Tempo di lettura: 5 minutiL’altezza e la crescita di un bambino non dipendono solo dalla genetica, ma bensì dal contesto in cui vive. I vantaggi del vivere in città per i più piccoli si stanno riducendo in tutto il mondo. Tuttavia si tratta solo di una diminuizione. A rivelarlo è una ricerca che ha indagato la crescita e lo sviluppo di bambini e adolescenti sani.
La ricerca
La ricerca, pubblicata su Nature, è stata condotta da un consorzio globale di oltre 1500 ricercatori e medici sulla base dei parametri di altezza e indice di massa corporea (BM)). Sono stati analizzati i dati di 71 milioni di bambini e adolescenti dai 5 ai 19 anni (ovvero in età scolare) nelle aree urbane e rurali di 200 Paesi, dal 1990 al 2020. Lo studio è stato coordinato dall’Imperial College di Londra. Il Consiglio Nazionale delle ricerche ha contribuito – tramite l’Istituto di fisiologia clinica di Pisa e Reggio Calabria (Cnr-Ifc), l’Istituto di neuroscienze di Padova (Cnr-In) e l’Istituto di scienze dell’alimentazione di Avellino (Cnr-Isa).
I risultati
Nel ventesimo secolo bambini e adolescenti delle città risultavano in media più alti dei loro coetanei rurali. Tuttavia, a partire dal 2000 il “vantaggio” di altezza delle zone urbane si è ridotto nella maggior parte dei Paesi coinvolti. Anche l’indice di massa corporea – BMI, indicatore del fatto che i soggetti analizzati abbiano un peso sano per la loro altezza – si è, nel tempo, equilibrato. Nel 1990, in media, i bambini che vivevano nelle città avevano un indice di massa corporea leggermente più alto rispetto ai bambini nelle zone rurali. Mentre entro il 2020, le medie del BMI sono aumentate nella maggior parte dei Paesi, mostrando un “recupero” da parte delle aree rurali.
L’indice ha mostrato, comunque, di crescere più velocemente per i bambini urbani, ad eccezione dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale, dove il BMI è cresciuto più velocemente nelle zone rurali. Lungo tutto l’arco temporale indagato, tuttavia, il divario tra il BMI urbano e rurale è rimasto di scarsa entità (circa 1 kg/m²) a livello globale.
I bambini italiani
L’Italia è stata coinvolta nello studio con i dati delle indagini epidemiologiche longitudinali condotte dal Cnr-Ifc nell’area del Delta del Po e nell’area urbana-suburbana di Pisa tra il 1980 ed il 2011. Oltre che con i dati acquisiti dal Cnr -Isa nell’ambito dei progetti Idefics e I.Family, relativi al periodo 2006-2017. “Fino ad oggi si è ritenuto che le città potessero offrire migliori opportunità di istruzione, alimentazione, sport, ricreazione e assistenza sanitaria”, spiega Giovanni Viegi, associato al Cnr-Ifc e collaboratore dello studio. “In effetti, le città continuano a fornire notevoli benefici per la salute di bambini e adolescenti ma – come emerge da questa ampia indagine- oggi fortunatamente la maggior parte di regioni e aree rurali stanno raggiungendo i livelli delle città, grazie a moderni servizi igienico-sanitari e a miglioramenti nella nutrizione e nell’assistenza sanitaria”.
Il grado di cambiamento tra le aree urbane e quelle rurali varia molti tra i diversi Paesi a medio e basso reddito, mentre si rilevano solo piccole differenze in Paesi ad alto reddito. Le economie a medio reddito e quelle emergenti – come Cile, Taiwan e Brasile – hanno registrato i maggiori aumenti di altezza dei bambini nelle zone rurali nel corso dei tre decenni. Infatti, i bambini che vivono nelle aree rurali crescono ad altezze simili a quelle delle loro controparti urbane. Inoltre, tra il 1990 ed il 2020, in alcuni Paesi ad alto reddito (ad es. Danimarca, Italia e Spagna) non si è registrato un aumento del BMI nelle successive coorti di bambini e adolescenti.
Per contro, i ragazzi che vivono nelle zone rurali dell’Africa sub-sahariana si sono stabilizzati in altezza o addirittura sono diventati più bassi nel corso del periodo in esame, in parte a causa delle crisi nutrizionali e sanitarie degli anni ’80. Nel contempo, nella stessa regione si sono registrati aumenti di peso più rapidi nelle zone rurali rispetto alle città. Ciò significa che alcuni Paesi sono passati da situazioni di sottopeso a situazioni di aumento di peso eccessivo. Un dato, quest’ultimo, che fa riflettere sulla necessità di avviare programmi di contrasto alla povertà alimentare tali da garantire una crescita equilibrata di bambini e adolescenti.
