L’Esofagite eosinofila è una malattia recente, nel senso che solo da poco se ne parla. Noi clinici la definiamo “immuno-allergo-mediata”, vale a dire che è legata ad una causa immunologica e allergica. Si tratta di una malattia che in maniera progressiva porta il nostro esofago a non funzionare più». Ai microfoni di Radio Kiss Kiss, per le pillole di Salute realizzate dal Network Editoriale PreSa, la professoressa Paola Iovino (ordinario di Gastroenterologia) ha chiarito alcuni aspetti poco noti dell’esofagite eosinofila.
Cosa comporta l’esofagite eosinofila
La professoressa Iovino ha spiegato che nell’esofago non ci sono, di norma, queste cellule che si definiscono eosinofili; cellule che sono invece presenti nei pazienti affetti da questa malattia. Con l’andar del tempo, l’accumulo degli eosinofili può creare dei problemi, perché compaiono lesioni, l’esofago si restringe e comincia a non funzionare più come dovrebbe. Negli adulti è tipica la difficoltà a deglutire, talvolta il bolo alimentare si blocca ed è necessario correre in pronto soccorso. Nei bambini è tutto molto sfumato e più vago. Alcuni bambini iniziano a rifiutare il cibo, ci sono dei ritardi di crescita, hanno sintomi quali nausea e vomito. Da qui la difficoltà a diagnosticare questa patologia, che potrebbe sembrare simile ad altre più diffuse, come il reflusso gastroesofageo.
Campanelli d’allarme
Cercare dei campanelli d’allarme non è facile. La specialista chiarisce che i ricercatori stanno studiando per comprendere quali siano i segnali più importanti da cogliere. Di certo, in presenza di sintomi generici come il rifiuto del cibo, la nausea o il vomito, il compito del clinico è quello di accertare se per caso esiste una comorbilità con altre patologie, che si definiscono TH2 mediate, ovvero causate da un’infiammazione di tipo 2. Malattie come l’asma, la dermatite atopica, la rinite allergica si potrebbe dire che “vanno a braccetto” con l’esofagite eosinofila. Questo aiuta quindi nella diagnosi, è importante almeno sospettare un’eventuale correlazione.
I comportamenti adattativi
Uno dei temi centrali, quando si affronta l’esofagite eosinofila, è quello dei “comportamenti adattativi”, vale a dire quei comportamenti che intuitivamente vengono posti in essere dai pazienti. In altre parole, chi ha un fastidio cerca in modo spontaneo di superarlo, non senza privazioni. Nel caso dei pazienti affetti da esofagite eosinofila questo si traduce, ad esempio, nell’evitare di mangiare alcuni cibi, bere molta acqua, masticare molto e molto lentamente. Questi sono comportamenti che nell’immediato aiutano, ma incidono molto sulla qualità di vita e ritardano la diagnosi.
Scenari attuali e futuri per la gestione della patologia
La professoressa Iovino chiarisce che al momento l’esofagite eosinofila si avvale del trattamento definito 3D. La prima D sta per drugs, quindi i farmaci. La seconda indica la dieta, che può aiutare molto ma non è risolutiva né consigliabile per un tempo prolungato. Si può procedere con l’esclusione di uno o due cibi, fino a salire anche a sei cibi se necessario. L’ultima D riguarda la dilatazione endoscopica, la più invasiva per il paziente. La speranza è che le nuove terapie, che sono targettizzate sui meccanismi della patologia, evitino sempre più queste procedure.
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