ll mieloma multiplo è una di quelle neoplasie per le quali è necessaria una maggiore informazione. Per questo motivo ne parliamo con Giorgina Specchia, direttore dell’unità operativa di Ematologia con Trapianto al Policlinico-Università di Bari.
È lei a spiegare che «questa neoplasia è caratterizzata dalla proliferazione incontrollata di “plasmacellule” capaci di produrre una proteina monoclonale e di determinare danni in organi quali il rene o l’osso, causando osteolisi». L’incidenza è di circa tre casi annui ogni 100 mila abitanti e colpisce più frequentemente gli adulti anziani di sesso maschile (età media 65 anni).
«Il mieloma multiplo – aggiunge – rappresenta l’1% di tutte le neoplasie e circa il 10% delle neoplasie ematologiche». Ma come va affrontato?
Il programma terapeutico
«L’indicazione al trattamento dipende in prima istanza dalla diagnosi di mieloma multiplo definito sintomatico sulla base della presenza dei criteri CRAB (ipercalcemia, insufficienza renale, anemia, lesioni ossee), dalla plasmocitosi midollare e così via. Il programma terapeutico viene poi definito sulla base dell’età, delle comorbidità e di altri fattori clinici specifici. È necessario definire all’inizio il profilo clinico-biologico del paziente candidato o no all’autotrapianto per la scelta del protocollo iniziale; infatti le terapie sono diverse per i pazienti eleggibili o meno all’autotrapianto».
La selezione del paziente candidato al trapianto è uno step importante del percorso terapeutico, si basa su rigorosi criteri clinici, anagrafici e anche sulla biologia della malattia. Per i pazienti candidati all’autotrapianto è prevista una fase di induzione ed una successiva in cui si utilizzano alte dosi di chemioterapici antineoplastici e la reinfusione di cellule staminali emopoietiche. «Oggi – dice Specchia – numerose evidenze di trials e di real life documentano il ruolo dell’autotrapianto, anche doppio, sulla migliore sopravvivenza libera da malattia».
La mobilitazione
La professoressa spiega che dopo la prima fase (terapia di induzione 3-4 cicli), viene effettuata la valutazione dello stato della malattia e delle condizioni cliniche del paziente e si procede alla fase della mobilizzazione che prevede comunemente la somministrazione di un antiblastico e del fattore di crescita granulocitario (G-CSF) per poco meno di una settimana allo scopo di mobilizzare le cellule staminali emopoietiche dal midollo osseo al sangue venoso periferico dove vengono giornalmente contate in citofluorimetria grazie all’espressione sulla loro superficie di un marcatore specifico. È necessario considerare che circa il 10% dei pazienti sono definiti «cattivi mobilizzatori» poiché non mobilizzano un numero sufficiente di cellule staminali e che per questo hanno bisogno di una «procedura di salvataggio» che prevede l’impiego di un altro fattore più potente, che per il suo meccanismo di azione su uno specifico antigene di membrana, consente di mobilizzare dal midollo osseo un più alto numero di cellule staminali. Questa stessa procedura può essere utilizzata nel trattamento del linfoma. Inoltre, anche per alcuni linfomi, oggi c’è l’indicazione all’autotrapianto, in questo caso in seconda linea di trattamento e non in prima come il mieloma.
«I linfomi sono un gruppo molto eterogeneo di neoplasie – dice l’ematologo – caratterizzate dalla proliferazione clonale di cellule linfoidi a livello degli organi emolinfopoietici e anche in altre sedi definite extranodali. Di grande utilità clinica è la classificazione WHO che definisce rigorosi criteri istopatologici per la diagnosi e quindi utili per la scelta del trattamento. Quello che preoccupa è che l’incidenza dei linfomi nei paesi occidentali a sviluppo industriale aumenta in genere con l’età anche se alcuni tipi di linfomi sono più frequenti nei giovani. Basti pensare che i linfomi rappresentano circa il 3-5% di tutte le neoplasie. Un problema con il quale negli anni a venire saremo chiamati sempre più a fare i conti. Sicuramente però sia i nuovi farmaci che le procedure trapiantologiche hanno un ruolo importante nel migliorare la sopravvivenza di questi pazienti.