute.
La pressione demografica, la crescente urbanizzazione e l’aumento delle migrazioni e dei movimenti sono alcuni elementi della globalizzazione che abbattono le barriere e aumentano i contatti tra uomo, animali e aree naturali. Inoltre, l’inquinamento e alcuni metodi di produzione contribuiscono alla perdita di biodiversità.
Le interfacce uomo-natura
I cambiamenti climatici e le catastrofi naturali stanno mutando la faccia del pianeta. Ne consegue una evoluzione delle interfacce uomo-natura. Tutti questi elementi hanno un impatto sugli ecosistemi a vari livelli e, insieme a questi, sul benessere generale globale. Negli anni, questi fenomeni hanno fortemente alterato il tipo di esposizione cui gli essere umani sono soggetti. Tra queste sono incluse le esposizioni a sostanze chimiche esogene e prodotti naturali, nonché a sostanze chimiche generate internamente in risposta a insulti tossici o fattori legati allo stile di vita come dieta, fumo e stress. Negli ultimi anni diversi lavori hanno provato a misurare questi fenomeni. Per farlo hanno utilizzato alcune tecniche statistiche basate sull’esistenza di esperimenti naturali.
Lo studio per l’Italia
Per l’Italia, in particolare, un gruppo di ricercatori dell’Università di Tor Vergata, di Napoli Federico II e della Vrie Universitat di Amsterdam ha condotto uno studio. Il team è riuscito a stimare l’impatto lungo l’intero arco della vita lavorativa di persone concepite in Italia nella Seconda Guerra Mondiale, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.
Secondo lo studio, chi è stato esposto nei primissimi mesi di vita alle dure avversità di questo particolare periodo ha subito una perdita di reddito pro capite durante l’intera carriera lavorativa. La perdita è stata pari a un anno di salario – misurato all’età di 30 anni – e a un aumento del 17% delle spese mediche per malattie del sistema nervoso e malattie mentali.
“Questi risultati hanno una rilevanza notevole – dichiara il Presidente della SID, Angelo Avogaro. “Dimostrano quanto gli effetti di alcuni shock non si limitino al momento in cui accadono, ma si perpetuano nel tempo. In alcuni casi, possono anche trasferirsi alle generazioni future. Pertanto, è possibile immaginare che interventi nell’infanzia, rivolti alle famiglie vulnerabili, possano scongiurare risultati negativi sul mercato del lavoro o, più in generale, mitigare le avversità degli stessi più avanti nella vita e ridurre la persistenza intergenerazionale”.
Un marker per individuare i danni alla salute prodotti dallo stress
Ricerca innovazioneUn marker potrebbe aiutarci ad individuare precocemente alcune malattie legate allo stress. La scoperta è dei ricercatori del Centro di riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). I ricercatori hanno condotto uno studio pubblicato poi su Translational Psychiatry. La ricerca suggerisce che proteina MECP2 possa indicare una suscettibilità allo stress. Una riduzione nel sangue di questa proteina sembrerebbe favorire il rischio di sviluppare malattie correlate allo stress. Il dato sembra ancor più vero per le donne che durante l’infanzia o l’adolescenza abbiano vissuto esperienze particolarmente avverse.
PSICOPATOLOGIE INDOTTE
Lo studio della proteina MECP (ovvero Methyl-CpG binding protein 2) ha portato alla comprensione di meccanismi prima sconosciuti. Questa proteina è fondamentale per il funzionamento delle cellule nervose, conosciuta perché alcune mutazioni del gene che la codifica sono la principale causa di una malattia neurologica rara, molto grave, che colpisce fin dalla prima infanzia prevalentemente il genere femminile (la Sindrome di Rett). Oggi si è scoperto che questa proteina, oltre a essere implicata in numerosi processi del neurosviluppo, svolge un ruolo fondamentale nel determinare gli effetti che l’ambiente in cui viviamo ha sul nostro organismo, suggerendo un suo coinvolgimento nei processi che predispongono allo sviluppo di psicopatologie indotte dall’esposizione a eventi stressanti nel corso della vita.
ANSIA E DEPRESSOINE
Sulla base di queste evidenze, i ricercatori hanno analizzato i livelli di MECP2 in campioni di sangue di 63 persone clinicamente sane. I risultati hanno confermato le loro ipotesi, ovvero che esiste una connessione tra i livelli ridotti di MECP2 e gli esiti disadattivi – quali ansia e depressione – delle esperienze avverse vissute in infanzia, e che tale legame è più forte tra le donne. «Ulteriori studi finalizzati ad approfondire i meccanismi alla base di questa associazione potranno svelare nuovi bersagli per l’implementazione di interventi preventivi personalizzati» spiegano i ricercatori dell’Iss.
Binge eating, cos’è il disturbo da alimentazione incontrollata
PsicologiaIl Natale è quasi arrivato. Per chi soffre di un disturbo alimentare le occasioni di festa sono un momento complicato da gestire. Del binge eating si parla poco, malgrado sia piuttosto diffuso. Come ogni disturbo dell’alimentazione non va preso sotto gamba. Oltre a compromettere la vita di chi ne soffre, spesso si accompagna ad altri problemi di natura psicologica.
Cos’è il binge eating
Il National Institute of Mental Health statunitense, definisce il bing eating come una condizione di perdita del controllo sul cibo. Consiste nell’ ingerire una “quantità di alimenti insolitamente grande”, in un tempo ristretto, pur sentendosi sazi.
In altre parole, si fa ricorso ad abbuffate patologiche, spesso come tentativo di annullare un disagio. Le conseguenze sono devastanti, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Questa condizione è nota anche come disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating in inglese, in assonanza con le abbuffate alcoliche, binge drinking). Dopo gli episodi, viene sperimentato un senso di angoscia o vergogna e si cerca di porre rimedio attraverso diete restrittive. Quando questo meccanismo diventa frequente (se le abbuffate accadono per almeno tre mesi una volta a settimana o più) allora si può parlare di disturbo.
Il rischio aumenta in occasione delle feste
Le feste diventano un fattore di rischio, perchè facilitano l’innescarsi di episodi di alimentazione incontrollata. Sebbene le abbuffate natalizie siano per molti un evento occasionale, senza ripercussioni, per chi ha un disturbo alimentare assumono un peso insormontabile. Non è la maggiore disponibilità di cibo il problema e neanche i panettoni in vendita nei supermercati.
Ad accendere i riflettori sul binge eating è stato un esperto in materia, Paul Jenkins dell’Università di Reading. In un recente articolo su The Conversation a firma, si è espresso dopo le dichiarazioni della star americana Jonathan Van Ness che ha rivelato di soffrire di questo disturbo. Per lo studioso è importante far emergere i casi sommersi. Far comprendere che non si tratta di semplici abbuffate, ma di un disturbo da affrontare.
Binge eating, numeri in costante aumento
Risulta molto difficile stimare quante persone soffrano di binge eating. Le percentuali oscillano intorno all’1-2% a livello mondiale. Le donne sono le più colpite, insieme ai giovani. In generale, nei disturbi alimentari si collocano manifestazioni e patologie differenti come anoressia, bulimia, binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata, BED). Tutte quante sono accomunate da una grande sofferenza psicofisica e da un rapporto conflittuale e faticoso con il cibo. Questi disturbi sono la spia di dinamiche psicologiche estremamente complesse, come ha spiegato Leonardo Mendolicchio, psichiatra e responsabile dei Disturbi dell’Alimentazione, Istituto Auxologico Italiano.
