Carcinoma prostatico, ecco come affrontarlo
«Ogni anno 35mila uomini ricevono una diagnosi di neoplasia della prostata. Quindi, se tralasciamo il melanoma, quello prostatico è il tumore più comune tra gli uomini. Tutt’altra storia se guardiamo alla mortalità, perché oggi abbiamo le armi per combatterlo». Walter Artibani, Segretario Generale della Società Italiana di Urologia, già direttore della Clinica Urologica dell’Università di Verona, chiarisce anche la maggior parte di questi tumori sono a basso rischio, caratterizzati da un’evoluzione lenta.
Professor Artibani, quali sono i maggiori progressi ottenuti nell’ultimo decennio?
«Sotto il profilo diagnostico l’impiego della risonanza magnetica multiparametrica, che si aggiunge agli esami tradizionali (PSA, esplorazione rettale e biopsia). In alcuni casi ci consente di evitare la biopsia, o di eseguirla con un target preciso».
Cos’è la sorveglianza attiva?
«Alle volte il rapporto costi-benefici suggerisce la di non intervenire. Il tumore diventa un “sorvegliato speciale”, grazie al PSA ripetuto nel tempo, risonanza e biopsie si interviene solo quando realmente serve. Nei pazienti che hanno una malattia “organo confinata” con rischio intermedio o elevato si procede invece ad una terapia attiva».
Quindi, chirurgia o radioterapia.
«Esatto. Oggi si opera quasi sempre con il robot (in laparoscopica), così il chirurgo ha una precisione prima impensabile».
La radioterapia è l’alternativa alla chirurgia?
«Solo in alcuni casi, e comunque ne esistono varie forme. Si può procedere con la brachiterapia (quindi interna, ndr) oppure con una radioterapia esterna. Sono decisioni che vanno prese a seconda del caso da trattare attraverso una discussione multidisciplinare dei casi».
Quando si perde la continenza è possibile recuperare?
«Nella maggior parte dei casi lo si può fare con la fisiokinesiterapia pelvi perineale, nelle condizioni più gravi si può ricorrere a fionde sottouretrali o ad uno sfintere artificiale».