Fare presto, o il sistema sanitario non regge
Qualche giorno fa, a 40 anni dal terremoto del 1980, si è tornati a parlare di un titolo che ha fatto storia: «Fate presto». Corsi e ricorsi storici, quel «fate presto» oggi torna d’attualità. È un’esortazione che non possiamo non rivolgere al governo, affinché ci si sbrighi nel dare un sostegno reale ai medici, agli infermieri e agli operatori sociosanitari che nelle corsie degli ospedali e sul territorio combattono una guerra impari. Ci siamo commossi nel corso della prima ondata nel vedere i volti stremati e segnati dalle maschere, abbiamo pianto e ci siamo emozionati per il coraggio di donne e di uomini, divenuti eroi loro malgrado. Eroi che non devono diventare martiri. Quel «fate presto» è l’esortazione che dobbiamo rivolgere a chi ha oggi la responsabilità di programmare la più grande campagna vaccinale che il nostro Paese, e in realtà anche il resto del mondo, abbia mai vissuto. Il timore è che la luce all’estremità del tunnel possa abbagliarci; distrarci, o peggio, possa farci credere che il peggio sia ormai alle spalle. Sta ad ognuno di noi fare in modo che sia così, continuando ad adottare le solite precauzioni, le più efficaci: distanziamento e dispositivi di protezione. Il Covid ha messo a nudo tutte le nostre vulnerabilità, le storiche carenze del nostro Sistema sanitario nazionale. Sarebbe un peccato, oserei dire un delitto, se da questa sofferenza non traessimo un insegnamento. Anche solo il più scontato: la sanità è un bene comune ed un investimento per il futuro della nostra anziana nazione. Le risorse che saremo in grado di mettere in campo, Mes o Recovery fund (non è tempo di divisioni) potranno consentirci di rafforzare un sistema di salute pubblica che, nonostante tutto, è ancora tra i migliori d’Europa.