Le persone affette da disturbi alimentari sono in costante aumento. Un’impennata (più 45%) si è registrata nel post lockdown. Anche l’età dell’esordio sì è abbassata e avviene due o tre anni prima rispetto al pre-pandemia. Se prima questi disturbi interessavano circa 3,5 milioni di persone nel nostro paese, adesso si ipotizza siano almeno 5 milioni. Molto spesso si tratta di giovanissime: hanno appena dieci o undici anni, altre poco più grandi, il 90% sono femmine.
Come nasce un disturbo alimentare come il binge eating
Il binge eating, come gli altri disturbi dell’alimentazione, è incluso nel DSM (manuale diagnostico utilizzato in psichiatria), in cui rientrano ansia, disturbi dell’umore, dipendenze da alcol, pensieri e tentativi suicidari. Spesso chi soffre del disturbo da alimentazione incontrollata ha obesità, diabete, ipercolesterolemia e ipertensione. Tra i fattori di rischio, oltre alle alterazioni genetiche, emergono: obesità infantile, abuso di sostanze, violenze sessuali, un atteggiamento perfezionista, un ambiente familiare problematico e pressante, scarsa autostima, alterazioni cerebrali e ormonali, ansia, e depressione. Una cosa è certa: dal binge eating si guarisce, per questo va riconosciuto, secondo gli esperti. La prima cosa da fare è chiedere aiuto e affidarsi a un professionista.
Sette regole per godersi le festività senza rinunciare alla linea
AlimentazioneDieta
Durante le feste di Natale, anche i più attenti alla linea tendono a mettere qualche chilo. Statisticamente, le festività sono una sorta di attentato alla dieta e, in fin dei conti, è anche normale che sia così. Ma è possibile superare le festività senza privarsi di ogni piacere della tavola e senza ingrassare? Lo abbiamo chiesto a Teresa Di Lauro, biologa nutrizionista e tutor del progetto ENPAB Pascale Screening Nutrizionale. «Per molti le festività rappresentano un momento per spezzare la routine e concedersi qualche “sgarro” in più», dice. «Inoltre, in questo periodo aumentano i momenti di convivialità, per cui diventa più difficile mantenere un certo rigore. Molti si lasciano vincere dalla pigrizia e abbandono anche lo sport, così il mix tra eccesso di cibo e mancato movimento portano ben presto all’aumento dei chili». Di Lauro ha stilato 7 semplici regole che possono aiutare a superare le festività senza dover rinunciare a tutto, quindi senza troppe costrizioni, ma anche senza dover poi convivere con i sensi di colpa.
Non saltare i pasti
«Colazione e spuntini sono spezzafame importanti, ci aiutano a sederci a tavola con un leggero languorino e non troppo affamati, così potremo scegliere le nostre portate più ponderatamente».
Iniziare il pasto con della verdura
«Se, ad esempio, a pranzo c’è la pasta, il consiglio è di consumare prima una buona insalata che, oltre alle sue proprietà nutrizionali, aumenta il senso di sazietà».
Bere molta acqua
«Tisane e centrifugati di verdura (specie di colore verde) possono essere utili per ovviare agli eccessi e detossinare il nostro organismo, subissato da grassi e zuccheri semplici. Bere acqua aiuta anche in caso di eccessivo consumo di alcolici. Una tisana al cardo mariano contribuisce a depurare il fegato».
Calendario alla mano
«I giorni di festa sono 24, 25, 31, 1, non è possibile ingrassare in questi pochi giorni. Il mio consiglio? Limitare gli “sgarri” ai giorni festivi, cercando di alimentarsi con un occhio di riguardo nei giorni successivi e precedenti alle festività, ovvero nei giorni 23, 26, 30 e 2».
Selezionare gli eccessi
«Bisogna assicurarsi di selezionare ciò che si mangia in modo saggio. Meglio scegliere qualcosa che ci si può godere solo durante le festività natalizie, e non qualcosa che è prontamente disponibile tutto il tempo. Inoltre, si deve fare una scelta: mangiare il dolce una volta al giorno e gratificarsi una volta per tutte. Panettone, pandoro, torrone sono specialità natalizie che possono rappresentare uno sfizio e una concessione da dosare con cura».