Infine, contrariamente al diffuso presupposto che l’urbanizzazione favorisca l’insorgere di problemi di obesità, lo studio ha rilevato che molti Paesi occidentali ad alto reddito hanno avuto differenze minime in altezza e BMI nel tempo. Il divario tra BMI urbano e rurale differisce di meno di un’unità nel 2020 (vicino a 1,5 kg di peso per un bambino di 130 cm). Lo studio è stato finanziato da UKRI (MRC), Wellcome Trust, Unione Europea e da una sovvenzione non condizionante del programma AstraZeneca Young Health.
Bambini di città e di campagna a confronto. Una sintesi globale
Il divario di altezza si è notevolmente ridotto tra i bambini urbani e quelli rurali nei paesi dell’Europa centrale e orientale (Croazia), America Latina (Argentina, Brasile, Cile e Paraguay), Asia orientale e sudorientale (Taiwan) e per le ragazze dell’Asia centrale (Kazakistan ed Uzbekistan), dove i bambini delle zone rurali sono stati in grado di raggiungere altezze simili ai loro coetanei urbani.
In Cina, Romania e Vietnam, il divario di altezza tra aree urbane e rurali si è ridotto, ma i giovani che vivono nelle città sono rimasti più alti dei loro coetanei rurali di 1,7-2,5 cm nel 2020.
Al contrario, tra i ragazzi, il vantaggio dell’altezza urbana è leggermente aumentato nei paesi dell’Africa orientale come l’Etiopia, il Ruanda e l’Uganda, tutti di circa 1 cm. Questo divario è rimasto sostanzialmente invariato per le ragazze dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale.· Nel 2020, i ragazzi e le ragazze che vivevano nelle città delle Ande e dei paesi dell’America Latina centrale come Bolivia, Panama e Perù erano più alti dei loro coetanei rurali di alcuni dei margini più ampi, fino a 4,7 cm più alti per i ragazzi e 3,8 cm per le ragazze.
I ragazzi urbani nei paesi dell’Africa sub-sahariana come Congo, Etiopia, Mozambico e Ruanda erano costantemente più alti dei loro coetanei rurali con un ampio margine, fino a 4,2 cm nel 2020.
Il BMI di bambini e adolescenti è aumentato nelle aree urbane e rurali di tutti i paesi del mondo, con solo poche eccezioni, per lo più in paesi, ad alto reddito in cui si sono verificate leggere diminuzioni (<1 kg/m2) (ragazzi in Spagna e Italia e ragazze in Danimarca).
A livello globale, il divario del BMI tra città e aree rurali è cambiato molto poco dal 1990. Tuttavia, il BMI dei bambini urbani è aumentato leggermente di più, rispetto a quello dei bambini rurali, nei paesi a reddito medio dell’Asia orientale e sudorientale, dell’America Latina e dei Caraibi, del Medio Oriente e Nord Africa. L’aumento maggiore è stato registrato tra i ragazzi e le ragazze in Vietnam (di 0,5 kg/m2 per i ragazzi e 0,7 kg/m2 per le ragazze).
Nella maggior parte dei paesi dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia meridionale, il BMI di bambini e adolescenti è aumentato più nelle zone rurali che nelle città, portando a una riduzione del divario urbano-rurale insieme a uno spostamento del BMI medio di ragazzi e ragazze in regioni rurali fuori dall’intervallo per essere considerati sottopeso, spostandosi sempre più verso un peso insalubre per la loro altezza.
Bambini: la crescita varia tra campagna e città. Lo studio
Bambini, PediatriaL’altezza e la crescita di un bambino non dipendono solo dalla genetica, ma bensì dal contesto in cui vive. I vantaggi del vivere in città per i più piccoli si stanno riducendo in tutto il mondo. Tuttavia si tratta solo di una diminuizione. A rivelarlo è una ricerca che ha indagato la crescita e lo sviluppo di bambini e adolescenti sani.
La ricerca
La ricerca, pubblicata su Nature, è stata condotta da un consorzio globale di oltre 1500 ricercatori e medici sulla base dei parametri di altezza e indice di massa corporea (BM)). Sono stati analizzati i dati di 71 milioni di bambini e adolescenti dai 5 ai 19 anni (ovvero in età scolare) nelle aree urbane e rurali di 200 Paesi, dal 1990 al 2020. Lo studio è stato coordinato dall’Imperial College di Londra. Il Consiglio Nazionale delle ricerche ha contribuito – tramite l’Istituto di fisiologia clinica di Pisa e Reggio Calabria (Cnr-Ifc), l’Istituto di neuroscienze di Padova (Cnr-In) e l’Istituto di scienze dell’alimentazione di Avellino (Cnr-Isa).
I risultati
Nel ventesimo secolo bambini e adolescenti delle città risultavano in media più alti dei loro coetanei rurali. Tuttavia, a partire dal 2000 il “vantaggio” di altezza delle zone urbane si è ridotto nella maggior parte dei Paesi coinvolti. Anche l’indice di massa corporea – BMI, indicatore del fatto che i soggetti analizzati abbiano un peso sano per la loro altezza – si è, nel tempo, equilibrato. Nel 1990, in media, i bambini che vivevano nelle città avevano un indice di massa corporea leggermente più alto rispetto ai bambini nelle zone rurali. Mentre entro il 2020, le medie del BMI sono aumentate nella maggior parte dei Paesi, mostrando un “recupero” da parte delle aree rurali.
