Tempo di lettura: 2 minutiNegli ultimi anni è aumentata la consapevolezza dell’impatto degli zuccheri sull’alimentazione. Il mondo occidentale e parte di quello in via di sviluppo sono interessate dall’emergenza di obesità e diabete. Nel frattempo gli studi si sono concentrati sul diverso apporto nutrizionale dei vari zuccheri. Gli scienziati dell’Università canadese di Toronto hanno approfondito le proprietà del miele attraverso una revisione di studi.
Lo studio sul miele
Gli scienziati hanno fatto riferimento a una meta-analisi di studi compresi nei database MEDLINE, Embase e Cochrane Library. L’effetto del miele è stato valutato su: adiposità, controllo glicemico, lipidi, pressione sanguigna, acido urico, marcatori infiammatori e marcatori di steatosi epatica non alcolica. Hanno scelto un totale di 18 studi controllati (fino al 4 gennaio 2021) in cui i partecipanti seguivano una dieta sana. Gli zuccheri quindi non superavano il 10% dell’apporto calorico giornaliero, come consigliano le linee guida mondiali. I partecipanti assumevano ogni giorno 40 grammi di miele, proveniente da più fiori, che corrisponde a circa due cucchiai, per 8 settimane.
Cosa emerge
Dai risultati dello studio è emerso che il miele ha ridotto la glicemia a digiuno, il colesterolo totale e quello cattivo (LDL), i trigliceridi e ha influito positivamente anche sul fegato grasso. Sono aumentati anche i livelli di colesterolo buono (HDL) e di alcuni marcatori dell’infiammazione.
Quale miele e quanto
Per quanto riguarda il miele, quello di acacia, trifoglio e grezzo si sono rivelati superiori per il controllo glicemico e i livelli lipidici. Infatti, perde molte proprietà salutari dopo la pastorizzazione (cottura a 65° per almeno 10 minuti).
Il miele grezzo ha batteri probiotici, inclusi i lattobacilli, che migliorano la regolazione del sistema immunitario. La lavorazione riduce la quantità di batteri probiotici. Le fonti botaniche dei vari tipi di miele invece sono generiche e i dati relativi pochi.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti, includono il miele nella loro definizione di zuccheri liberi o aggiunti. Tuttavia, secondo gli autori, il miele non è paragonabile agli altri zuccheri liberi, perché ha proprietà superiori. Sebbene il miele contenga circa l’80% di zuccheri (come fruttosio e glucosio), è un composto complesso di zuccheri comuni e rari, proteine, acidi organici e altre sostanze bioattive.
Nello specifico, gli zuccheri rari sono il 14% e moderano l’effetto del fruttosio e del glucosio. Invece, l’isomaltulosio presente funge da prebiotico favorendo la crescita di Lactobacillus acidophillus, Lactococcus lactis e Saccharomyces cerevisae, batteri utili per un microbioma intestinale sano.
Il miele ha anche proprietà farmacologiche, come effetti antinfiammatori e antitumorali, un effetto antiobesogenico e protegge dai radicali liberi e le malattie legate all’invecchiamento.
Come in molte cose, vale il principio della moderazione. Le dosi quotidiane raccomandate sono le stesse che valgono per lo zucchero aggiunto totale. Secondo l’Oms circa 25 grammi al giorno. Gli esperti infatti sottolineano che le componenti del miele funzionano “a soglia”. Nelle giuste quantità portano benefici, ma esagerando si riduce l’impatto dei componenti buoni e aumenta quello degli zuccheri semplici classici (cioè il glucosio e il fruttosio).
