Il teatro e la malattia, in scena «I fuori sede»
Otto ragazzi, otto universitari strappati alla quotidianità dalla malattia. Nel gruppo degli otto, infatti, a uno di loro è stato diagnosticato un tumore. «I fuori sede» è uno spettacolo teatrale che porta sul palco studenti e pazienti, con l’obiettivo di dare voce a oltre 3 milioni di italiani che hanno ricevuto una diagnosi di cancro. Realizzato dall’associazione Pancrazio, andrà in scena al Quirino di Roma il 19 maggio e sarà riproposto anche a Milano, Napoli e Catania.
Teatro dei sentimenti
Presentata al Ministero della Salute, l’opera – scritta da Maria Teresa Carpino in collaborazione con Gigi Palla – è ispirata alla storia di Giacomo Perini, ragazzo colpito a soli 18 anni da un osteosarcoma e che, sul palco, interpreta se stesso. «Rivivere attraverso il teatro quei tragici momenti è un’esperienza emozionante. Spero – racconta – che grazie a questo spettacolo molti ragazzi della mia età acquistino maggiore consapevolezza sul cancro».
Studenti in scena
A interpretare la pièce sono gli studenti dell’associazione Pancrazio, molti dei quali iscritti proprio alla Facoltà di Medicina. Gli studi di medicina, spiega Francesco Bugamelli, attore e presidente dell’associazione, «sono troppo poco aperti verso quello che per noi, in realtà, fa parte del mestiere del medico, ovvero sapersi relazionare col paziente». Di qui l’idea dei «Fuori sede», che rientra nel più ampio progetto «I Racconti di vita», una campagna di sensibilizzazione su patologie oncologiche attraverso il teatro.
Medicina narrativa
Lo spettacolo, che vedrà sul palco anche pazienti raccontare la propria storia, è una delle tante declinazioni della medicina narrativa, disciplina che mira a usare la narrazione per migliorare la relazione tra chi cura e chi è curato. «Siamo riusciti ad affinare diagnosi e terapie. Ma questo va bilanciato con un’attività come la medicina narrativa che, come abbiamo dimostrato, può avere effetto positivo se unita alle cure specifiche contro i tumori e diventare vera e propria arma terapeutica». A dirlo è Francesco Cognetti, oncologo e presidente della Fondazione Insieme contro il cancro.
«Ascoltare il paziente non è qualcosa di altro dalla professione medica, bensì parte integrante. E’ entrare in una dimensione di dialogo che può potenziare la risposta delle cure», ricorda Antonio Virzì, fondatore della Società Italiana di Medicina Narrativa (Simen). Non solo. «Imparare a raccontarsi fa bene ai pazienti perché li aiuta a tirare fuori le emozioni, ma aiuta anche superare lo stigma che ancora permane intorno a loro. Per questo siamo stati entusiasti di supportare questo progetto», conclude Elisabetta Iannelli, segretario Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo).