Oggi, uno dei principali problemi mondiali sia nei bambini che negli adolescenti è l’obesità. L’aumento del numero dei bambini con sovrappeso nei Paesi industrializzati ha portato al parallelo aumento di casi di fegato grasso o steatosi epatica non alcolica (NAFLD). Negli ultimi vent’anni, infatti, la steatosi ha raggiunto proporzioni epidemiche anche tra i più piccoli, diventando la patologia cronica del fegato di più frequente riscontro nel mondo occidentale.
Una nuova terapia è stata appena messa a punto dai ricercatori del Bambino Gesù ed è in grado di sconfiggere la fibrosi del fegato grasso nei bambini e di migliorare in maniera significativa i parametri metabolici. I medici dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù hanno dimostrato l’ efficacia per la prima volta tramite una sperimentazione clinica condotta su 43 piccoli pazienti con fegato grasso infiammato associato a deficit di vitamina D. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica PlosOne. Fino ad oggi non esisteva una terapia valida per la steatoepatite non alcolica pediatrica (NASH), la forma più severa di fegato grasso caratterizzata da infiammazione e danni epatici – come la fibrosi appunto – che possono portare alla cirrosi.
In Italia circa il 15% dei bambini sono affetti da questa patologia, ma si arriva fino all’80% tra i bambini obesi. Più della metà dei bambini con fegato grasso presenta anche carenza di vitamina D.
Questa malattia è determinata dall’accumulo di grasso nelle cellule del fegato, in quantità superiore al 5% del peso (steatosi epatica semplice). Forme più gravi (steatoepatite), invece, possono progredire sin dall’adolescenza verso la fibrosi fino ad arrivare alla cirrosi epatica. Così come gli adulti, anche i bambini affetti da fegato grasso possono presentare danni metabolici caratterizzati da aumento della circonferenza addominale, ipertensione, insulino-resistenza, ipercolesterolemia, tutte condizioni che aumentano il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2, sindrome metabolica o malattie cardiovascolari. Si tratta di effetti collaterali che riducono le aspettative di vita come mai successo dal dopoguerra a oggi.
Gli studiosi del Bambino Gesù che hanno condotto il trial clinico su 43 bambini con NASH e deficit di vitamina D, già nel 2014 avevano dimostrato, tramite un altro studio, la correlazione tra fegato grasso e carenza di vitamina D quale indicatore di una maggiore fibrosi. Minori sono i livelli di vitamina D, quindi, maggiore è il livello fibrotico. La nuova sperimentazione ha, però, dimostrato per la prima volta in campo pediatrico che la somministrazione per 6 mesi di una miscela di acido docosaesaenoico o DHA e vitamina D induce un miglioramento significativo dei parametri metabolici come la riduzione della resistenza insulinica periferica, dei valori di trigliceridi e delle transaminasi. In particolare, l’assunzione combinata di questi due principi attivi blocca l’attività delle cellule responsabili della produzione e dell’accumulo di collagene nel fegato, portando ad un rimodellamento e quindi a una risoluzione della componente fibrotica del fegato stesso, una delle cause principali dello sviluppo della cirrosi. Nel dettaglio, come dimostrato dallo studio, il DHA agisce sull’accumulo di grasso (NAFLD) e sull’infiammazione epatica (NASH), me da solo è inefficace contro la fibrosi epatica.
“Lo studio del Bambino Gesù ha dimostrato per la prima volta che la terapia combinata con DHA e vitamina D può ridurre nei bambini con NAFLD la progressione del danno epatico agendo sulla fibrogenesi – spiega Valerio Nobili, responsabile dell’unità operativa di Malattie Epato-Metaboliche del Bambino Gesù – Possiamo quindi dire che per questi bambini con fegato grasso infiammato oggi abbiamo una valida soluzione terapeutica, fino a ieri non disponibile, e facilmente prescrivibile anche da un pediatra di base oltre che presso il nostro ambulatorio di steatosi-epatica. Per il futuro stiamo già lavorando a una terapia che oltre alla somministrazione di vitamina D e DHA preveda anche quella di specifici probiotici. Riteniamo infatti sia questa la strada migliore e più veloce per giungere a una terapia in grado non solo di bloccare lo sviluppo della fibrosi e il progredire della malattia epatica, ma di farla regredire fino alla completa guarigione”.