di Giulia Liperini*
I cambiamenti e le trasformazioni della scuola hanno portato inevitabilmente alcune incertezze. Il cambiamento come “evento critico, inteso come un qualsiasi evento perturbante in grado di provocare un cambiamento nel sistema (Scabini, 1995).
Ideare e condurre progetti nelle scuole è un intervento che dev’essere finalizzato a gestire le difficoltà che si sviluppano sia dentro sia fuori le aule. E’ senz’altro vero che fattori familiari o sociali influenzano il comportamento degli allievi (e dei docenti) a scuola e che i ragazzi “importano” nella classe regole di comportamento e abitudini apprese e vissute in famiglia (o nel quartiere, o nel gruppo). La scuola non è impermeabile a quanto succede nel contesto sociale a cui appartiene. Tuttavia docenti e specialisti che hanno il mandato di intervenire a scuola non hanno nessuna presa su questi fattori extra-scolastici.
Un intervento focalizzato esclusivamente su questi fattori può essere destinato a fallire. Da qui l’importanza di identificare i fattori contestuali legati alle dinamiche relazionali all’interno della classe: i soli sui quali le risorse e le competenze dei diversi attori del sistema scolastico (docenti, docenti di sostegno, allievi, direzione, ma anche specialisti chiamati a rinforzo) possono agire con efficacia.
La scuola resta il luogo di trasmissione di saperi e di valori, anche se tende a conservare la propria identità e le proprie caratteristiche nel tempo.
L’ottica sistemica
E’ uno strumento pertinente e utile in questo contesto, perché propone di riconsiderare un eventuale disagio scolastico secondo una diversa chiave di lettura. Il sistema scuola è molto complesso, l’approccio sistemico propone di passare da una definizione in termini parcellizzati: individuali, familiari, o socio-culturali, o in riferimento a cause generali situate all’esterno della scuola, ad una lettura delle condizioni legate a processi specifici di interazione. In particolare tra allievo e docente, o tra allievo e compagni di classe, o nel gruppo-classe preso nel suo insieme, o anche tra scuola e famiglia.
In quest’ottica, si passa quindi dalla ricerca di cause come la storia del ragazzo, la famiglia, l’ambiente di vita, all’identificazione e all’analisi dei processi interazionali e dei meccanismi in atto all’interno della classe o dell’istituto che possono favorire lo sviluppo di situazioni di malessere, o anche contribuire a renderle croniche.
Il processo educativo coinvolge direttamente o indirettamente più attori, lo studente si trova al centro di diversi agenti in rapporto asimmetrico, che può emergere tra la famiglia, la scuola (preside, docenti, personale ata, istituto), i servizi esterni (educatori socio-sanitari, psicoterapeuti, etc.) o anche amici e compagni. Assumere uno sguardo sistemico permette di inquadrare fenomeni dove le variabili sono sostanzialmente indefinite o indefinibili. Questo ci permette di sostenere che la teoria sistemica si presta ad affrontare tematiche complesse, come può essere quella dei sistemi educativi.
A questa inquadratura corrispondono modi di pensare e di agire che possono contribuire a realizzare lo “star bene a scuola”, vale a dire favorire condizioni relazionali che garantiscono un “benessere” sufficiente per docenti e allievi. Il benessere a scuola si costruisce a scuola.
L’importanza della “rete”
Un elemento di fondamentale importanza è quello di creare una rete; una rete dei servizi costruita sulle caratteristiche di ogni studente e sui bisogni della sua famiglia, perché la famiglia deve essere riconosciuta come interlocutore privilegiato. In conclusione, approcciarsi alla scuola secondo l’ottica sistemico-relazionale significa guardarla contemporaneamente sia come sovrasistema (apparato burocratico, differenze gerarchiche e generazionali), sia come sottosistema (la vasta rete di relazioni) nel quale ogni individuo (insegnante, allievo, genitore) è considerato come membro di uno o più sistemi di relazioni. In questi termini la scuola è un ambito in cui l’approccio sistemico relazionale può essere assunto come una chiave di lettura e di intervento non psicoterapeutico, ma come orientamento per l’operatività quotidiana (I.Genovesi, G.Liperini 2016).
*Socio ordinario della Società Italiana di Psicologia e Psicoterapia Relazionale