Sostituire una valvola del cuore operando attraverso un’arteria. Quello che in passato poteva sembrare un miraggio fantascientifico è da tempo realtà, il passo in avanti è stato riuscire ad inserire con la stessa tecnica una valvola «fuori misura». Potrebbe sembrare una banalità, un tecnicismo da camice bianco, ma non è così. Grazie a questo intervento di ultima generazione si apre infatti una speranza, e anche qualcosa in più, per molti pazienti altrimenti inoperabili. La tecnica di base è la cosiddetta «Tavi»: sostituzione attraverso un catetere delle valvole aortiche con la quale si riesce ad intervenire per la stenosi aortica degenerativa
Patologia in costante aumento
Se la Campania si conferma sempre più all’avanguardia nel campo dell’interventistica cardiovascolare, va anche detto che la patologia è in aumento. Colpisce principalmente i soggetti anziani, dopo i 70 anni ha una prevalenza del 5% . Nella nostra regione ne soffrono circa 4.000 pazienti, 1.000 dei quali andrebbero trattati con questo intervento. La stenosi aortica degenerativa determina un graduale indebolimento del muscolo cardiaco con conseguente insufficienza cardiaca mentre parallelamente aumenta il rischio di morte improvvisa se il paziente non riceve un trattamento adeguato. Si stima che la mortalità è del 30% per anno dall’inizio dei sintomi, addirittura leggermente superiore rispetto al tasso di mortalità causato dal cancro al polmone.
Nuove speranze
La grande novità del 2017, come detto, è la nuova valvola «fuori misura», impiantata per la prima volta in Italia dal dottor Arturo Giordano, direttore del reparto di Interventistica Cardiovascolare del Presidio Ospedaliero Pineta Grande di Castelvolturno, e conosciuta dagli addetti ai lavori con il nome di EVR 34, prodotta da Medtronic. La novità consiste nel fatto che per la prima volta si è riusciti ad inserire in un catetere di meno di 6 millimetri una valvola che una volta rilasciata raggiunge 34 millimetri di diametro. Queste dimensioni consentono di dare nuove speranze a quanti erano esclusi dalla Tavi, perché anatomicamente non trattabili con le protesi in commercio. «I pazienti che fino ad oggi erano quindi destinati a morte quasi certa erano il 10% dei 1.000 che annualmente necessitano di questo intervento – spiega Giordano -. Per cui possiamo dire di aver “recuperato” a nuova vita almeno 100 pazienti l’anno. E’ stato accertato inoltre che i migliori risultati si ottengono in centri che hanno eseguito più di 200 interventi l’anno e la nostra esperienza, di circa 600 interventi l’anno effettuati da me e dal mio gruppo (composto dal Dott. Paolo Ferraro, Nicola Corcione, Stefano Messina, Gennaro Maresca e Giuseppe Biondi Zoccai), ci ha permesso di essere i primi a poter utilizzare questa nuova protesi per i pazienti campani e per quanti afferiscono al nostro centro da fuori regione».
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