L’indice ha mostrato, comunque, di crescere più velocemente per i bambini urbani, ad eccezione dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale, dove il BMI è cresciuto più velocemente nelle zone rurali. Lungo tutto l’arco temporale indagato, tuttavia, il divario tra il BMI urbano e rurale è rimasto di scarsa entità (circa 1 kg/m²) a livello globale.
I bambini italiani
L’Italia è stata coinvolta nello studio con i dati delle indagini epidemiologiche longitudinali condotte dal Cnr-Ifc nell’area del Delta del Po e nell’area urbana-suburbana di Pisa tra il 1980 ed il 2011. Oltre che con i dati acquisiti dal Cnr -Isa nell’ambito dei progetti Idefics e I.Family, relativi al periodo 2006-2017. “Fino ad oggi si è ritenuto che le città potessero offrire migliori opportunità di istruzione, alimentazione, sport, ricreazione e assistenza sanitaria”, spiega Giovanni Viegi, associato al Cnr-Ifc e collaboratore dello studio. “In effetti, le città continuano a fornire notevoli benefici per la salute di bambini e adolescenti ma – come emerge da questa ampia indagine- oggi fortunatamente la maggior parte di regioni e aree rurali stanno raggiungendo i livelli delle città, grazie a moderni servizi igienico-sanitari e a miglioramenti nella nutrizione e nell’assistenza sanitaria”.
Il grado di cambiamento tra le aree urbane e quelle rurali varia molti tra i diversi Paesi a medio e basso reddito, mentre si rilevano solo piccole differenze in Paesi ad alto reddito. Le economie a medio reddito e quelle emergenti – come Cile, Taiwan e Brasile – hanno registrato i maggiori aumenti di altezza dei bambini nelle zone rurali nel corso dei tre decenni. Infatti, i bambini che vivono nelle aree rurali crescono ad altezze simili a quelle delle loro controparti urbane. Inoltre, tra il 1990 ed il 2020, in alcuni Paesi ad alto reddito (ad es. Danimarca, Italia e Spagna) non si è registrato un aumento del BMI nelle successive coorti di bambini e adolescenti.
Per contro, i ragazzi che vivono nelle zone rurali dell’Africa sub-sahariana si sono stabilizzati in altezza o addirittura sono diventati più bassi nel corso del periodo in esame, in parte a causa delle crisi nutrizionali e sanitarie degli anni ’80. Nel contempo, nella stessa regione si sono registrati aumenti di peso più rapidi nelle zone rurali rispetto alle città. Ciò significa che alcuni Paesi sono passati da situazioni di sottopeso a situazioni di aumento di peso eccessivo. Un dato, quest’ultimo, che fa riflettere sulla necessità di avviare programmi di contrasto alla povertà alimentare tali da garantire una crescita equilibrata di bambini e adolescenti.
Infine, contrariamente al diffuso presupposto che l’urbanizzazione favorisca l’insorgere di problemi di obesità, lo studio ha rilevato che molti Paesi occidentali ad alto reddito hanno avuto differenze minime in altezza e BMI nel tempo. Il divario tra BMI urbano e rurale differisce di meno di un’unità nel 2020 (vicino a 1,5 kg di peso per un bambino di 130 cm). Lo studio è stato finanziato da UKRI (MRC), Wellcome Trust, Unione Europea e da una sovvenzione non condizionante del programma AstraZeneca Young Health.
Bambini di città e di campagna a confronto. Una sintesi globale
Il divario di altezza si è notevolmente ridotto tra i bambini urbani e quelli rurali nei paesi dell’Europa centrale e orientale (Croazia), America Latina (Argentina, Brasile, Cile e Paraguay), Asia orientale e sudorientale (Taiwan) e per le ragazze dell’Asia centrale (Kazakistan ed Uzbekistan), dove i bambini delle zone rurali sono stati in grado di raggiungere altezze simili ai loro coetanei urbani.
In Cina, Romania e Vietnam, il divario di altezza tra aree urbane e rurali si è ridotto, ma i giovani che vivono nelle città sono rimasti più alti dei loro coetanei rurali di 1,7-2,5 cm nel 2020.
Al contrario, tra i ragazzi, il vantaggio dell’altezza urbana è leggermente aumentato nei paesi dell’Africa orientale come l’Etiopia, il Ruanda e l’Uganda, tutti di circa 1 cm. Questo divario è rimasto sostanzialmente invariato per le ragazze dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale.· Nel 2020, i ragazzi e le ragazze che vivevano nelle città delle Ande e dei paesi dell’America Latina centrale come Bolivia, Panama e Perù erano più alti dei loro coetanei rurali di alcuni dei margini più ampi, fino a 4,7 cm più alti per i ragazzi e 3,8 cm per le ragazze.