Nuova luce per la cura della distrofia muscolare di Duchenne
News Presa, Ricerca innovazioneUna nuova ricerca offre speranze per una terapia che possa essere efficace contro la distrofia muscolare di Duchenne, che porta ad un progressivo e irreversibile indebolimento della struttura e della funzione dei muscoli scheletrici. La ricerca è a cura di un team dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pozzuoli (Cnr-Icb) , coordinati da Fabio Arturo Iannotti e dal responsabile del gruppo di ricerca, Vincenzo Di Marzo. Iannotti e i suoi collaboratori hanno dimostrato che la composizione e funzione di specifiche famiglie di batteri “buoni”, fisiologicamente necessarie per il benessere dell’organismo, sono compromesse dalla patologia (una condizione definita come “disbiosi intestinale”), e quindi, come sia necessaria la produzione di specifiche molecole da parte dei batteri intestinali simbiotici, utili a contrastare i processi infiammatori e muscolo-degenerativi. «Molte pubblicazioni scientifiche dimostrano che la diversità e il ruolo del microbiota intestinale ricoprono un ruolo chiave nel controllo di numerose funzioni nel nostro organismo», spiega Fabio Arturo Iannotti. «Sebbene molti dei segnali chimici che sottendono la comunicazione tra il microbiota intestinale e i diversi organi e tessuti dell’organismo restino ancora da decifrare, sono proprio le connessioni dell’asse intestino-cervello e intestino-muscolo le maggiormente conosciute. Nonostante ciò, il ruolo e il coinvolgimento del microbiota intestinale nello sviluppo e progressione delle malattie muscolari degenerative non era mai stato esplorato prima d’ora».
MECCANISMO CHIAVE
Alterazioni a carico della produzione e funzione degli endocananbinoidi sono state descritte in moltissime malattie. Ed anche in questo caso il gruppo di ricerca, conducendo studi scientifici pioneristici, è riuscito di recente a dimostrare come sia proprio l’endocannabinoide 2-AG a espletare un ruolo chiave durante la formazione e lo sviluppo del muscolo scheletrico sin dalle prime fasi di sviluppo embrionale e, inoltre, che la regolazione farmacologica degli endocannabinoidi potrebbe presto diventare una strategia terapeutica vincente contro la degenerazione muscolare innescata dalla patologia.
LAVORO DI SQUADRA
Il raggiungimento dei risultati, che hanno portato a tale scoperta scientifica, è stato possibile grazie al supporto dell’Unità mista internazionale (Umi), un’istituzione fondata nel 2016 e coordinata scientificamente da Vincenzo Di Marzo per promuovere, attraverso il bilateralismo scientifico tra il Cnr e l’Université Laval in Quebec, Canada, lo studio dell’impatto della nutrizione e del microbiota intestinale nelle patologie umane. La ricerca ha visto anche la partecipazione del Dipartimento di farmacia dell’Università Federico II e il centro di ricerca sperimentale Charité Universitätsmedizin e Max Delbrück di Berlino.
Kraken, la variante del Covid che spaventa gli esperti
CovidLe immagini di una Cina nuovamente in ginocchio a causa del Covid e le notizie di una nuova variante che corre veloce negli Stati Uniti stanno creando allarme anche alle nostre latitudini. Gli esperti hanno chiamato questa nuova mutazione “Kraken” e Eric Topol, fondatore dell’istituto californiano Scripps e fra i ricercatori che stanno seguendo fin dall’inizio l’evoluzione della pandemia di Covid-19, parla di “un’impressionante capacità di diffondersi”. Bisogna veramente aver paura, o si tratta di una suggestione proposta dai media?
LA SUGGESTIONE DEL MOSTRO
Bisogna dire che la scelta del nome, Kraken, è quantomeno suggestiva. Il kraken è infatti un mostro marino che ha dato vita a molte leggende. Compare nel romanzo di Jules Verne “20 mila leghe sotto i mari” e secondo la tradizione era così grande che quando si immergeva provocava pericolosi vortici e gorghi, e così forte da tirare sott’acqua qualsiasi nave. Un mostro del quale poco si sa e che da sempre genera profonde paure, perfetto insomma per rappresentare questa nuova subvariante del Covid. Del resto, di questo virus che abbiamo imparato a conoscere solo qualche anno fa, poco sappiamo. Soprattutto sulle sue possibilità di evolversi e di provocare effetti a lungo termine.
I SINTOMI
Il lato positivo della faccenda è che gli anticorpi dei vaccini sin qui impiegati sarebbero perfettamente in grado di contenere il virus. Quindi non dovrebbero sorgere forme gravi e devastanti come nella prima ondata della pandemia. Il condizionale è d’obbligo, ma solo perché in una pandemia l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Quanto ai sintomi, sono grossomodo gli stessi di influenza e altre varianti Covid: mal di gola, tosse, stanchezza e spossatezza, dolori articolari e muscolari diffusi. Il grosso problema è nelle legge dei grandi numeri. Vista la capacità di diffondersi del virus, si potrebbero creare nuovamente ingorghi negli ospedali e la vita di molte persone fragili o anziane potrebbe essere a rischio. Per non parlare di quanti, con patologie diverse dal Covid, si troverebbero senza un’adeguata assistenza.