Il pre e il post festività
«Non compensiamo mai il piccolo sgarro digiunando il giorno successivo, meglio assumere nel pasto successivo cibi con pochi grassi: gli alimenti da evitare in questi giorni di giustificato sacrificio sono quelli grassi, ovvero: formaggi (soprattutto quelli stagionati), carni rosse, dolciumi (comprese le brioche a colazione), mentre sono da usare con moderazione i grassi da condimento, prediligendo l’olio d’oliva».
Non perdere le buone abitudini, allenati!
«L’allenamento Hiit (allenamento ad alta intensità), che non necessita l’utilizzo di attrezzi e macchinari, ed è facilmente praticabile a casa. È un ottimo metodo per accelerare il metabolismo e per tonificare il corpo. L’ideale è praticarlo prima o dopo i grandi pasti, per evitare di accumulare tutte le calorie assunte. Ovviamente, sempre senza esagerare e senza affaticarsi eccessivamente». Il circuito si compone di 30 secondi a esercizio e massimo 10 secondi di pausa tra uno e l’altro, più un minuto di recupero tra le serie. «La soluzione- conclude Di Lauro – sta nel giusto equilibrio, essere troppo rigorosi non ci impedisce di mantenere il controllo e di alimentarci consapevolmente nel lungo periodo».
Debito di immunità, perché ci stiamo ammalando di più
News PresaL’influenza è arrivata in anticipo ed è più intensa degli anni passati. Dietro l’attuale impennata, secondo gli esperti, c’è il problema è della diminuzione dell’immunità. In assenza di esposizione a un virus, in pratica, i livelli di anticorpi diminuiscono.
Il debito di immunità
L’inverno non è ancora iniziato e sono già centinaia gli italiani alle prese con i malanni stagionali. Il virus influenzale di quest’anno sta mettendo a dura prova gli ospedali, accanto al Covid e al virus respiratorio sinciziale (Rsv). Il termine “debito di immunità” è stato coniato nell’agosto 2021 dai ricercatori in Francia per descrivere questa riduzione dell’immunità a livello di popolazione. In sostanza, le mascherine, l’allontanamento sociale e il lavaggio delle mani più frequente durante le ondate di Covid-19 potrebbero averci resi più suscettibili all’influenza e al virus respiratorio sinciziale.
Matthew Miller, immunologo della McMaster University di Hamilton, in Canada, ha affermato su Nature, che se molte delle persone suscettibili vengono infettate nei prossimi mesi, la stagione influenzale del prossimo anno potrebbe essere più docile. In sostanza, parte del debito immunitario verrebbe “ripagato” quest’anno. Tuttavia, ha ribadito che non è ancora chiaro «se il Covid-19 diventerà una malattia stagionale come l’influenza e l’Rsv, o se continuerà come è stato, con picchi sporadici durante tutto l’anno».
Il virus respiratorio sincinziale
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, dal titolo dal titolo VRS: pagare il debito di immunità con gli interessi, il debito di immunità è preoccupante soprattutto per quanto riguarda il virus respiratorio sincinziale o VRS. Questo microrganismo patogeno stagionale ogni anno è responsabile di oltre 64 milioni di casi di infezioni respiratorie acute nel mondo. Sebbene di solito provochi lievi sintomi simili al raffreddore, può essere pericoloso in particolare nei bambini piccoli e negli anziani.
Il VRS, infatti, è uno dei principali virus che può provocare bronchiolite e polmonite. A questo proposito «sono state sollevate preoccupazioni circa la possibilità di epidemie di VRS più gravi in futuro a causa di un cosiddetto debito di immunità», spiegano gli esperti. «Questo debito è particolarmente preoccupante per VRS, per il quale l’immunità temporanea si ottiene attraverso l’esposizione al virus, con anticorpi materni che tendono a diminuire rapidamente; senza esposizione stagionale, l’immunità diminuisce e aumenta la suscettibilità a infezioni future e potenzialmente più gravi».