I ragazzi urbani nei paesi dell’Africa sub-sahariana come Congo, Etiopia, Mozambico e Ruanda erano costantemente più alti dei loro coetanei rurali con un ampio margine, fino a 4,2 cm nel 2020.
Il BMI di bambini e adolescenti è aumentato nelle aree urbane e rurali di tutti i paesi del mondo, con solo poche eccezioni, per lo più in paesi, ad alto reddito in cui si sono verificate leggere diminuzioni (<1 kg/m2) (ragazzi in Spagna e Italia e ragazze in Danimarca).
A livello globale, il divario del BMI tra città e aree rurali è cambiato molto poco dal 1990. Tuttavia, il BMI dei bambini urbani è aumentato leggermente di più, rispetto a quello dei bambini rurali, nei paesi a reddito medio dell’Asia orientale e sudorientale, dell’America Latina e dei Caraibi, del Medio Oriente e Nord Africa. L’aumento maggiore è stato registrato tra i ragazzi e le ragazze in Vietnam (di 0,5 kg/m2 per i ragazzi e 0,7 kg/m2 per le ragazze).
Nella maggior parte dei paesi dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia meridionale, il BMI di bambini e adolescenti è aumentato più nelle zone rurali che nelle città, portando a una riduzione del divario urbano-rurale insieme a uno spostamento del BMI medio di ragazzi e ragazze in regioni rurali fuori dall’intervallo per essere considerati sottopeso, spostandosi sempre più verso un peso insalubre per la loro altezza.
Mieloma Multiplo, una malattia che può essere affrontata: intervista al Dott. Gentile
Podcast“Contenuto realizzato da Radio KissKiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Mieloma Multiplo, una malattia che può essere affrontata
Benessere, Medicina funzionale, News Presa, PartnerCi sono patologie delle quali sentiamo parlare, ma che in realtà non conosciamo. Il Mieloma Multiplo è una di queste. A fare chiarezza sul tema, ai microfoni di Radio Kiss Kiss, è stato il dott. Massimo Gentile, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Ematologia dell’Azienda Ospedaliera Annunziata di Cosenza. Sabato 1 Aprile, in occasione delle Pillole di Salute realizzate dal network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute, il dott. Gentile ha spiegato che il Mieloma Multiplo è un tumore del sangue. O, per la precisione, del midollo osseo.
PLASMACELLULE
È dovuto alla proliferazione, quindi alla crescita incontrollata, di una particolare famiglia di cellule che si chiamano plasmacellule. Queste plasmacellule, normalmente, hanno il compito di produrre gli anticorpi, ovvero le proteine che ci difendono dalle infezioni. Nel caso del Mieloma Multiplo si crea una sorta di corto circuito. Fortunatamente, si tratta di una malattia rara. Basti pensare che rappresenta circa il 2 per cento di tutti i tumori che si osservano, tra quelli solidi e quelli del sangue. Gentile ha ricordato che le nuove diagnosi sono tra le 4 e le 6 su 100.000 abitanti ogni anno.
ETÀ AVANZATA
Il Mieloma Multiplo è una malattia che il più delle volte riguarda persone che hanno superato i 70 anni, quindi una patologia più frequente nell’età avanzata. Sempre lo specialista ha spiegato che solo in un 10 per cento dei casi, quindi in una piccola percentuale, il Mieloma Multiplo colpisce persone con meno di 50 anni.
SINTOMI E DIAGNOSI
Ma come viene fatta la diagnosi? Come spesso accade per le malattie che nelle prime fasi sono silenti, spesso si arriva alla diagnosi un po’ per caso. Circa il 30 per cento dei pazienti se ne accorge facendo analisi di routine. Campanelli d’allarme possono essere valori di emoglobina ridotti, livelli di calcio elevati o insufficienza renale. C’è poi un’analisi delle urine, l’elettroforesi delle proteine, che consente di arrivare ad una diagnosi.
DOLORE
Anche il dolore può essere un sintomo, ricorda il professor Gentile. In alcuni casi, il malfunzionamento di queste proteine causa danni alle ossa, provocando dolore o, nei casi avanzati, addirittura delle fratture. Infine, ultimo campanello d’allarme, sono le infezioni. La buona notizia è che oggi esistono molte terapie per affrontare la malattia. Nessuna riesce ancora a guarirla, ma si riesce a cronicizzarla. Il Mieloma Multiplo è il tumore per il quale, negli ultimi 10 anni, si è avuto il maggior numero di autorizzazioni al trattamento da parte di AIFA. Oggi, conclude Gentile, riusciamo a portare il paziente verso un periodo più o meno lungo di remissione. Solo in alcuni casi selezionati si può procedere con il trapianto allogenico, che può portare a una guarigione. Ascolta l’intervista, clicca QUI.
“Contenuto realizzato da Radio KissKiss in collaborazione con PreSa, con il supporto di Sanofi”
Memoria a lungo termine, questa scoperta cambierà le cose
Benessere, Medicina funzionale, News Presa, Ricerca innovazioneIl segreto della memoria a lungo termine è nel talamo. I risvolti di questa scoperta sono almeno due: in primis, stimolando adeguatamente questa struttura nervosa che trasmette le informazioni provenienti dall’esterno potremmo essere in grado di migliorare le nostre prestazioni. Inoltre, potremmo riuscire nel tempo a sconfiggere malattie come l’Alzheimer. Andiamo con ordine.
