Piacere a tutti o essere amati da tutti è impossibile. Eppure molti ci provano lo stesso. Questa tendenza però, alla lunga, può avere risvolti psicologici negativi.
Quanto questo meccanismo possa danneggiare lo racconta Emanuela Mazzoni, psicologa specializzata in counseling relazionale in un intervista a Gli Stati Generali. Ci sono persone più predisposte a voler piacere a tutti – spiega la dottoressa – sono coloro che centrano i loro bisogni sulle carenze affettive. Queste persone hanno ricevuto, nella prima fase della loro vita una relazione primaria con il caregiver (solitamente la mamma), di tipo ambivalente, in cui l’affetto della madre non è penetrato in profondità saziando, o meglio ancora, prevenendo la richiesta di attenzione del bambino, ma adeguandosi ai bisogni altalenanti del caregiver. Ma è importante fare una distinzione”.
Comunemente i concetti di essere accettati, piacere ed essere amati vengono scambiati per sinonimi, ma non lo sono affatto. Infatti, come spiega la psicologa, il piacere è un’emozione importante, ma pericolosa: “da porsi come meta ultima dato che può essere piacere odorare il profumo di un fiore, ma anche spararsi in vena una dose di eroina, sentirsi oggetto di attenzioni sessuali, ma anche incidersi una coscia con un taglierino, e così via. L’amore invece è una forza che si svolge nella relazione con l’altro (o con gli altri), attraverso atti concreti, nel senso di un agire oggettivo, indirizzando la propria intenzionalità cosciente di star facendo il bene ed infine con sentimento, nel senso della potenza empatica che sa superare anche la forma di conflitto eventualmente presente”.
Un primo passo, suggerisce la psicologa, è quello di invertire il bisogno di piacere, nella certezza di piacersi, far qualcosa per piacersi, accorgersi infine che si va proprio bene così. Poi si può amare per primi ed infine avere fiducia sul fatto che l’amore ritorni al mittente, non direttamente, ma per vie imprevedibili. “Questi passaggi sono tutt’altro che scontati, ma di certo non impossibili e possono portare ad invertire il bisogno di una persona che si è costruita intorno ad un vuoto affettivo, nella capacità di mettere in moto un vero processo d’amore con ricadute ben più ampie di quelle presumibili”. “Ricevere l’affetto che non si è avuto – spiega l’esperta – riversando questa aspettativa in un’altra persona, è il modo migliore per innescare una relazione di dipendenza in cui si è pronti a tutto, anche a rinnegare se stessi o a farsi fare del male piuttosto di rimanere in quella situazione. Si è indotti erroneamente a pensare che l’affetto che non ho ricevuto, potrò finalmente riceverlo, basta trovare la ‘persona giusta’. Mentre la possibile soluzione di questo diffusissimo disagio, spesso targato al femminile, passa attraverso la capacità di dare ciò che si ha, nei termini di riconoscimento della propria personale identità e nell’individuazione dei propri bisogni e dei propri desideri (che sono istanze totalmente diverse).
Il riconoscimento di ciò che si sa fare e che si può fare per gli altri, conduce alla messa in pratica di questo sapere all’interno di molteplici relazioni, situazioni, luoghi, paesi, che portano la persona ad essere arricchita su piani completamente diversi da quelle che erano le sue aspettative. Solo sorprendendosi, individuandosi ed essendo capace di trovare il proprio nutrimento affettivo in plurime persone e situazioni, la persona può sperare di costruire una relazione di coppia (luogo principe delle dipendenze, insieme alle relazioni con la famiglia di origine), soddisfacente in cui non rinchiudersi, ma che funga come piano comune di sostegno reciproco, nella costruzione del proprio futuro”.