Il picco più alto degli ultimi 15 anni
Secondo la Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg) «la curva dell’epidemia influenzale si è elevata in maniera tale da far prevedere, se il trend si manterrà su questi livelli, il picco più alto degli ultimi 15 anni. E potrebbe essere raggiunto prima di Natale perché i valori sono molto cresciuti».
Gli ultimi dati Influnet pubblicati il 2 dicembre (settimana di osservazione dal 21 al 27 novembre) descrivono valori tre volte superiore alla media. Le persone più sensibili sono i bambini, di età pari o inferiore a 4 anni, e gli anziani, di età pari o superiore a 85 anni. Tuttavia, ad oggi non sembra essere particolarmente aggressiva e i sintomi sono gli stessi delle stagioni passate e tendono a sfumare nel giro di 5-7 giorni (poco di più nei bambini).
Immunità e vaccino
Il modo migliore per prevenire l’infezione rimane il vaccino antinfluenzale. Non protegge però dai numerosi virus para-influenzali, responsabili delle tante sindromi da raffreddamento che si verificano durante l’inverno. In Italia è gratuito per le fasce di popolazione più a rischio, tra cui i soggetti con 65 anni o più, gli operatori sanitari a contatto diretto con pazienti a più alto rischio, donne in gravidanza o pazienti con particolari patologie. È inoltre consigliato nei bambini dai 6 mesi in avanti.
I vaccini antinfluenzali non proteggono del tutto, ma sono efficaci nel prevenire le infezioni gravi e ridurre il tempo della malattia. Anche perché l’influenza può esacerbare condizioni mediche esistenti come le malattie cardiache. Uno studio del 2018 sul New England Journal of Medicine ha infatti dimostrato che il rischio di avere un infarto era sei volte superiore entro una settimana dall’influenza.
Periodo perinatale: quasi triplicate donne a rischio depressione
PsicologiaLe donne con un rischio di depressione nel periodo perinatale sono in continuo aumento. Sono passate dall’11,6% nel 2019, al 13,3% nel 2020, fino al 19,5% tra gennaio e settembre 2021 e al 25,5% tra novembre 2021 e aprile 2022. Il periodo perinatale va dall’inizio della gravidanza al primo anno dopo il parto.
Si tratta dei primi dati nazionali che misurano l’impatto della pandemia sul rischio di depressione e ansia nelle madri durante questa fase. L’indagine – pubblicata sull’International Journal of Environmental Research and Public Health – ha coinvolto più di 14.000 donne. Gli screening sono stati eseguiti nel periodo 2019-2022 dai servizi pubblici territoriali che partecipano al Network Italiano per la Salute Mentale Perinatale, coordinato dal Centro di Riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale (SCIC) dell’Istituto Superiore di Sanità.
Salute mentale perinatale
Le variabili associate al rischio di depressione includono l’avere problemi economici e non poter fare affidamento sul sostegno di parenti o amici. Mentre, rappresenta un rischio minore, essere casalinga. Per quanto riguarda il rischio ansia, le variabili associate sono l’essere di nazionalità italiana, avere alcuni o molti problemi economici, non poter contare sul sostegno di parenti o amici. Pesa sul rischio anche non aver frequentato un corso di preparazione al parto. I dati sul campione nazionale, evidenziano l’impatto negativo della pandemia sulla salute mentale delle donne nel periodo perinatale.
