Nel malato affetto dal morbo di Alzheimer la causa che comporta lo sviluppo della demenza degenerativa è presente già anni o addirittura decenni prima che questa si manifesti clinicamente. A ‘innescare’ la malattia è principalmente una proteina, la beta-amiloide, che aggredisce i neuroni. E, in particolare, influiscono i suoi livelli di accumulo sia nel cervello sia nel liquido cerebrospinale.
Il Centro di Neuroscienze di Milano, fondato nel 2014 dall’Università Milano-Bicocca, che si avvale della collaborazione di 300 neuroscienziati afferenti alle università e ai centri di ricerca di Milano e dintorni, ha presentato uno studio secondo cui per diagnosticare il rischio di Alzheimer sarà sufficiente una tomografia ad emissioni di positroni, detta anche Pet, e una puntura lombare.
La prima (una tecnica di medicina nucleare e diagnostica medica utilizzata per la produzione di immagini del corpo) consente infatti di visualizzare l’accumulo di beta-amiloide a livello cerebrale, la seconda a livello di liquido cerebrospinale. Sarà quindi possibile, grazie alla combinazione di questi due “interventi”, prevedere quali siano gli individui a rischio demenza prima che si manifesti la malattia, quando la funzione cognitiva sia ancora normale o solo minimamente deteriorata.
Il passo successivo alla diagnosi potrebbero essere poi cure sperimentali che attualmente coinvolgono pazienti in stadio preclinico o che manifestano i primi sintomi ai quali vengono somministrate molecole capaci di ridurre la produzione di beta-amilioide o, in alternativa, anticorpi prodotti in laboratorio, in grado di determinare la progressiva scomparsa di questa proteina già presente nel tessuto cerebrale.