POSSIBILI CONSEGUENZE
Secondo gli esperti, prevedere quali possono essere i pericoli connessi alla diffusione di una nuova variante è possibile solo in parte. Le variabili in gioco sono moltissime e non sempre si può dire con certezza quali conseguenze possa avere una nuova ondata. Di certo, uno dei timori è che nel suo continuo mutare, il Covid possa riuscire a rompere gli argini dei vaccini. Se questo accadesse sarebbe un bel problema, ma al momento questa possibilità, fortunatamente, appare remota.
Buoni propositi di inizio anno, perché ne sentiamo il bisogno
Benessere, Psicologia, Stili di vitaGennaio è il mese della ripartenza dopo la pausa delle feste di Natale. L’inizio dell’anno spesso coincide con i nuovi propositi. Sebbene siano diversi per ognuno, i più comuni riguardano lo stile di vita, come ripromettersi di fare sport con costanza o mangiare e dormire meglio. Tuttavia la ripresa non è facile e può capitare di sentirsi velocemente sopraffatti dagli impegni. I buoni propositi sembrano sempre più difficili da rispettare. Quando si finisce per abbandonarli, subentra il senso di frustrazione. Ma perché c’è questa esigenza di stilare liste di buoni propositi e perché non è così facile rispettarli?
Perché abbiamo bisogno dei buoni propositi
I progetti sono alla base dell’attività umana. “Avere una motivazione, sul lavoro o nella vita privata, è fondamentale per sentirsi appagati, anche nelle piccole cose” – spiega la Dott.ssa Paola Mosini, psicologa e psicoterapeuta di Humanitas Psico Medical Care. La lista dei buoni propositi che molti stilano in vista all’inizio del nuovo anno spesso nasce dal semplice desiderio di prendersi più cura di sé.
Abbandonare un proposito ha però dei risvolti a livello psicologico. Se per esempio ci si ripromette di andare regolarmente in palestra, ma poi questo proposito viene abbandonato, ciò che viene interpretato come la “disfatta” verrà attribuito alla pigrizia.
In realtà, l’esperta spiega che la pigrizia è solo un costrutto della mente. In sostanza, se c’è una vera motivazione alla base di un progetto, non basta un po’ di stanchezza o noia per ostacolarlo.
Come evitare la “disfatta”
Può essere funzionale inserire obiettivi di cui si avverte l’utilità, per essere più motivati a proseguire.
La cosa più importante è creare una lista di buoni propositi realistici, “in linea con le nostre attitudini e che non siano forzatamente punitivi nei confronti dei lati del nostro carattere che ci piacciono di meno”. In pratica bisogna “valutare gli effettivi spazi a disposizione nella nostra quotidianità in cui inserire nuovi momenti di cura di noi stessi”. Raggiungere gli obiettivi stabiliti, di qualsiasi natura essi siano, è positivo anche per l’autostima e per il rinforzo della propria visione di se stessi.
Se però le cose non vanno nel modo prospettato, è molto importante riuscire ad accettarlo, senza provare svilimento. “Anche l’imparare ad avere gentilezza nei confronti di noi stessi quando incorriamo in situazioni che percepiamo, erroneamente, come “un fallimento”, può essere il primo tra i buoni propositi per l’anno nuovo – conclude l’esperta.
Papilloma virus, un rischio anche per i giovani maschi
Benessere, One health, PrevenzioneStili di vita sani e una semplice vaccinazione possono salvarci da alcune forme di tumore che sono sempre più diagnosticate, vale a dire quelle del distretto testa-collo. I numeri parlano di 13.000 nuovi casi ogni anno in Italia, di cui la maggior parte sono carcinomi squamosi che colpiscono gli uomini (7.300 casi). Il 75% di queste neoplasie sono causate da fumo ed alcool che, in sinergia, aumentano di 80 volte il rischio di sviluppare un carcinoma del cavo orale e di 12 volte per quello della laringe rispetto a chi non fuma e beve. C’è anche una sprofonda differenza geografica, perché la malattia è tre volte più frequente nel Nord Italia rispetto al Sud.
