L’emergenza pandemica da COVID-19 ha attraversato la quotidianità del nostro Paese, trasformandola in tempi ristretti, costringendo ad una modifica radicale delle abitudini e delle possibilità con cui ognuno di noi è solito pensare alla propria vita. Nella necessità di una reazione comunitaria per la sopravvivenza, la dimensione diretta del nostro spazio sociale si è contratta, accorciando le distanze dei nuclei familiari (riportati in una prossimità a cui forse non erano più abituati) e allo stesso tempo tagliando fuori quella catena di eventi, incontri e relazioni che costituiscono il più fluido tessuto interpersonale di ciascun individuo. Dalle finestre, aperte nel tentativo di mantenere un passaggio con il mondo, si guarda ad una minaccia che per molti “forse sarà, forse non sarà, nel frattempo non è” ma che, tuttavia, nel suo impatto concreto con una parte importante dei nostri bisogni di animali sociali, parla alla “pancia” di ognuno di noi.
I sistemi psicofisiologici degli esseri umani sono predisposti a rispondere ad un livello precosciente alle interazioni con l’ambiente circostante che possono minacciare e/o interessare la sopravvivenza dell’individuo. Semplificando, possiamo ricondurre queste risposte a due “sistemi” che caratterizzano il nostro funzionamento di base: il sistema di difesa e quello di ingaggio sociale. Le attivazioni del primo ci permettono di essere “pronti” ad affrontare un pericolo prima ancora di esserne pienamente consapevoli mentre, al contrario, l’attivazione del sistema di ingaggio sociale porta ad essere maggiormente ricettivi nei confronti dei messaggi provenienti da soggetti portatori di bisogni relazionali e/o di accudimento (dai figli al partner), che consentono la costruzione dei sistemi umani significativi necessari alla sopravvivenza della specie. Semplificando ancora, questi due sistemi funzionano in modo complementare: quando uno dei due è attivo l’altro tende ad avere un funzionamento ridotto.
Il SARS-CoV-2, nella contingenza attuale, ci ha messo nella (seppur momentanea) situazione paradossale di un potenziale funzionamento di “emergenza” all’interno di quello che dovrebbe essere il contesto di sicurezza per definizione: la nostra casa. In questo paradosso, nella prossimità di una minaccia invisibile, potremmo ritrovarci di fronte a un sistema di difesa sovra stimolato dalle notizie sull’emergenza in una dimensione di riferimento coattivamente ravvicinata, con una maggiore facilità di incomprensioni e/o difficoltà nella convivenza.
Come sottolineato dai diversi vademecum diffusi in questi giorni dalle Istituzioni ed Associazioni psicologiche italiane, anche in queste circostanze, la prevenzione e il benessere psicologico sono possibili e si costruiscono sulla base di comportamenti concreti, come ad esempio:
- darsi dei tempi stabiliti per la ricerca di informazioni, evitando di stimolare continuamente un’attenzione selettiva già iperattiva;
- direzionare la ricerca di informazioni a poche fonti affidabili, contrastando quella che potrebbe essere una tendenza protettiva naturale a massimizzare sia la quantità di informazioni raccolte che le fonti;
- in presenza di uno stato di maggiore allerta, con manifestazioni di irritabilità e una minore capacità di utilizzare il dialogo come meccanismo di gestione dei rapporti, cercare di essere consapevoli della minore predisposizione all’interazione con l’altro e tradurre il proprio linguaggio relazionale esplicitando i “non detti”, rallentando i ritmi della comunicazione con maggiori chiarimenti, andando a prevenire quella che potrebbe trasformarsi in una comunicazione di “contrapposizione”;
- cercare di mantenere dei riferimenti basici “sicuri” nella propria giornata, quali una routine di allenamento, l’orario dei pasti, alcuni piccoli rituali di benessere;
- laddove non si possano integrare le giornate con le previste forme di “smart – working”, mantenere comunque, al di là delle attività di svago, dei comportamenti produttivi finalizzati (ad esempio acquisire nuove abilità, imparare una nuova lingua, iniziare un piano di allenamento, fare dei corsi on-line);
- in caso di difficoltà ad adattarsi alla situazione, con risvolti significativi sul proprio funzionamento quotidiano e/o in caso di risvolti traumatici, non vergognarsi a chiedere aiuto a professionisti specializzati, anche attraverso le possibilità che gli attuali strumenti di comunicazione multimediale offrono.
Dobbiamo tutti essere consapevoli che la crescita “post-traumatica” è sempre, attraverso la sofferenza che ne caratterizza i percorsi, un obiettivo da raggiungere. Quella della nostra Comunità italiana (e di conseguenza del nostro Paese), passerà per la capacità di ogni cittadino di prendersi cura di sé stesso e delle proprie relazioni ma, soprattutto, per la capacità dell’intero sistema di far progressivamente “ripartire” chi in questa emergenza sarà stato più sfortunato di altri.
Dott. Paolo Trabucco Aurilio – Psicologo Militare