Bambini affetti da SMA 1, la comunità scientifica fa chiarezza
Nelle ultime settimane, sui media e sui social, si sta parlando molto di atrofia muscolare spinale (SMA). Il dibattito nasce a seguito della protesta di alcune famiglie che desiderano che i propri bimbi vengano sottoposti al più presto alla terapia genica, che però al momento non è pienamente commercializzata in Italia e, in attesa di questo passaggio, è disponibile attraverso il fondo della Legge 648 solo per un numero ristretto di casi, quello dei bimbi con SMA di tipo 1 che non abbiano superato i 6 mesi di vita. In altri Paesi europei e negli USA, invece, questa terapia viene messa a disposizione anche a bimbi di età superiore purché entro limiti di peso variabili, fino ad un massimo di 21kg. I toni del dibattito accesi e la confusione che si è generata ha spinto molti clinici esperti a scrivere e firmare un documento per fare chiarezza sul tema.
Sma, la parola agli esperti
“I nuovi trattamenti di cura per i bimbi affetti da atrofia muscolare spinale di tipo 1 – si legge nel documento – sono oggetto, nelle ultime settimane, di notizie confondenti che stanno gettando nello sconforto i genitori. Per senso di responsabilità, la comunità scientifica italiana vuole fare chiarezza sui trattamenti attualmente possibili e, in particolare, sulla terapia genica, sulla quale si sta diffondendo una comunicazione fuorviante”.
“In questi ultimi anni, la SMA è diventata una malattia meno grave. I progressi scientifici hanno portato a tre promettenti opzioni terapeutiche – Spinraza, risdiplam e Zolgensma – per le quali gli studi confermano che è fondamentale fare diagnosi di malattia in modo tempestivo perché, quanto più precocemente si interviene, tanto più efficace sarà il trattamento. Ognuna di queste terapie, seppur con meccanismi d’azione diversi, mira ad aumentare il livello di proteina funzionale (SMN), ridotta nell’atrofia muscolare spinale. Questo vale non solo per Spinraza e risdiplam ma anche per la terapia genica Zolgensma”.
“Ad oggi – chiarisce il documento – queste terapie non sono in grado di guarire la SMA, tuttavia, i dati scientifici dimostrano che la percentuale di bambini trattati che non sopravvive dopo i due anni si è praticamente azzerata. Questo vale per tutte e tre le terapie: pochi casi in cui i bambini non sono sopravvissuti, sono legati a forme particolarmente gravi con esordio alla nascita e i numeri di questi decessi sono uguali tanto nelle terapie farmacologiche che nei trial di terapia genica (STRIVE US e STRIVE EU)”.
“Le inesattezze relative alla terapia, e in modo particolare alla terapia genica, sono state accompagnate anche da dichiarazioni ugualmente inesatte e al limite della diffamazione nei confronti del Prof. Eugenio Mercuri. Queste informazioni sono oltremodo paradossali, tenendo conto che proprio il Prof. Mercuri ha sostenuto da sempre, e in prima persona, tutte le fasi di introduzione in Italia della terapia genica: dalla sperimentazione, all‘accesso anticipato”.
“Grazie al Prof. Eugenio Mercuri il nostro Paese è stato il primo in Europa ad accedere alla sperimentazione internazionale di terapia genica, avviata nell’agosto 2018. Fino a quel momento, infatti, l’accesso allo studio clinico era consentito solo negli Stati Uniti. Sulla base dei risultati degli studi clinici, la terapia genica è stata approvata nel maggio 2019 dalla FDA (Food and Drug Administration) negli Stati Uniti ed esattamente un anno dopo dall’EMA (European Medicine Agency)”.
“In attesa dell’approvazione in Italia sono state tentate diverse strade per rendere comunque disponibile il farmaco per quei bimbi che, secondo i dati di letteratura, potevano utilizzarlo in sicurezza ed averne significativo beneficio. In un primo momento sono state fatte richieste di accesso ricorrendo alla Legge 326, che sono state negate da AIFA, portando dunque la comunità scientifica a seguire una strada diversa”.
“Quindi sulla base dell’esperienza del trial clinico e dei dati in letteratura disponibili si è intrapresa una strada differente: nel giugno 2020 è stato proprio il Prof. Mercuri, quale portavoce della comunità dei clinici e delle associazioni dei pazienti, a sottomettere la richiesta ad AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per poter effettuare l’accesso anticipato al trattamento con terapia genica attraverso la Legge 648. La richiesta, bocciata in prima istanza, è stata ripresentata e approvata, dando così la possibilità ai bambini, entro i primi 6 mesi di vita, di accedere alla terapia. La scelta del limite dei 6 mesi era legata non solo ai dati disponibili in letteratura in quel momento, ma soprattutto alla totale assenza di quelli di sicurezza per bambini di età e peso maggiore. Questo anche in virtù del fatto che, in altre sperimentazioni di terapia genica su malattie neuromuscolari, dosi non adeguate si sono rilevate responsabili di gravi effetti collaterali e talvolta fatali. Questa preoccupazione è stata condivisa dai maggiori clinici europei esperti di SMA, nell’articolo “European ad-hoc consensus statement on gene replacement therapy for spinal muscular atrophy”, pubblicato sullo European Journal of Paediatric Neurology”.
