Quarant’anni fa, il 20 maggio del 1983, sulle pagine di Science si parlava per la prima volta di Hiv. In particolare, i ricercatori dell’Istituto Pasteur di Parigi descrivevano “un retrovirus appartenente alla famiglia dei virus della leucemia umana a cellule T”. Il virus, si leggeva, è stato isolato da un paziente caucasico con segni e sintomi che spesso precedono la sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids). Tra gli autori della scoperta figuravano anche i futuri premi Nobel Françoise Barré–Sinoussi e Luc Montagnier.
LA PRIMA VOLTA
Negli anni ’80, le autorità sanitarie americane iniziarono a segnalare un aumento inspiegabile di polmonite tra giovani omosessuali. Gli scienziati avanzarono diverse ipotesi sulle cause, ma solo nel 1982 ci si iniziò a convincere di un’origine virale. Alcuni focolai di malattia negli USA e casi di trasmissione da madre a figlio sembravano confermare questa teoria. Identificare il virus non fu cosa semplice e nell’83, come detto, fu l’Istituto Pasteur a fare un passo determinante. L’anno successivo, Robert Gallo del National Cancer Institute isolò un virus chiamato “virus umano della leucemia a cellule T di tipo III”. Nel 1986, il virus fu ufficialmente chiamato Human immunodeficiency virus, da cui l’acronimo Hiv.
IL PAZIENTE DI BERLINO
Se la notizia del paziente zero è rimasta nella storia, quella del paziente di Berlino (il primo ad essere guarito) ha segnato una nuova era nella lotta al virus. L’uomo, Timothy Ray Brown, è stato il primo a guarire dalla malattia. Ma oggi siamo ben oltre, l’ultimo caso confermato di guarigione riguarda un uomo tedesco di 53 anni sieropositivo e affetto da leucemia mieloide acuta che, per motivi di privacy, è stato soprannominato “il paziente di Dusseldorf.
LE CURE
Oggi, a differenza del passato, è possibile cronicizzare l’infezione da Hiv usando farmaci che possono essere assunti facilmente a casa. Chi contrae il virus può condurre una vita pressocché normale e può avere figli senza preoccuparsi di infettare il partener o trasmettere l’infezione al nascituro. Attualmente sono in sperimentazione nuove classi di farmaci mirati a stimolare e supportare il sistema immunitario, piuttosto che a una diretta azione antivirale. Accanto ai farmaci, sono in corso da vari anni anche molti studi per mettere a punto un vaccino che possa prevenire l’infezione tra gli Hiv negativi, o possa migliorare il decorso della malattia in chi è già infetto. Scenari che sino a qualche anno fa erano impensabili, ma che ora promettono di salvare centinaia di migliaia di vite.