Anziani: vaccino contro influenza e pneumococco riducono rischio COVID
L’arrivo dell’inverno è un momento di maggiore rischio per i più fragili, perché porta con sé le malattie di stagione. L’influenza stagionale e la malattia pneumococcica sono malattie prevenibili che causano ancora una significativa morbilità e mortalità. Ai primi di novembre, è stato pubblicato su Respiratory Medicine l’appello congiunto di S.I.P./I.R.S. – Società Italiana di Pneumologia/Italian Respiratory Society e S.I.T.A. – Società Italiana di Terapia Antinfettiva per promuovere, con decisione e in tempi di COVID-19 non ancora conclusi, la vaccinazione anti-influenzale e contro lo pneumococco, soprattutto tra i soggetti fragili e anziani.
In considerazione del fatto che co-infezioni con virus influenzali o batteriche da Streptococcus pneumoniae sono riscontrate in pazienti COVID-19 e potrebbero avere un impatto negativo sull’esito clinico. La prevenzione dei ricoveri ospedalieri sia per influenza che per pneumococco potrebbe contribuire a ridurre il carico aggiuntivo per i sistemi sanitari e a risparmiare risorse sanitarie. Inoltre, sulla base di recenti evidenze, è possibile ipotizzare che una precedente immunizzazione con vaccini non SARS-CoV-2 possa ridurre il rischio di infezione da COVID-19 e di esiti clinici avversi
Alla luce di ciò, le due Società scientifiche S.I.P./I.R.S. e S.I.T.A. raccomandano congiuntamente uno sforzo per fornire la vaccinazione antinfluenzale alla popolazione generale con particolare attenzione ai gruppi ad alto rischio e agli anziani, parallelamente a un forte miglioramento della copertura vaccinale pneumococcica per questi stessi gruppi di pazienti.
“Studi recenti hanno evidenziato come la vaccinazione anti-influenzale e anti-pneumococcica riducano significativamente il rischio di acquisire l’infezione da SARS-CoV-2, in particolare nei soggetti di età superiore ai 60 anni – sottolinea per la S.I.P./I.R.S. Francesco Blasi, professore ordinario di Medicina respiratoria al dipartimento di Fisiopatologia e Trapianti dell’Università degli Studi di Milano – Questo effetto potrebbe essere legato ad una maggiore propensione dei soggetti che si vaccinano ad osservare le misure di prevenzione delle infezioni ma soprattutto ad una stimolazione da parte dei vaccini della immunità innata che si ipotizza possa indurre un effetto sinergico di protezione dei vaccini anti-influenzale e anti-pneumococcico nei confronti della acquisizione dell’infezione da SARS-CoV-2”.
I dati traslazionali su MERS – Middle East Respiratory Syndrome da coronavirus – suggeriscono infatti che le co-infezioni virali e batteriche tipiche del clima rigido invernale possono aumentare l’infettività di SARS-CoV-2, contribuendo all’infiammazione polmonare, all’evoluzione della polmonite e alla gravità della malattia durante la risposta immunologica. Per quanto riguarda la malattia grave, l’associazione tra SARS-CoV-2 e altri virus è stata segnalata fino al 35% dei pazienti gravi, includendo virus influenzali e principalmente l’influenza di tipo A. A sua volta, la co-infezione batterica da Streptococcus pneumoniae è risultata la più frequente tra i pazienti COVID-19, in una serie di studi osservazionali prospettici in tutta Europa. Nello specifico, I pazienti COVID-19 affetti da super-infezioni acquisite in ospedale hanno mostrato esiti clinici peggiori rispetto ai pazienti senza infezione batterica.
“Non bisogna fermarsi alla vaccinazione contro COVID-19, per quanto fondamentale in questo momento – dichiara Matteo Bassetti, Professore ordinario di Malattie infettive e Direttore della Clinica Malattie Infettive, Ospedale San Martino di Genova, Presidente della S.I.T.A. – ma è necessario promuovere anche la vaccinazione anti-influenzale e anti-pneumococcica: le Società scientifiche S.I.T.A. e S.I.P./I.R.S. vogliono rafforzare questo messaggio, incentivando la popolazione ad attenzionare e non sottovalutare l’influenza stagionale e la malattia pneumococcica, perché non esiste solo il COVID-19 e queste patologie già prima della pandemia costituivano una minaccia importante soprattutto per la salute delle persone più fragili. L’invito rivolto a tutta la popolazione, ma soprattutto alle categorie fragili, è quello di vaccinarsi al più presto, possibilmente entro i mesi di novembre e dicembre”.
Una meta-analisi fondamentale di studi osservazionali che hanno coinvolto più di 290.000 partecipanti ha rilevato che la precedente esposizione alla vaccinazione anti-influenzale rappresentava un fattore protettivo indipendente contro il rischio di infezione da SARS-CoV-2, specialmente nei pazienti di età superiore ai 60 anni. Tuttavia, non si può escludere un possibile effetto dei vaccini virali nell’induzione di un’attivazione non specifica dell’immunità innata.
Anche la vaccinazione pneumococcica è stata associata a una riduzione del rischio di infezione da SARS-CoV-2. L’analisi dei dati regionali statunitensi e italiani ha confermato questi risultati dimostrando che il tasso di vaccinazione antinfluenzale negli adulti in età superiore ai 65 anni, in combinazione con il tasso di vaccinazione pneumococcica, ha fornito una protezione significativamente più elevata contro il rischio di COVID-19 rispetto ai singoli vaccini.
Com’è noto, le epidemie di influenza stagionale implicano un carico ben documentato sui sistemi sanitari durante il periodo invernale e provocano una mortalità considerevole con stime di 250.000 – 500.000 morti all’anno. A sua volta, la malattia correlata a Streptococcus pneumoniae è anch’essa una causa rilevante di mortalità in tutto il mondo, provocando 1,6 milioni di decessi ogni anno. In Italia, tra il 2007 e il 2017, sono stati notificati più di 10.000 casi di malattia pneumococcica invasiva (IPD) con la più alta incidenza e un trend in aumento tra gli individui di età pari o superiore a 65 anni. Nonostante il trattamento appropriato, la mortalità correlata alla IPD è stata riportata fino al 10-25% dei pazienti. Tuttavia, la copertura vaccinale anti-pneumococcica ha ancora tassi bassi in molti Paesi, inclusa l’Italia, dove il totale cumulativo non supera il 24-30%. Le co-infezioni, infine, sia da influenza che da batteri comuni incluso Streptococcus pneumoniae, hanno rappresentato fino al 10% dei casi comportando un aumento significativo del rischio di esito sfavorevole, specialmente tra gli individui più anziani.