Nell’intestino umano abitano un insieme di batteri chiamati microbiota. In uso clinico, il trapianto di microbiota, è già una realtà (contro le diarree croniche di origine batterica), ma potrebbe diventare una terapia efficace su molti fronti, dal diabete al Parkinson, fino all’Alzheimer. In altre parole, sono tantissime le patologie interessate anche da alterazioni delle popolazioni microbiche intestinali. Ad aprire la strada a questa nuova possibilità è la rivista Frontiers in Cellular and Infection Microbiology, che ipotizza la possibilità di selezionare i “super-donatori”, coloro cioè il cui microbiota è sano e in grado di curare l’intestino dei pazienti.
La studio presentato dalla rivista è una revisione di dati scientifici relativi a una serie di trial clinici tutti su trapianto di microbiota per la cura di diverse patologie, curata da Justin O’Sullivan della University of Auckland in Nuova Zelanda.
Questo tipo di trapianto si fa a partire dalle feci di donatori sani che vengono purificate per estrarne la popolazione batterica. “Le ultime due decadi hanno visto una lista crescente di malattie associate a cambiamenti del microbiota intestinale”, spiega O’Sullivan. Tuttavia, nei trial clinici esaminati nella review è emersa una elevata variabilità di risultati, che sembra in buona parte riconducibile al donatore: in termini di efficacia del trapianto sembra fondamentale la scelta del donatore, precisa l’esperto. È sempre più evidente che non tutti i donatori hanno una condizione altrettanto efficace nel favorire la guarigione dalle malattie.