HPV
Oltre a fumo e alcol, una percentuale minore ma sempre più rilevante dei carcinomi della testa e del collo, soprattutto dell’orofaringe (tonsille palatine e base lingua) è causata da un diverso fattore di rischio: l’Human Papilloma Virus (HPV), già noto come responsabile dei tumori della cervice uterina. L’incremento dei tumori orofaringei causati da HPV è un fenomeno globale. «I tumori dell’area testa-collo – spiega Giovanni Danesi, presidente della Società Italiana di Otorinolaringoiatria & Chirurgia Cervico Facciale (SIO&ChCf) – colpiscono gli uomini con una frequenza doppia rispetto alle donne. Nei paesi industrializzati la progressiva riduzione del consumo di sigarette ha avuto come conseguenza una riduzione di incidenza dei carcinomi squamosi della testa e del collo. Tale decremento, tuttavia, non si è verificato per i carcinomi squamosi dell’orofaringe HPV correlati, i quali al contrario hanno presentato un rapido incremento di incidenza nel corso degli ultimi decenni. Attualmente il 31 percento dei tumori orofaringei in Italia è causato dall’HPV e il paziente tipo affetto da questo tumore è un uomo giovane o di mezza età spesso non fumatore».
CAMBIO DI PARADIGMA
Controlli periodici, stili di vita sani e, nel caso dell’HPV, la vaccinazione per entrambi i sessi sono dunque le principali azioni di prevenzione nei confronti dei tumori testa e collo e in particolare dei tumori HPV correlati. «Da un punto di vista più generale – prosegue il Presidente SIO&ChCf – considerato che gli Otorinolaringoiatri sono gli specialisti che si occupano della diagnosi e del trattamento dei tumori della testa e del collo, trattamento che prevede in buona parte dei casi interventi chirurgici ad alta complessità e che richiedono elevatissime competenze e dotazioni tecnologiche, è necessario che i criteri di valutazione dell’attività otorinolaringoiatrica vengano rivisti. Al momento, infatti, interventi di routine come la rimozione delle tonsille (tonsillectomia) vengono utilizzati a livello istituzionale come criteri di valutazione per il monitoraggio dell’attività delle unità operative otorinolaringoiatriche ORL, con una conseguente proporzionale assegnazione di risorse del tutto inadeguata alla reale attività svolta dai reparti ORL. Quello che serve – conclude Danesi – è la presa di coscienza, anche a livello istituzionale, che l’Otorinolaringoiatria è cambiata enormemente negli ultimi decenni, divenendo una disciplina complessa e multidisciplinare che spazia nell’intera area testa-collo: dalla chirurgia oncologica più complessa con utilizzo di raffinate tecniche ricostruttive all’applicazione di impianti ad altissimo contenuto tecnologico per la lotta alla sordità, solo per portare alcuni esempi».
Miele: antinfiammatorio naturale, ma dipende dall’uso
Alimentazione, Benessere, Stili di vitaNegli ultimi anni è aumentata la consapevolezza dell’impatto degli zuccheri sull’alimentazione. Il mondo occidentale e parte di quello in via di sviluppo sono interessate dall’emergenza di obesità e diabete. Nel frattempo gli studi si sono concentrati sul diverso apporto nutrizionale dei vari zuccheri. Gli scienziati dell’Università canadese di Toronto hanno approfondito le proprietà del miele attraverso una revisione di studi.
Lo studio sul miele
Gli scienziati hanno fatto riferimento a una meta-analisi di studi compresi nei database MEDLINE, Embase e Cochrane Library. L’effetto del miele è stato valutato su: adiposità, controllo glicemico, lipidi, pressione sanguigna, acido urico, marcatori infiammatori e marcatori di steatosi epatica non alcolica. Hanno scelto un totale di 18 studi controllati (fino al 4 gennaio 2021) in cui i partecipanti seguivano una dieta sana. Gli zuccheri quindi non superavano il 10% dell’apporto calorico giornaliero, come consigliano le linee guida mondiali. I partecipanti assumevano ogni giorno 40 grammi di miele, proveniente da più fiori, che corrisponde a circa due cucchiai, per 8 settimane.
Cosa emerge
Dai risultati dello studio è emerso che il miele ha ridotto la glicemia a digiuno, il colesterolo totale e quello cattivo (LDL), i trigliceridi e ha influito positivamente anche sul fegato grasso. Sono aumentati anche i livelli di colesterolo buono (HDL) e di alcuni marcatori dell’infiammazione.