“Negli ultimi mesi, la terapia avviata in altri Paesi ha consentito la raccolta di ulteriori dati in bambini di peso maggiore. Nonostante il breve periodo di osservazione non permetta ancora di avere dati certi sull’efficacia della terapia nei bimbi con peso più elevato, i dati di sicurezza disponibili sono però confortanti. Ed è proprio per questo che, nel mese di gennaio 2021, è stato chiesto ad AIFA, sempre dal Prof. Mercuri, in rappresentanza dei clinici e delle associazioni, di superare il limite dei 6 mesi previsto dalla Legge 648, ed estendere il criterio di accesso sulla base della rivalutazione del peso fino 13,5 kg. Questa scelta è stata dettata dal fatto che, mentre esiste un numero crescente di dati su bambini trattati con peso fino a 13,5 kg, i dati su pazienti oltre i 13 kg sono ancora molto esigui. I dati esistenti, raccolti dai registri nazionali, sono stati condivisi con AIFA per supportare la richiesta. L’approvazione di questa richiesta permetterebbe l’accesso a tutti i bambini con queste caratteristiche cliniche evitando possibili soluzioni ‘ad personam’ e quindi disparità di diritto di fronte a situazione simili”.
“Questa richiesta, di cui ancora non si conosce la risposta da parte dell’AIFA, è stata anch’essa oggetto di critiche, e lo sforzo di fornire informazioni scientifiche adeguate per sostenerla è stato travisato con una interpretazione che lasciava intuire il contrario”.
“Pur comprendendo e condividendo la frustrazione per i ritardi nell’approvazione finale del farmaco, questo non giustifica assolutamente le campagne di odio e diffamazione. Se sta cambiando la storia della malattia, con la possibilità di terapie, screening neonatali e standard di cura, è perché c’è una comunità che ha saputo coinvolgere famiglie e medici lavorando compatta, insieme ed in armonia. Le guerre non servono a nessuno, soprattutto quando non solo non aiutano, ma contribuiscono a provocare divisioni, a sollevare una serie di domande ulteriori e a scatenare reazioni difensive dei soggetti in campo che alla fine potenzialmente causano ulteriori ritardi, confusione e disperazione nella comunità di famiglie”.
I firmatari del documento sono: AIM (Associazione Italiana di Miologia); Carlo Minetti, Claudio Bruno e Marina Pedemonte dell’IRCCS Istituto Giannina Gaslini di Genova; Egidio Barbi, Irene Bruno e Andrea Magnolato, IRCCS Burlo Garofolo di Trieste; Valeria Sansone ed Emilio Albamonte del Centro Clinico NeMO- Ospedale Niguarda di Milano; Enrico Bertini e Adele D’Amico, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma; Marika Pane, Centro Clinico NeMO- Policlinico Gemelli IRCCS di Roma; Giuseppe Vita e Sonia Messina, Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “G. Martino” di Messina; Gianluca Vita, Centro Clinico NeMO SUD- Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “G. Martino”, Messina; Riccardo Masson e Lorenzo Maggi, IRCCS Istituto Carlo Besta, Milano; Sabrina Siliquini, Ospedale Pediatrico G. Salesi – Ospedali Riuniti, Ancona; Michela Coccia, Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti, Ancona; Isabella Simone, Università di Bari, Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico, Bari; Delio Gagliardi, Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII, Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico, Bari; Luisa Politano, Università della Campania, Napoli; Antonio Varone, Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale Santobono Pausilipon, Napoli; Lorenzo Verriello, Azienda Sanitaria Universitaria Integrata Santa Maria della Misericordia, Udine; Antonella Pini, IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche, Bologna; Elena Pegoraro, Università degli Studi di Padova; Caterina Agosto, UOC Hospice Pediatrico, Centro Regionale Veneto di Terapia del Dolore e Cure Palliative Pediatriche, Azienda Ospedale-Università di Padova; Stefano Previtali, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano; Giacomo Comi, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano; Angela Berardinelli, IRCCS Fondazione Ist. Neurologico “C. Mondino”, Pavia; Antonio Trabacca, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico – IRCCS “E. Medea” – Ass. “La Nostra Famiglia”, Brindisi; Mara Turri, Azienda Sanitaria dell’Alto Adige, Bolzano; Federica Ricci, AO Città della Salute e della Scienza della Città di Torino; Tiziana Mongini, AO Città della Salute e della Scienza della Città di Torino; Gabriele Siciliano, Università di Pisa; Roberta Battini, IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa; Massimiliano Filosto, Centro Clinico NeMO di Brescia; Alice Donati, Meyer Azienda Ospedaliero-Universitaria, Firenze.