IL LABIRINTO
Protagonista di questa importante scoperta è Priya Rajasethupathy della Rockefeller University di New York. La sua ricerca è stata resa nota dalla rivista Cell e dimostra come sia possibile intervenire sulla memoria a lungo termine stimolando il talamo. La scienziata ha studiato l’attività cerebrale di decine di topi che si muovevano in un labirinto. Quando il talamo dei topi è stato stimolato durante la fase di apprendimento del percorso giusto nel labirinto, gli animali sono stati in grado di ricordare tale percorso anche diverse settimane dopo.
L’IMMAGINE DEI RICORDI
Per questa scoperta sono state necessarie anche tecnologie straordinarie, come quelle che hanno consentito di osservare la formazione dei ricordi in tempo reale. Per riuscirci, gli scienziati hanno utilizzato una nuova tecnologia di imaging che ha permesso di vedere contemporaneamente l’attività elettrica dei singoli neuroni nell’ippocampo, nel talamo e nella corteccia. Hanno combinato l’imaging cerebrale con il gioco del labirinto. Al termine dell’addestramento nel labirinto, i topi presentavano una maggiore attività nel talamo, suggerendo ai ricercatori che la regione potrebbe svolgere un ruolo importante nella memoria.
L’UOMO
La controprova è arrivata poi dal sottoporre le stesse cavie al percorso appreso, tre settimane dopo i primi test. i topi che hanno ricevuto una stimolazione del talamo sono stati in grado di ricordare la via d’uscita dal labirinto. I topi a cui era stata inibita l’attivazione del talamo, invece, non erano capaci di formare ricordi a lungo termine sui percorsi del labirinto. In questo modo i ricercatori hanno dimostrato il ruolo del talamo nella formazione dei ricordi duraturi stimolandone o inibendone l’attivazione. Per Rajasethupathy questa è stata un’indicazione molto chiara del fatto che serve davvero il talamo per consolidare i ricordi a lungo termine. Ora, naturalmente, si dovrà dimostrare che il meccanismo funziona anche nell’uomo.
Autismo, la Giornata Mondiale. I segnali e le iniziative del SSN
BambiniNella Giornata Mondiale della consapevolezza sull’autismo, l’attenzione è rivolta a tutti i disturbi dello spettro autistico (dall’inglese Autism Spectrum Disorders, ASD). Il 2 aprile, infatti, è dedicato alla sensibilizzazione su questi disturbi e agli aspetti connessi. Come riporta il Ministero della Salute si tratta di “un insieme eterogeneo di disturbi del neurosviluppo caratterizzati da deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in molteplici contesti e pattern di comportamenti, interessi o attività ristretti, ripetitivi”.
Sebbene la ricerca continui a fare passi in avanti anche, ancora gli aspetti legati alle cause non sono stati del tutto messi in luce. Tuttavia, le persone nello spettro autistico hanno spesso in concomitanza altre malattie neurologiche, psichiatriche e mediche di cui è necessario tenere conto ai fini di una diagnosi corretta.
I numeri
Si stima che nel nostro Paese un bambino su 77 (nell’età 7-9 anni) abbia un disturbo dello spettro autistico. La prevalenza è maggiore nei maschi. Infatti, i bambini con una diagnosi di autismo sono 4,4 volte in più rispetto alle femmine.
In occasione della Giornata Mondiale, l’ISS ha aggiornato sul sito dell’Osservatorio Nazionale Autismo, tutte le informazioni relative alle attività previste nel fondo autismo. La piattaforma dell’Osservatorio è anche il punto di accesso per il database di dati clinici per le 154 unità di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, le 28 unità di Terapia Intensiva Neonatale e gli oltre 500 pediatri afferenti al Network NIDA che, nell’ambito dei servizi pubblici, sono stati finanziati dal Ministero della Salute attraverso l’ISS. Ad oggi, il Network NIDA monitora le traiettorie evolutive di 998 fratellini di bambini con diagnosi di spettro autistico, 877 neonati prematuri e 302 piccoli per età gestazionale.
L’autismo degli adulti
“A partire dal 3 aprile – spiega Maria Luisa Scattoni, coordinatore dell’Osservatorio Nazionale Autismo (OssNA) – sarà attiva la consultazione pubblica sulle raccomandazioni cliniche per le componenti prioritarie del progetto di vita della Linea Guida per la diagnosi e il trattamento degli adulti autistici. L’inclusione di questa tematica nelle Linee Guida è del tutto innovativa e ne testimonia la rilevanza per migliorare le condizioni e la qualità della vita delle persone, anche adulte, nello spettro autistico”. Queste raccomandazioni si aggiungono a quelle pubblicate e/o andate in consultazione della Linea guida sulla diagnosi e sul trattamento dei disturbi dello spettro autistico, attualmente in elaborazione.