Quale miele e quanto
Per quanto riguarda il miele, quello di acacia, trifoglio e grezzo si sono rivelati superiori per il controllo glicemico e i livelli lipidici. Infatti, perde molte proprietà salutari dopo la pastorizzazione (cottura a 65° per almeno 10 minuti).
Il miele grezzo ha batteri probiotici, inclusi i lattobacilli, che migliorano la regolazione del sistema immunitario. La lavorazione riduce la quantità di batteri probiotici. Le fonti botaniche dei vari tipi di miele invece sono generiche e i dati relativi pochi.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti, includono il miele nella loro definizione di zuccheri liberi o aggiunti. Tuttavia, secondo gli autori, il miele non è paragonabile agli altri zuccheri liberi, perché ha proprietà superiori. Sebbene il miele contenga circa l’80% di zuccheri (come fruttosio e glucosio), è un composto complesso di zuccheri comuni e rari, proteine, acidi organici e altre sostanze bioattive.
Nello specifico, gli zuccheri rari sono il 14% e moderano l’effetto del fruttosio e del glucosio. Invece, l’isomaltulosio presente funge da prebiotico favorendo la crescita di Lactobacillus acidophillus, Lactococcus lactis e Saccharomyces cerevisae, batteri utili per un microbioma intestinale sano.
Il miele ha anche proprietà farmacologiche, come effetti antinfiammatori e antitumorali, un effetto antiobesogenico e protegge dai radicali liberi e le malattie legate all’invecchiamento.
Come in molte cose, vale il principio della moderazione. Le dosi quotidiane raccomandate sono le stesse che valgono per lo zucchero aggiunto totale. Secondo l’Oms circa 25 grammi al giorno. Gli esperti infatti sottolineano che le componenti del miele funzionano “a soglia”. Nelle giuste quantità portano benefici, ma esagerando si riduce l’impatto dei componenti buoni e aumenta quello degli zuccheri semplici classici (cioè il glucosio e il fruttosio).
Stretta sui medici di famiglia, niente incarichi per chi è in formazione
Economia sanitaria«Non ho più il medico di famiglia». Un’esclamazione che sempre più spesso si sente nei piccoli centri, ma anche nelle grandi città d’Italia. La carenza dei medici di medicina generale è un bel problema ed è legata a diversi fattori, tra i quali il numero insufficiente di borse per la specializzazione, ma anche tante questioni burocratiche. Ultima in ordine di tempo, quella che riguarda un errore interpretativo delle regioni, che hanno così tagliato la possibilità per i medici in formazione di assumere incarichi provvisori e di sostituzione di medicina generale, lasciando quasi due milioni di cittadini senza medico di famiglia, migliaia di ambulatori territoriali di Continuità Assistenziale (ex guardia medica) scoperti e centinaia di presidi di emergenza territoriale senza medici del 118.
PARADOSSO
«Stiamo assistendo ad uno scandaloso paradosso – commenta la segretaria nazionale della Fimmg Formazione, Erika Schembri – più di 5.000 medici che finora hanno garantito l’assistenza a milioni di cittadini non potranno più farlo, a causa di un’interpretazione arbitraria di alcune Regioni che hanno deciso di impedire a questi medici di mantenere gli incarichi e di riconoscerli come parte del percorso formativo, per un mero dubbio su quanto previsto dalla normativa vigente». Già dal 2018 infatti, in considerazione dell’emergente carenza di medici di medicina generale, era entrata in vigore una legge che permette, in deroga alle incompatibilità precedenti, ai medici iscritti al corso di formazione specifica in medicina generale di assumere gli incarichi convenzionali; quest’anno la legge è stata prorogata fino alla fine del 2024, integrandola inoltre all’interno del percorso formativo come tirocinio pratico, con il supporto di un tutor (che quasi nessuna Regione ha messo a disposizione).
ASSISTENZA A RISCHIO
Eppure, nonostante questa legge non faccia alcuna distinzione tra le diverse tipologie di incarico e nonostante anche il contratto nazionale ne consenta l’acquisizione, alcune Regioni hanno deciso di escludere gli incarichi provvisori e di sostituzione, ritenendo “poco chiara” la normativa. Per il sindacato dei medici di medicina generale «ancora una volta c’è il tentativo di ridurre al lumicino la categoria, di spegnere l’assistenza garantita dal Servizio Sanitario Nazionale. A pagarne le spese, saranno solo i cittadini».
