L’enfisema è una malattia respiratoria progressiva che colpisce gli alveoli polmonari riducendo la quantità di ossigeno che si può assorbire con ogni respiro. Nel corso degli anni e nei casi più gravi, l’enfisema rende sempre più difficile la corretta respirazione e lo svolgimento delle attività quotidiane senza fermarsi per respirare, fare una pausa o chiedere aiuto. L’enfisema in Italia ha una prevalenza di 2,6 milioni con un’incidenza di 300.000 nuovi casi all’anno con alto tasso degenza ospedaliera e di mortalità. Secondo i dati Istat, in Italia, la bronco-pneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), di cui l’enfisema è una manifestazione, colpisce il 5,6% degli adulti (circa 3,5 milioni di persone) ed è responsabile del 55% dei decessi per malattie respiratorie.
“Sebbene questi pazienti siano sottoposti a terapia medica ottimale (TMO) – spiega il Prof. Giuseppe Failla, Direttore dell’U.O.C. Servizio Pneumologia Interventistica dell’AORN Cardarelli di Napoli – attualmente non esiste un trattamento in grado di arrestare o ritardare l’evoluzione della malattia. Per molto tempo l’approccio chirurgico ha previsto la riduzione chirurgica di volume polmonare, fino al trapianto dell’organo. La cura farmacologica prevede, invece, la somministrazione di farmaci broncodilatatori e antinfiammatori inalatori, la riabilitazione respiratoria e l’ossigenoterapia o ventilazione non invasiva in casi più gravi”.
Enfisema polmonare: come funzionano le valvole
Le valvole endobronchiali sono delle protesi posizionate per via endoscopica nei bronchi. Lo scopo è ridurre il volume del lobo polmonare più affetto da enfisema e permettere al tessuto sano di espandersi in maniera corrispondente. I dati più recenti sull’impiego delle valvole endobronchiali in pazienti affetti da enfisema grave e molto grave, sono stati presentati al XXIII Congresso della Società Italiana di Pneumologia SIP.
A partire dalla loro introduzione nel 2003 con l’ottenimento del marchio CE, le valvole endobronchiali si sono diffuse come alternativa più sicura e meno invasiva rispetto all’intervento chirurgico di rimozione del lobo. Possono essere impiegate anche nei casi per i quali la chirurgia non è un’opzione percorribile, ma dopo un’attenta analisi attraverso la TAC polmonare e la spirometria globale.
Le valvole, durante l’inspirazione, impediscono l’ingresso di aria nel lobo trattato e, durante l’espirazione, permettono la fuoriuscita dell’aria intrappolata, portando ad una diminuzione del volume del lobo. In questo modo la respirazione diventa meno difficoltosa ed inoltre l’aria viene indirizzata nelle aree del polmone che sono meno compromesse dalla malattia e possono ancora assorbire ossigeno in maniera efficace.
Gli studi
La sicurezza e l’efficacia della terapia con valvole Endobronchiali (EBV) è stata valutata in diversi studi clinici controllati randomizzati: tra i principali ci sono STELVIO, IMPACT, TRANSFORM e LIBERATE. Gli studi hanno dimostrato che la riduzione unilaterale del volume lobare mediante EBV è sicura e clinicamente superiore alla terapia medica ottimale.
Una revisione sistematica di recente pubblicazione, condotta con metanalisi dei principali trial randomizzati controllati che confrontavano l’efficacia e sicurezza di questo tipo di valvole, come le Zephyr®, con quella della terapia medica ottimale, ha dimostrato un chiaro vantaggio nell’utilizzo di queste protesi.
“Gli studi in tutto il mondo – continua Failla – dimostrano miglioramenti nella qualità della vita (SGRQ), della capacità di esercizio (6MWD) e degli indicatori prognostici di sopravvivenza (BODE) a un anno dal trattamento con le valvole. In particolare, i trial più recenti hanno registrato un miglioramento delle condizioni cliniche nel 48 per cento dei soggetti. L’aspettativa di vita proiettata nell’arco di 5 anni cresce dal 66 al 70 per cento; quella a 10 dal 33 al 39”.
“Questi dati – conclude Failla – dimostrano efficacia e costo efficacia di gran lunga superiori alla TMO e ci fanno ben sperare per il futuro. Grazie al progressivo impiego delle valvole endobronchiali contiamo di poter evitare la morte prematura e di migliorare la qualità della vita di pazienti con capacità respiratorie seriamente compromesse per i quali, ad oggi, non esistono trattamenti soddisfacenti”.