È stato dimostrato che i farmaci che facilitano il sonno (il cui uso ha controindicazioni ed è sconsigliato per più di una settimana) siano meno utili di quanto comunemente si creda e generino effetti meno sostanziali per l’organismo rispetto a quelli prodotti dal sonno “naturale”.
Secondo Matt Bianchi, capo del Dipartimento di medicina del sonno al Massachusetts General Hospital, le persone che fanno uso di sonniferi dormono mediamente soltanto 30-40 minuti in più rispetto alle persone che non ne fanno uso. Inoltre non esistono farmaci di questo genere in grado di imitare esattamente le fasi del sonno nella sua progressione naturale: molti, per esempio, reprimono la fase REM (Rapid Eye Movement) rischiando di ridurre o eliminare l’effetto rigenerante del sonno.
Una soluzione la stanno finendo di sviluppare Charles Czeisler, capo del dipartimento di disturbi del sonno e dei ritmi circadiani al Brigham and Women’s Hospital a Boston, e Steven Lockley, neuroscienziato a Harvard, attraverso un sistema di luci artificiali che sarà utilizzato dalla NASA sulla Stazione Spaziale Internazionale a ottobre 2016 per indurre o quantomeno favorire il sonno al momento giusto. Verranno utilizzate progressivamente una serie di luci durante la giornata: una luce della stessa lunghezza d’onda della luce diurna, quindi in grado di tenerci più svegli, lascerà spazio man mano con un graduale passaggio a luci di lunghezza d’onda più adatta alle fasi che precedono l’addormentamento. Insomma, meglio dei farmaci, potrebbero fare gli effetti delle luci artificiali che imitano quelle naturali sulle quali è basato il ritmo del sonno umano.
I benefici che il nostro corpo trae dal sonno sono ancora non completamente documentati, ma si sa bene invece cosa smette di funzionare o comincia a funzionare male nell’ organismo nei casi in cui il sonno è disturbato o insufficiente. Diverse ricerche scientifiche hanno mostrato una correlazione tra disturbi del sonno e altre malattie più o meno gravi: in alcuni casi i disturbi possono persino funzionare come “marcatori precoci”.
Durante i cicli di sonno profondo, nella fase REM, i movimenti incontrollati del corpo vengono normalmente impediti da uno stato di paralisi dei muscoli scheletrici: quando questo meccanismo neurobiologico non funziona correttamente, come nel caso di alterazioni di tipo genetico, la persona può muoversi nel sonno in modo non cosciente. Più della metà dei pazienti che presentavano disturbi del sonno, in uno studio del Centro di Ricerca del Sonno dell’Hôpital du Sacré-Coeur a Montréal, hanno sviluppato – a distanza di dodici anni dall’inizio della ricerca – alcune forme di malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson e la demenza da corpi di Lewy.
Altre correlazioni si verificano nel caso delle apnee notturne, un disturbo del sonno caratterizzato da una sospensione o riduzione del respiro che può verificarsi più volte e per diversi secondi in uno stesso ciclo di sonno, causando una serie di microrisvegli necessari alla riattivazione della normale respirazione (la mattina seguente, il più delle volte, il paziente non ha memoria di questi risvegli). Alcuni trial clinici hanno mostrato una correlazione significativa tra le apnee notturne e il diabete, le malattie cardiovascolari e la possibile insorgenza di deficit cognitivi.
Circa il dieci per cento delle persone che soffrono di insonnia cronica, infine, mostrano alcuni tipi di deficit cognitivi durante le ore diurne. In genere, diversi studi hanno associato l’insonnia a un ampio quadro di altre malattie, dalla depressione all’ipertensione ai disturbi cardiovascolari, motori e cognitivi.
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