Fumo di sigaretta, con il divieto nei locali pubblici ricoveri calati del 20%
Benessere, One healthVietare il fumo nei locali pubblici ha fatto crollare del 20% i ricoveri in pronto soccorso di pazienti asmatici. Un numero enorme, certificato dalla Società italiana di Allergologia, Asmologia e Immunologia clinica (SIAAIC), che a 20 anni dall’entrata in vigore della legge Sirchia (a tutela dei non fumatori) traccia un bilancio più che positivo. «Chi soffre di asma bronchiale – spiega Mario Di Gioacchino, presidente SIAAIC – risente molto degli effetti del fumo sia attivo che passivo, per la potente azione infiammatoria e la minore efficacia del trattamento farmacologico».
BAMBINI
L’asma è una malattia cronica delle vie aeree di natura infiammatoria, che interessa una vasta parte della popolazione. Se una persona non ha caratteristiche patogenetiche, il fumo passivo non può causarla, ma ilfumo passivo in età pediatrica è un fattore che favorisce l’insorgenza dell’asma nei bambini e aumenta la possibilità che possano diventare asmatici nel tempo. Inoltre, l’esposizione al fumo passivo in età pre e post natale, aumenta il rischio di comparsa dell’asma dal 21 all’85%.
TABAGISMO
Gli esperti SIAAIC spiegano che i progressi ottenuti negli ultimi 20 anni grazie alla pulizia dell’aria dal fumo di sigaretta, rappresentano uno dei più importanti risultati di salute pubblica. Ma l’abitudine al fumo nei pazienti asmatici resta ancora molto alta e la frequenza della malattia è legata anche all’aumento del carico pollinico e dello smog. Servono ancora molti altri sforzi per proteggere le persone che esposte al fumo passivo in casa. Ora bisognerebbe contrastare l’esposizione all’aereosol della sigaretta elettronica e dei dispositivi a tabacco riscaldato. Ci sono studi che indicano la presenza di sostanze potenzialmente nocive di questi vapori, i cui effetti sulla salute respiratoria sono poco chiari e praticamente sconosciuti nel lungo periodo.
Farmaci: 2 anziani su 3 ne assumono almeno 5 al giorno. I rischi
AnzianiIn Italia due anziani su tre assumono ogni giorno almeno 5 farmaci, con diversi principi attivi. Un anziano su quattro (oltre 3,5 milioni di persone) ne utilizza addirittura dieci. La “politerapia” è un fenomeno in aumento, causato dall’invecchiamento della popolazione (oggi in Italia gli over-65 sono oltre 14 milioni). Inoltre è legato alla compresenza di più malattie croniche, una condizione che interessa il 75% degli over-60 e la quasi totalità degli ultra 80enni.
La politerapia
L’assunzione di più farmaci insieme non è facile da gestire, perchè può portare a problemi di aderenza al trattamento e confusione tra le diverse medicine da assumere. Inoltre c’è il rischio di eventi avversi o di ridotta efficacia della terapia, per via di interazioni tra farmaci o tra questi e i nutrienti assunti con la dieta. Italia Longeva, l’Associazione nazionale per l’invecchiamento e la longevità attiva del Ministero della Salute, insieme alla Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) ha realizzato il video-tutorial per sensibilizzare sul tema.
“Anziani e farmaci: 10 regole per la corretta assunzione”, presentato negli scorsi giorni durante il 67° Congresso Nazionale SIGG a Roma è in forma di decalogo, per la fruizione negli studi medici e la diffusione da parte dei geriatri. Si rivolge a pazienti e caregiver per aiutarli nella gestione quotidiana delle terapie ed informarli rispetto all’utilizzo dei farmaci equivalenti. Questi ultimi hanno la stessa efficacia, qualità e sicurezza dei medicinali originari, ma hanno il vantaggio di costare di meno.
Farmaci, tra spesa e informazione
Nel 2021 gli italiani hanno speso oltre 1 miliardo di euro per la compartecipazione all’acquisto dei medicinali ‘di marca’.