Il Fondo Autismo
“Nell’ultimo anno- chiarisce Maria Luisa Scattoni– l’ISS ha siglato accordi con le Regioni e le Provincie Autonome nell’ambito del Fondo Autismo per oltre 20 milioni di euro per implementare percorsi differenziati per la formulazione del piano individualizzato, e a seguire del progetto di vita, tenendo conto delle preferenze della persona e delle diverse necessità di supporto e considerando come misura di esito principale la qualità della vita della persona in tutte le sue dimensioni, non solo quella clinica.
In questa direzione vanno anche le iniziative formative che l’ISS ha promosso nella rete dei servizi sanitari e socio-sanitari del SSN. Solo nell’ultimo anno – prosegue Maria Luisa Scattoni – figurano i corsi dedicati alle strategie per implementare a livello nazionale il modello di accoglienza e assistenza medica ospedaliera DAMA (Modello DAMA – Disabled Advanced Medical Assistance) nelle Aziende Ospedaliere e quelle dirette ad aumentare le competenze specialistiche specifiche nei professionisti sanitari dei servizi pubblici sull’applied behavior analysis. Attraverso il fondo autismo, l’ISS ha garantito la formazione specialistica in analisi del comportamento ad oltre 400 professionisti della rete pubblica identificati direttamente dalle Aziende Sanitarie Locali/Provinciali ed ha reso da poco disponibile un ulteriore corso tematico sulle emergenze comportamentali per oltre 300 operatori attivi nei servizi.”
I servizi
Nella sezione Mappatura dei servizi, in una grafica semplificata per il cittadino, vi sono i centri clinici e socio-sanitari per l’autismo e gli altri disturbi del neurosviluppo in tutto il territorio nazionale. A marzo 2023, i centri censiti dalle Regioni nella piattaforma sono oltre 1200, di cui 649 (54%) al Nord, 259 (21%) al Centro e 294 (25%) al Sud e Isole. Relativamente all’utenza, 629 centri offrono prestazioni per l’età evolutiva e 517 per l’età adulta per un totale di 782.929 utenti, di cui 78.242 con diagnosi di autismo.
Foreste italiane per il clima e la salute: in quali regioni
Benessere, News Presa, One healthForeste italiane. Tutto ciò che riguarda l’ambiente e il clima è strettamente legato alla salute umana. In questa direzione stanno procedendo i lavori del progetto quinquennale LIFE ClimatePositive. L‘obiettivo è di contribuire all’aumento delle superfici boschive, gestite seguendo criteri che valorizzino i servizi ecosistemici, e favoriscano l’associazionismo forestale. In particolare, misurando gli impatti positivi, come l’assorbimento di CO2, la biodiversità e la regolazione dell’acqua.
Dopo la firma dell’accordo di partenariato, il CREA Foreste e Legno ha iniziato i primi sopralluoghi nelle aree che sorgeranno in Veneto, Toscana e Molise. Le visite continueranno nelle prossime settimane anche in Piemonte e nel Comune di Luvinate. Necessarie per capire quali sono gli interventi da realizzare nella foresta (imboschimento, rimboschimento, rivegetazione, miglioramento di gestione) e che saranno condotti nel 2024.
È stata presentata la bozza di protocollo redatta dal CREA per la stima del bilancio del carbonio forestale e dei servizi ecosistemici. Verrà testata durante i sopralluoghi nelle aree pilota. Il protocollo, una volta ultimato, sarà uno mezzo per verificare gli impatti positivi delle attività di gestione sui servizi ecosistemici, in particolare l’assorbimento di CO2, la biodiversità e la regolazione dell’acqua da parte dei proprietari e dei gestori forestali.
Carbon farming europee
Il progetto si propone di allineare l’Italia alle iniziative di carbon farming europee, attraverso la realizzazione e l’approvazione del Codice Forestale del Carbonio per il mercato volontario dei crediti, così da poter quantificare e certificare gli impatti positivi della gestione forestale e una loro immissione nei mercati volontari.
LIFE ClimatePositive vuole aumentare la superficie forestale pianificata e gestita per ridurre la vulnerabilità dei boschi. Inoltre promuove l’associazionismo forestale al fine di aggregare le proprietà, superando i limiti della frammentazione fondiaria. Punta a sviluppare modelli di business in grado di facilitare i piccoli proprietari forestali nell’accesso a finanziamenti pubblici e privati utili alla remunerazione dei servizi ecosistemici.
LIFE ClimatePositive è realizzato con il contributo dello strumento finanziario LIFE dell’Unione Europea e raggruppa alcuni tra i maggiori esperti italiani del settore, CREA, ETIFOR, FSC® Italia, Dip. TESAF dell’Università degli Studi di Padova, Regione Lombardia, ERSAF, Comune di Luvinate, WALDEN ed ETICAE.