Si conferma il ruolo di fattori psicosociali per l’ansia e la depressione e la loro esacerbazione durante il biennio della pandemia. Sebbene siano ancora preliminari, “i risultati evidenziano l’urgenza di monitorare il benessere psicologico delle donne nel periodo perinatale” – si legge nella nota dell’ISS. “L’attuazione di programmi di screening in questo periodo è particolarmente importante per identificare precocemente le donne a più alto rischio di ansia/depressione”. Per favorire, quindi, “la loro inclusione in programmi di intervento efficaci”. Per agevolare “lo sviluppo della relazione madre-bambino e della salute mentale per tutta la vita”.
Suolo, da cui dipende la vita sulla terra. La prima pedoteca
News PresaTra i target degli obiettivi di sviluppo sostenibile di Agenda 2030 si legge anche della necessità di «combattere la desertificazione». I terreni – infatti – rivestono un ruolo fondamentale per il funzionamento degli ecosistemi. Quindi, a pieno titolo, il suolo entra negli obiettivi di sostenibilità del pianeta.
In sostanza si evidenzia la necessità di «ripristinare i terreni degradati e il suolo, compresi i terreni colpiti da desertificazione, siccità e inondazioni». In altre parole «sforzarsi di realizzare un mondo senza degrado del terreno», anche attraverso un percorso di rigenerazione radicale.
L’importanza del suolo
La vita sulla Terra dipende dalle buone condizioni di salute del suolo. Il 95 % della produzione alimentare globale è legata ai terreni. Il suolo ospita un quarto di tutte le specie terrestri esistenti. Inoltre svolge un ruolo essenziale nel ciclo dei nutrienti, nonché nello stoccaggio del carbonio e nella filtrazione dell’acqua.
Questo processo contribuisce a mitigare i cambiamenti climatici e a impedire le inondazioni o i periodi di siccità. Tuttavia, i dati mostrano come i terreni in Europa (e a livello globale) si siano deteriorati. In questo contesto nasce la prima pedoteca d’Italia, inaugurata negli scorsi giorni presso l’azienda sperimentale di Fagna (Firenze).
Si tratta di un patrimonio di conoscenze e di dati, attraverso cui passano la sicurezza alimentare, la tutela degli ecosistemi e il contrasto al cambiamento climatico. Nasce con l’obiettivo di tutelare e diffondere sempre più la cultura del suolo.
La prima pedoteca d’Italia
Un enorme banca dati vivente, che custodisce migliaia e migliaia di campioni di suolo, diversi l’un l’altro, fisicamente, chimicamente e anche prelevati in luoghi geograficamente lontani fra loro. L’ha realizzata il CREA con il suo centro di ricerca Agricoltura e Ambiente ed è la prima pedoteca in Italia, fra le poche esistenti al mondo.
La Pedoteca Nazionale «ha pochi eguali al mondo: in Europa ne esistono altre 4, ma quella del CREA può vantare il massimo quantitativo di campioni conservati. Ad oggi sono custoditi 32.612 campioni di suolo provenienti da tutta Italia, ma questo numero è in continua crescita. A questi campioni se ne possono aggiungere un altro migliaio, provenienti da uno dei primi studi del suolo, condotto tra gli anni ‘30 e i primi anni ‘50 del secolo scorso.
Insomma, un patrimonio scientifico unico nel suo genere, che potrà dare importanti risposte sulla gestione agronomica della seconda metà del 900 e che attirerà numerosi qualificati ricercatori italiani e stranieri.» Così il presidente del CREA Carlo Gaudio alla cerimonia di inaugurazione della pedoteca del CREA, in occasione della Giornata Mondiale del suolo 2022, che si celebra nella settimana del 5 dicembre.
La pedoteca per tutelare il suolo
Nel mondo è tra le prime per quantità di campioni di suolo conservati. Sono 32.612 i campioni custoditi in appositi contenitori plastici in quantità variabili tra 100 grammi e 1 kg e provenienti da 13.156 scavi pedologici effettuati in Italia. Al momento ne sono esposti circa 5.500. I campioni di suolo sono già stati caratterizzati fisicamente, chimicamente e anche geograficamente.
Tutte le informazioni costituiscono un database – in parte pubblicato sul sito di Zenodo lo scorso mese di settembre – disponibile per tutti i ricercatori che ne facciano richiesta. I suoli già caratterizzati dai ricercatori italiani, saranno disponibili per svolgere nuove analisi.
«L’inaugurazione della pedoteca è solo il punto di partenza per nuove progettualità –ha spiegato Giuseppe Corti, Direttore del CREA Agricoltura e Ambiente – Intendiamo, infatti, attraverso i campioni conservati, valutare e definire la reale diminuzione di sostanza organica del suolo, mettendola a confronto con nuovi campionamenti che saranno effettuati nei luoghi di precedenti prelievi.
Ma abbiamo anche in mente –conclude Giuseppe Corti – di utilizzarli per studiare la radioattività naturale dei suoli d’Italia, strumento conoscitivo al momento assente alla scala di dettaglio alla quale possiamo arrivare con i campioni custoditi in pedoteca».
Influenza, allarme dei medici: aggressiva e molto pericolosa
Anziani«Negli ultimi due anni l’uso delle mascherine e le norme igieniche adottate contro il Covid hanno limitato moltissimo la diffusione del virus influenzale. Quest’anno le norme di cautela sono considerate ormai superate e la campagna vaccinale è andata malissimo, ma è un errore. Quello che serve è una combinazione di misure quali la vaccinazione, sia contro il COVID che contro l’influenza, e l’intensificazione di misure di sanità pubblica. La risposta individuale ad emergenze epidemiologiche non è sufficiente a proteggere la popolazione, serve un approccio pubblico, coordinato e basato sull’evidenza scientifica». Lo dice Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene e Medicina Preventiva all’Università Cattolica Walter Ricciardi, professore ordinario di Igiene e Medicina Preventiva all’Università Cattolica. Un allarme che si unisce a quello lanciato dai medici di famiglia che in questi giorni stanno lanciando a gran voce un invito alla vaccinazione antinfluenzale.
IL PICCO
Mai negli ultimi 15 anni, dicono i camici bianchi, abbiamo dovuto confrontarci con un picco influenzale paragonabile a quello che stiamo registrando in queste settimane. È vitale che i soggetti a rischio scelgano al più presto di vaccinarsi, altrimenti rischiamo di dover vivere mesi drammatici. A preoccupare sono i dati della curva dell’epidemia influenzale, che mostrano una diffusione del virus enorme ed estremamente precoce. Tanto che gli stessi medici prevedono che di questo passo si raggiungerà il picco addirittura prima di Natale.
COMPLICANZE
«Se il Covid ci ha insegnato che la fase di picco è quella oltre la quale inizia poi la discesa – dice Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimmg – è anche da considerare che scavallare la “vetta”, se non ci si protegge con il vaccino, potrebbe avere un prezzo molto alto in termini di vite. Guardando ai dati attuali, infatti, l’andamento attuale fa pensare ad un picco assai superiore a quello delle epidemie passate. Per usare un’immagine che possa rendere l’idea, è come se ci stesse per travolgere uno tsunami infatti l’aumento dei casi, come abbiamo imparato per il Covid, comporta conseguentemente aumento di complicanze e di mortalità».
EFFETTO PSICOLOGICO
Il rischio è anche legato ad un effetto psicologico per il quale molti cittadini credono ormai che l’influenza non sia più un rischio, ritenendo che solo il Covid possa mettere a rischio la salute e considerando l’influenza con grande sufficienza. Non è così. Mai come quest’anno, l’influenza di stagione si sta mostrando aggressiva, caratterizzata da una febbre molto alta, sintomi respiratori e qualche volta gastroenterici. L’aumento dei casi sta mettendo sotto pressione i medici di famiglia, che sono subissati da telefonate e messaggi, ma anche gli ospedali nei quali si registra un forte aumento dei ricoveri.