In Italia, con un’accezione non certo positiva, molti lo chiamano “utero in affitto”; in diversi paesi viene definita “Gestazione per Altri Solidale”. Il nome che le si sceglie non è cosa da nulla, perché è proprio il modo di percepire una questione che darà forma alle azioni intraprese da parte dei decision maker. Sta di fatti che in questi giorni, ancor più che in altri, sta montando la polemica tra favorevoli e contrari. E in un convegno tenutosi alla sede nazionale della Cgil si è parlato della proposta di legge sulla Gestazione per Altri solidale (GPA), presentata oggi dalle associazioni Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, Certi Diritti e Famiglie Arcobaleno.
SUPERARE I LIMITI
Dopo un lungo lavoro con giuristi, medici, esperti, il testo che disciplina il percorso di Gestazione per Altri solidale (GPA) è costituito da 8 articoli. Con l’obiettivo di superare i limiti imposti dalla Legge 40, chiede al Parlamento di normare le modalità di accesso alla fecondazione medicalmente assistita anche per chi non può sostenere una gestazione. «Anche confrontando le pratiche analoghe legali in molti altri paesi del mondo come Canada, Stati Uniti o Grecia, il testo descrive con precisione le condizioni di accesso al percorso, ammettendolo ai soli fini solidaristici e prevedendo una serie di tutele volte ad assicurare che le parti ricevano un adeguato monitoraggio medico e siano consapevoli e rispettose della reciproca situazione», spiega Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Coscioni. Ai genitori intenzionali l’obbligo di provvedere alla copertura dei costi di gestazione e parto. I minori nati acquisirebbero, sin dal trasferimento in utero dell’embrione, lo status di figli legittimi dei nuovi genitori, senza alcun riferimento alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento. Una proposta alternativa, compatibile e complementare, è stata elaborata anche dal portale di informazione giuridica Articolo29, in cui si prevede anche il controllo da parte di un’autorità giuridica. In merito alla gestazione per altri, l’Ufficio Nuovi Diritti della Cgil ha aperto un confronto con tutte le realtà che si interessano al tema.
QUANTE DONNE
Sono stimate in 10mila in Italia le donne nate senza utero o a cui è stato asportato per un tumore, donne che hanno fatto chemioterapia, o che hanno aritmie cardiache, problemi renali. Donne fertili, ma che non possono avere gravidanze a causa di problemi di salute. E almeno un centinaio di loro, ogni anno, si reca all’estero per avere un figlio. A spiegarlo è Marcello Pili, titolare di Cardiologia della Asl 6 di Cagliari, in occasione del convegno «Fecondazione assistita e gestazione per altri», organizzato presso la sede della Cgil dalle associazioni Luca Coscioni, Certi Diritti e Famiglie Arcobaleno. Gli studi in corso, precisa Pili, «fanno pensare che il numero di potenziali interessate, che per altre cause cliniche hanno lo stesso problema, sia molto maggiore e in costante aumento: all’elenco vanno infatti aggiunte le donne con endometriosi grave. O ancora malattie sistemiche che rendono la gravidanza impossibile, come diabete non compensato, patologie autoimmuni, neurologiche. E, ancora, malformazioni o malattie ossee che non consentono al bacino di modificare le sue forme per accogliere una gravidanza. Tutte queste donne hanno ovaie ben funzionanti e, in altri Paesi, spiega Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni, «hanno una soluzione legale che non si chiama “utero in affitto”, ma si chiama “gestazione per altri solidale”: non si tratta di un mercimonio, ma di una terapia, purtroppo costosa, e riservata a pochissime coppie. Mentre le altre sono costrette a rinunciare a una delle aspirazioni più alte dell’essere umano: dare la vita».
TEMA SCOTTANTE
Che il tema sia “scottante” lo si evince da una nota del segretario generale della Cgil Maurizio Landini, in merito alle «pretestuose critiche» che hanno anticipato il convegno sulla gestazione per altri. «La Cgil è interessata a confrontarsi con tutte le opinioni» si legge, ma «non promuove né appoggia alcuna legge di sostegno o di regolamentazione della maternità surrogata. Simili decisioni, infatti, possono essere assunte solo dal nostro direttivo e ciò non è mai avvenuto». «So – aggiunge – che il tema è delicato, e comprendo appieno il dramma di chi non può avere figli naturali, siano esse ragioni mediche o di genere. Personalmente ritengo il pericolo di mercificazione, di riduzione della persona a oggetto e di deprezzamento della vita una prospettiva che dobbiamo evitare anche solo di evocare. E al direttivo della Cgil esprimerò la mia posizione».