“L’informazione migliora la cura: condividere con il paziente anziano, e con tutta la famiglia, le finalità della terapia e le indicazioni per un uso corretto dei farmaci prescritti, è un fattore decisivo per evitare il fai-da-te e realizzare migliori esiti di salute”, dichiara Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva.
“Compito di noi medici è anche quello di rassicurare i pazienti sulle novità e le alternative terapeutiche che possono riguardare, ad esempio, i farmaci equivalenti, in tutto e per tutto identici ai medicinali ‘di marca’ eppure ancora poco utilizzati. Per questo abbiamo realizzato un tutorial con poche e semplici regole che invitiamo a seguire. La politerapia se la conosci la fai”.
Il confronto con il medico
“Per esempio, è bene tenere una lista aggiornata dei farmaci in uso, assicurandosi che il medico sia sempre al corrente di tutte le terapie assunte. Per evitare errori di somministrazione, può essere utile coinvolgere un caregiver e aiutarsi con i dispenser predosati e le app sul cellulare”, spiega Graziano Onder, Professore di Scienze Geriatriche, Università Cattolica del Sacro Cuore. “Il confronto periodico con il medico è importante anche per valutare eventuali modifiche della terapia: a volte può bastare variare la dieta o aumentare l’esercizio fisico per ridurre il numero di farmaci. La regola aurea è sempre quella di non interrompere o ridurre in autonomia la cura prescritta”.
“È bene attenersi alle indicazioni del medico anche per evitare possibili interazioni tra farmaci e tra farmaci e cibo, avendo a mente che alcuni alimenti possono aumentare o ridurre l’efficacia di un principio attivo contenuto nel medicinale”, afferma Francesco Landi, Presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG). “Per chi assiste un anziano fragile, in qualsiasi setting assistenziale e in particolare a casa, la somministrazione delle medicine è un atto estremamente importante e di grande responsabilità: farlo correttamente equivale a garantire una maggiore efficacia dell’intervento terapeutico, minimizzando i rischi per il paziente”.
Il decalogo “Anziani e farmaci: 10 regole per la corretta assunzione”
Neuroblastoma bimbi: individuate mutazioni del Dna responsabili
Bambini, PediatriaUn maxi studio italiano apre a nuove terapie mirate per il neuroblastoma. Con il supporto della bioinformatica, sono state scoperte alcune rare varianti genetiche che predispongono al neuroblastoma. Si tratta di un tumore maligno del sistema nervoso che ogni anno colpisce circa 15.000 bambini e adolescenti nel mondo e più di un centinaio in Italia. Oggi è la prima causa di morte e la terza neoplasia per frequenza, dopo le leucemie e i tumori cerebrali dell’infanzia.
Neuroblastoma nei bambini, il nuovo studio
La ricerca crea nuove prospettive per la diagnosi precoce e il trattamento personalizzato della malattia. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista eBioMedicine. Il team di ricercatori è stato guidato da Mario Capasso e Achille Iolascon del Ceinge, rispettivamente professore associato e ordinario di Genetica Medica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
Lo studio è finanziato da Open Onlus, Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma e Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. In particolare, si basa sull’analisi della più ampia casistica mai studiata fino a oggi. Inoltre, tutti i dati genetici sono stati resi disponibili in un database online, al fine di renderli utilizzabili da altri ricercatori per eventuali nuovi studi.
Alzheimer: da Fda arriva autorizzazione per il nuovo farmaco
AnzianiNon ha un prezzo accessibile a tutti per il momento, ma ha dimostrato di rallentare la malattia. La Food and Drug Administration (Fda) americana ha autorizzato l’atteso farmaco per l’Alzheimer di Eisai e Biogen. Costerà 26.500 dollari all’anno a persona.
L’Alzheimer ha una nuova cura
L’Alzheimer interessa circa 6,5 milioni di americani, “è una malattia molto invalidante per chi ne è affetto. Inoltre ha effetti devastanti anche sui familiari e le persone che circondano il malato. Questa nuova opzione di trattamento “è l’ultima a prendere di mira il processo sottostante dell’Alzheimer, invece che curare i sintomi della malattia”, afferma Billy Dunn della Fda.
I risultati degli studi sul nuovo farmaco sono promettenti e dimostrano un evidente rallentamento della malattia. La Fda ha garantito al farmaco il via libera accelerato. Ciò significa che le due società dovranno condurre altri studi.