Un italiano tra i migliori medici al mondo secondo ChatGPT
News Presa, Ricerca innovazioneLa storia della medicina è costellata di grandi nomi e di scoperte sensazionali. Ma cosa accadrebbe se chiedessimo ad una intelligenza artificiale (che in medicina trovaa sempre più applicazioni) di stilare la lista dei 10 medici più rinomati e influenti della storia recente, che hanno lasciato un’impronta duratura nella pratica medica e nella ricerca. Il solo modo per dare risposta a questa domanda era quello di porla. E così abbiamo fatto, ottenendo una piacevole sorpresa.
ANCHE UN ITALIANO
Il quesito è stato formulato al sistema di intelligenza artificiale ChatGPT, che pur precisando di non avere l’accesso a dati in tempo reale per fornire un elenco aggiornato dei migliori medici viventi del mondo, ha poi proposto una sua classifica. Una lista dei migliori al mondo nella quale spicca anche il nome del dottor Paolo Ascierto. Vediamo allora qual è la “formazione” dei top player proposta dall’IA più celebre al mondo.
Fibromialgia: una legge per la malattia ‘invisibile’.
Eventi d'interesse, News PresaRiconoscere la fibromialgia (FM) come una malattia invalidante: è questo l’obiettivo della proposta di legge presentata ieri a Roma. Si intitola: ‘Disposizioni in favore delle persone affette da fibromialgia o sindrome fibromialgica’. La proposta di legge di CFU Italia (Comitato Fibromialgici Uniti) ha lo scopo di portare alla luce quella che a tutt’oggi è considerata una patologia ‘invisibile’ anche al Sistema Sanitario.
La fibromialgia
La fibromialgia è una sindrome dolorosa cronica che presenta sintomi diversi tra loro. Tra i disturbi associati, anche stanchezza cronica, disturbi cognitivi e alterazioni del sonno. Colpisce in Italia circa 2-3 milioni di persone, corrispondenti al 3-3,5% dell’intera popolazione. Si tratta di una sindrome che potremmo definire “di genere”, giacché più dell’80% di coloro che ne sono affetti sono donne in età lavorativa tra i 30 e i 60 anni. La eziopatogenesi della FM è ancora da identificare ma il sintomo cardine, presente in ogni persona che ne è affetta, è il dolore cronico.
Ad oggi la patologia non è inserita nei LEA, non ha accesso a percorsi di assistenza finalizzati alla diagnosi, cura e riabilitazione della malattia in ogni suo stadio di manifestazione clinica. L’approvazione della legge dovrà portare all’esenzione della partecipazione alla spesa per le correlate prestazioni sanitarie.
La proposta di legge
Il Vice presidente della Camera Sergio Costa intervenuto alla conferenza stampa ha dichiarato: “questa legge non deve avere colori partitici, così la politica vuole fare polis”. La proposta di legge prevede altresì la prevenzione della sindrome fibromialgica anche attraverso l’istituzione su scala nazionale e regionale di programmi socio-sanitari finalizzati alla prevenzione primaria, secondaria e terziaria della malattia. Ciò mediante strumenti, anche sperimentali, che permettano l’adozione di interventi in grado di evitare o ridurre l’insorgenza e lo sviluppo della fibromialgia, trattando le condizioni di rischio. Anticipando, inoltre, la diagnosi di malattia e riducendo la morbilità, promuovendo la salute dell’individuo e della collettività.
“È necessario” dichiara Barbara Suzzi, Presidente CFU, l’istituzione di un percorso finalizzato ad inserire la Fibromialgia nell’elenco delle malattie “Croniche”. Precisando i gradi di invalidità derivanti dal persistere della malattia nei suoi differenti stadi di severità. Ciò al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni”.
L’impatto sul lavoro
La fibromialgia ha altresì un impatto anche sul lavoro. Infatti, il 35-50% dei pazienti non lavora e una persona su tre ritiene di non poter lavorare a causa della sintomatologia e delle limitazioni che essa determina. Tutto ciò porta a gravi difficoltà economiche che impattano anche sulle possibilità di cura, così come a conseguenze negative sull’autostima e sul senso di autoefficacia.
La fibromialgia richiede trattamenti multidisciplinari a lungo termine, farmacologici e non farmacologici. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dal 1992, con la cosiddetta “Dichiarazione di Copenaghen” l’ha riconosciuta e inclusa nell’International Classification of Diseases (ICD) a partire dalla sua nona revisione. Tuttavia, in assenza del suo inserimento nell’elenco del Ministero della Salute non è prevista come diagnosi nei tabulati di dimissione ospedaliera. I pazienti, di conseguenza, sono privi di tutele e non possono usufruire dell’esenzione dalla spesa sanitaria. Riconoscere la FM come malattia cronica e invalidante ne consentirebbe l’inserimento tra le patologie che danno diritto all’esenzione, stante le condizioni di forte disagio e malessere psico-fisico che vivono le persone che ne sono affette.
Consumo di caffè, ora gli effetti sono certificati
Alimentazione, Ricerca innovazioneConsumo di caffè.
Un caffè al giorno non fa certo male, ma uno studio pubblicato di recente sul New England Journal of Medicine ha definitivamente chiarito che, in alcuni casi, qualche rischio potrebbe esserci. Lo studio in questione è stato condotto all’università di San Francisco e dice almeno due cose importanti: le persone che bevevano abitualmente caffè fanno in media più passi al giorno (1000 in più in media al dì), ma dormono leggermente meno rispetto a coloro che non bevevano caffè (mezz’ora in meno a notte).
LA RICERCA
Sino ad oggi, quasi tutti gli studi condotti sull’argomento si sono limitati ad osservare ciò che accade alle persone che bevono e non bevono caffè, spiega l’autore principale dello studio, Gregory Marcus, cardiologo e professore di medicina presso l’Università della California. Marcus ritiene però che questi dati osservazionali non sono sufficienti a stabilire che sia proprio il caffè a causare determinate condizioni. Di qui la nascita dello studio clinico che ha coinvolto 100 adulti di età media 39 anni. Hanno dotato i partecipanti di Fitbit per tracciare i loro passi e il sonno, di monitor continui per la glicemia e di dispositivi per l’elettrocardiogramma che tracciavano i loro ritmi cardiaci.
MOVIMENTO
Ogni partecipante doveva bere tutto il caffè che voleva per due giorni, poi ad astenersi per due giorni, ripetendo il ciclo per un periodo di due settimane. Gli sperimentatori non sapevano quando il volontario bevendo il caffè e quando, invece, si stava astenendo dal consumo. Ebbene, è emerso che nei giorni di consumo di caffè, i partecipanti hanno fatto in media 1.058 passi in più rispetto ai giorni di astensione. Ma in quei giorni il sonno ha subito un contraccolpo, con 36 minuti di sonno in meno per i partecipanti. Più caffè si beveva, più attività fisica e meno sonno si facevano.
RISCHI CARDIACI
La ricerca suggerisce anche che il consumo di caffè potrebbe aumentare il rischio di palpitazioni cardiache. Il caffè, infatti, sembra avere effetti anche sul cuore: bere più di una tazza al giorno ha comportato un’incidenza di contrazioni ventricolari premature, o PVC, superiore del 50 per cento rispetto ai giorni in cui non si assumeva caffè. Questi battiti cardiaci possono dare la sensazione di un battito saltato o di palpitazioni che, col tempo potrebbero aumentare il rischio di insufficienza cardiaca. Quindi, se si è a rischio di insufficienza cardiaca, ad esempio se ha una storia familiare di insufficienza cardiaca, potrebbe voler stare alla larga dal caffè.
Internet Gaming Disorder, i segnali della dipendenza da giochi online
Adolescenti, News Presa, PediatriaLa depressione, anche grave, è solo uno dei sintomi associati al disturbo da uso di videogiochi che vede coinvolto il 12% degli studenti italiani (circa 480 mila). L’Internet Gaming Disorder, dall’inglese che si traduce in “dipendenza da giochi online”, secondo gli ultimi dati Iss ha un rischio di 5,54 volte maggiore nei ragazzi di 11-13 anni e 3,49 nei ragazzi 14-17 anni. La dipendenza genera, inoltre, un’ansia sociale grave o molto grave, con un rischio di 3,65 volte maggiore rispetto alla media nei ragazzi di 11-13 anni e 5,80 nei ragazzi 14-17 anni. Chi ne è affetto si sente ansioso, depresso e irritabile quando è impossibilitato a giocare. Emerge un significativo ritiro sociale. Può emergere rabbia, violenza e svogliatezza, fino alla totale mancanza di appetito e di sonno. Anche quando la persona comprende la gravità della sua situazione e smette per un po’ di giocare, non riesce mai a interrompere completamente.
Internet Gaming Disorder, la difficile comunicazione con i genitori
Il genere maschile è più colpito, con la percentuale che arriva al 18% negli studenti maschi delle secondarie di primo grado e al 13,8% negli studenti delle superiori (contro il 10,8% nelle scuole medie e il 5,5% nelle scuole superiori per le femmine). Rispetto all’età, la percentuale di rischio maggiore si rileva nelle scuole medie con il 14,3% dei ragazzi a rischio, mentre il dato scende al 10,2% alle superiori.
Gli studenti di 11-13 anni con un rischio di Internet Gaming disorder dichiarano una difficoltà comunicativa con i genitori nel 58,6%. Questa percentuale scende al 38,3% in chi non presenta il rischio. Tra i genitori che dichiarano di “non osservare problematiche nei figli legate all’uso rischioso dei videogiochi” vi è invece l’8,6% che presenta un figlio con rischio di gaming addiction, del quale evidentemente il genitore rispondente non si accorge. Addirittura, nei genitori che dichiarano che il loro figlio “non gioca con i videogiochi” si riscontra il 3,7% di casi di figli che presentano un rischio di gaming addiction.
La fotografia emerge dallo studio Dipendenze comportamentali nella Generazione Z, frutto di un accordo tra il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, presentato oggi con un convegno nella sede dell’Istituto.